Sie sind ein Man I.
Sie
sind ein Man.
[ Se solo le nostre mani
fossero più vicine,
così che una
volta unite,
il tempo non possa
più nuocerci. ]
Il
tessuto usato per i berretti delle divise nere era ruvido al tatto.
Si
increspava quasi sulla pelle; graffiava impietoso i polpastrelli
senza dare una benchè minima sensazione che potesse
definirsi
piacevole- pareva, suo malgrado, che fossero lavorati apposta per
pungere ed allarmare, spostare l'attenzione su questi come fossero
biechi avvertimenti d'allarme; dei corvi puntuti e gracchianti sulla
testa dei soldati.
Avevano
una forma terribilmente agnostica: così proiettata in
avanti e lucida e nera, là dove avrebbe visto bene
le ali
untuose del macabro animale piumato, poi, poco più in basso,
v'era il becco aguzzo d'un colore malato- tinto delle stesse sporche
tonalità del petrolio, dal violetto acerbo dei riflessi al
catrame denso delle ombre.
Questa,
una delle diverse ed intricate (complicatissime perchè
italiane)
ragioni che avevano portato Feliciano ad aborrire la
presenza dei suddetti indumenti.
Riusciva
a sradicarselo dal capo non appena poteva- sul campo, vibrando
lo sguardo al sole e raccattando la scusante del caldo; nei piccoli
momenti di pausa giusto per scostare le ciocche ramate dal viso-
togliendosi quella corona di spine che a lui stava sempre un poco
più stretta rispetto agli altri; e lanciarlo malamente sul
piccolo divano della caserma o in mezzo ai mazzi gialli d'erba stappava
finalmente i suoi più angusti pensieri, che là
dentro
alla gabbia di cotone pungente si accartocciavano fino a sopire e
neutralizzarsi.
Non
appena levava il masso nero davanti ai propri occhi, iniziava a
vedere di nuovo con chiarezza ed un'obiettività allucinante,
scoprendo quello stesso italiano dal sorriso oramai malinconico e pieno
di falsi ricordi; un albun fotografico proveniente da quel paese visto
sempre sotto una strana peculiarità: dotato di un pizzico di
pepe e rosmarino in più rispetto al resto del mondo.
La
Germania (lo sventurato continente che lo vedeva come martire,
giunto lì a volere dei prossimi che stan seduti sullo
scranno),
al contrario, pullulava dell'acciaio più forte e denso,
liquefatto per le vie ed evaporato al cielo così da tingere
le
nuvole ed il fascio nascosto di stelle; allungava i sapori e gli odori
al malto della birra, e l'infimo dispiacere affogato in quest'ultima.
Inoltre,
a quanto pareva, nessuno si lamentava troppo per quegli atroci
berretti.
- Tieni.-
L'italiano
allungò l'imputato corvo sul letto sfatto,
lasciandolo cadere con un piccolo ritorno di molle vicino a Ludwig.
Vide la stoffa ringhiante nascondersi fra le lenzuola tutte
accartocciate sul fondo, rimbalzare un paio di volte prima di chetarsi
al muto ordine delle pupille del suddetto teutonico- un uomo alto,
robusto, dannatamente tedesco, "d'un
obbedienza verso i superiori
quasi delinquenziale", a vedersi
bello.
Ma
incomprensibile. Eternamente chiuso fra le sue mura quadrate della
ragione, d'un inafferrabilità che l'aveva intimorito
più
volte e facendolo deglutire a vuoto innanzi ai primi impatti di
marciume che aveva constatato nella sua persona- o meglio dire: nel suo
essere Sergente.
Il loro
rapporto era un rompicapo, avviato per sbaglio da un motore
di caotiche occhiate ed un primo incontro che poteva ritenersi l'unico
nel quale erano entrati entrambi in una deliziosa sintonia; ossia lo
scambio del comprendere ciò che serve all'uno e all'altro,
nulla
più che si possa considerare un chiarimento o un poco di
luce
sopra a quelle grandi nubi di tossico fumo.
Non
sapeva se accogliere la sua decisione di consumare (bruciare?)
quelle casuali voglie con lui fosse una strana presa di coscienza anche
da parte di Ludwig- che infine, gli aveva volutamente mostrato la sua
bisessualità o omosessualità in volute
più ispide
e serie del dovuto; senza che in realtà entrambi riuscissero
a
scoprirsi e conoscersi davvero.
Si
presentava innanzi solamente l'angusto segreto spezzato fra le
labbra ed i gesti dei due, flebile e reincarnato negli improbabili
dettagli incastonati nelle nicche di quello sguardo in più
che
si rivolgevano, l'attenzione febbrile che li colpiva puntuta
con
fitte striscianti sul ventre- eppure l'agognato sentimento che
reclamava nei suoi sogni pareva che nemmeno avesse la forza di nascere
e sbocciare, forse perchè il terriccio non era fecondo ma
secco
ed arido di spine e polvere e crepature forse curabili da una qualche
acqua misteriosa, che ancora non si faceva trovare.
Ci
pensava spesso, mentre lo scrutava rivestirsi in silenzio; mentre
allungava sulla sua figura nuda i segni della nuova Germania che
svettava grande e potente cucita sulle divise -e qui altri panni che
poco gli andavano a genio, sempre più feroci ed incalzanti,
non
davano tempo di stabilire il perchè delle cose e ti si
paravano
innanzi pretendendo il mondo intero da chi era semplice ed umile.
Lo
osservò con calma riallacciarsi la cintura - ed il suo
guizzare dei muscoli creò nuovi fumi di confusa memoria; la
sua
foga nel togliere quello stesso pezzo di cuoio e calpestarlo con le
brache di tela, ed una grinta un poco ubriaca e malmessa dallo stesso
sorriso sbilenco che portava in volto prima di azzannarlo e tempestarlo
di difetti violacei.
