In
quei tre anni, Karen non ricordava di averlo mai visto piangere,
né tantomeno si aspettava che l’avrebbe fatto per
qualcosa di insignificante come un voto mediocre su un tema di italiano.
Guardando gli occhi lucidi di Liam, tutta la classe era restata
ammutolita. Lei stessa aveva trattenuto il fiato per un po’,
almeno fino a quando la professoressa non aveva freddamente invitato il
ragazzo ad andare a lavarsi la faccia. Al delicato suono della porta
che si chiudeva era stato come se l’intera classe, compresa
la professoressa, avesse tirato un respiro di sollievo. Karen si
vergognava intimamente della figura patetica che il suo migliore amico
aveva fatto davanti a tutti, ma si era sentita pervadere lo stesso da
un’ondata di disprezzo quando aveva sentito due ragazze
dietro al suo banco parlottare tra loro e ridacchiare sommessamente di
qualcosa che lei non era riuscita a comprendere, ma che certamente
riguardava lui.
La professoressa aveva fatto finta di niente e aveva continuato a
chiamare alla cattedra un ragazzo alla volta per dare spiegazioni sul
voto assegnato, ora con una nota di dispiacere nella voce che Karen
aveva pensato di essere stata l’unica a cogliere.
Aveva aspettato con il cuore in gola che il ragazzo tornasse in classe,
tentando con tutte le sue forze di resistere alla tentazione di
chiedere alla professoressa se poteva andarlo a cercare, convinta che
questa richiesta sarebbe stata presa come una scusa per perdere tempo.
Aveva guardato il voto sul suo tema - un otto e mezzo scritto con una
matita blu - e se n’era vergognata tantissimo, sapendo che
Liam avrebbe pensato che lei non potesse capire.
"Christian, vai a vedere perché Liam ci mette
tanto.”
Aveva chiesto la professoressa a un ragazzo del primo banco, rimettendo
distrattamente i temi a posto.
Christian si era alzato lentamente, con un sorrisetto beffardo stampato
sulla faccia, e si era avviato verso la porta.
Karen non aveva avuto il coraggio di proporre di andare lei e adesso
sapeva che Liam non gliel’avrebbe mai perdonato.
Non sapeva esattamente cosa fosse successo, cosa Christian avesse detto
a Liam in quei pochi minuti, fatto stava che la bidella li
aveva riportati in classe dopo averli visti mentre si azzuffavano nel
corridoio.
Guardava esterrefatta Liam tamponarsi il labbro spaccato con aria
colpevole, mentre Christian affermava che era stato lui il primo ad
alzare le mani. Liam non aveva replicato.
Alla fine della giornata era tornato a casa senza dirle niente,
rivolgendole un unico sguardo carico di disapprovazione, di tristezza,
di lacrime che minacciavano di cadere di nuovo.
Seduta sulle scalette polverose del suo giardino, con lo sguardo perso
tra i rami spogli che si tendevano verso la pallida luce del sole di
novembre, Karen tentava ancora di trovare una spiegazione a quel
comportamento assurdo, senza riuscirci.
Decise di cercarlo a casa. Forse stava ancora studiando - Karen
sperò che fosse così - o forse sua madre aveva
deciso di metterlo in punizione perché aveva saputo
cos’era successo.
Suonò il campanello con il cuore che le martellava nel petto
e pochi secondi dopo le aprì la madre di Liam. Aveva
un’espressione che lei non le aveva mai visto in viso - Mary
era una donna allegra, piacevole, Karen non si aspettava che la
guardasse in modo così freddo.
“Mi dispiace, ma Liam oggi non può uscire a
giocare. È in punizione.”
Le disse la donna, cercando di mantenere un tono gentile, ma Karen
capì che quel tremolio nella sua voce non era altro che la
voglia di urlare, di sbatterle la porta in faccia, di dirle che Liam
l’aveva delusa sotto tutti i fronti e che anche lei, per
qualche motivo che nessuna delle due riusciva a spiegarsi, aveva colpa
di questo. Karen, con uno sforzo immane, riuscì a mantenersi
calma. Rispose semplicemente che non faceva nulla, che magari
più tardi gli avrebbe mandato un messaggio e fece per
andarsene, non prima di aver rivolto una fugace occhiata alla pianta
che si arrampicava su un lato dell’edificio che si trovava
accanto alla casa di Liam.
Da piccola vedeva quei grandi fiori arancioni e ne restava estasiata,
chiedendosi come facessero le persone a vivere con quelle piante enormi
che riempivano loro la casa tanto da essere costrette a cercarsi dello
spazio anche fuori. Soltanto adesso capiva, anche se una parte di lei
l’aveva sempre saputo, che quei fiori arancioni non
spuntavano dalle finestre e che non erano affatto di intralcio per gli
abitanti dell’edificio, dal momento che si aggrappavano
semplicemente alla facciata esterna, permettendo alle mura nascoste di
sgretolarsi e marcire in pace.
La sua mente tornò a tre anni prima, quando si era appena
trasferita nella casa in cui viveva adesso. Era un tiepido pomeriggio
di fine maggio e lei non aveva ancora compiuto nove anni.
