Decisamente, altamente
sperimentale. Sperimento un nuovo tempo, un nuovo stile, un nuovo modo
di approcciarmi alla caratterizzazione dei personaggi, un nuovo modo di
interpretare la scrittura e il rapporto autore-lettore (un modo
piuttosto nonsense, devo ammetterlo). in quella che
diventerà una serie di one-shot legate tra loro. Ho preferito questo
sistema a quello della long-fiction (almeno per questa AU) perché mi
permette di scrivere le storie senza legarmi a una timeline
obbligatoria. Ogni storia avrà come sottofondo una canzone, che verrà
ripresa nel titolo, e sarà ispirata a un prompt della community
500themes_ita di Livejournal. La canzone per questa è Heartless
dei Fray, il prompt il #252, Le lacrime di Dio Premettendo che è tutto
un enorme, abnorme
esperimento, mi auguro che piaccia a qualcuno.
______________
Somewhere
far
along this road
Loki ha delle
abitudini strane, medita Tony, lo
sguardo fisso fuori dalla finestra, sulla figura snella del suo
coinquilino. Una delle tante, una che l’ha colpito più di altre, è
che, ogni volta che piove, qualsiasi cosa stia facendo, Loki la
lascia perdere ed esce.
Esce non significa che chiama un
amico e si
fa un giro, né che prende la macchina e sparisce per un po’. Esce
significa che, non importa cosa abbia addosso, non importa in che
cosa sia stato impegnato fino a quel momento, va in giardino, si
siede sull’erba e lascia che l’acqua gli scivoli addosso, sui
capelli, sulle guance, sul collo, sugli abiti.
Tony si domanda che
cosa cerchi, Loki, sotto la
pioggia. Non glielo ha mai chiesto, si sono sempre fatti ognuno gli
affari propri, ma ciò non significa che non sia curioso.
Non sa niente di lui,
dopotutto. Tutto ciò che sa
si riduce a una manciata d’informazioni alla portata di chiunque:
il suo nome è Loki Herjan, ha sedici anni, frequenta la Avengers
High ed è il fratello minore di Thor Herjan, il capitano della
squadra di basket della scuola. Persino la più sfigata delle
matricole potrebbe recitare a memoria queste stesse cose: allora che
diritto ha lui d’immischiarsi in ciò che non conosce, né
tantomeno lo riguarda?
Non si parlano molto,
ma a entrambi sta bene così.
Hanno due caratteri
opposti, inconciliabili tra
loro: Loki è silenzioso e tende a non manifestare mai le proprie
emozioni, Tony invece è rumoroso e trasparente come una lastra di
vetro.
Tony sospetta che, se
si imbarcassero in
conversazioni di maggiore spessore, finirebbero col divorarsi a
vicenda, ciascuno troppo testardo per ammettere che l’altro ha
ragione.
Se hanno qualcosa in
comune è l’irritazione che
provano nei confronti di chi ha reazioni diverse dalle loro; in
conclusione, si mal sopportano cordialmente, ma, finché la loro
intesa basata sul silenzio e sul rispetto dei reciproci spazi regge,
Tony non vede perché dovrebbe sforzarsi di cambiare le cose, con il
rischio che peggiorino.
Ormai convivono da un
mese e non si vedono spesso:
non hanno alcun corso in comune, nel pomeriggio Loki va a lavorare –
dove, Tony non lo ricorda, oppure non ne hanno mai neppure parlato –
e di sera studia fino a tardi, mentre Tony sparisce fino all’ora di
cena e dopo di solito è troppo ubriaco perché gli venga in mente di
avere un coinquilino.
L’unico motivo
d’incontro che hanno consiste nel
decidere i turni per la pulizia della casa e la spesa, ma fino a ora
non è stato difficile venire a un compromesso, fondamentalmente
perché nel corso degli anni Tony ha imparato che il suo totale
disinteresse anche solo a ricordare quand’è il suo turno di
lavare i piatti non gli procura altro che fastidi, mentre Loki è
preciso per natura.
L’attenzione di Tony
viene sottratta a Loki da un
ingombrante pick-up blu elettrico e un’auto più piccola e sobria
che si infilano nel vialetto e parcheggiano di fronte all’ingresso,
lasciando a malapena lo spazio per entrare e uscire di casa, proprio
come Loki non sopporta. Anche lui solleva la testa all’arrivo delle
vetture e, nonostante Tony non abbia mai fatto nulla per peggiorare
le cose, all’improvviso ha il presentimento che stiano per farlo
indipendentemente dalla sua volontà.
Non aspetta di vedere
cosa il suo coinquilino faccia
dopo, si dirige in soggiorno e apre la porta.
Nel giro di un minuto
la stanza è gremita di ospiti
che sgocciolano acqua sul pavimento e sul mobilio, affollano il
divano, la poltrona e il pavimento e colmano l’aria del loro
incessante chiacchiericcio.
Ci sono Steve Rogers e
Bruce Banner, i migliori
amici di Tony, Clint Barton, Natasha Romanoff e Pepper Potts, la
ragazza di Tony. È strano come, sebbene lui non faccia parte della
squadra, gran parte dei suoi amici siano giocatori di basket, a parte
Banner.
«Allora,» Clint
ammicca al televisore e scopre i
denti in un sorriso spietato «chi è il primo a perdere miseramente
a Motor
Storm?»