In quegli
attimi Ludwig riusciva a concentrare tutto il suo essere su di lui.
Rammentava
bene quei momenti: il sospiro spirato appena prima di una
salda presa sulla vita, quella confusione di sguardi e gesti sordidi di
coordinazione, il primo sfiorarsi rozzamente, indecisi sul da farsi di
quegli incontri consumati senza porsi troppe domande che avvinghino la
mente peggio delle tortuose spighe di rose, e che pungano la coscienza
assente di entrambi bucando e facendo sanguinare via quel malato
rapporto.
Ludwig
aveva un incredibile bisogno di sfogarsi a quel modo. Lo intuiva
Feliciano nel suo sguardo, nella colpevolezza del non aver nessuno, e
sopra ad un velo inerte sopra all'unica pozzanghera di
cielo che aveva
trovato a Berlino: i suoi occhi azzurri e celesti, di mille altre
tonalità del ghiaccio più freddo e ustionante - e
man
mano che cercava di avvicinarsi e scostare l'ombra cupa dei suoi occhi,
il torbido gelare lo attanagliava fino a che non salivano a galla i
brividi di pentimento e vergogna più che giustificata.
I baci di
Ludwig mordevano e graffiavano, non amavano soffermarsi sulle
sue labbra (giusto per sentirsi amate sotto il peso carbonaro delle
armi); si trattava di una necessità violenta e senza
risparmi
che lo lasciavano senza fiato e gli succhiavano via l'anima- ed il
tutto avveniva in modo così frenetico che Feliciano nemmeno
aveva tempo di fargli capire quanto in realtà umano era;
perchè le parole non uscivano dalla bocca se non in strani
rantolii ed un mugolare doloroso provocato dalle sue mani, e la sua
voce profonda che proferiva un imperioso "Mein" anche sotto gli
ansiti.
Chissà
com'era aggrapparsi a quella spalle cercando protezione.
Oppure, udire il profumo di una voce così imponente su note
di
conforto.
Era
abbastanza sicuro che vi fosse un uomo, nella sua testa di grano
biondo- perchè infine anche lui era venuto al mondo gemendo,
da
una madre che dopotutto l'aveva amato; e aveva sicuramente avuto una
famiglia, degli interessi, sogni e sentimenti. Così in principio
è l'uomo che nasce sputando vagiti, indipendentemente da
come il
destino riuscirà a piegarlo.
Aveva
avuto diverse parvenze della sua umanità senza nemmeno
provare a scavare nel suo "io" per trovarci
qualcosa; come degli
inaspettati e semplici abbracci, gesti più candidi e puliti
anche se attuati sotto un sovraccaldato lenzuolo e malvisti dagli
spiragli coraggiosi della luce lunare- e filtrava indiscreta dalle
finestre socchiuse, andando ad illuminare un'esigua fetta di vita, dove
storceva un poco di meno il naso davanti ad un lento intricarsi di mani
e braccia, dove l'italiano aspirava il suo odore di ferro e acciaio -
misto a quell'essenza di muschio fresco e verde che ritrovava fra i
capelli scompigliati dalla notte.
C'era
infine ben poco da capire in quella situazione. Anche
perchè, in definitiva, non sapeva se vederla mezza piena o
mezza
vuota d'opportunità.
Per
quanto la situazione si potesse ritenere ridicola e confusionaria,
Feliciano adorava guardare i suoi movimenti una volta calmo e tutto
sommato pensieroso. Si trascinava addosso una meticolosità
disarmante; le mani non si presentavano esitanti ma sempre con un nuovo
ritmo a tamburellare nelle vene, e l'espressione assorta già
sfilava davanti ad un incerto futuro di problemi, la fronte
corrucciata con quei suoi fari celesti a far da sentinelle, e le labbra
semischiuse già preannunciavano il ticchettio da metronomo
di
quelle rotelle fumanti che gli giravano pronte in testa.
Lo vide
prepararsi con attenzione, misurando i soliti meccanici
movimenti, coprendosi da capo a piedi e permeando quella figura con la
quale si presentava al mondo, ma non a lui- oramai sapeva cosa c'era
sotto le vesti, ogni singola cicatrice albina che solcandolo, tracciava
nuove linee del suo corpo conosciuto e non a tragico contempo.
Al
termine di quella singolare investitura da soldato,
arraffò il tanto odiato cappello, per poi
imbastirlo alla
meglio sulla propria testa. Feliciano udì i tacchi degli
stivali
piombare pesanti a terra, intimidendo le assi di brullo legno-
così si ingrandiva il grande Sergente e la sua
crudeltà,
si stampava piano piano fino a farsi enorme, iniziando a scalpellare le
coscienze dei subordinati dal reticolo più esterno,
riuscendo
fino a oltrepassare le pesanti mura di pietre e mattoni, arrivando con
estrema facilità a giungere al Re del castello.
- Buona
giornata.-
Si
voltò verso di lui con intenzione marziale, drizzandosi in
piedi come un palo di ferro, che si sarebbe rivelato coperto di ruggine
anche se apparentemente forte ed invincibile. Al suo confronto,
Feliciano era molto più simile ad una spiga di grano. Buona,
semplice, irrimediabile ed indispensabile: si sarebbe piegata anche al
più piccolo sbuffo di vento, senza però mai
accennare a
spezzarsi definitivamente.
-A lei.-
Il
consueto sorriso amaro a fargli da compagno, nascosto dietro al
piccolo tonfo della porta oramai chiusa. Feliciano non se ne sarebbe
mai più separato, in un certo qual modo.