Mary aveva visto sua madre che ritirava le lenzuola pulite dal giardino
e, senza neanche pensarci - o almeno così era sembrato a
Karen in quel momento - si era offerta di aiutarla. Che cosa ci fosse
stato di davvero diverso quel giorno, nell’aria, Karen non
avrebbe saputo dirlo. Probabilmente si trattava della brezza che
profumava di limone sollevata dalle lenzuola immacolate, della luce del
sole di maggio che illuminava il viso delle due donne e il prato appena
tagliato.
Poi era arrivato Liam. Aveva la sua stessa età, la stessa
magrezza impressionante propria solo dei bambini, due occhi nerissimi.
La sua pelle era di un colore che ricordava a Karen i bastoncini di
cannella che sua madre usava per decorare la tavola il giorno di
Natale, o che lei stessa, ridotti in polvere, lasciava sciogliere nel
tè. Le era quasi sembrato di sentirlo anche in quel momento,
un leggero odore di cannella. Poi era svanito, come sono destinate a
svanire tutte le illusioni.
***
Era
passato più di un mese da quella tiepida giornata di
novembre e nessuno parlava più della scenata che Liam aveva
fatto per quel quattro e mezzo sul tema di italiano. A nessuno
interessava più, nessuno sembrava notare come
quell’esperienza l’avesse segnato, distruggendo
dalle fondamenta ogni sua convinzione.
Non sapeva nemmeno lui, esattamente, che cosa fosse riuscito a ferirlo
così tanto. Si vergognava, si vergognava come non gli era
mai capitato in vita sua, e non gli importava quale fosse
l’opinione che avevano gli altri di lui, né del
fatto che nessuno lo considerasse colpevole di quella scazzottata nel
corridoio, dal momento che erano state le parole di Christian a
provocargli una reazione così violenta. Era un po’
di tempo che provava a riappacificarsi con Karen, ma non era mai
riuscito a parlarle davvero. Sembrava che nemmeno lei si interessasse
dell’accaduto, che avesse persino dimenticato il giorno in
cui Mary le aveva praticamente sbattuto la porta in faccia. Sembrava
che si fosse fatta una ragione dei giorni in cui Liam -anche non
essendo più in punizione - l’aveva evitata, che ci
avesse messo una pietra sopra, che l’avesse considerati un
invito a capire che quell’amicizia non era stata che
un’illusione, un effimero, qualcosa che sarebbe svanito senza
lasciare traccia.
Liam non aveva il coraggio di esporsi e chiederle esplicitamente scusa,
di farle capire che si trattava soltanto di un momento che sarebbe
passato e a Karen la situazione sembrava già definita,
quando in realtà di definito non c’era
praticamente nulla, così quella decisione sarebbe passata al
tempo, al silenzio, alle loro vite che sarebbero cambiate completamente
senza il loro consenso né la loro piena consapevolezza.
Soltanto successivamente Liam avrebbe capito che sarebbe bastato un
po’ di coraggio a salvare entrambi e che, nonostante tutto,
nonostante la vigliaccheria da cui si era lasciato sopraffare, niente
avrebbe potuto spezzare un legame così forte, nemmeno la
freddezza che ostentavano entrambi.
Arrivarono le vacanze di Natale, poi la neve che entrambi avevano
guardato scendere silenziosa nei propri giardini.
Il 28 dicembre, Liam decise finalmente di andare a suonare alla porta
di Karen. Ascoltando i consigli di sua madre, indossò un
cappellino e una sciarpa di lana e si fece prestare da suo fratello
Alex dei guanti impermeabili, nel caso Karen avesse accettato di
scendere per una battaglia a palle di neve.
Guardò i suoi scarponcini affondare nella spessa coltre di
neve fino ad arrivare davanti alla casa di lei. Vedendo le tendine
chiuse, seppe prima ancora di suonare il campanello che non gli avrebbe
aperto nessuno. Aveva anche notato il fatto che mancava una delle
automobili, quindi dovevano essere usciti. Aspettò ancora
qualche istante, prima di voltarsi verso casa sua, sentendosi
più afflitto e pesante che mai. Salì
immediatamente in camera sua, dopo aver detto a Mary che Karen non era
in casa. La donna, intenta a preparare il dolce per una cena con alcuni
amici, non ebbe nemmeno occasione di vedere l’espressione
accigliata del ragazzino.
Liam salì in camera sua in calzini, ansioso di mettersi
addosso qualcosa di più comodo dei pantaloni della tuta da
sci. Si annoiava da morire e l’unica cosa che gli venne in
mente di fare fu iniziare i compiti delle vacanze. Scelse di partire
dagli esercizi di matematica, che risultandogli meno impegnativi
dell’analisi logica o dei brani di inglese da tradurre
permettevano alla sua mente di fantasticare su cosa avrebbe fatto se
Karen fosse stata in casa. Probabilmente non sarebbero stati ancora
stanchi di rincorrersi in mezzo alla neve e non sarebbe stato nemmeno
così freddo da spingere Christine, la madre di Karen, a
temere che si prendessero una bronchite che li avrebbe costretti a
letto per giorni. Così sarebbe passato ancora un
po’ di tempo prima che dovessero risalire a casa di Karen,
lasciare gli scarponcini bagnati in un angolo e sedersi davanti a una
tazza di tè fumante, alla quale sapeva che Karen avrebbe
aggiunto un po’ di cannella.