Esplode una disputa su
chi debba essere il primo
sfidante di Clint, mentre Tony rimedia due pacchetti di patatine
dalla credenza, in cucina, e gli altri accendono la televisione e la
Playstation. Alla fine viene designato Steve e la colonna sonora del
videogioco diventa il sottofondo di un coro di incitamenti urlati e
coloriti improperi.
Tony scivola accanto a
Pepper, schiacciato
all’estremità sinistra del sofà, la ragazza lo bacia su una
guancia e prende una manciata di patatine dal pacchetto che ha in
grembo. «Ehi» lo saluta, sorride con calore e si stringe contro il
suo fianco. «Come va?»
Quella è una delle
domande a cui Tony trova più
difficile dare una risposta.
Come va? Lui e il suo
coinquilino non si rivolgono
la parola, che è la norma, Howard non chiama da qualche giorno, che
è una buona notizia, e non beve altro che acqua dalla sera prima,
che non è sicuro se sia una notizia buona o cattiva. Scrolla le
spalle e replica un neutro «Bene», poi la trae a sé e pretende un
bacio sulle labbra. Pepper ride, alcune patatine le sfuggono di mano.
Lei non è una delle
sue solite tresche da poche
settimane, ma relazione è ancora una parola troppo
grande. Di
Pepper non gli piace solo il corpo, ma anche l’arguzia, gli piace
trascorrere il tempo in sua compagnia, gli piace parlare con lei, gli
piace chiamarla la
mia ragazza.
Pepper conosce la sua
reputazione, ma le va bene
così. Tony sa che lei ha un cervello e che lo sa usare molto bene,
ma gli va bene così.
Quando Pepper lo
spinge via, ancora ridacchiante, la
porta si apre di nuovo e Loki fa il suo ingresso senza un suono,
tanto che Tony è l’unico ad accorgersene. Il suo coinquilino è
bagnato quanto i suoi amici, ma le uniche tracce che lascia sono
poche gocce insignificanti, come se riuscisse a essere moderato
persino in qualcosa che non può controllare.
Si chiude la porta
alle spalle, ma il rumore viene
coperto dal videogioco, e valuta la scena che gli si apre davanti con
un cipiglio che Tony non riesce a definire, ma non gli sembra troppo
felice. E in quel momento si ricorda di non averlo avvisato della
visita.
I loro sguardi si
incrociano e Tony è sul punto di
presentarlo al gruppo, ma poi Loki passa oltre e sparisce nel
corridoio che porta alla camera da letto. Non torna indietro, perciò
Tony lascia perdere e si fa distrarre da Pepper e da Clint, che lo
sfida ad accodarsi a Steve e subire una dolorosa sconfitta per mano
sua.
Tony è agguerrito, ma
Clint è un mostro con i
videogiochi.
Per festeggiare la sua
seconda vittoria di fila,
l’amico gli afferra una spalla e gli rifila un’occhiata d’intesa.
«Ehi, prendi da bere?»
Tony sa quale dovrebbe
essere la risposta giusta. Lo
sa, però passa il joystick a Bruce, che prende il suo posto sul
pavimento davanti al televisore, sorride e dà comunque quella
sbagliata: «Prima o poi dovrai pagarmi il conto, lo sai?» Che
significa sì.
A livello teorico,
nessuno studente ha il permesso
di tenere alcolici in camera; a livello pratico, Tony nasconde i
propri nella valigia che tiene sotto il letto e non l’hanno ancora
beccato.
Non si ricorda di
Loki, quando mette piede nella
stanza e lo trova seduto alla scrivania, piegato su un libro – come
faccia a studiare con il casino che proviene dal soggiorno è fuori
dalla portata di Tony. Indossa una t-shirt verde scuro e un paio di
pantaloni da ginnastica, larghi e cadenti per le sue gambe sottili, e
solo i capelli neri, lucidi di umidità e arricciati sulle punte,
testimoniano che abbia trascorso la passata mezz’ora sotto la
pioggia.
Loki alza gli occhi,
ma non accenna a salutarlo, si
guardano in silenzio. È Tony a romperlo, perché non è il genere di
silenzio amichevole che nessuno sente la necessità di riempire, ma
quel genere di silenzio di chi non abbia nulla da dirsi, che è
strano, o di chi non voglia avere qualcosa, che è amaro.
E
Tony ha provato troppe volte quell’amarezza. «Ehilà».
Loki sa che cosa
nasconde sotto il letto, perciò
Tony non si preoccupa di tirare fuori tre bottiglie di scotch davanti
a lui.
«Ciao» è la quieta
replica, ma quando Tony si
rialza il suo coinquilino è di nuovo chino sul suo libro e lui non
aggiunge altro, stringe le bottiglie al petto per sincerarsi che non
cadano e torna in soggiorno, chiudendosi la porta alle spalle con
un’abile torsione del piede.
Il suo ritorno è
accolto da esclamazioni entusiaste
e in poco più di un minuto la prima bottiglia ha già fatto il giro
del gruppo e Tony sta aprendo la seconda con un cavatappi, accanto a
lui Pepper appoggia la testa sulla sua spalla e gli ricorda di non
bere troppo in quello che sembra un sospiro, lui ribatte con una
risata e beve un lungo sorso prima di passare la bottiglia nelle mani
impazienti di Clint.
