DAY
BY DAY
“This is the
Central Line Station for Ealing Broadway”
Immersa nei miei pensieri, quasi non mi ero accorta di essere arrivata
alla mia fermata della metropolitana.
“Morgana, mi stai ascoltando?”
Una mano leggera mi scuoteva la spalla.
“Andiamo, ti sei addormentata? Hai due occhi tremendamente
rossi”
Ginevra mi guardava con una faccia preoccupata.
“Non preoccuparti, ho solo bisogno di qualche ora di buon
riposo”
Non era vero, ovviamente.
Avrei solo voluto prendere il treno successivo, raggiungere il centro
di Londra e rifugiarmi tra i vasi antichi e i faraoni ammuffiti del
British Museum.
Poche ore prima camminavo accanto a Ginevra, i Gazette che pompavano
nelle cuffiette del suo Ipod, ad Hyde Park, nel cuore della capitale
inglese.
Una pioggerellina di fine estate rendeva il prato di un verde
particolarmente brillante.
Eravamo in vacanza-studio a Londra per due settimane.
Sapete, una di quelle semi gite organizzate dalle scuole fuori dai
periodi di studio, dove si soggiorna presso una famiglia straniera.
La nostra scuola, un istituto commerciale a con vari indirizzi, era
abbastanza rinomata per questo genere di viaggi.
Io frequentavo un corso che comprendeva tre lingue, ma per farmi
partecipare la mia insegnante di inglese quasi mi ci aveva trascinato
per i capelli.
Ero timida e insicura, mettetevi nei miei panni.
Mi sentivo come impotente di fronte a quel mondo che, intorno a me,
continuava a cambiare; le mie forze, così almeno cedevo, non
erano abbastanza per superare gli ostacoli lungo il mio percorso.
E l’ostacolo che mi si presentò davanti quel
giorno sembrava essere il primo di una lunga serie.
Io e Ginevra, ferme su una vecchia panchina, parlavamo
dell’anno scolastico che ci attendeva.
Io sarei andata in quarta, lei in terza, anche se avevamo la stessa
età; un piccolo incidente di percorso può
capitare a tutti, no?
Ci eravamo appena conosciute, ma ci intendevamo alla perfezione.
Era come se la mia vita fosse un puzzle, e lei una dei principali pezzi
mancanti.
Avevo tante amiche, ma il rapporto che si era instaurato con lei in
pochissimi giorni non aveva eguali
Non avevamo dunque alcun problema a confidarci l’una con
l’altra.
In quel momento stavamo parlando …..di che parlavamo? Ah
sì, dei nostri professori.
Mi raccontava della sua insegnante mezza matta di informatica, e io le
rispondevo che non si potevano fare confronti con il pezzo
d’antiquariato che avevo io per storia dell’arte.
Ridevamo a crepapelle.
Ognuno ha dei professori buffi, ma i nostri, chi li avrebbe mai battuti?
Ovviamente, però, ad alcuni eravamo anche affezionate.
Per quanto mi riguardava, ammiravo molto la mia professoressa di
lettere (o semplicemente storia e italiano, come vi pare).
Aveva sempre una risposta a tutto; le sue spiegazioni, per quanto
soporifere, erano comunque interessanti, e non potevano non entrarti in
testa.
Insomma, mi trovavo bene, e non potevo lamentarmi.
A conversazione finita, la mia insegnante d’inglese, che ci
aveva accompagnato in Inghilterra, si era avvicinata a noi senza che ce
ne accorgessimo minimante.
“Morgana” disse lei, per richiamare la mia
attenzione “ho ascoltato involontariamente
quello che avete appena detto”
Io e Ginevra eravamo intanto diventate rosse fino alle punte dei
capelli.
Dannazione, avevamo parlato alle spalle per chissà quanto
tempo dei suoi colleghi, e non ce ne eravamo nemmeno accorte!
“Comunque, ho delle brutte notizie per te; mi dispiace, ma
cambierai professoressa di lettere”
DIN DON DAAAAAAAAN.
Bene, benissimo,
pensai.
Dovete sapere una cosa su di me.