***
Karen
appoggiò stancamente la testa al finestrino, lasciando che
le immagini recenti le attraversassero la mente. I locali che
traboccavano di gente, l’esaltazione quasi palpabile che
tremolava su quei volti illuminati dalla luce giallastra delle lampade,
le voci che si fondevano una nell’altra fino a creare un
frastuono indefinibile, quasi inumano, dal quale ogni tanto emergeva
qualche frase apparentemente senza significato. L’aria era
gelida nella macchina con l’aria condizionata al minimo, ma
queste immagini riuscivano a scaldarle il sangue, a farla arrossire
senza ragione. Forse perché sapeva che si sarebbe ritrovata
esattamente come quegli sconosciuti, che avrebbe riso e gridato e
barcollato anche lei nella pallida luce della luna, con le gambe rese
insensibili dall’alcool, dalla stanchezza o da entrambi.
Karen si rese davvero conto soltanto in quel momento che non avrebbe
avuto per sempre dodici anni, che sarebbe cresciuta esattamente come
quella marea di ragazzi che aveva visto, che anche lei avrebbe cercato
delle braccia tra cui potersi gettare.
Al sollevarsi improvviso di una brezza che sapeva di aghi di pino
bagnati, Karen si era sentita come se il suo cuore pulsasse a vuoto.
Un’immagine risalente a circa un anno prima le era sfilata
davanti agli occhi increduli, incastrandosi da qualche parte dentro di
lei.
Lei e Liam seduti nel suo salotto, gli scarponcini abbandonati in un
angolo del corridoio in mezzo a una pozza di neve sciolta, il calore
rassicurante della coperta di lana sulle sue braccia, la profumata
tazza di tè che stringeva tra le dita. La luce di una
candela che sfavillava negli scurissimi occhi di Liam, ora
acquietandosi, ora riprendendo vigore con insistenza. Il sorriso
incerto del ragazzo, che si era accorto di come lo stesse guardando, la
sua espressione timida e stupita. Soltanto adesso quel particolare le
tornava in mente, dopo che per tutto quel tempo l’aveva
ignorato. Karen sentì qualcosa che si scindeva dalla sua
anima, si allontanava per non fare più ritorno, scivolando
via per sempre. E improvvisamente comprese.
Era sempre stata convinta che le cose finissero nel giro di un istante,
che i tagli fossero netti e che la fine di un’amicizia fosse
qualcosa di veloce e indolore e che dopo - se anche le fosse successa
una cosa del genere - si sarebbe ritrovata senza esitazione con lo
sguardo rivolto a un domani che si presentava come una magnifica
speranza. Per lei tutto compariva dal nulla e nel nulla sprofondava
alla fine; non contemplava ancora la possibilità di
cambiare, di sgretolarsi lentamente, magari dietro l’ombra di
un ricordo. Karen aveva visto per la prima volta il riflesso di questa
realtà nello sguardo confuso di Liam, in quegli stessi occhi
neri che aveva visto gonfiarsi di lacrime per una sciocchezza che aveva
segnato la fine della loro amicizia. Quel sentimento, per la prima
volta, le si era presentato in tutta la sua fragilità e si
era rivelato qualcosa di instabile, ingestibile… perfino
spaventoso. Liam si sentiva allo stesso modo, solo che ancora non era
arrivato a capirlo, e per nessuna ragione avrebbe voluto farglielo
capire lei. L’unico motivo per cui erano amici era il bisogno
spasmodico che avevano l’uno dell’altra, anche non
amandosi, anche non avendo la più pallida idea di cosa fosse
veramente l’amore. Era bastato così poco a
spezzare il loro legame, così poco!
E l’amore non era nulla di così fragile, giusto?
L’amore durava per sempre, sopravviveva a qualsiasi cosa, non
si lasciava certo intimidire dalle prime difficoltà, no?
I suoi occhi si riempirono di lacrime e la paura le
paralizzò le gambe. I suoi genitori, distratti dalla
locandina di uno spettacolo teatrale, se ne accorsero a stento. Ma
Karen non lo dimenticò più.
La prima volta che si era sentita vacillare, la prima volta che una
delle poche cose in cui ritenesse fosse giusto credere le si sgretolava
tra le dita. Così si decise a non credere più in
nulla, a non sforzarsi troppo per recuperare la sua amicizia con Liam,
dal momento che avrebbe significato sentirsi così di nuovo.
Non si accorse nemmeno di essersi addormentata, nella macchina che
scivolava silenziosamente nella notte. Probabilmente aveva soltanto
sognato di pensare queste cose, forse no, ma non aveva importanza.
Karen aveva già deciso.
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