Il torneo di Motor Storm e l’alcool
riempiono il pomeriggio fino all’ora di cena, quando Bruce ricorda
che è il suo turno di cucinare, quella sera, e anche gli altri, a
parte Pepper, decidono di tornare alle rispettive abitazioni.
Rimasta sola con lui,
Pepper raccoglie le cinque
bottiglie vuote e scompare in cucina. Il rumore del vetro che urta
contro la plastica comunica a Tony che i cinque cadaveri sono finiti
nella pattumiera, poi la ragazza riappare nella cornice della porta e
incrocia le braccia sotto il seno, accigliata e severa. «Hai bevuto
troppo» commenta. Di nuovo quella voce che sospira, quella voce che
dice mi hai
delusa, Tony,
quella voce che gli ricorda quella
di Howard, mi
hai deluso, Anthony.
«Non troppo» obietta,
ma ha la lingua impastata
dall’alcool e fatica a parlare, anche solo a pensare o a compiere
un semplice movimento come scuotere la testa. «Solo un po’, Pep,
posso reggere».
Pepper scivola al suo
fianco e preme una guancia
contro di lui, Tony solleva un braccio per farle posto e glielo fa
scorrere intorno alle spalle, stringendola a sé. «Perché non hai
chiesto a Loki di stare con noi?» cambia argomento la ragazza,
giocherella con una ciocca dei suoi capelli, li tira un po’, perché
sono corti, ma a Tony non dispiace sentirla così vicina.
«Studiava» è la magra
giustificazione. «Mi
sembrava impegnato».
Pepper lascia perdere
i suoi capelli, disegna una
linea immaginaria dal suo torace al suo ombelico attraverso la stoffa
della t-shirt dei Black Sabbath. «Perché non ti piace?»
«Non è che non mi
piaccia…» Si interrompe, sa
che non ha senso mentire proprio a lei, perché lei lo capisce, non è
come gli altri. «Beh, è strano. Non parla mai. Non so come
prenderlo».
Allora Pepper alza lo
sguardo e dice con una
semplicità sconcertante: «Hai mai provato?»
Tony apre la bocca, ma
non ha parole, quindi la
richiude e aggrotta la fronte, fissando la sua ragazza con una punta
di fastidio. Nessuno, a parte Virginia Pepper Potts, è in grado di
metterlo a tacere a quel modo. Non lui, Tony Stark. «Sì. Forse.
Magari non proprio» confessa e si passa una mano sulla nuca, perché
riconoscere di avere commesso un errore – o di non averlo commesso,
perché in fondo lui non ha fatto proprio nulla – è sempre
imbarazzante.
Pepper sorride,
intenerita, e gli bacia l’angolo
della bocca, poi lo prende per mano e lo guida con sé in cucina.
«Su, mangiamo. Finirai col vomitare sul tappeto, se non metti
qualcosa nello stomaco».
Tony vorrebbe
ribattere, ma sa che la sua ragazza
non è del tutto scherzosa, perciò si siede a un’estremità del
tavolo della cucina e aspetta con pazienza che Pepper prepari. La
aiuterebbe, se non fosse incerto persino circa la propria capacità
di rimanere in piedi, lei ne è ben consapevole e non si lamenta.
Pepper non è brava a
cucinare, ma Tony è a
malapena in grado di scaldare il latte. Fanno una bella coppia, non è
vero?
«Perché non lo
chiami?» propone la ragazza,
mentre le cotolette surgelate che ha scovato nel freezer si rosolano
nel microonde. Fa un cenno con la testa in direzione della porta. «A
quest’ora avrà fame anche lui, no?»
Perché Pepper sia così
desiderosa che lui faccia
amicizia con Loki, non ne ha idea. O meglio, ne ha, ed è che Pepper
vorrebbe sincerarsi che, una volta lasciato solo, Tony non cada di
nuovo nel baratro, ma non vuole parlarne, non vuole pensarci, non
vuole vedere la preoccupazione negli occhi di lei, perciò scrolla le
spalle e va in camera a informare il suo coinquilino che la cena è
pronta.
Loki inarca le
sopracciglia e lo soppesa con una
lunga occhiata pensierosa. «I tuoi amici?»
Tony aggrotta la
fronte, irritato da come il suo
coinquilino pronuncia la parola amici – come se fosse una
malattia o un qualche insetto particolarmente disgustoso – ma si
sforza comunque di mantenere un tono amichevole. «Se ne sono andati.
Beh, non tutti. C’è ancora Pepper, la mia ragazza».
«Hm». Il suo
coinquilino rivolge un ultimo sguardo
al libro che giace aperto sulla scrivania, poi abbandona la sedia e
infila un paio di ciabatte verdi. «Va bene».
Quando rientrano in
cucina, Pepper ha distribuito
tre cotolette in tre piatti e Tony si accorge che quella è la prima
volta che la sua ragazza e il suo coinquilino si trovano nella stessa
stanza. Forse non li ha neppure mai presentati – o magari l’ha
fatto, ma era troppo ubriaco per ricordarsene.
Pepper si alza,
sorride e allunga un braccio verso
Loki. «Ciao, sono Pepper, la ragazza di Tony. Piacere».