Ludwig
era esattamente come uno di quei berretti.
Grezzo,
d'una ruvidità allarmante e chiuso a gabbia; graffiante
e ruggente sotto ogni punto di vista, poco malleabile e rigido come il
ferro- eppure, Feliciano, si ritrovava sempre a portarselo addosso.
Alcuni
corridoi delle infermerie trasudavano dallo stucco malmesso il
soffocante freddo dell'odore medicinale d'esperimento molto
più
di altri; accompagnavano l'ultima fermata dei feriti di guerra con
l'avorio smunto delle pareti, spalmato a manto sull'intero piccolo
edificio di frontiera e volgendo alla neutralità l'intero
luogo-
ma sempre chiazzato da grida profonde d'incurabile tenacia, rovinando
l'idilliaco pensiero del bianco immutabile e denso circondato da un
onnipresente verde foresta.
Non
v'erano troppe parole di conforto da sillabare nel luogo del
forzato silenzio, o piuttosto sarebbero dovute salire in alto facendo
tuonare le ugole forti e dando nuovi rintocchi di metronomo ai "tic"
sempre più lenti dell'antico sperare.
Feliciano
aveva l'impressione di avventurarsi nelle fiabe di Babilonia,
e girare a vuoto nella famosa torre demoniaca sfilando uno per uno i
gradini aguzzi; eppure rimaneva così distante dal mondo dei
camici bianchi, quelle barelle lanciate a sfrecciare con appresso una
responsabilità molto più grande di quella che
delle
semplici stanghe d'acciaio di sarebbero aspettate.
L'italiano
vedeva ogni singolo piano della costruzione passargli
davanti agli occhi intrisi di una compassione non sua e certamente non
premeditata- perchè in quel luoghi, oltre al puzzo di acidi
v'era quello della sofferenza, che non aveva più la
possibilità di togliersi o sgretolarsi dalle pareti; non si
riusciva a lavarlo via, ma unicamente a percepirlo tonante e cucito
sotto i muri.
I
controlli mensili della fisicità adibiti per i soldati erano
un supplizio per fin troppi armati.
Feliciano
non spregiava il lavoro degli addetti- una semplice visita ai
polmoni, la lieve occhiata che davano al cuore ascoltandolo mentre si
aspirava a boccate per pochi secondi, le cure per i piccoli problemi
che in tempi simili non coprivano certo delle necessità, e
venivano lasciate a raggrumare sangue piccole ferite, un raffreddore
covante l'otite, infezioni da poco conto- piuttosto il tragitto da
compiere per capire effettivamente se si era ancora in grado di
imbracciare un'arma e correre assieme al battaglione d'attacco- ma chi
si era mai premurato di constatare se un uomo definito tale era pronto
per sfiorare rigidamente la canna di un fucile, e puntarla verso colui
che chiamavano nemico?
Per
motivazioni che possono essere sicuramente comprese dall'animo
sensibile di chi prima sparava colori e sfumature su tela invece che
piombo da una doppietta dell'esercito, l'uscita ed il ritorno al campo
risultavano un compito assai meno gravoso e più pulito-
magari
perchè ci si sentiva un poco lerci a vedere i soldati
mutilati a
gemere in un piccolo angolo, ma abbassando il capo verso il pavimento
consumato si poteva fingere di aver scrutato ben poco di quello che in
realtà era stato assorbito dai sensi.
In
definitiva, Feliciano si ritrovava a marciare veloce rispetto ai
suoi standard, incantandosi di tanto in tanto a cogliere una nuova
screzia nelle mattonelle pietrose e calpestate più volte con
differenti attriti. Erano delle buone compagne per racimolare meglio i
pensieri- in luoghi del genere, era molto meglio proiettare il proprio
pensiero verso altri problemi; magari i propri, senza accattarsi quelli
degli altri.
Doveva
assicurarsi che suo fratello stesse bene. Oppure, avrebbe dovuto
trovare qualcos'altro per annullarsi in mancanza di Ludwig.
Non lo
vedeva da una settimana buona, e per quanto quell'essere potesse
interessargli sotto certi punti di vista, era stata una breve vacanza
da quello che rimane un suo personale enigma senza un'apparente testo
nè conclusione, lontano dalla sua Superbia sul campo di
cenere
ed i gesti sempre troppo intensi.
Forse,
però, l'aveva fatto apposta- certamente il tedesco sapeva
prima di lui quando avrebbe avuto visite mediche, e farsi trovare sulla
pelle infiniti segni violacei aggiunti ad una dolorosa posizione a
sedere non l'avrebbero certo agevolato in quella gabbia di leoni.
Ciò che infine lo affliggeva -o meglio: gli impostava un suo
certo metodo di pensiero durante certe ambigue azioni nei confronti di
Ludwig, che invece di allontanarlo come avrebbe dovuto lo incoraggiava
a
non sottrarsi alle sue spine.
Non era
ancora arrivato a forzarlo, quel lupo dal pelo ispido
e nero;
pungente e irto dalle incombenze, ma elegante se ammirato da lontano,
eppure sempre fieramente brusco in ogni suo tiro di fiato-
perchè seppur bramando il sapore di quel piccolo agnellino, si
limitava a morderne la carne lasciandola intatta e arrgovigliando i
ricci spumosi della lana, senza fermarsi a leccare confortante gli
involontari tagli (venuti si a lacerarsi fischiando nella mente
più che sul corpo) ma lasciando la certezza che sarebbe
tornato.
