Holding Hands
La prima volta che lo vede, Ippolite ha nove anni.
L’altro
bambino è più piccolo di lui, più
piccolo persino di Yelena. Se ne sta in silenzio davanti alla forma
alta e massiccia del padre di Ippolite, l’espressione
smarrita, diffidente. A sua sorella non piace, lo legge chiaramente nel
mondo in cui la sua mano tozza e paffuta stringe la sua, quasi fino a
fargli male.
Ma Lena
è ancora piccola, e non capisce perché un
estraneo all’improvviso debba venire a vivere con loro. Lo sa
da mesi, ma sapere non significa
comprendere, né abituarsi ad un'idea.
Anche Ippolite
vorrebbe ancora che i suoi genitori ci ripensassero, che si potesse
trovare un’altra soluzione. La sua famiglia è
perfetta così com’è, e adesso niente
sarà più come prima. Ma lo sguardo incerto e
speranzoso degli occhi chiari e tristi di sua madre, ancora sulla
soglia della porta, gli fa capire che la situazione non
cambierà.
Per un attimo,
la voce profonda e calma di suo padre gli riecheggia nella mente, e per
la prima volta le sue parole suonano dolorose, terrificanti.
Cercate di diventare suoi amici.
Per vostra madre è molto
importante: la mamma di
Anatol era una
delle sue migliori amiche,
anche se
vivendo lontane non potevano più stare insieme come un tempo. E poi, non sarebbe bello, avere un nuovo
fratellino?
Ippolite non
vuole deludere la mamma, e gli dispiace per ciò che
è accaduto all’altro bambino. Ma il ricordo di
quanto era geloso di Lena una volta, per quanto vago e riportato alla
sua mente solo dalle occasionali battute e storie di suo padre,
è ancora dentro di lui, nascosto in qualche ricordo nebuloso
e immagine sfocata. Non vuole che anche sua sorella si senta
così, pensa lanciando un rapido sguardo alla bambina bassa e
rotondetta al suo fianco.
Non vuole
essere geloso di nuovo. Non vuole che tutto sia rovinato da qualcuno
che non è nemmeno veramente un suo parente.
Ma poi guarda
di nuovo l’altro bambino, lo straniero dalla vecchia terra di
sua madre. Anatol
Arlovsky, che ha perso i suoi genitori e non ha una
sorellina da proteggere né un fratellone che lo protegga da
tutto ciò che il mondo gli ha riversato addosso.
Anatol,
piccolo ed esile, che non osa avvicinarsi troppo né a loro
né al suo nuovo padre, con un aria perfino più
spaventata di Yelena e gli occhi chiari che fissano insistentemente il
pavimento di legno chiaro.
La mano destra
di Ippolite è ancora stretta in quella di sua sorella, ma la
sinistra adesso è tesa verso suo fratello.
Anni dopo,
quando Ippolite li guarda entrambi, quasi non li riconosce.
Yelena
– perché adesso
Lena è solo un vecchio soprannome da bambina,
una delle tante cose che hanno riposto nelle scatole dei vecchi
giocattoli in soffitta, tra una trottola dai colori vivaci e una
bambola di pezza – è una ragazza splendida: alta,
pallida, con lunghi capelli chiari e occhi da cerbiatta così
blu da tendere al viola. Ama sempre troppo i dolci per essere magra, ma
le sue forme sono morbide e prosperose, più quelle di una
bellezza mediterranea che di una ragazza dell’Est. Eppure,
tutti si limitano ad ammirarla da lontano, e nessuno osa avvicinarla.
C’è
qualcosa di troppo zuccheroso nel suo sorriso, di troppo autoritario
nella sua voce dolce, di troppo malinconico nei suoi occhi. Qualcosa
che Ippolite non sa, che intuisce soltanto – qualcosa che
riguarda la vecchia signora dai lunghi capelli bianchi che una volta
era la loro vicina di casa, ma che lui non riesce a riconoscere.
Ippolite non
chiede, e quando trova abbastanza coraggio per farlo sua sorella
sorride e non risponde.