Lui le stringe la mano
e incurva un angolo della
bocca verso l’alto in quello che sembra un sorriso genuino. Non che
la cosa sorprenda Tony, è difficile non apprezzare la gentile
spontaneità della sua ragazza, se non si conoscono la sua
testardaggine e il suo senso dell’umorismo – fin troppo simile al
proprio per i suoi gusti. «Loki Herjan, piacere».
«Scusa per il casino
di questo pomeriggio» si
scusa lei con aria mesta e vivace al tempo stesso, si accomoda al suo
posto sul lato lungo del tavolo rettangolare, Tony le si siede
accanto e Loki lo rimpiazza a capotavola. «Spero che Tony ti abbia
avvertito che saremmo venuti a dare un po’ di fastidio».
Non menziona l’alcool
e in ogni caso Tony le ha
già detto che ci si può fidare di Loki; il suo coinquilino afferra
coltello e forchetta e comincia a tagliare un boccone di cotoletta.
«Nessun disturbo, non preoccuparti» minimizza con una scrollata di
spalle.
Pepper non può
accorgersene, perché conosce Loki
solo da trenta secondi, forse meno, ma, sebbene si vedano così di
rado e abbiano una relazione pressoché inesistente, Tony lo nota:
nota la tensione nelle spalle del suo coinquilino, la rigidità del
suo sorriso, della sua mascella. La sua voce è perfettamente
impregnata di gentilezza e disponibilità, al punto che è
impossibile distinguere tutt’altro genere di emozioni, ma la sua
postura non lascia adito a dubbi.
Loki è arrabbiato –
furioso, forse – ma non
dice nulla. Non una parola, come sempre, e Tony non lo sopporta per
questo e sente il fastidio montare dentro di sé, acuito dall’alcool
– troppo alcool – che gli occlude la mente.
La cena è piacevole:
Pepper chiacchiera, Loki la
asseconda, cordiale. Parlano del più e del meno, di cosa studiano,
quali lezioni hanno in comune, cosa pensano di fare dopo il liceo,
oh, ma tu
sei il fratello di Thor
e mi
ricordo di averti
visto al club di musica qualche volta e Tony non ascolta una
parola né tantomeno prende parte alla conversazione, sebbene la sua
ragazza si sforzi di coinvolgerlo.
È troppo ubriaco,
troppo stanco e troppo
infastidito dal comportamento di Loki – anche se non ne ha alcun
motivo, dal momento che tecnicamente è lui a essere in torto – e
finisce con l’ignorarli entrambi, fingendo di concentrarsi sulla
cotoletta, che comunque è troppo cotta e bruciacchiata agli angoli.
Alla fine del pasto
Pepper raccoglie i piatti, li
ripone nel lavandino e gli rifila un’occhiata in parte ferita, in
parte dispiaciuta. «Torno a casa» annuncia e dal suo tono Tony
intuisce che forse avrebbe voluto restare, ma lui l’ha delusa –
mi hai
deluso, Anthony.
«Ci vediamo domani, okay, Tony?
Piacere di averti conosciuto, Loki». Bacia il primo, fa un cenno
amichevole all’altro, poi Tony la accompagna barcollando
nell’ingresso e segue con lo sguardo la vecchia auto regalatale dal
padre, finché non scompare dietro una curva.
Quando torna dentro,
Loki lo aspetta sulla soglia
della cucina, le braccia conserte, l’espressione apertamente
seccata, ora che sono soli. «Non mi hai avvertito che avremmo avuto
visite».
Dice noi, non tu, per rimarcare che la
casa non appartiene soltanto a lui. Tony si passa una mano tra i
capelli – sa di non avere alcun diritto di essere seccato o,
meglio, lo sa la parte di lui non troppo influenzata dall’alcool –
e scrolla le spalle. «L’ho, uh, dimenticato».
Loki inarca un
sopracciglio. «Se succede di nuovo,
li sbatto fuori». Tony non si è mai reso conto di quanto la sua
lingua sia affilata. «Domani ho un compito importante e speravo di
non dover passare la notte a ripassare, ma, dal momento che ti sei
dimenticato di chiedermi se mi stesse
bene ricevere visite
questo pomeriggio, dovrò farlo per forza». I suoi occhi lo
inchiodano laddove si trova, taglienti come lame e gelidi, gelidi
come mai Tony ha pensato che degli occhi possano essere. «Credi di
riuscire a ricordartelo la prossima volta, Stark?»
Tony corruga la fronte
e serra le dita a pugno. Non
gli piace che gli si parli in questo modo, come se fosse un bambino
sciocco e capriccioso. «Dio, vivi un po’» sbotta all’improvviso
e per un istante la sua reazione sorprende il suo coinquilino, che
esita e gli lascia il tempo di organizzare un’altra frase.
Peccato che non trovi
molto altro da dire, al di là
di una sfilza d’insulti, perciò si ritrova a tacere e a macerarsi
ancora di più in quella che non è più irritazione, ma collera,
perché è perfettamente consapevole di stare facendo la figura
dell’idiota ubriaco, non ha bisogno che Loki sorrida in quel modo –
quel modo deliberatamente crudele – per farglielo notare.
«Sei ubriaco, Stark». Grazie, Loki, a volte
il tuo contributo è davvero prezioso per l’altrui comprensione.