Sicuramente incoraggiato da quel cambio di grezze carezze lanciate
l'uno sull'altro forse per sbaglio, che si inceppavano sulla pelle come
se fosse intervenuta una piccola scarica elettrica a farli desistere;
ma il gesto si misurava con la medesima forza e si imprimeva sulla
pelle e sulle labbra morse fino a diventare vermiglie.
Per
quanto potesse negarlo, pensare a Ludwig nuoceva solamente la
purezza della sua anima -non considerato l'evidente desiderio di essere
sfiorato in modo diverso, oppure rubargli qualche ansito più
dolce del solito- e si limitava unicamente a rinfrancare in un certo
qual modo la propria fisicità.
L'immaginarlo
nelle bieche faccende umane rispecchiava più una
sua spavantosa curiosità ed interesse nei suoi confronti che
già riusciva a metterlo in serie difficoltà.
Trovava
frustrante la loro non-conoscienza.
Ludwig
Beilschmidt.
L'aveva
sentito chiaramente.
Con quel
timbro così dannatamente tedesco, infisso sulle poche
vocali e scivolando malamente su tutte le consonanti indurendone
opportunamente la pronuncia; infine, lanciando un soffio felino giunti
alla "sch", ricalcandone
la provenienza e l'acciaio con cui le sillabe
si andavano formando.
Anche
l'infermiera, che essendo dunque una donna auspicava ad un parlato
sicuramente più melodico ingranava a quel modo- ma il
tedesco imponeva dei pilastri di
pronuncia così arrugginiti, senza che si desse la giusta
intonazione e sinfonico impatto nell'ascoltare.
Il
sentire il suo nome pronunciato in quello strinìo di
ghiaccio
oltre che a intristirlo gli procurò dei brividi,
accompagnanti la
mentale visualizzazione della sua persona.
Comunque
incalzato da quella pulce nell'orecchio, ed ostentando una
consona sicurezza, si avvicinò alla stanza da cui era uscita
la
lavorante falciando la linea polverosa del sole- quella lama luminosa
piantata a girare sull'asse della porta legnosa, e dava
quell'impressione impietosa di entrare in un luogo al contempo
dimenticato e ricordato, in quelle occasionali occasioni dove rivivendo
il passato prendeva piede il vecchio ripostiglio abbandonato dove
infine, anche se le parole ne agognavano il contenuto, nessuno sarebbe
andato a controllare se tutti i ricordi stipati là dentro
erano
ancora intatti.
Fece uno,
due passi in silenzio, prima di imbattersi nel cielo di Berlino.
Un fascio
azzurro e senza nuvole, pulito sin nel profondo- vide
un intero mare in quegli occhi celesti, di una densità
così languida che avrebbe potuto specchiarcisi.
Erano
belli. Forse più del dovuto.
Gli
pareva di entrare in una piccola casetta non sua, anche mentre
osservava la condizioni di Ludwig un poco ammirato come un buon attivo
spettatore; attento ai mutamenti ed ai dettagli, tutto preso a
constatare quanto quella scoperta l'avesse travolto: gli era sempre
stata sotto il naso, ed ancora non aveva potuto vedere tanta disperata
umanità in uno sguardo.
Stupefacente.
Si
chinò di poco sul posto, come per catturare meglio i
dettagli
insoliti colti probabilmente per mera fortuna; come dei capelli
lievemente più disordinati e lasciati ricadere e pizzicare
la
fronte, le labbra semischiuse in quello che doveva essere il
suo
esatto specchio, ed una benda già sporca a fasciargli la
testa.
Vide il suo respiro farsi vivo sotto la camicetta verdognola del tipico
ricoverato, dei gesti incredibilmente confusi ed infantilmente
semplici- afferrò la coperta che lo copriva, guardandolo con
tanto di occhi e stringendo le labbra piene nel vuoto di una morsa.
-Ludwig?-
Sussurra
ad una belva che anche ferita riesce ad intrappolarlo con
l'innato colpo di scena, facendo della propria figura un faro
d'attenzione in cui Feliciano aveva colto troppo per ignorare
completamente quello sguardo che ben altro significava per lui. Oh-
quante volte aveva colto le pupille dilatarsi a quel modo fra le pile
delle granate, sul campo e sotto il sudore di una corsa e dopo una
breve e comune doccia; senza però l'impatto devastante che
essi
gli davano.
Magari,
quella poteva considerarsi una piccola svolta al loro tirarsi e
mollarsi a vicenda; un'occasione da sfruttare con la porta ben chiusa
ed una prospettiva diversa incastonata sul sorriso in volto di
Feliciano- così lasciò la malizia mascherargli
sinuosa i
lineamenti, e mentre il capo si voltava verso l'entrata sbarrata le
dita agili correvano cariche di aspettativa ai bottoni della divisa.
Certo,
era sicuro del significato di quello sguardo. O forse, del fatto che
non gli avesse ancora parlato assieme.
- Che ti
han fatto? -
Gli occhi
scuri si coprono di lieve preoccupazione, mentre la giacca
viene posata su un piccolo sgabellino dinoccolato lì
accanto,
scivola come l'acqua animato da gesti più consapevoli e
forse
approfittatori; forzati dal desiderio di poterlo accarezzare come ne
aveva voglia, per una sola volta.
Eppure
Ludwig esitò a rispondere, assottigliando invece le
palpebre come per scrutarlo meglio; e magari, in qualche suo improvviso
pensiero, non arrivava a concepire tutto ciò che fermentava
la
voglia di Feliciano e gli graffiava impietosa il ventre- ed il sorriso
non si spense, anche quando le le mani seguirono il profilo naturale
dei fianchi ed intersecandosi poi sulla cintura.
