Sola.
Immobile, sotto un cielo grigio, il vento faceva sollevare la gonna scura
della ragazza.
I capelli che le coprivano il volto, un cappotto nero, lo sguardo fisso
davanti a sé.
La prima volta che entrava in un cimitero.
Nessuna lacrima, solo il vuoto nel cuore.
Nulla l’aveva mai interessata eppure questo non la lasciava indifferente.
La morte.
Quante volte l’aveva desiderata per se stessa.
Quante volte l’aveva desiderata per sfuggire a quella vita che non desiderava
più.
Calore, tanto calore. Dolore. Sul volto sul braccio. La voce di lui: "Cerca
di imparare la lezione…"
Si portò improvvisamente una mano al volto, poi scosse la testa. Ricordi.
Da quanto non pensava al passato?
Continuò a fissare la tomba.
Semplice.
Lei non avrebbe voluto nient’altro.
Ma come era potuta morire?
La ragazza perfetta. Studentessa modello, intrepida combattente nella guerra
contro Voldemort, Hermione Granger.
Era stata lei con la sua squadra di Auror a uccidere l’essere che era stata
costretta a chiamare marito e poi… poi le aveva offerto una nuova vita, una
possibilità, protezione. Era riuscita a vedere oltre il suo cognome.
Parkinson.
L’aveva accolta a casa sua e l’aveva aiutata ad accettarsi di nuovo.
Non era stato facile convivere, i vecchi pregiudizi sono duri a morire, ma
Hermione era una Grifondoro e se c’era qualcuno in difficoltà non si tirava
certo indietro, Tassorosso, Corvonero, Grifondoro o Serpeverde che fosse.
L’aveva aiutata a curare le bruciature sul corpo e sul volto, le aveva
trovato un lavoro nella casa editrice della Lovegood. Pansy si era mostrata ad
Hermione in tutta la sua fragilità, senza la maschera di superiorità che aveva
sempre portato e la Grifondoro l’aveva aiutata a superare il momento più
difficile della sua vita.
Erano diventate amiche.
Quando erano insieme Pansy riusciva ad essere allegra, scherzava,
usciva, ma quando era sola la assaliva la paura. Sentiva caldo al viso, al
braccio, iniziava a sudare e si sentiva male. I medimaghi le avevano spiegato
che era normale in seguito al trauma avere delle sensazioni di quel tipo, che
avrebbe dovuto avvalersi di un sostegno psicologico. Lei non voleva, ma alla
fine Hermione l’aveva convinta: "Metti da parte l’orgoglio una buona volta e non
comportarti da Serpe! Accettali i consigli!"
La ragazza sorrise al ricordo.
Non comportarsi da Serpe, lei, una Purosangue i cui antenati erano tutti
stati smistati nella gloriosa casa di Salazar Serpeverde. Una Serpeverde in
tutto e per tutto.
Eppure per la prima volta nella sua vita aveva ascoltato il consiglio di
qualcuno e aveva messo del tutto da parte l’arroganza, l’orgoglio e la
testardaggine e si era affidata a Hermione iniziando con difficoltà il percorso
di guarigione interno.
Ricordava il giorno che la Grifondoro l’aveva trovata davanti allo specchio.
Si stava guardando il viso e odiava l’immagine che lo specchio le rifletteva.
La parte sinistra coperta di cicatrici.
Stava piangendo e non si era accorta dell’arrivo della ragazza finchè non si
era sentita abbracciare da dietro. Si era trovata a stringere spasmodicamente
Hermione mentre singhiozzava e sfogava le emozioni che non riusciva ad esprimere
a parole. Lei l’aveva allontanata piano e le aveva accarezzato il viso passando
dolcemente la mano sulle cicatrici. L’aveva fissata negli occhi e aveva
sussurrato: "Sei bellissima…" baciandole dolcemente il volto.
Quella era stata la vera svolta.
I suoi incubi avevano iniziato a sparire e lei si era sentita finalmente
felice.
Cosa avrei fatto se non ci fossi stata tu?
Due anni. Così pochi per godere di una persona.
Solo due anni.
Perché te ne sei andata?
Era successo tutto così improvvisamente.
Un semplice controllo su una segnalazione anonima. Erano andati lei e la sua
squadra, altri sarebbero arrivati poco dopo in caso fosse stata una trappola.
E lo era.
C’erano venti Mangiamorte ad aspettarli. Loro erano solo in sei.