«Vado a studiare».
Gira sui tacchi e si
allontana senza più degnarlo
di uno sguardo e Tony fissa il punto in cui si trovava fino a quando
non viene riscosso dallo sbattere della porta della loro camera.
Allora fa scorrere lo sguardo sul soggiorno, che si rivela un gran
casino: ci sono acqua e resti di cibo ovunque, patatine sparse sul
pavimento, carte e pacchetti vuoti.
Per qualche istante
prende in considerazione la
possibilità di lasciare tutto com’è – conoscendolo, Loki è
abbastanza maniacale, quanto a ordine, da mettere a posto il giorno
dopo – poi ricorda l’espressione di Pepper quando se n’è
andata e comincia a ripulire con un sospiro.
Se non altro, quando
finisce è troppo stanco per
discutere ancora con Loki o per bere.
Si butta sul letto e
seppellisce la faccia nel
cuscino. A pochi metri di distanza, la lampada sulla scrivania rimane
accesa ancora per molte ore.
Il giorno dopo sono i
postumi della sbornia a
strapparlo al sonno, perché il buongiorno si vede dal risveglio e il
mondo odia Tony e Tony odia il mondo e tutto ciò che vorrebbe fare è
entrare in simbiosi con il letto, ma non può perché sfortunatamente
esistono una cosa chiamata scuola, una chiamata Pepper
e una chiamata Howard.
Pensare a suo padre
appena sveglio lo mette di
cattivo umore e, se si considera che ha un’emicrania atroce, il
livello del suo umore oscilla tra pessimo e mettetevi in
salvo.
Nel tentativo di
alzarsi, Tony scopre troppo tardi
di avere le lenzuola aggrovigliate intorno alle gambe e rotola sul
pavimento accompagnato da un mantra delle imprecazioni più colorite
che conosce – una per ogni volta che sbatte da qualche parte.
Fa un tale casino che
pare sia cominciata la Terza
Guerra Mondiale, ma dal resto della casa non gli giunge alcuna
risposta, Loki non si fa vedere, non sembra interessato a sapere se
il suo coinquilino sia morto per una commozione cerebrale o qualcosa
del genere. Meglio così, la sua presenza probabilmente non farebbe
che irritarlo ancora di più.
Quando riesce a
mettersi carponi, un conato di
vomito minaccia di fargli sputare le budella ed è costretto a
trascinarsi fino al bagno, nel corridoio.
Purtroppo il mondo lo
odia, e la porta del bagno è
chiusa a chiave.
«È occupato, Stark»
gli fa notare Loki dall’altra
parte della parete. Che voglia candidarsi per il prossimo Capitan
Ovvio Fest? Così, a titolo puramente informativo. «Aspetta il tuo
turno».
Sì. No. Il problema è
che Tony non
può
aspettare, non ora, quando è sul punto di vomitare l’anima e non è
in grado di parlare, perché altrimenti cazzo, devo vomitare, apri
questa fottuta porta,
invece non fa altro che mugugnare qualcosa
di indistinto e ben poco lusinghiero, rannicchiato sul pavimento con
le braccia intorno alla vita, come per trattenere la bile nello
stomaco. Anche se non gli dispiacerebbe vomitare sulla soglia del
bagno, magari, se è fortunato, Loki non se ne accorge subito e ci
piazza un piede dentro, lo stronzo.
Passa la successiva
eternità a pianificare la lunga
serie di torture a cui lo sottoporrà, ricacciando indietro i conati
che minacciano di travolgerlo.
Non sa come – forza di
volontà? Destino? Pietà
degli dei? – ma riesce a tenersi stretti gli intestini fino a
quando il suo coinquilino apre la porta e lo trova pietosamente
raggomitolato contro la parete, in attesa che qualcuno gli faccia la
carità di sparargli in testa.
Loki dice qualcosa, ma
Tony non ascolta; adocchiato
il water, lo raggiunge carponi e vi si aggrappa come se fosse la cosa
più bella che abbia mai visto. Il suo coinquilino lo osserva per un
momento, poi Tony sente i suoi passi allontanarsi, ma non ha
importanza perché lui ha il water e all’improvviso il mondo è
bello e Loki potrebbe anche rimanere in vita, per oggi.
Dopo essersi ripreso a
sufficienza (leggi: quando
non gli rimane più niente da rigurgitare), barcolla fuori dal bagno
e si dirige in cucina per riempire lo stomaco appena svuotato.
Il suo coinquilino sta
sorseggiando un caffè, ma
nessuno dei due fa caso all’altro mentre Tony si prepara un caffè
nero e una scodella di cereali e si siede a consumare il suo pasto in
silenzio. Non ha alcuna voglia di andare a scuola, perché è sabato
e ha dei postumi della sbornia così orribili che prende sul serio in
considerazione la possibilità di smettere di bere, ma sa anche che
se saltasse le lezioni Pepper lo trascinerebbe di peso in classe,
perciò scarta l’idea di giustificarsi con la scusa di essere ebreo
e si concentra sulla colazione.
Di tanto in tanto,
vinto dalla curiosità, non può
fare a meno di rifilare qualche occhiata di sottecchi a Loki. Sembra
più pallido del solito, cereo, quasi, e sotto l’eye-liner Tony
scorge le profonde occhiaie che gli segnano il viso; un paio di
skinny neri gli fasciano le gambe lunghe e snelle sotto una t-shirt
blu scuro troppo larga che gli scopre la spalla sinistra.
