Anche quella vita che non era la mia, non l'avevo mai vissuta.
Aveva gli occhi spenti.
Erano lucidi, pallidi, rossi.
Aveva il viso delicato, con qualche piccola ruga invisibile. Macchie rosse, qua e là.
Lei sapeva di speranza perduta, come chi ha voglia di cedere.
Sapeva di mare in tempesta, come quella maledetta malattia che si ficcava dentro quel corpo fragile, insicuro, debole.
Aveva gli occhi spenti.
Io stavo lì, indifferente, proprio di fronte a quello stesso viso pallido.
Stavo a guardarla.
A vederle morire l'anima.
Ero indifferente.
Era infelice, ma... io ero indifferente.
Come se non fossi io, in prima persona, lì a guardarle morire l'anima.
Come se non avessi niente da perdere e da trovare.
Come se questa vita, non fosse la mia.
Come se avessi sempre un pretesto, sempre una giustificazione per incazzarmi a morte con il mondo intero.
Anche quella vita che non era la mia, non l'avevo mai vissuta.
La spiavo guardarsi allo specchio e con quelle sue mani così delicate da cui si intravedevano quelle sue vene piccole e violastre, si toccava i capelli.
Vedevo le sue lacrime scendere pian piano.
Ero indifferente e stranamente, provavo dolore, ma le mie pupille fingevano.
Non avevo niente da perdere e da trovare.
Quella vita che non era la mia, non aveva nemmeno sfiorato la felicità, neanche per un microsecondo.
Non avevo nulla da dare e da ricevere.
Ma nel frattempo, stavo immobile a guardarle morire l'anima ed ero indifferente.
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