Prima dell’arrivo dell’altra squadra erano tutti morti tranne lei. Aveva
combattuto come una leonessa, ma nonostante questo si era trovata infine ad
affrontarne cinque da sola. Neanche Hermione Granger poteva vincere contro i
numeri. Era morta nel momento in cui i primi Auror comparivano. I Mangiamorte si
erano dati alla fuga, ma un Auror era riuscito ad identificare Parkinson in uno
di loro.
Era stato Potter in persona a portarle la notizia.
Era appena arrivata a casa quando lui si era smaterializzato in salotto. Lo
sguardo stravolto, le lacrime che tentava di trattenere. Lei aveva capito e
aveva solo chiesto: "Chi?"
Harry si era passato una mano tra i capelli risponendo: "L’unico che abbiamo
riconosciuto è stato tuo padre".
Suo padre.
Un macigno le era caduto sul cuore.
Che stupida era stata. Aveva davvero pensato che l’avrebbero lasciata in
pace.
Come aveva potuto?
Conosceva la mentalità dei Purosangue. Il suo era un tradimento e come tale
andava punito.
"L’avete ucciso?" aveva chiesto con voce priva di emozioni. Harry aveva
scosso la testa e stava ancora dicendo: "Fuggito e non sappiamo dove possa
essersi rifugia…" quando Pansy se ne era andata smaterializzandosi davanti ai
suoi occhi.
Una sala da pranzo.
Pareti bianche, tendaggi pesanti di broccato verde alle finestre.
Un tavolo enorme e sedie eleganti.
Il rifugio dei suoi genitori.
Dei passi dietro di lei. Si era voltata quando li aveva sentiti fermarsi
appena all’interno della stanza. Suo padre e sua madre a braccetto.
Inespressivi.
Li aveva fissati. L’espressione arrogante del padre, lo sguardo freddo negli
occhi scuri della madre e poi quelle parole: "Il tuo tradimento andava punito,
lo sai".
Non aveva provato niente quando, sfoderando la bacchetta aveva avuto la sua
vendetta.
Li aveva uccisi entrambi, senza sensi di colpa.
Quando era tornata a casa, Potter era ancora lì. Le aveva rivolto uno sguardo
interrogativo e lei gli aveva risposto che non si sarebbero più dovuti
preoccupare della famiglia Parkinson.
Lui aveva annuito e guardandola negli occhi le aveva detto: "Non pensare di
essere sola, Pansy. Io e te non siamo mai stati amici lo so. Anche da quando tu
ed Hermione…" la voce gli si era spezzata dicendo il nome della Grifondoro, ma
dopo una pausa aveva ripreso: "se hai bisogno io ci sono, conta su di me e non
chiuderti in te stessa, è un consiglio" e si era smaterializzato.
Contare su di lui…
Come erano cambiate le cose.
Al funerale erano presenti tutti.
Tutti i compagni di Hogwarts e i vecchi professori erano venuti a dare
l’ultimo saluto ad Hermione.
Lei era rimasta sul fondo e se n’era andata prima che finisse. Non voleva
salutare nessuno, non voleva incontrare il loro sguardo.
Era colpa sua se lei era morta. Solo colpa sua.
Il funerale era finito da qualche ora e lei adesso era lì.
Sola.
Davanti alla tomba della ragazza che amava.
Erano state insieme così poco. Troppo poco.
I suoi occhi dorati, le sue mani dolci, la sua risata contagiosa, la fronte
corrugata e il broncio che faceva quando si arrabbiava, la labbra dolci da
baciare ogni momento.
Mi manchi già. Come posso stare senza di te? sono sola…
Ti amo Hermione. Ti amo.
Le lacrime iniziarono a scenderle su viso.
Il vuoto era stato riempito dal dolore. Un dolore straziante che non riusciva
a sopportare.
Si accasciò sulla tomba singhiozzando disperatamente pensando a tutto quello
che non avevano potuto fare insieme, a tutto quello che non aveva potuto dirle,
al suo amore.
Passò molto tempo prima che si rendesse conto che si era fatta notte.
Stancamente si alzò accarezzando con una mano il nome di Hermione inciso
sulla lapide. Dopo lo sfogo si sentiva un po’ meglio anche se era come se le
avessero spezzato il cuore in tante piccole parti.
Sono sola
Ferma davanti alla tomba le venne in mente Potter che le diceva di contare su
di lui, di non isolarsi, che non era sola e poi quelle parole:
"è un consiglio".
Le ricordava così tanto lei…
"…non comportarti da Serpe! Accettali i consigli!"
Un mezzo sorriso le affiorò sul volto.
Sì Hermione, accetto il consiglio.
E camminando nella notte si avvio a piedi verso la casa di Harry Potter.
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