Sfortunatamente Loki
intercetta la direzione del suo
sguardo e inarca un sopracciglio. «Ti serve qualcosa?»
Tony smette di
fissargli le gambe e alza lo sguardo.
«Uh, no? Cioè…» Si schiarisce la voce e si sforza di ricucire
quello che ha distrutto, perché, ehi, è di Tony Stark che stiamo
parlando, lui non fa altro che distruggere. «Scusa per ieri. Sul
serio. Non sapevo che dovessi studiare, cioè, non che fosse così
importante».
Loki soppesa le sue
parole, ripone la tazza vuota
nel lavandino e lascia la cucina senza degnarlo di un’occhiata.
Tony corruga la
fronte. Bene. Affonda furiosamente
il cucchiaio nei cereali come affonderebbe furiosamente un coltello
nel cuore del suo coinquilino. Loki vuole fare lo stronzo
imbronciato? Bene. Chi è lui per impedirglielo?
Non hanno altri scambi
– in altre parole, Tony non
vuole macchiarsi di omicidio a soli diciassette anni – e un quarto
d’ora più tardi Tony parcheggia la sua Viper scarlatta sul
marciapiede di fronte alla scuola, con quel suo modo di fare che dice
bitch
please, sono Tony fucking Stark, non siate timidi e amatemi.
Molte teste si voltano
ad ammirarli, lui e la sua
adorata bambina, ma Tony finge di non vedere le occhiate languide dei
ragazzi verso la sua auto e quelle languide delle ragazze verso i
suoi bicipiti.
Nelle giornate sì si
crogiolerebbe in quelle
attenzioni, ma oggi è una giornata no, le cui possibili cause di
solito sono due: postumi della sbornia o Howard. Oggi Tony ha il
sospetto che stiano per diventare tre e che la terza sia Loki.
Lo intravvede in
corridoio, ma lui finge di non
vederlo – impossibile che non si accorga della sua presenza,
nessuno manca di notare quando Tony Stark attraversa i corridoi della
scuola, vuoi per tutte le ragazze che gli si affollano intorno, vuoi
per tutti i ragazzi che lo salutano, in cerca dell’approvazione del
più popolare della Avengers High – e Tony passa oltre, incontra
Pepper davanti alla classe di chimica, le cinge la vita con le
braccia e si piega per salutarla con un bacio.
È un bacio di scusa,
Pepper lo sa e lo ricambia
solo quando ritiene di avergli fatto pesare abbastanza la propria
irritazione.
«Ciao, Pep» sorride,
Tony, ha capito di essere
stato perdonato, di nuovo, e, ehi, in quale strano mondo Tony Stark
non si compiace di se stesso?
Pepper scuote il capo,
ma ricambia il sorriso con
una punta di malizia. «Vedo che ti reggi in piedi».
«Per chi mi hai
preso?» Tony si ritrae per
scoccarle un’occhiata sdegnosa e offesa, lei ride, è questo suo
non essere mai serio, questo suo non prendersela mai davvero che ama
e odia di lui, lo ama perché è quello che tutti amano, lo odia
perché è difficile discutere con lui delle cose che hanno davvero
importanza.
Tony la guarda ridere
e pensa che, anche se è una
giornata no, potrebbe piacergli lo stesso, se c’è Pepper.
Mentre finge di
ascoltare la lezione di chimica,
guarda fuori dalla finestra, scruta il cielo nuvoloso e si chiede
quando comincerà a piovere di nuovo. Si chiede se Loki uscirà dalla
scuola durante le lezioni per sedersi sotto la pioggia, poi si chiede
perché diavolo si interessi al suo arrogante, insopportabile
coinquilino.
All’ora di pranzo lo
incrocia di nuovo lungo il
corridoio, Pepper lo saluta con un cenno e un sorriso, Loki sorride
di rimando, piegando la testa di lato, inchioda Tony con uno sguardo
che potrebbe incenerirlo, se gli sguardi avessero una simile
capacità, e all’improvviso Tony scopre che il pavimento è fonte
di grande ispirazione, almeno finché Pepper non gli pungola lo
stomaco con una gomitata.
«Ti avevo detto di
farci amicizia» gli sibila la
ragazza. «Cosa gli hai fatto, Tony?»
Eh, sì, come se fosse
sempre colpa sua— okay,
tecnicamente è colpa sua, ma ha chiesto
scusa, non basta?
Scrolla le spalle, come fanno le persone quando un argomento le
infastidisce e vorrebbero passare oltre. «Non gli avevo detto che
sareste venuti e si è incazzato. Mi sono scusato, ma è rimasto
incazzato».
«Dev’essere una pigna
in culo viverci insieme»
commenta Clint, annuendo solidale.
Tony scambia con lui
un’occhiata d’intesa, ma
Pepper sbuffa sonoramente e Steve interviene con severità, come se
non ci ricordassimo che è lui quello che il giorno prima urlava come
una iena contro la televisione, caro vecchio Steve: «Dovresti essere
più rispettoso nei suoi confronti, Tony. E scusarti senza dare
l’impressione di fargli una concessione».
