Titolo della storia: Danse Macabre
Nickname su EFP: Elizabeth_Tempest
Nickname sul forum: o0°Lucetta_Streghetta°0o
Fandom: Originali
Personaggi o Pairing: //
Prompt: Girasole- Rancore
Genere: Storico, Triste, Malinconico
Avvertimenti: One-Shot
Breve introduzione: "Come il fiore già rigoglioso
sullo stelo cade
insieme col fiorellino ancora in boccio, al passar della falce che
pareggia
tutte l'erbe del prato". (A.Manzoni)
Si
levavan, da strade e case,
urla e gemiti, strilli acuti e versi animaleschi.
Ovunque
il tanfo di morte era
riconoscibile, come fosse stato una nube onnipresente. Era sul mondo
sceso un
velo di spessa disperazione.
Qua
e là carri tintinnanti
passavano sferragliando le ruote, carichi di macabra merce: eran
bambini, donne
e uomini, ve n’eran di anziani o di giovini; alcuni muovevano
ancora le membra
intirizzite dalla Nera Signora; gemevano, le menti perse nel delirio
della
malattia, che si mangiava la loro ragione come un tarlo il legno
marcio;
urlavano, persi nell’agonia, altri avevan gli occhi sgranati,
alcuni stupiti,
altri rassegnati, altri ancora, in maggior parte, guardavano con lo
sguardo
spento il vuoto, pieni di rancore, ché la morte se li era
presi quando ancora
nelle loro menti c’era la speranza e i progetti che si
andavano disegnando
dentro di loro, per i tempi lontani, dove la grazia del Signore sarebbe
scesa
su tutti loro e la mano del Diavolo si sarebbe allontanata dalla
città.
Gli
arti e i capi ciondolano per
gli scossoni delle strade sconnesse, come percorsi da una sinistra
musica
inudibile per chi ancora aveva in petto la vita: solo chi aveva
già reso conto
al Signore de’suoi peccati aveva il piacere di udir il suono
di strumenti
angelici –o forse demoniaci?- e di danzar su tali note.
Danzavano ancora e
ancora, agli scossi delle loro vetture che li portavano ove avrebbero
finalmente ricevuto il loro letto eterno.
I
viventi guardavan quel triste
spettacolo, tristi in viso o indifferenti, altri chinavano il capo e
rivolgevano ai morti preghiere accorate: fortunati coloro che
già al Signore
erano ascesi. Alcuni li guardavano con rancore: eran già
andati, coloro, perché
pregare? Non soffrivan più delle pene del corpo, che si
pregasse per quelli che
ancora lo facevano!
Le
scorte macabre del corteo
andavano col petto all’infuori, quasi fossero orgogliosi del
ruolo:
annunciavano la Morte signora, coi sonagli tintinnanti, dal suono
argentino,
che pareva un crudele scherno, tanto era allegro quel suono.
Le
loro voci si alzavano
imperiose e quasi allegre, nelle tasche e nelle bisacce nascondevano la
ricompensa ai loro sforzi, che prelevavan loro stessi dalle cassepanche
de’morti e moribondi, a premio del lavoro caritatevole che
svolgevano, che poi
spendevano nelle bettole ove, se dalla peste s’erano salvati,
andavano a morire
dei morbi dell’amore.
Le
genti li fissavano a sguardo
basso, intimoriti e rancorosi: quanto mancava prima che quei diavoli si
presentassero ai loro usci, reclamando i loro morti e i loro vivi?
Prima che li
spogliassero come si faceva col maiale scannato, di cui non si scartava
nulla?
Li avrebbero spogliati dei pochi denari, dei loro miseri panni.
Tutto
pareva morto, tutto pareva
sottosopra: che ne era stato dell’ordine? Erano forse
balocchi del Diavolo, che
crudele derideva i poveri infelici della città?- si chiedeva
la folla smunta,
che camminava gobba per strada. Gli amici non si salutavano, le persone
non si
sfioravano. S’andava in mezzo alla strada, gli occhi che
osservavano febbrili e
i sensi che parevano quasi quelli dei lupi: si stava attenti,
ché gli untori,
in combutta col Demonio, stavano nascosti tra loro, pronti a ungere la
gente
per bene.
