LO SPLENDORE DELL’ORO
Titolo: Lo Splendore dell'Oro
Capitolo: 1. Midgard
Parte: 1/4
Personaggi: Thor e Loki, dalla Marvel
con furore.
Cose: La storia e il capitolo in
origine contenevano scene sessualmente esplicite che sono state eliminate per
rispetto al sito ospite. L’omissione non toglie nulla alla lettura della storia
che segue, ma chi fosse interessato alla lettura integrale può trovarla QUI. Per la
straordinaria interpretazione di Loki si ringrazia Shinji.
1. Midgard
La contea di Nordland
era bagnata da un mare plumbeo e da un cielo bianco, tinto di nubi che si
specchiavano nell’acqua e trasformavano tutto in un cupo gioiello d’argento, in
perenne movimento.
In mezzo si stagliava
la terra.
Una landa ruvida, di
rupi spezzate, fiordi e distese violente di alberi rosseggianti, con le cime
sempre piegate dal vento.
Thor spinse indietro
i capelli, nella raffica furiosa, e lasciò vagare lo sguardo nel buio della
foresta: un gesto familiare, che aveva compiuto molte volte a caccia o quando
aveva passeggiato a cavallo. La terra di Norvegia non era molto dissimile dalle
pianure incolte che circondavano Asgard, la città d’oro degli dèi.
“Dove sei, Loki?”
domandò a se stesso e al vento.
Si inoltrò tra gli
alberi, un passo dopo l’altro, il mantello scarlatto che vibrava violento nel
paesaggio gelato.
Dopo la sua presunta
morte sullo spezzato ponte del Bifrost e dopo la lotta contro i Vendicatori a
New York, Loki era stato giudicato da Odino in persona per la propria condotta.
Il Padre di Tutti,
però, non era riuscito a essere troppo feroce con lui. Ancora lo considerava
suo figlio.
E adesso Loki,
allontanato da Asgard e controllato strettamente, seppur a distanza, aveva
trovato rifugio a Midgard.
Lontano dagli Stati
Uniti e dai luoghi che lo avevano visto contrapporsi a lui, Thor, e ai
Vendicatori. In un luogo meno colorato, meno chiassoso. Più familiare.
L’Europa del Nord, la
terra di Norvegia, la contea di Nordland. Così simile alle lande che circondavano
Asgard.
Thor sapeva di essere
vicino, mente assottigliava gli occhi in due lame azzurre per scandagliare tra
il fitto dei tronchi. Indugiò con lo sguardo su una radura che si apriva tra
gli alberi cercando un raggio di luce pallida dal cielo e rimase incerto.
Lui avrebbe scelto
quel luogo, così raccolto e arioso. Ma Loki?
Passò il peso da una
gamba all’altra. Loki avrebbe scelto l’intrico della foresta, invece. Fece una
smorfia, perché avrebbe dovuto continuare a inoltrarsi.
Guardò la radura con
più intensità, nella sciocca speranza che, magari, Loki Laufeyson sarebbe
potuto apparire lì, se lui lo avesse desiderato con abbastanza convinzione.
Naturalmente, Loki
Laufeyson non apparve e il figlio di Odino affondò tra gli alberi.
La foresta era gelida,
tutt’attorno, coperta da un sottile strato di neve. Quando il vento fischiava
tra i rami, urlava come una donna ferita.
“C’è del ghiaccio a
terra, Odinson. Si potrebbe scivolare.”
Thor si girò appena a
guardare da sopra la spalla.
Eccolo lì, suo
fratello. Con l’armatura a raccogliere i riflessi di luce, lo scettro stretto
in mano, avanzava silenzioso apparendo e scomparendo tra gli alberi.
“Loki. Ci ho messo
secoli a trovarti.”
“Non sai dove
cercare.” Sogghignò. “Come al solito.”
“Ma alla fine, ti
trovo sempre.”
“Mi faccio trovare”
puntualizzò.
Thor sospirò e coprì
la distanza che li separava in due ampie falcate, appoggiando la mano a un
tronco umido, per piegare il viso accanto a quello di lui.
“Fratello…” cominciò.
“Non lo sono, tuo
fratello” sibilò Loki. “Non capisco perché tu sia qui. Come ben sai, non ho
molto da raccontarti. Il luogo in cui mi trovo, le condizioni che sono state
poste su di me, non mi permettono grandi attività. Con la benevolenza di Odino,
ovviamente.”
Disse l’ultima frase
col tono garbato che nascondeva una collera gelida e sottile.
Thor gli lanciò
un’occhiataccia.
“Dovrai pur fare
qualcosa” sospirò. Sedette su un tronco spezzato – il furente lavoro di un
fulmine, notò – e si tolse l’elmo, passando la mano tra i capelli. “È da molto
che non ho tue notizie.”