Tony gli mostra
amichevolmente il dito medio. Steve
non sembra risentire degli effetti della sbornia, ma d’altra parte
Tony non ricorda di averlo visto bere. Steve Verginello Rogers è
troppo bravo ragazzo, troppo coscienzioso, troppo perfetto per
ubriacarsi.
Tony pensa alle sue
parole, però, pensa che forse
dovrebbe riprovare a chiedere scusa. Così, per essere sicuro che
Loki non tenti di strangolarlo mentre dorme.
Alle due, quando
l’ultima campanella della
giornata annuncia la fine della tortura, fuori piove a dirotto. Tony
sospira. Non che non se lo aspettasse, ma sperava che gli dei non
dessero il peggio di loro proprio quando deve tornare a casa. Ma il
mondo lo odia e senza dubbio le divinità devono provarci un certo
gusto sadico, a tormentarlo.
Si è già arreso a
rischiare l’annegamento nei
dieci metri che separano l’ingresso della scuola dall’auto,
quando Pepper, il suo angelo, gli allunga un ombrello, stringendo il
proprio sottobraccio.
«Sapevo che l’avresti
dimenticato» gli strizza
l’occhio quando lui la guarda, poi si rabbuia, perché
probabilmente si aspettava di vederlo con gli occhi lucidi di
gratitudine e di sentirgli dire qualcosa tipo oh, Pep, mia dea,
mia diva, come farei senza di te?.
Il problema è che
l’ombrello è di un fastidioso,
pungente colore rosa
shocking e
Tony a fatica gracida un
tirato «Grazie, Pep», altro che occhi lucidi e monumenti in onore
della sua ragazza.
Il cruccio abbandona
l’espressione di lei quando
si rende conto del motivo per cui il suo ragazzo è così cupo.
Sogghigna, persino, il genio del male.
«Vedi di fare pace con
Loki» lo ammonisce e si solleva sulle punte per baciarlo sulle
labbra. «Passo da te quando ho finito di studiare. A dopo».
Mentre ammira come si
muovono sinuosi i fianchi di
Pepper che si allontana, Tony aggrotta le sopracciglia, perché
quella è la sua punizione made in Pepper Potts per come si è
comportato con Loki. Ed è sorprendente, nonché piuttosto
deprimente, che, sebbene non le abbia davvero raccontato come sia
andata, lei abbia capito che è colpa sua – per la gran parte,
specifica tra sé.
Una volta che Pepper
ha varcato la soglia della
classe, rimangono solo Tony e l’ombrello. Il primo fissa il secondo
con aria di sfida, sospira e si prepara a essere mangiato vivo
dall’intera scuola, quando avrà il coraggio di farsi vedere in
giro con quell’ombrello.
Si trascina lungo i
corridoi con l’entusiasmo di
un condannato a morte, facendo appello a qualsiasi dio non lo odi
troppo perché l’acquazzone termini, ma alla fine arriva il
fatidico momento di uscire dal portone principale e la scelta è tra
rovinare i suoi costosi abiti di Hermès e fare a pezzi la propria
reputazione.
Una parte di lui gli
suggerisce che i vestiti si
possono comprare, la dignità no, ma poi ricorda la minaccia di
Howard di tagliargli i fondi se lo scopre a sprecare il denaro,
allora afferra l’ombrello (il coraggio) a due mani, lo apre con un
unico movimento fluido, incassa la testa tra le spalle sotto di esso
e si avventura sotto la pioggia.
Per un istante
l’ombrello pare sul punto di venire
spazzato via dal vento, ma rimane ben saldo tra le sue dita; Tony non
osa guardarsi intorno nel breve percorso che lo separa dalla
macchina, scivola sul sedile dell’autista e getta l’ombrello ai
piedi del posto del passeggero.
Mette su Iron Man dei Black Sabbath al
massimo volume, fischiettandone il ritornello tra i denti. Gli
amplificatori ne stanno ringhiando le ultime note quando avvista la
casa e la figura in giardino.
Loki è seduto sotto la
pioggia e guarda dritto
davanti a sé, ma Tony ha l’impressione che non veda davvero, che
sia perso nei suoi pensieri, anche perché non accenna a muoversi
mentre lui parcheggia la macchina in garage. Potrebbe benissimo stare
fingendo di non vederlo, ma Tony vuole credere che in realtà sia
immerso in qualche profonda elucubrazione.
Spento il motore e
infilate le chiavi in tasca, per
un momento rimane seduto in auto e si domanda se debba davvero fare
un altro tentativo di riappacificazione, dopotutto.
Afferra l’ombrello,
scende dalla macchina e,
uscito in giardino, adocchia la porta d’ingresso prima di dirigersi
a passo deciso verso il suo coinquilino. È quando arriva così
vicino che è impossibile che Loki non si sia accorto di lui che Tony
capisce che lo sta davvero ignorando deliberatamente;
questo,
anziché spingerlo a lasciar perdere, è un incentivo a lasciarsi
cadere al suo fianco, sollevando l’ombrello al di sopra delle loro
teste a ripararli entrambi dall’acquazzone, perché non esistono
persone più cocciute di lui.
In attesa che Loki
dica qualcosa o di trovare un
modo di rompere il silenzio, Tony lo guarda e ancora una volta si
chiede che cosa cerchi.