La
fanciullina, dal viso
incavato, osservava nascosta quello spettacolo tetro. S’era
rifugiata nella
casa sua, vuota di vita. Sul giaciglio ancora stava la madre, gli occhi
sbarrati, sorpresi.
La
fanciullina si chiese a cosa
stesse pensando. Era forse sorpresa dalla Morte? Non sapeva che stava
morendo?
Non se n’era resa conto? O la Dama Nera le era apparsa come
qualcosa di tanto
sublime da lasciarla stupefatta?
Lanciò
un lungo sguardo al
genitrice, pieno di rancore. Lei, almeno, era morta. Che sofferenze
poteva
ancora provare, quel cadavere sfatto?
S’era
andata con suo padre, che nostalgia poteva provare? Ora che stava coi
morti tra
le braccia del Signore, che mancanza poteva provare?
Si
passò la mano umida sul viso
bagnato. Le doleva la gola riarsa. Lanciò
un’occhiata d’odio alla brocca
d’acqua: che beveva a fare, se non si poteva dissetare? Se le
febbri le
prosciugavano la fresca bevanda prima che le giungesse nello stomaco?
E
come poteva non provar rancore
per le mosche schifose, che giravano per la stanza, lanciando muti
ululati di
gioia mentre mangiavano la donna che l’aveva messa al mondo?
Orride bestiacce
figlie della Morte, eppure vivevan meglio degli umani. Loro avev del
cibo, per
lo meno! E se pur non eran nella grazia del Creatore, avevano la pancia
ben
piena!
Ah,
la grazia del Creatore! Che
grazia era? si disse, tirandosi sulle gambe molli. Aveva dato loro la
fame,
prima, e poi la Morte. Se aveva tanta grazia, che le desse una fine
rapida!
Barcollò verso il tavolaccio di legno traballante, stanca.
Lanciò un occhio
verso la finestrella sulla strada, da cui arrivavan i rumori della via:
gemiti,
urla, borbotti e i suoni de’monatti.
Ecco,
provò altro rancore. Sì,
la vita era rancore, non se ne poteva far a meno. Che ingiustizia,
quella
morte! Perché la sentiva vicina, col fiato sul collo lurido
di sudore e
sporcizia, che le accarezzava i capelli unti, appiccati alle gotte e
alla
fronte alta, le cingeva la vita magra. Sì, Morte. Ormai
sentiva la sua voce
muta vicino alle orecchie.
Si
tolse il corpetto, stanca.
Dalla strada giungevano delle urla e si pose in ascolto.
“Dagli, dagli
all’untore!”
Rise.
Astio anche per l’untore:
che lo prendessero e gliele dessero bene, a quel satanasso!
Ché quelli come lui
solo la morte dei gentiluomini auspicavano, ché se
s’era ammalata, era solo
colpa loro!
Era
sana, lei, era bella, anche
se di una bellezza sciupata dalla fame e dal lavoro. Ma nella sua mente
andavan
delineandosi disegni per i tempi a venire. E sarebbe stata buona moglie
e brava
madre, avrebbe sposato magari il figlio del panettiere, che da tempo le
voleva
fare da moroso. Avrebbe avuto qualche denaro nelle tasche e magari
de’piatti
belli, di quelli di maiolica, e non di peltro scuro e sciatto, annerito
dal
tanto uso. E sulla sua tavola ci sarebbe stato pane bianco e soffice,
non solo
duro e nero, e la polenta l’avrebbe fatta in abbondanza e non
quella poltiglia
troppo allungata dall’acqua che la sua signora mamma cucinava
sempre più
spesso. Nella zuppa di cavoli ci sarebbe stato pure un po’ di
grasso di
montone, e magari avrebbe avuto una coperta con le piume
d’oca dentro, cosicché
le membra stanche ci si riposassero come poteva una regina. Avrebbe
avuto un
nugoli di ragazzetti urlanti e poi sarebbe diventata vecchia e bianca.