Si
trattava di un ballo che poteva finalmente essere danzato da ambe le
parti- non v'erano strane restrizioni o inconsuetudini; glielo dicevano
gli occhi di Ludwig fattisi così naturali, erano un perfetto
filtro delle emozioni: si buttavano straordinariamente intense sulla
sua coscienza annunciandosi con un'iride scottante, che avrebbe
definito di un color cielo scarlatto (per quanto improbabile fosse).
Con un
lieve strattone tirò il cuoio fino a farlo tintinnare
sull'allacciatura metallica. Trovò quel suono carico
d'attese e
d'una strana nota animalesca, giusto a braccetto col il fare del
tedesco- gli piacque.
-M-ma..Cosa
sta facendo?-
L'ufficiale
aveva avuto il coraggio di parlare, finalmente.
Eppure,
per la triste gioia sopita di Feliciano, avrebbe forse potuto starsene
in silenzio.
Quella
voce solitamente roca e profonda, aveva dato un guizzo
involontario d'acuti dopo che si era accorta di star facendo lo stesso
ritardo di chi ha da svegliarsi come sognatore. V'era solamente la
confusione nel suo sguardo, una contrapposizione al suo solito stampo
di ferro che pareva quasi corrodersi sul volto.
Non era
una maschera adatta a Ludwig.
- Si
rivesta!-
Feliciano,
la cintura a mezz'aria stretta nella mano destra, due occhi
fatti a palla piantati accusatori su Ludwig come due lanterne da
stadio, ed il capo furetto che poi fuggiva dal malato e correva
ovunque, giusto per comprendere se avrebbe preferito che lo avvisasse
prima (nel caso fosse munito di telepatia,oppur informandolo con una
diversa veemenza che aveva davvero poca voglia di combinar qualcosa), o
che all'improvviso allargasse le braccia, magari sputando fuori che in
realtà stava scherzando - testando magari anche le sue
innate
doti di recitazione. Poteva
andare?
Aveva
un'espressione indignata, un po' a rimproverare quella sua idea che
all'inizio gli era parsa più che geniale.
-Eh?-
Aveva
ancora la cintura che penzolava smorta dalla sua presa.
Pareva un
appiglio un poco smangiucchiato o forse non consono -magari
un filino idiota- ma non avrebbe mai accennato a rimettersela per nulla
al mondo; un poco per la vergogna, un nuovo stadio di
sensibilità che si appianava piano in lui che aveva scoperto
essere ingannatrice ed orribile, uno dei più brutti dipinti
che
mai si era figurato in occasioni simili.
Il
lupo aveva appena ammonito l'agnello perchè si stava
togliendo la lana- non era forse
la cosa che desiderava?
In quel
momento, la sua mente vagò verso diverse alternative.
Non aveva
ragione di volersi la colpa per quell'infausto gesto,
preferiva di gran lunga attenuarsi con una scusante che non
invischiasse nel fango la sua dignità, anche se
effettivamente,
una cintura ed il suo sguardo malizioso non propinavano delle buone
frottole da raccontagli- poteva per esempio sproloquiare su quanto
avesse voluto strozzarsi, con quella cintura.
Si
guardarono consci dell'aria pesante, imporporati entrambi di uno
strano imbarazzo non premeditato e punzecchiante; capace forse di
resuscitare quelle umane sensazioni che in luoghi di fuoco e cenere
avevano smesso di farsi largo fra gli sguardi duri e freddi, magari
stabilendosi lontano da quei campi di vergogna che proprio non
riuscivano a sopportare.
Riuscire
a vedere quel rossore sulle guance di Ludwig, gli
ricordò quanto anche lui fosse uomo- e poco importava che
fosse
in un frangente così ambiguo e altalenante, era innanzi a
quella
fiera che aveva visto come ringhiante ed imperiosa sgretolarsi piano
piano; puntava gli occhi vivi verso quelli che sarebbero potuti essere
i suoi padroni, e guaiva mesta in attesa di vedersi regalare anche lei
delle affettuose carezze sul capo che mitigassero un po' il pelo fatto
di chiodi e tinto della fuliggine più sporca. Desiderava
forse
trovarsi a scodinzolare per qualcuno? Eppure, era conscia di essere
diversa, destinata a calpestare il sottobosco fresco di muschi invece
che zampettare per un'accogliente casa, trovarsi ad essere il Cattivo
in presenza di troppi falsi Buoni.
-...Chi
è lei?-
Ludwig
deglutì, le sopracciglia inarcate in un moto incrinato-
quasi da un momento all'altro si sarebbe trovato spezzato in due; come
se finalmente si fosse accorto di esser fatto di cristallo, che il suo
annullarsi in certi casi non serviva a farlo forte. Ma quelle parole?
-Scherzi.-
Feliciano,
incredulo, vide le pupille dell'ufficiale dilatarsi, come a voler
risucchiare ogni più piccola ombra ed il più
flebile filtro di luce, per poi restringersi precipitosamente fino a
diventare un minuscolo puntino tinto di catrame, lucido e scattante ma
ancora pauroso e diffidente- eppure non vedeva quegli occhi
come dei piccoli cristalli alpini, ma braci celesti
ch'ardevano di una vita ancora mai sfiorata e conosciuta nella sua
persona; non si trattava di un piccolo bocciolo verde, ma piuttosto
dell'entrata in scena di un grande campo nuovo ed arato. I semi erano
volati placidi ad impastarsi con la terra, ed ancora non si poteva
sapere cosa ne sarebbe cresciuto: se il bramato manto arcobaleno dei
petali dei fiori, o le spine velenose dei malati rovi. Lo stava
prendendo in giro?
Guardandolo
con quella una sensibilità sicuramente repressa
dall'esercito e dalle divise rigide e scure, Ludwig riuscì
però a trasmettergli un'emozione.