Perché deve essere in
cerca di qualcosa, per
rimanere così a lungo sotto la pioggia battente, non importa quanto
violenta essa divenga, fino a che non trema dal freddo, i vestiti non
gli si appiccicano alla pelle congelata e l’eye-liner non disegna
lacrime nere sulle sue guance incavate.
È talmente concentrato
a scrutarlo, come se potesse
strappargli ogni segreto solo con lo sguardo, che quando Loki scocca
un’occhiata all’ombrello e parla lo fa sobbalzare.
La sua voce è bassa,
arrochita dal tempo passato
esposto alla furia temporalesca, ma, considera Tony con sollievo,
priva dell’ira mordace di quella mattina o della sera prima. «Non
sapevo che il rosa fosse il tuo colore, Stark».
«Me l’ha prestato
Pepper». Tony scrolla le
spalle. «Tendo a dimenticare gli ombrelli».
Il suo coinquilino lo
osserva con la coda
dell’occhio. «Sai che cosa sembriamo, con questo ombrello?»
Tony tira a indovinare
con una risata. «Due gay
molto, molto disperati, oppure due sfigati sotto un ombrello rosa
shocking».
Sta ridendo
sinceramente e non sa se essere più
sorpreso perché Loki è capace di socievolezza, di tanto in tanto, o
perché questa è la prima vera e propria conversazione che abbiano
mai avuto – e convivono da un mese.
«Credo che entrambe le
ipotesi siano a loro modo
corrette» suggerisce il suo coinquilino, accodandosi al suo scoppio
d’ilarità con un leggero sorriso.
Ripresosi dal riso,
Tony si schiarisce la gola e
decide che quello è il momento giusto, perché un’altra volta
forse Loki non sarà altrettanto disponibile nei suoi confronti
oppure lui non avrà più il coraggio di fare la cosa giusta.
«Ascolta, scusami per ieri. Ho fatto un gran casino e non ti ho
nemmeno avvisato, lo so, sono stato uno stronzo».
Il suo coinquilino non
risponde subito, ma non pare
arrabbiato; Tony si sforza di giudicare la sua espressione
indecifrabile, Loki ricambia il suo sguardo per quella che a poco a
poco diventa un’eternità, ma non un’eternità spiacevole.
Non è uno di quei
silenzi amichevoli, né uno di
quelli che Tony odia tanto.
È solo un silenzio.
Loki si riavvia i
capelli con una mano, ma sono così
impregnati di gel e acqua piovana che devono avere più o meno la
stessa consistenza del marmo. «Devi smettere di bere così tanto»
commenta e non c’è ostilità né sarcasmo nel suo tono. È solo un
dato di fatto, così come la pioggia o il sadismo di Pepper, nascosto
sotto strati di apparente dolcezza.
Tony annuisce.
Non è il primo a
dirglielo, è il primo che non lo
giudica per questo. Il suo non è un ordine, un’esortazione o un
suggerimento da amico; non è nulla, ha la stessa consistenza
filosofica che potrebbe avere il cielo è blu e il sole brilla,
ma mai prima di oggi Tony si è trovato tanto d’accordo con questa
affermazione, mai prima di oggi ha la tentazione di provarci davvero,
a essere un bravo ragazzo e coscienzioso e perfetto come Stev— come
tutti lo vorrebbero.
Annuisce di nuovo e
risponde d’istinto, senza
riflettere: «Tu devi smettere di uscire con la pioggia». Fa una
pausa, si rende conto di quanto la sua replica possa suonare
arrogante e invasiva e si affretta a rettificare: «Non so che cosa
tu voglia ottenere e non sono nemmeno affari miei, ma rischi di
morire di freddo».
Si aspetta quasi che
il suo coinquilino scatti di
nuovo, ma Loki si limita ad annuire. Non aggiunge altro, non gli
spiega cosa speri di trovare sotto la pioggia, ma annuire è
abbastanza, Tony lo sa perché è quello che ha fatto anche lui un
momento prima, ritenendo che fosse abbastanza.
Passano ancora qualche
momento insieme, spalla
contro spalla, senza parlare, poi, inaspettatamente, Loki gli prende
l’ombrello di mano e si alza in piedi. «Vogliamo rientrare?»
Tony piega il capo
all’indietro, ma il suo
coinquilino ha gli occhi fissi sulla porta di casa, assorto.
Quando ricomincia a
piovere, Tony è in cucina, Loki
in camera, probabilmente intento a studiare.
Anziché uscire come di
consueto, Loki lo raggiunge
e lo valuta con lo sguardo per un istante lungo dieci anni. Tony non
distoglie il proprio, incerto su cosa stia accadendo ma sicuro che si
tratti di qualcosa. Qualcosa d’importante.
Alla fine il suo
coinquilino mormora, la voce a
malapena udibile sopra il tuono che esplode fuori dalla finestra:
«Sono stato adottato».
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Herjan è uno degli appellativi di Odino, significa semplicemente
"signore". Oltre al fatto che mi piaceva il suono, ho ritenuto inutile
chiamare Loki "Laufeyson" o "Odinson", visto che ci sarebbe stato
l'ovvio, imbarazzante problema di dover poi dare lo stesso cognome a
Odino (... Odino Odinson? No grazie XD).
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