Tutto
per una pallonata
Era una calda e piacevole giornata – nel cielo
c’era un sole dorato grande così – e la
mamma, con la scusa di voler salutare Crilin, mi aveva portato con
sé alla Kame House.
Quando
arrivammo, rivolse appena mezza parola al suo amico e, prima che
potessi rendermi conto di ciò che succedeva, si era
già infilata il costume e aveva raggiunto C-18 tra le onde
del mare.
Dato
che a stento soffiava un alito di vento, la corrente non doveva
essere forte, e sulla superficie increspata dell’acqua
c’era poca schiuma.
Mia
madre aveva in volto un’espressione a dir poco beata,
mentre si bagnava i capelli ed emetteva un sospiro soddisfatto.
Così
mi sedetti sulla sabbia e mi accigliai, capendo che la
cosa sarebbe durata per le lunghe.
Quanto
avrei voluto che Goten fosse stato con me! Di sicuro ci saremmo
divertiti molto...
A
distrarmi dai miei pensieri giunse Marron, che arrivò
trotterellando con una palla rosa in mano.
«Vuoi
giocare con me?» propose, con aria speranzosa.
Dato
che le alternative non erano molte – o giocare con la
bimba o sedere sulla sabbia – accettai sbuffando.
Il
gioco non era complicato: io lanciavo la palla a Marron e lei la
rilanciava a me. Naturalmente dovevo dosare la mia forza,
poiché lei, a differenza di Goten, non aveva nelle vene
nemmeno una goccia di sangue saiyan.
Annoiato
dalla facilità del gioco, mi voltai verso la sdraio
su cui sedeva il maestro Muten. Il vecchio fissava con particolare
intensità le nostre mamme e un rivolo di sangue scendeva dal
suo naso. Aveva la stessa espressione che lo zio Goku assumeva
guardando una torta squisitamente appetitosa.
Incuriosito,
mi avvicinai alla sua sdraio e gli chiesi: «Ma
cosa c’è di così interessante nella
mamma?»
Muten
sussultò, accorgendosi di me solo in quel momento.
Dopo alcuni istanti di riflessione scoppiò in una risata un
po’ perversa e mi rispose con aria gongolante: «Oh,
mio caro, capirai quando sarai più grande!»
Aprii
la bocca per protestare, ma in quel momento Marron mi
chiamò a gran voce, sovrastando senza difficoltà
il monotono sciabordio delle onde. «Trunks, passa la
palla!» gridò, in tono piagnucoloso.
Allora,
senza pensarci, scagliai la palla verso di lei. Non feci caso
al tonfo che ne seguì, ma non appena Marron
cominciò a piangere e a strillare con tutto il fiato che
aveva in gola, mi resi conto di non aver trattenuto la forza e di
averle lanciato la palla in piena faccia.
Mentre
mi chiedevo cosa fare, Marron prese a correre alla cieca,
tenendosi una mano premuta sul viso.
Cercando
di capire come calmarla, mossi qualche passo verso di lei, e a
quel punto mi travolse con l’impeto di un dinosauro.
Riuscii
a rimanere in piedi e la afferrai, sollevandola da terra. Lei
continuò a scalciare nell’aria, senza smettere di
piangere. «Voglio la mia mamma!» frignò
rumorosamente.
Mi
voltai verso il mare e vidi C-18 che cominciava ad uscire
dall’acqua, mentre Crilin, attirato dalle urla, era uscito
dalla casa ed era accorso accanto alla piccola.
«Mi
fa male la faccia!» gridava Marron e suo padre,
preoccupatissimo, si chinò su di lei.
«Non
pensavo di aver lanciato la palla così
forte» mi giustificai, stringendomi nelle spalle.
A
quel punto, C-18 ci raggiunse chiedendo spiegazioni con aria
accigliata, e la mamma mi guardò scuotendo la mano delle
sculacciate.
Non
mi picchiava praticamente mai, ma forse quella sarebbe stata la
volta buona per una punizione corporale.
Crilin
esclamò, in tono apprensivo: «Dobbiamo
portarla subito da un medico!» e C-18 accarezzò i
capelli biondi della piccola e piangente Marron, commentando con voce
indifferente: «Non è necessario».
Tra
un singhiozzo e l’altro, Marron si aggrappò
alla mia mano e la mamma, dietro insistenza di Crilin,
lanciò la capsula dalla quale comparve il nostro aereo.
Marron
non smise un secondo di piangere durante il viaggio e quando
giungemmo in ospedale stava ancora frignando.
Iniziavo
a sentirmi un po’ in colpa, ma continuavo a pensare
che stesse esagerando.