Ho sempre odiato i cambiamenti, anche quelli di poca importanza.
Se mia madre cambiava shampoo andavo su tutte le furie.
Ma mi incazzavo veramente, eh.
Cambiare parrucchiera, non se ne parlava. Solo lei conosceva il tono di
nero adatto per i miei capelli.
Quando poi ho dovuto cambiare dentista, non vi dico le scenate che ho
fatto.
Ma non avevo scelta! Poverino, aveva anche 85 anni.
Insomma, per concludere, temevo che ad ogni cambiamento corrispondesse
una rottura con un pezzo della mia vita.
Comunque, a quelle parole, scoppiai a piangere.
No, non, non sto scherzando.
Mi nascosi dietro un albero; non singhiozzai, mi limitai a fissare la
strada oltre le siepi del parco dietro un velo di lacrime.
Non se ne accorse nessuno, fortunatamente, anche perché non
avrei saputo dare alcuna spiegazione a quella crisi.
Ed eccoci tornati alla scena iniziale.
Scesa dalla metropolitana, le lacrime continuarono a scendere anche
lungo il tragitto per tornare dalla famiglia che mi ospitava.
E ancora, nessuno se ne accorse, fortunatamente.
Potrà sembrarvi stupido, ma all’epoca ero
veramente spaventata all’idea di cambiare
quell’insegnate.
Non sapevo cosa aspettarmi.
Significava per me dover ricostruire dall’inizio un rapporto
che mi era costato molto, ma che infine si era trasformato in fiducia
reciproca e collaborazione.
Non l’ho mai raccontato a nessuno chiaramente, in quanto
nessuno dei miei coetanei lo avrebbe potuto capire.
Nessuno di loro avrebbe compreso l’importanza che la figura
dell’insegnante ricopriva per me.
Li vedevo più dei miei stessi genitori, che diamine.
Ero arrabbiata, e non avevo idea di come affrontare la situazione.
La settimana dopo tornammo in Italia.
Le lezioni erano cominciate già da una settimana, e quindi
mi trovai catapultata in un universo già formato.
Quel lunedì, sedendomi nel mio banco(che avevano gentilmente
riservato per me) provavo un senso si smarrimento totale; in effetti,
era così ogni anno.
Le prime ore passavano sempre lente e noiose.
All’intervallo, il classico baccano mi aspettava fedele fuori
dall’aula 8, la mia aula; così, avevo pensato di
rimanermene comodamente in classe.
Sempre all’ultimo posto a destra nell’ultima fila,
rigorosamente.
Non avevo nemmeno voglia di parlare con Ginevra, per il
semplice motivo che non avrei saputo dirle cosa mi passava per la testa.
Ad un tratto, qualcuno entrò nella mia aula; questa era
vuota, a parte me.
Era un’insegnante, dedussi; teneva i libri sotto il braccio
sinistro, mentre nella man destra reggeva il pesante registro rosso del
nostro istituto.
Aveva i capelli rossi, un rosso troppo brillante per essere naturale, e
un maglione viola a righe.
Portava degli occhiali rotondi; era esile e piccola di statura.
Un pacchetto di sigarette Camel le cadde dalla tasca.
Sembrava uno di quegli strani elfi di Babbo Natale appena arrivato
dalla Finlandia con furore; mancava solo il sacco di tela pieno di
pacchi dono.
Notando di non essere sola in classe, mi aveva sorriso.
“Buongiorno, tu devi essere Morgana; mi avevano informata che
eri in vacanza studio. Io sono la tua nuova insegnante di italiano e
storia”
Rimasi bloccata per qualche secondo.
Per una settimana intera mi ero torturata al pensiero di questo momento.
Ed era giunto in un attimo, inaspettatamente, e con un sorriso che non
avevo previsto; quel sorriso avrebbe illuminato la notte più
buia se avesse voluto.
Poi la riconobbi.
Qualcuno mi aveva spesso parlato di lei; in effetti, avevo una cugina
di due anni più grande di me in quella stessa scuola, che
ormai si era diplomata.