Una sola.
Uno
zampillo di fuoco scappato dal proprio padrone, di quelli che
volteggiano in aria credendosi un poco immortali- le solite fiammelle
che si tuffano felici nel fuoco prima di levarsi a far da corona con
piccoli puntini incandescenti e vibranti, capaci di portare una
fiammata ed una scintilla che avevano rubato prima dalla loro casa
fiammante- bastava loro trovare uno spago secco e provato, per
scatenare una gloria ardente d'incendio.
Infine,
lo Spaesamento.
Ne
constatò tanto, ne vide un intero orizzonte pieno-
là dove avrebbe voluto scorgere delle aspettative un poco
rosee sul delicato salutar del sole, invece che nuvoloni
zeppi di satire maleodoranti, una condensa di cirri
violentemente fatti del grigio scuro della fuliggine, di nubi
danzanti solo per miracolo.
Quasi, si
ritrovò a reprimere le parole di conforto che spuntavano
amare sulle labbra. A quel dannato tremava la voce, di un sibilio
tipico di chi non aveva preso prima il coraggio necessario per parlare-
che il soldato d'acciaio doveva poter sentir sibilare solo dai
condannati a morte.
-
I...Medici mi hanno detto che h-ho.. perso la memoria.-
Parve
pensare poi al seguito, mettendo in fila ogni singola nuova
informazione che gli era stata data, magari sforzandosi un poco per
ricordarla- volendola faticosamente mettere in pratica.
- Ho
battuto la testa. Mi...dispiace, non ricordo di lei.-
Il tatto
primordiale dell'artista, porta ad una visuale completamente differente
di quello che è il mondo percepito dagli altri.
La vista
di Ludwig, per Feliciano, equivalse quindi ad una totale immersione
nell'ispirazione- uno strano incontro con una musa nemmeno mai
lontanamente sospettata. Come non poteva non soffermarsi su
quella nuova scoperta, da bravo esploratore qual'era. I nuovi dettagli
che riusciva a cogliere si tramutavano in mille e mille nuovi dipinti,
toccati dalla chioma scura del dispiacere.
Ecco i
tratti marcati del volto, da uomo forte -uomo d'armi- che scivolavano
inadatti sull'impressione che dava di sè; quella voce di una
profondità avvolgente fattasi sfusa ed incerta- e Cielo! la
sua espressione coronata dal grano biondo, un paio d'occhi lasciati
aperti, bellissimi ed espressivi.
Anche se
il cuore accennava un poco a scottarsi con delle nuove emozioni, la sua
personale visione gli piacque tremendamente.
Abbassò
le braccia, lasciando che la cintura si sfilasse sinuosa a lato del
letto (infine, non avrebbe potuto certo spiegargli cosa aveva
intenzione di fare; era oramai una stoccata persa - e forse,
ciò che lo infastidì di più, fu
l'indecisione di esserne felice o meno.), provando forse lo stesso
sentimento che si accenna ad una perdita. Si avvicinò piano,
mordendosi un labbro, e fissando così intensamente quelle
bende aspre e giallastre che teneva si sarebbero disintegrate da un
momento all'altro; erano così legate al suo capo,
così macabre.
- Mi
dispiace. -
Il
muoversi era diventato uno strano impiccio. Perchè la bestia
selvaggia che aveva di fronte, a differenza di ciò che era
prima, non sapeva dove e come fermarsi- e poteva benissimo rimanere
intontita e frustrata, ma una fiera rimaneva: possedeva
ancora i suoi artigli e le zanne d'avorio, il ringhio potente e la
tenacia di ferro.
Forse,
anche per quell'immagine piantata in mente, Feliciano si
avvicinò con la discrezione di chi si appresta a rapportarsi
con un qualcuno ancora da addomesticare sotto ogni punto di vista,
esente da ogni contatto umano e fisico.
Tese poi
sicuro la mano destra, ostentando un sorriso falsamente
allegro, una di quelle maschere che lì dentro
però portava spesso e volentieri.
- Sono
Feliciano Vargas. -
Tutto da
capo. Poteva rifarsi la sua immagine, aveva l'obbligo di far rivivere
ogni gesto dal primo e più insignificante stringersi una
mano, non necessariamente sfociando nell'intimo. Si trovava fra le mani
un libro prima scritto malamente, pieno di cancellature e segnacci
rossi, ed ora completamente bianco ed immaccolato.
Pochi,
pochissimi appunti lo scrivevano di un'ordinata ed ordinaria
calligrafia. Quello che quindi v'era scribacchiato frettolosamente
all'inizio, per quanto molto o meno importante e confusionario, era
andato perso.
Avvertì
poi la sua stretta non più forte come un tempo incatenarsi
alla sua presa, uno sguardo azzurro che per lui era l'invito
più blando a non lasciarlo solo.
- Lei mi
conosce già, credo.-
"Non
importa, non è vero."
Un
pensiero a dirsi abbastanza stupido, tristemente comparso dopo aver
assorbito l'impatto di un semplice pensiero: lui Ludwig non lo
conosceva. Poteva insinuare di saper quel'era il suo modo di fare,
poteva affibiargli diverse figure ed impressioni scaturite solamente
dal caso, ma non avrebbe saputo dirgli dove abitava, se aveva famiglia,
quel'era il suo colore preferito e se aveva una qualche passione-
poteva ragguardarlo sul suo ordine, sul fatto che gli piacesse la birra
ma che non cedeva troppo passo all'alcool, eppure non avrebbe saputo
snocciolare informazioni sul suo privato anche quando di faccende
private fra loro c'erano state.