Che
sciocchezze erano ora
que’pensieri penosi: che futuro c’era? Il figlio
del panettiere aveva raggiunto
i santi e a lei non rimaneva che la forza di quella risata isterica,
mentre
udiva i ruggiti della folla. Sì, sì, che gliene
dessero, all’untore! Gliene
dessero pure per lei, che non aveva la forza di scender per strada a
fargli
pagare il conto dei suoi bagordi! Che li prendessero, quei balordi, e
li
appendessero per il collo nella piazza! Che imparassero quei
bestemmiatori a
ungere le porte! Ah, che li prendessero! Se non c’erano i
birri a far
giustizia, che se la facesse la città sola! Giustizia per i
morti e per i vivi!
Che li mandassero, quei vili, al loro mandante!
E
rideva furiosa e divertita. Il
petto le si ruppe in un accesso di tosse, mentre le gambe la mandarono
per
terra, esauste. E allora provò livore pure per quegli arti,
che non ne volevan
più sapere di tenerla eretta. Pareva di essere una
vecchiaccia grigia e stanca,
mentre il morbo del Diavolo le mangiava la giovinezza.
Gemette,
strappandosi ciocche di
paglia secca e nera dalla testa, urlando, latrando quasi come un cane.
Ch’aveva
fatto, lei, per
meritarsi quello?!
In
chiesa c’era sempre andata,
aveva fatto la carità quando Dio lo chiedeva e le sue
preghiere alla Madonna
non mancava di recitarle. Era stata sempre buona anche con la sua
mamma, aveva
sopportato gli strilli ubriachi di suo padre e mai l’aveva
ripreso quando si
rubava i suoi risparmi! Si era bruciata le mani lavando la bella
biancheria
delle gentili signore della città e aveva sempre tenuto gli
occhi ben bassi,
ché nessuno le potesse dire di aver mancato di rispetto!
Le
urla e le risa isteriche e
rabbiose vomitavano il suo astio stanco. Che venisse la Morte, che
venisse! Che
se la prendesse, ma almeno lo facesse in fretta! L’avrebbe
ricevuta come si fa
cogli amici fedeli, perché le pareva che le fosse tanto
conosciuta.
Le
risa si spensero, mentre
chiudeva gli occhi. Massì, che venisse, che la stava
aspettando. Tese
l’orecchio, aspettandola e si mise seduta. Le sue labbra
viola cantavano
qualcosa, mentre le dita uncinate sistemavano i capelli rigidi. Prese a
ridere
di nuovo.
Le
giunsero gli stivali pesanti
dei figli della Signora e nel suo cuore si rinnovò
l’acre risentimento.
Quelli
entrarono e si presero
sua madre, poi volsero a lei gli occhi. Alcuni già frugavano
sotto i sacconi
dei giacigli, altri avevano aperto l’armadio e gettavano al
suolo stoviglie e
biancheria.
Uno
trovò una borsa con pochi
soldi. Ah, che villane, dicevano. Non li pagavan bene il viaggio che le
portavano a fare e ridevano, gracchiando.
La
fanciulla gettò loro
un’occhiata un po’ instupidita, piena di acredine.
Sapevano loro quanto ci
aveva messo a far ordine nella stanzetta che chiamava casa?! Ah,
briganti!
Aspettava ospiti, lei: un coro di angeli a portarla in cielo e la bella
dama
nera a darle il braccio! E loro mettevan disastro nella sua casa!
Lanciò
un lamento funebre,
mentre quella gente l’afferrava per le gambe e sotto le
ascelle, e la sollevava
come una bambola di pezza. Dondolava, mentre la portavano via. Era in
culla? si
chiese, stanca.
Guardò
la gente che la fissava
mentre i monatti la scortavano solerti alla sua ultima vettura.
Perché la
guardavano? Non aveva forse lo stesso aspetto? Poteva vedere la Morte
che se li
accarezzava uno per uno, come una bimbetta capricciosa che sceglie i
suoi
balocchi nuovi.
E
la Morte guardava lei, con un
largo sorriso sul volto spoglio. Non vi era cattiveria, solo materna
premura.
Provò di nuovo astio per il ritardo al
quell’appuntamento allungo fissato.
Mamma, perché non siete venuta prima? le chiese,
singhiozzante, mentre ella,
premurosa, se la stringeva al seno.
Note di Autore
·
La storia è ambientata durante la
peste del
1630, la stessa di cui tratta Manzoni ne “I promessi
sposi”, a cui è, in parte,
ispirata la One-Shot.