Forse Anatol
capisce – questo spiegherebbe il suo ossessivo desiderio di
proteggere Yelena e starle sempre accanto, almeno – ma
nemmeno lui ne parla.
Lui non
sorride, e a volte Ippolite si domanda se lo abbia mai fatto. Lo ricorda, certo, ma
quelle memorie sono sbiadite, nebulose, come fotografie ingiallite in
un vecchio album di famiglia che si ripromette sempre di cercare ma che
forse, in realtà, è perso per sempre –
e ora l’espressione più frequente sul volto di
Anatol è quasi quella del suo primo giorno a casa Braginsky.
Quasi,
perché se la diffidenza è rimasta, lo smarrimento
e la paura sono stati sostituiti da una nuova, severa durezza,
più adulta della sua età. È cambiato
così tanto, è così lontano dal bambino
impaurito che Ippolite una volta aveva voluto proteggere ...
Adesso Anatol
si protegge da solo, con quella violenta freddezza che è
così tipica del suo carattere, a costo di allontanarsi
sempre di più da chi gli sta intorno. Compensa i buoni voti
con le risse con gli altri ragazzi, suo fratello, e non lascia che
nessuno gli si avvicini.
Nessuno,
nemmeno suo fratello. Nessuno, tranne Yelena, che rifugge il suo
contatto come chiunque altro.
A volte,
quando Yelena lo abbandona con una delle sue scuse inverosimili,
Ippolite lo guarda fissare il vuoto, perso nei propri pensieri. In quei
momenti, gli sembra che ad Anatol non importi tanto di loro sorella,
quanto di avere qualcuno accanto.
I loro
genitori si chiedono cosa abbiano sbagliato, Ippolite lo sa.
Ma sa anche
che in realtà è tutta colpa sua.
Perché non sa come proteggere i suoi fratelli,
perché non sa come capirli, perché non
è il buon fratello maggiore che ha sempre voluto essere.
Eppure, pensa
Ippolite a volte, sarebbe così semplice prendere di nuovo
per mano i suoi fratelli, esattamente come quella volta.
Note finali:
Riguardo ai
nomi, che a prima vista possono sembrare strani e inusuali rispetto a
quelli Canon e a quelli usati generalmente nel Fandom, me la cavo con
una citazione dalla mia AU Male!Ungheria/Male!Bielorussia, How I Met My Boyfriend:
“Per
Anatol, invece, entra in gioco il mio senso dell’umorismo
contorto e nerd. In
Guerra e Pace
di Tolstoj, i due figli del principe Vasilij sono Ippolite
e Anatol’: “un imbecille tranquillo” e
“un imbecille irrequieto”. A parte le mie immagini
mentali di Fem!Russia che descrive i suoi fratelli in questo modo,
Anatol’ è il minore e (come viene detto fin dal
prologo) il meno raccomandabile dei due. Loro sorella è la
bellissima quanto immorale Hélène, che secondo
certi pettegolezzi avrebbe una relazione con Anatol’:
l’autore non smentisce né conferma mai apertamente
queste dicerie ma l’incesto è, piuttosto,
intuibile da alcuni particolari”.
Per
Fem!Russia, ho scelto il nome Yelena perché
Hélène alle mie orecchie suonava fin troppo
francese, mentre Elena mi sembrava troppo italiano, o comunque
mediterraneo, e ... beh, diciamo solo che creerebbe un bizzarro caso di
omonimia, per me.
Questa
versione russa, invece, non solo mi dà
l’impressione di essere più elegante, ma ha anche
una bella assonanza con Yekaterina, nome abbastanza popolare per
Ucraina.
Ecco, ora lo
sapete. Adesso,
potete trovare le mie scelte strane e inusuali.
Infine, una
piccola dedica a yanyan: perché la conosco (virtualmente
parlando) da pochissimo tempo e già condivide tutti i miei
scleri e la mia insensatezza generale, e perché la
Rodelind-centric prima o poi arriverà – devo solo
convincere Gilda a non ostacolarmi troppo con le sue arie da
primadonna.
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