Era
partito dall'ultima pagina di uno scritto per arrivare alla prima. Da
ciò che di solito si scopriva in ultimo -o mai- in una
persona, senza tentare di conoscere le basilari informazioni di un
individuo. Ora non poteva negare, che il loro precedente approcciarsi
fosse decisamente inconsueto.
Trovò
però interessante la preoccupazione che covava nei suoi
confronti. Forse era quello strano modo di presentarsi a lui, magari
era rimasto affascinato dal pelo nero tirato a lucido del Lupo, e che
prima non aveva mai avuto modo di vedere a quel modo.
Sentì
il forte bisogno di occupare quel libro vuoto- magari lasciarci una
piccola dedica con apposta la sua firma, un pensiero che l'avrebbe
tranquillizzato dandogli un fascio di origini anche quando non le
rammentava affatto. Sentì quindi, il bisogno di mentire.
- Sono un
suo commilitone, ero preoccupato. Sono venuto a cercarla.-
Si
sedette cauto sul bordo del letto, afferrando poi con la code
dell'occhio il movimento repentino quanto impercettibile di Ludwig
nell'allontanarsi. C'era da aspettarselo.
Sperò
quasi che si aggrappasse a quella sua uscita, che magari si sentisse
pronto ad appigliarsi ad un qualcosa che tenesse la sua mente sveglia e
laboriosa- che in qualche strano modo, pensasse a lui non vedendolo
più come uno sfogo.
Avrebbe
voluto voltarsi e rivedere quel viso e la sua nuova espressione, tutti
quei dettagli sconosciuti e sentirli vivi sotto le sue dita, vibrare
sotto i polpastrelli e farsi caldi al contatto con la sua pelle chiara.
Lo sguardo si puntò invece sulle sue mani, tenute dapprima a
torturare la coperta, poi lasciandole cadere sonnolente in grembo.
Osservò il dito steccato alla mano sinistra, si trattenne
dal sfiorarlo con la sua.
- Ero un
militare?-
Aveva
sussurrato quella domanda con una strana fatica, un tono non
propriamente da Ludwig, con una nota di disperata curiosità
ancora da identificare ed il dubbio, alla fine, di non potergli dire
nulla. Chi perdeva la memoria non poteva riassumere tutti i propri
ricordi chiedendo in giro, sicuramente- questo, lo sapeva anche lui.
Ma
stupidamente e senza pensarci, l'aveva avvisato di essere un suo
commilitone (oppure, l'avrebbe intuito dalla divisa borchiata appesa
all'attaccapanni o dall'epiteto di "Ufficiale" che nolente usciva
timoroso dalla bocca di tutti).
Sarebbe
stato inutile nasconderglielo.
-Si. Un
bravo militare.-
Lo
guardò negli occhi, avvicinandosi inconsapevolmente a quella
strana scultura- anche perchè, in fin dei conti, non poteva
definirlo diversamente: ogni suo lineamento portava alle mente il marmo
levigato delle antiche ed oramai famose figure dei monumenti sparsi per
il vecchio continente. Gli piaceva vederlo così.
Sorridendo,
si allungò nel mentre a raccogliere la cartella clinica
lasciata sul comò al fianco di Ludwig - e lui lo
guardò confuso, come avrebbe fatto un cucciolo inesperto
spinto per la prima volta ad esplorare il mondo in tutta la sua
crudezza- e fece attenzione a non poggiarsi su di lui prima di tornare
seduto al suo fianco. Gli lanciò un'occhiata amaramente
rassicurante, prima di sfogliare la carta sottile, un poco stropicciata
e stampata di scuri caratteri neri.
"Il
servizio apportato al III Reich come Ufficiale del secondo reggimento
del fronte Est è stato sospeso [...] in quanto il soggetto
risulta neurologicamente scosso, dopo la diagnosi qualificata come la
pedita di capacità di codifica di memoria, data dalla- [...]"
Feliciano
arricciò il naso sentendosi a disagio, mascherandosi alla
meglio per non mutare espressione, trovandosi schiacciato da quei
termini tanto autoritari- che stampati lì parevano l'unica
condizione accettabile per il personaggio in questione, come fosse il
parlato di chi possedeva una conoscienza senza pari. Tante scabrose
parole, solo per spiegare il fatto della sospensione
d'attività.
Si
ritrovò per un secondo ad essere fissato da Ludwig, e
sentendosi uno strano imbarazzo addosso, si scusò voltando
frettolosamente pagina, ed accomodandosi meglio; non stava male seduto
lì vicino a lui. Era silenzioso, indiscreto, si era sporto
appena per conoscere la sua condizione magari leggendo e senza proferir
parola; un suo presenziare silenzioso, che per nulla poteva recargli
fastidio.
"Herr
Ludwig Beilschmidt verrà trasferito nella sua tenuta di
proprietà a Blankenfelde nella periferia della
Capitale. I nomi di parenti eo inviati a prendere visione del soggetto
saranno citati con la sottostante firma di approvazione.
Note:
Non è permesso rintracciare alcun prossimo parente in
condizione adeguatamente consona e attiva da poter prendere atto dello
stato del paziente."
Quindi
era solo.
Nessuno
avrebbe potuto accompagnarlo, nè prendersi cura se avesse
avuto bisogno, dargli una botta di conforto quando il malditesta
sarebbe giunto feroce a chissà quale ora della notte,
svegliandolo con forti scossoni- e solo il manto notturno gli avrebbe
fatto compagnia in quei terribili momenti, anche quando sarebbe venuto
il terribile dubbio di non riuscire più a ricordarsi dove
aveva lasciato le chiavi della tenuta, per quale motivo si ritrovava in
cucina e cosa avesse deciso di fare appena prima di uscire di casa; non
avrebbe potuto che stringersi al nulla, magari accovacciarcisi
aspettando di dimenticarsi anche quel dolore. Da solo.