·
La peste del’630 fu particolarmente
virulenta e
colpì in particolare il Nord Italia (viene anche ricordata
come la peste di
Milano). Prima di questa, nella penisola italica si registrò
una grave crisi
economica e un calo demografico, aggravato dalla carestia, che
contribuì alla
violenza dell’epidemia, che, secondo gli storiografi
dell’epoca, venne portata
dei lanzichenecchi. Diversamente da molte delle epidemie di peste
precedenti,
che avevano colpito in particolare gli strati più poveri
della popolazione,
questa falcidiò buona parte della popolazione, con un
conteggio approssimativo
di 280.000 vittime, dilagando sia nelle città che nelle
comunità rurali, anche
le più isolate.
·
I monatti erano persone deputate al trasporto
di
morti e moribondi ai lazzaretti, solitamente persone che avevano
già contratto
la peste e ne erano guariti, sviluppando quindi
l’immunità al morbo. Si resero
tristemente famosi per i saccheggi alle case dei malati e lo spoglio
dei
cadaveri.
·
Gli untori, invece, erano i propagatori della
malattia secondo la fantasia popolare, cioè persone che
stringevano patti col
Demonio o che per pura cattiveria fabbricavano strani intrugli
dagl’ingredienti
bizzarri che poi usavano per ungere le porte delle case o la gente, al
fine di
diffondere la peste.
·
La peste, all’epoca, non era
considerata una
vera malattia: buona parte dei medici la riteneva un veleno oppure il
risultato
di un sortilegio. Non furono poche le persone condannate come streghe o
untori
dalle autorità o i linciaggi della popolazione ai danni di
persone additate
come tali, mentre nelle città e nei villaggi vennero venduti
numerosi filtri o
talismani che avrebbero dovuto tener lontano il morbo.
·
La Danse Macabre o Danza Macabra è
un tema
iconografico tipico del tardo Medioevo che rappresenta persone e
scheletri
mentre danzano. La sua funzione era quella di memento
mori e l’espressione di una certa ironia nei
confronti
delle gerarchie sociali che, davanti alla Morte, non contano
più nulla. Questo
tipo di rappresentazione è messo in relazione con la peste
del 1348.
4°
posto al "Un fiore... un'emozione" contest di robichan07
4°
posto - 00LucettaStreghetta00
Titolo:
Danse Macabre
Grammatica:
10/10
Storia
scritta in modo perfetto: nessun errore di grammatica o distrazione e
lessico molto ampio.
Caratterizzazione
dei personaggi: 9/10
I
sentimenti che provano i personaggi sono davvero evidenti e credibili.
La fanciulla ha molto rancore per quei monatti che sembrano burlarsi
delle persone morte alle loro spalle e perciò anche qui non
c’è nulla da obbiettare.
Stile:
8/10
La
storia è scritta completamente con il modo che utilizzavano
gli scrittori tempo fa; un esempio è il verbo prima del
soggetto. Ciò dimostra una grammatica e sintassi molto
profonda rispetto a quella usata comunemente ma qui tende un
po’ ad appesantire la lettura.
Originalità:
9/10
Riguardo
alla peste e alla Danse Macabre lo hai scritto tu stessa di aver tratto
ispirazione dal racconto di Manzoni e alle usanze tipiche del Medioevo
perciò devo togliere un po’ di punti in quanto il
riferimento alla malattia ed alle vittime provocate da essa non
è di per se tuo ma riguardo ai personaggi e al resto non ci
sono problemi.
Inerenza
alla traccia: 8,50/10
Il
ruolo del rancore è stato definito bene
all’interno della storia ma per un attimo sono sembrati i
monatti e la loro “voglia” di burlarsi delle
persone oramai defunte a fare da protagonisti.
Gradimento
personale: 4,50/5
E’
stato davvero bello leggere qualcosa che non si svolga al presente ma
che tratta di un fatto realistico successo in passato, tuttavia
è proprio questo che non riesce a mettere completamente a
fuoco il sentimento. La peste è ricordata come un periodo
pieno di vittime e stragi ovunque e questo concetto non passa
inosservato, lasciando le emozioni dei personaggi un pochino in secondo
piano.
Totale
punti: 49
|