Dopo
qualche tempo passato a fare su e giù per le scale e
avanti e indietro per i corridoi, riuscimmo a trovare un medico, il
quale si presentò come dottor Akainu. Aveva
l’aspetto di un simpatico cane rosso con un voluminoso paio
di baffi grigi.
Visto
che Marron rifiutava di lasciarmi la mano, assistetti a tutta la
visita.
La
stanza in cui si svolse aveva i muri tutti bianchi. Sembrava che, in
quell’ospedale, le pareti non potessero proprio avere un
altro colore.
Per
prima cosa, il medico diede a Marron una caramella alla fragola per
farla smettere di piangere. Mentre la bambina la succhiava con le
labbra tremanti, pensai: “Uffa! Ne volevo una
anch’io!”, ma ricordando la mano minacciosa della
mamma non dissi niente.
Tentando
di ignorare il mio stomaco, guardai fisso il cartellino che
pendeva dalla tasca del camice del dottore. La foto doveva risalire a
qualche tempo prima, perché in quell’immagine il
signor Akainu non aveva ancora i baffi così lunghi. Mi
domandai quanto ci fosse voluto affinché divenissero tanto
grossi.
Il
medico, del tutto ignaro di ciò che mi passava per la
testa, prese quella che sembrava essere una macchina fotografica e
scattò una foto al volto della piccola Marron, ordinandole
di chiudere gli occhi.
Dopo
lo scatto, il dottore dovette notare le nostre espressioni
interrogative, dato che c’informò: «Ti
ho appena fatto una radiografia, così potrò
vedere cosa non va».
Da
queste parole, capii che non si trattava di una macchina
fotografica, bensì di una macchina radiografica!
Il
dottore osservò attentamente la lastra e dopo alcuni
istanti di dubbio trattenne bruscamente il fiato e sul suo volto peloso
apparve un’espressione incredula.
Iniziai
a preoccuparmi, chiedendomi se una pallonata poteva arrecare
gravi danni celebrali a una persona.
Guardai
Marron che si stava leccando le labbra come se potesse ancora
sentire il sapore della caramella. Percepii un vuoto allo stomaco e mi
domandai se continuare a succhiare un dolce ormai finito potesse essere
uno dei primi sintomi di un irreversibile danno al cervello.
Deglutii
rumorosamente. Marron non era la mia migliore amica (io non ho
amiche femmine!), però non volevo certo che morisse e
soprattutto non per mano mia!
Il
dottor Akainu prese Marron per il braccio e la trasse con
sé, perciò venni trascinato fuori
anch’io – dato che la bambina continuava
imperterrita a stringermi la mano.
«Signor
Crilin!» chiamò il medico con
voce concitata.
La
mamma giunse immediatamente insieme agli altri. Avevano tutti
un’aria preoccupata.
Immaginai
C-18 che mi sculacciava con la stessa forza che
papà usava per allenarsi e sbiancai. Oh, quanto avrei voluto
non essere mai andato alla Kame House!
«Signor
Crilin» riprese il dottore, «ho
una notizia sbalorditiva!» Si interruppe di colpo osservando
il volto preoccupato del suo interlocutore e si corresse:
«Cioè, forse non poi tanto…»
Il
padre di Marron, agitatissimo, esclamò:
«Avanti! Mi dica cos’ha mia figlia!»
«Sua
figlia» lo informò il medico,
«ha una cosa rarissima…»
Mi
paralizzai con il cuore in gola.
«Le
sta crescendo il naso!» concluse il medico con
enfasi.
Impiegai
alcuni secondi per ricordarmi di respirare, mentre il mio
cervello registrava lentamente l’informazione.
…il
naso? Allora non stava per morire!
Mi
sentii incredibilmente sollevato, mentre gli adulti si chinavano su
Marron.
«È
un rarissimo caso di nasizione»
sentenziò il medico, soddisfatto.
Crilin
barcollò con aria stupefatta.
«Na-nasizione?» balbettò.
«Ma… ma ha ricevuto una pallonata in faccia!
Sembrava le facesse molto male…»
Il
dottor Akainu annuì saggiamente.
«Può darsi che il dolore fosse dovuto, almeno in
parte, al fatto che il naso sta iniziando a crescere».
“E
in parte alla forza saiyan” pensai tra me e me,
mentre Crilin finalmente sorrideva, evidentemente commosso
dall’idea che sua figlia avrebbe potuto assaporare tutti i
profumi che lui non aveva mai potuto conoscere.
A
quel punto, capii una cosa a mio parere fondamentale ed esclamai:
«Mamma, adesso anche Marron potrà avere il
raffreddore!»
P.
S. La faccia del maestro Muten era
pressoché questa...
Grazie
per aver letto! ^-^
Achamo
& 9Pepe4
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