Era stata lei a raccontarmi della “Rossa”,
così infatti era soprannominata la mia nuova professoressa,
a causa del suo strano colore di capelli.
“Quella, o la si odia o la si ama” mi aveva detto
Clarissa, mia cugina.
“E’ brava, nulla da dire, ma tante volte quasi le
ho tirato un libro in testa”
Prima di allora, non ero mai venuta a contatto con lei.
“B-Buongiorno” fu l’unica cosa che ero
riuscita a dire, dopo una pausa imbarazzata.
La campanella infine mi aveva salvata.
L’aula 8 si era intanto riempita di nuovo; la lezione con la
nuova insegnante dai capelli color del fuoco era cominciata.
Storia, il Cinquecento spagnolo e i Conquistadores.
Eccoci ad un altro punto cruciale.
La Storia: materia tremendamente pesante per tutti; anche per molti di
voi, lo so bene.
Ma cosa posso dire di me? Io l’ho sempre trovata
appassionante.
Sì, è vero, senza di essa non capiremmo il
presente e blablabla,
ma quello che interessava a me era scoprire i pensieri e le paura di
tutti i personaggi protagonisti degli eventi più celebri.
Avrei dato qualsiasi cosa per avere una macchina del tempo e incontrare
Napoleone o Alessandro Magno, dico davvero.
La prima lezione non andò per nulla male.
Era davvero brava come si diceva nelle spiegazioni; nei suoi occhi
riuscivo a cogliere delle scintille di entusiasmo che mai avevo visto
nella mia carriera scolastica.
Quell’ora, ricordò, passò in un attimo,
come un battito di ciglia.
Poi se ne andò, e io continuai a pensare a quel sorriso.
I mesi intanto passavano, e così le mie paure si
scioglievano all’arrivo del tepore primaverile.
Era come se quella realtà in cui avevo sempre vissuto stesse
cambiando radicalmente.
Lo studio non era un problema; mi impegnavo, e i risultati arrivavano.
Ma soprattutto mi dedicavo alle materie della Rossa, ovvero italiano e
storia; non potevo farne a meno.
Lei riusciva a trasmettermi una tale passione alla conoscenza e alla
cultura, che mi chiedevo come avevo fatto a vivere così
superficialmente fino ad allora.
Sentivo poi, o meglio, pretendevo, di dover dare il massimo per non
deluderla. Volevo, cercavo la sua approvazione.
Inizialmente si trattava solo di dare una buona impressione di me
stessa, così da mantenere la mia fama da ottima studentessa;
ma poi, andando avanti, si era creato come un legame speciale solamente
tra me e lei.
Provava una certa simpatia per me; non davo problemi durante le
lezioni, ma vedeva che mi interessavo a fondo alle sue spiegazioni.
E non era mai stato tutto così naturale per me.
Un giorno addirittura si complimentò con me per il mio modo
di scrivere: era un esame su Ugo Foscolo; io non sapevo praticamente
nulla sull’opera da sviluppare, eppure per qualche strana
illuminazione divina riuscì a finire l’esame.
La barriera finale tra noi la superai quando ci consegnò la
lista di libri da leggere durante l’estate seguente.
(Premetto che ho sempre adorato leggere, e ho trovato molto divertente
e triste constatare che alcuni miei compagni non conoscessero autori
come Victor Hugo o Italo Calvino).
Scoprì che io e la mia professoressa di lettera avevamo
più o meno la passione per gli stessi libri, come
“Orgoglio e Pregiudizio” e
l’”Amleto”.
Queste sono ovviamente opere universalmente note, ma mi aveva fatto un
gran piacere avere degli interessi in comune con lei oltre lo studio.
A volte mi spingevo durante le lezioni a fare dei commenti
più approfonditi su di essi, e i miei amici trovavano il mio
comportamento sfacciato; in realtà, non lo facevo per
mettermi in luce o altro, ma solo per una reale curiosità.
Spesso le chiedevo anche consigli sulle letture, e grazie lei ancor
oggi so come muovermi in una libreria.
Infine, era arrivato giugno.