Guardò
gli spazi vuoti che avrebbero dovuto riempirsi dello
scribacchìo incomprensibile della sua famiglia, ma che
sostavano incomprensibilmente lì in attesa, forse nemmeno
speranzosi di vedersi tinti del nero d'inchiostro.
Chi
avrebbero inviato da Ludwig? Sarebbe stata una persona presente ed
umana -oppure, oppure gli sarebbe stata simile per freddezza e
serietà-, sarebbe riuscita a carpire qualcosa della sua
persona ancora prima di lui?
Incomprensibilmente,
e senza che effettivamente avesse deciso di farlo, arraffò
goffo la penna a lato della plastica dura della cartella, apponendo
veloce un indeciso "Feliciano Vargas"- così facendo,
riuscì forse ad intuire la maggiorparte dei pensieri che lo
affollavano riguardo a Ludwig e che se ne erano stato nascosti in
strane pieghe della sua mente- rifugiandosi infantili dietro ad altre
preoccupazioni giocando a nascondino.
-Cosa
avete scritto?-
Feliciano
deglutì, inspirò l'aria avvertendo nolente il
profumo semplice del verde muschio così fresco e
particolare, vide quegli occhi che rivolgevano a lui un semplice
pensiero- e quella menta quasi totalmente resettata, non poteva che
immaginarlo come un buon conoscente, magari un affezionato conosciuto
sul campo di battaglia. Non era comunque ancora sicuro di voler sapere
cosa girasse nella mente di Ludwig al suo riguardo: la differenza dal
prima al dopo avrebbe potuto schiarire fin troppo quel tramonto formato
da cirri grigi e di rara condensa.
-Hai una
tenuta, sai? Ti ci trasferiranno. Verrò io con lei, la
aiuterò se ho bisogno. Una pausa non mi farà
male, e credo che Blankfelde sia un bel posto. Secondo me-...-
Parlava,
perchè aveva paura di quello che sarebbe uscito dalla sua
bocca, se avesse tentato di starsene zitto. Temeva che altri pensieri
lo punzecchiassero, continuassero a limarlo lasciando piccoli tagli
ovunque, che passassero su ferite ancora aperte, e che lo colpissero
dove non dovevano- che fosse la mente a uscirne sofferente, che il
cuore non ci provasse nemmeno.
Si
fermò appunto- inceppando la lingua in quell'infinito
mangianastri, soffermandosi a cogliere l'insolita uscita del tedesco
senza memoria, che ora lo osservava leggermente curioso, cercando di
trattenere la sua proverbiale curiosità dietro alla naturale
maschera di logica serietà stampata sul volto.
- Hai uno
strano accento.-
Fece, con
un'espressione così indecifrabile e completamente scoperta
da ogni falsità, che avrebbe potuto leggerci addosso
qualunque cosa volesse- un intero poema, di un confuso comportarsi
ancora arrugginito dalla sorpresa e dallo spavento, il tutto sviolinava
verso una sinfonia deltutto diversa dal solito- un timbro veloce
dell'archetto legnoso capace di svegliare il piacere dell'aspettativa.
- Italiano, Herr
Beilschmidt.-
E per
qualche strana ragione dettata dalle confuse spire mentali- capaci di
ritrarre fino ad un certo punto quello che si prova sostando in uno
stadio umano, se non aiutare da altri fattori: quali un organo pompante
e lo specchio indissolubile dato dalle pupille nere- non appena
Feliciano uscì, si sentì addosso un peso non suo,
il pestare cocciuto di idee lasciate impietose a campare per aria; ed
uno strano sussulto che si rilasciava in un sospiro, il groppo in gola
tanto ardente dall'invogliarlo a
piangere.
Blacket's Time:
Dal titolo: Anche tu sei un uomo.
Non so più quante persone devo ringraziare.
Tralasciando
la storia in sé- in questo periodo un po' svogliato, ho
chiesto disperati consigli a chiunque riguardo a trame, il mio metodo
di scrittura, i dettagli che non tornano, e altro-fin troppo.
Nonostante le risposte mi siano arrivate chiare e rassicuranti, sono
state diverse sorprese e chiacchiere a farmi scoprire quanto io abbia
voglia in realtà di dire un qualcosa. Non per l'importanza
in sè, ma per la voglia di far apparire nella mente di
un'altra persona la stessa immagine che voglio dare- aiutandomi questa
volta, con le parole.
Ringrazio
quindi qualsiasi persona mi abbia appoggiato o incoraggiato, in
particolare la mia Capra, la mia Carota, e la mia Zuccherofila. Sono
conscia della mia pesantezza, quindi Grazie.
Comunque-
non mi riferisco a questo testo in particolare, se ciò che
ho scritto fa schifo, è un'altra storia.
Questa
Fic la finisco.
Si,
perchè me lo sono prefissata, e sono solo trequattro
capitoli che ne verranno fuori. Ce la farò, lo prometto
giuro solennemnete sopra alla guida dei babbuini volanti, eccetera
eccetera.
Ditemi
però, se pubblicarli pure, questi capitoli. Esprimetemi un
pensiero, un pollice rivolto verso l'altro o il basso.
Grazie
a chi ha detto fino a qui, spero nessuno abbia minacciato di tagliarsi
le vene per la noia.
E
ci ficco Der Buschtabe |Sbavature
perchè inconsciamente, me l'ha ispirata. Non so come abbia
fatto, ma me l'ha ispirata. Lo so, c'è il link e sono una
persona ORRIBBILE.
Baci Bavosi, Blacket.
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