N/A: Scritta
per la Maratona In Piscina di piscinadiprompt,
con prompt (stupendo
♥)
Firefly, River&Simon, “Mi
racconti com'ero prima delle... mani
blu?”, lanciato da Manasama,
alla quale dedico questa storia :3
Il
titolo è tratto da No,
I don't remember
di Anna Ternheim, colonna sonora di un altro show di Whedon,
Dollhouse.
Remind me
of how I used to feel
Oggi è un
buon giorno.
E' uno di
quei giorni in cui le
medicine fanno effetto, la tranquillizzano, le permettono di
addormentarsi quasi serena, anche se quella serenità forse durerà
soltanto un paio d'ore e sarà presto rimpiazzata da urla e incubi
terrificanti.
Ora, però, è
tranquilla. Le rimbocca
le coperte come faceva quando era solo una bambina, e i loro genitori
erano troppo impegnati con la loro vita sociale per farlo al posto
suo; le scosta i capelli dalla fronte sudata, guardandola chiudere
gli occhi e respirare piano.
Vorrebbe che
fosse sempre così, la sua
sorellina. Baratterebbe senza indugio la sua genialità per una
mediocre ignoranza in grado di offrirle sonni tranquilli ogni notte.
Purtroppo, per quanto ci provi, non c'è modo per spegnere il
cervello di River. Il massimo che riesca a fare, con i giusti farmaci
– farmaci difficili da procurarsi, che stanno per finire – è
alleviare per qualche ora le sue pene, ridarle per poco l'innocenza
di cui l'hanno privata troppo presto.
Digrigna i
denti, e si alza per
lasciare la cabina. Kaylee e gli altri lo aspettano in cucina per una
tarda cena, piena di racconti dell'ultima missione portata a termine
dal Capitano, Jayne e Zoe.
“Simon?”
La voce di
River lo fa bloccare sulla
soglia.
Si volta
lentamente: sua sorella è
ancora sdraiata a letto, con gli occhi chiusi, eppure ha
perfettamente idea di dove lui sia.
Le si
avvicina di nuovo, a passi cauti.
“Non riesci a
dormire, River?”
Lei sbatte
piano le palpebre, aprendo e
richiudendo gli occhi, assorta nella contemplazione dei giochi
d'ombre che le luci al neon disegnano sul soffitto.
Simon si
siede sul letto, le prende
cautamente una mano tra le sue: non vuole che si perda di nuovo, non
questa sera. Questa sera si meritano entrambi un po' di pace.
“Simon...”
ripete, piano. “Mi
racconti com'ero prima delle... mani blu?”
Quelle parole
escono a fatica dalle sue
labbra, con tutto il peso che si portano dietro: è difficile per lei
pronunciarle, e questa è una delle poche volte in cui parla di quel
periodo con tanta lucidità.
La domanda
coglie Simon alla
sprovvista.
Credeva –
sperava – che River
ricordasse da sola com'era la vita prima di quel periodo buio. Che i
ricordi della loro infanzia felice fossero ancora intatti, sotto lo
strato di allucinazioni e follie che la tormenta ora.
“Non te lo
ricordi?” domanda,
attento a non far trapelare la delusione che sente crescergli in
petto.
“Io...” River
richiude gli occhi,
rimane con le labbra dischiuse per qualche istante, alla ricerca
delle parole. “E' così difficile distinguere. E' buio, e non so se
le luci sono vere o artificiali. Per favore, Simon, raccontamelo tu,
così saprò che è vero”.
Simon le
stringe la mano. Non sa
neppure da che parte cominciare. Ci sono tanti momenti che hanno
condiviso di cui vorrebbe renderla partecipe, ma nella sua mente
vorticano solo immagini spezzate che ritraggono sua sorella nelle
circostanze più svariate. Tutte hanno un denominatore comune: River
che sorride
“Eri...”
Si schiarisce
la voce, scoprendola
tremula, quasi sopraffatta dall'emozione.
“Eri la
ragazza più speciale del
mondo”, dice. River inclina leggermente il capo, lo guarda
interessata. “Non stavi mai ferma un attimo. Ti piaceva ballare,
non solo durante le tue lezioni di danza, ma anche a casa, per
strada, nei corridoi della scuola. E neanche la tua mente stava ferma
un attimo: non ricordo giorno in cui tu non avessi una domanda pronta
sulle labbra. Ogni minuzia attirava la tua curiosità e avevi così
voglia di imparare che facevi sempre domande a tutti”.
“E tu
rispondevi sempre. Vero,
Simon?”
Il tono di
sua sorella è dolce,
musicale. Lo fa sorridere, perché è così bello vederla stare bene,
e lo è ancora di più sapendo di essere responsabile di quel
benessere.
“Sì, ti
rispondevo sempre. Anche se
non sapevo le risposte, e me le dovevo inventare, perché credo che
nessun bambino di sette anni sappia descrivere in maniera efficace
una supernova... Eccetto te, ovvio”.
River ride.
E' una risata veloce, che
si spegne tanto in fretta quanto si è accesa, eppure basta a far
sussultare il cuore di Simon. Sua sorella ride – ne è ancora
capace, nonostante tutto quello che le hanno fatto.
“E,
soprattutto, sorridevi, sorridevi
sempre”, dice, cercando di tenere il tono della voce fermo,
nonostante l'emozione.
Vorrei
vederti sorridere più
spesso, pensa, ma non dice nulla, perché non vuole incrinare
quel momento di spensieratezza.
River si fa
seria. Stringe gli occhi
pensosa, concentrata su qualche concetto per lui inafferrabile.
“Simon” dice,
poi. Lui le si fa più
vicino, solerte. “Simon, sono ancora la ragazza più speciale del
mondo?”
Simon
sorride, nel notare gli occhi
scuri della sorella fissarlo colmi di serietà.
“Certo che lo
sei. Lo sarai per
sempre”.
Le accarezza
i capelli. River chiude
gli occhi al passare della sua mano delicata, sulle labbra un accenno
di sorriso.
“Ora riposa”.
Dopo averle
augurato la buonanotte,
Simon non si alza. Resta seduto a guardarla addormentarsi, con il
respiro regolare e il viso rilassato.
E'
sicuro che, almeno per quella notte,
nessun incubo infesterà il sonno della sua sorellina.
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