Una comunicazione ci aveva avvisato che avremmo dovuto partecipare ad
un incontro per una futura scelta della facoltà
universitaria.
Quest’ incontro lo aveva proposto casualmente la Rossa, un
mesetto prima.
Non avevo ancora le idee precise al riguardo, quindi partecipare
sarebbe stato molto utile.
Al termine delle due ore di conferenza, mi ritrovai ad uscire per
ultima dalla sala.
Sentii dei passi alle mie spalle, e quando mi girai mi ritrovai faccia
a faccia con la mia professoressa di lettere.
“Allora, Morgana, cosa vorresti fare dopo la
maturità?”
Rimasi interdetta; le parole morivano in gola.
Non avevo mai confidato a qualcuno i miei desideri; era come svelare un
lato fragile di me, e i miei genitori non l’avevano presa
bene quando gli dissi cosa avevo intenzione di fare dopo.
Per questo ero così restia a parlarne.
“Ecco, non ne sono molto sicura …vede, vorrei
veramente iscrivermi alla facoltà di Storia, ma non credo
sia una buona idea”
“E perché mai?” mi chiese, con un tono
che mi ricordava vagamente gli abbracci di mia madre.
“Bhe..non so come spiegarglielo. La storia mi appassiona come
mai nient’altro ha fatto, ma dopo? Io non voglio fare
l’insegnante”
Lei allora mi guardò dubbiosa.
“Non che sia un brutto lavoro” mi affrettai a dire,
arrossendo un poco “ ma vorrei fare altro. Ad esempio,
scrivere. Scrivere delle grandi battagli, dei celebri imperatori e di
tutto quello che imparerei!”
“E cosa te lo impedisce allora?”
“Ecco, ne ho parlato con i miei genitori qualche tempo fa.
Non ci crederà, ma mio padre non mi ha rivolto la parola per
due giorni interi. Trovava la mia idea alquanto stupida e insensata.
Entrambi vogliono che io studi per trovare un lavoro che mi permetta
solo di guadagnare denaro. Poco gli importa di quello che voglio
io”
“Ho capito. Forse i tuoi genitori hanno un modo alquanto
particolare per dimostrarti il loro affetto e la loro preoccupazione
per te, ma, vedi, a
volte bisogna fare semplicemente ciò che si ama,
e sono sicura che il tuo interesse è sincero”
Mi disse proprio così, il cuore in mano.
Non sapendo più cos’altro dire, le sorrisi, la
ringrazia, e me ne andai.
Non dimenticherò mai le sue parole; i suoi genti e le sue
espressioni mentre le diceva rivelavano una forte preoccupazione per
me, e ne ero profondamente lusingata.
L’anno dopo, cambiai di nuovo professoressa, e non ebbi
più occasione di parlare nuovamente con la Rossa.
A giugno dello scorso anno mi diplomai, e ora sono felicemente iscritta
alla facoltà di Storia di Padova.
Mi trovo molto bene, e studiare non mi pesa affatto.
In tre anni dovrei concludere il mio percorso di studio senza
particolari sforzi.
E dopo?
Dopo, mi chiedete.
Non so nemmeno io cosa succederà dopo.
Ma, se un giorno incontrerò ancora la mia insegnante di
lettere di quarta, potrò solo dirle, dopo un lungo
abbraccio, Grazie.
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Pronto pronto,
Morgaine al microfono °-°
Grazie per aver
speso il vostro prezioso tempo leggendo questa storia.
Vedete,
è quasi tutta in parte autobiografica.
Purtroppo, non sono
ancora iscritta a Storia, e l’anno prossimo mi aspetta la
maturità *AIUTO*
Comunque, vorrei
dedicare Day by
Day
alla mia professoressa di lettere (ndr, non si era capito Morgaine) che
ammiro dal profondo del cuore e che non dimenticherò MAI.
Ah, Morgana
ovviamente sono io, mentre Ginevra è la mia PatatinaH Jo
Gates,
che mi sopporta sempre e alla quale voglio un mondo di bene <3
Si, i nomi sono
stati casualmente decisi separatamente, lol.
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