“Temi, Thor Odinson?”
Loki scomparve
davanti a lui, come ingoiato dal vento. Un battito di ciglia e gli comparve
alle spalle, appoggiando entrambe le mani sulla sua schiena. “Temi che stia
tramando qualcosa ai danni della tua amata Midgard?”
Thor non si voltò.
Che fosse un chiaro segno per Loki del fatto che non lo temeva.
“Dovrei?”
“Dovresti. Quello che
non dovresti è fidarti di me.”
Adesso Thor si girò a
guardarlo. Ebbe in risposta il solito vago sorriso.
“Loki. Cosa devo fare
con te?”
“Ti aspetti da me una
risposta? Non impari mai.”
“Neanche tu impari
mai, vero?”
Fu il suo turno per
un mezzo sorriso. A dire il vero se lo sentì allargare sulle labbra e se lo
concesse ampio, sornione.
Un movimento rapido,
economico, di uomo abituato alla battaglia. Senza nemmeno darsi troppa pena di
alzarsi, ribaltò Loki sul terreno umido, morbido di muschio. Loki spalancò gli
occhi verdi nella sorpresa ed emise uno sbuffo. Per un momento, fu come tornare
a quando avevano dodici anni e non c’era tra loro nessuna ostilità se non la
furia indomabile del gioco.
“Imbecille!” sussurrò
Loki. Poi divenne vento, di nuovo, sottraendosi alla sua presa, e ricomparve
qualche passo più in là, oltre il tronco, l’espressione oltraggiata di un gatto
sorpreso a cadere dal tavolo.
Si spolverò i
vestiti, elegantemente.
“Anche quando questa
situazione avrà trovato compimento” Loki lo dardeggiò con uno sguardo, per poi
abbassarlo alla propria mano, che ancora scorreva sul tessuto. “Non farò
ritorno ad Asgard. Sono stanco di essere il secondo, fratello.”
Calcò sulla parola e
fece un passo, allontanandosi, apparentemente distratto.
“È assurdo, Loki.”
“Assurdo?” Laufeyson
scattò come un serpente, girandosi. “Che arroganza, per chi è sempre stato il
preferito. Dovrei anche stare ad ascoltarti?”
Agitò il mantello,
teatrale, facendo per andarsene, ma Thor gli afferrò il braccio, costringendolo
a girarsi.
L’altro gli riservò
uno sguardo gelido, ma con il fuoco dietro alle iridi.
“Loki, questa storia
non ha fondamento e deve finire. Odino ti ama, Frigg ti ama. Le tue rimostranze
sono senza valenza e troveranno chiarimento. “ Lo scosse, come se potesse
servire a riportarlo in sé. Poi, come svuotato, appoggiò la fronte alla sua. “E
pensare a come potrebbe essere. Tu, al mio fianco…”
“Non sarò
l’attendente di nessuno. Io sono nato per essere re!”
Lo spinse via e
indietreggiando appoggiò la schiena a un albero. Rimasero a fissarsi così per
un tempo indefinibile durante il quale il vento piegò al proprio volere le cime
degli alberi, ululando al cielo.
Piano, Loki si
raddrizzò.
Cominciò ad
allontanarsi, ma non parve correre via. Sembrava di più che si aspettasse di
essere seguito.
Thor lo seguì.
Non aggiunse una
parola, perché col tempo aveva imparato a conoscere i tempi di dialogo di Loki.
Lo affiancò, in silenzio, e camminò al suo fianco nella foresta.
Loki guidò la
spedizione nell’intrico dei rami, mantenendo la costa ghiacciata a lato.
Impegnandosi, Thor poteva scorgere la linea plumbea del mare, in lontananza tra
gli alberi, dove gli occhi di un mortale non sarebbero arrivati.
Si fermò di colpo,
quando il fratello gli stese un braccio davanti, immobile.
Con quella stessa
mano fece il gesto scenico di scostare qualcosa e l’immagine stessa della
foresta davanti a loro si aprì, come Loki avesse sollevato un sipario davanti a
loro.
Scenografico. E
tipico della sua persona.
“Non avrai pensato
che vivessi sotto gli alberi, mi auguro.”
Thor entrò per primo,
lasciando che Loki richiudesse la foresta dietro di loro.
Era un’abitazione
ampia, un soggiorno a pianta circolare sul quale si affacciavano altre stanze a
raggiera, che dall’ingresso poteva vedere appena.
Per linee e
arredamento ricordava i saloni di Asgard, sebbene non brillasse delle stesse
tinte d’oro. Le ampie vetrate lasciavano penetrare la luce pallida di Norvegia
in lame gelate, il metallo delle cromature e i marmi pregiati ne esaltavano il
rigore, addolcito appena dal legno decorativo, dai tappeti e dalle pellicce
morbide che tappezzavano i pavimenti. Solo il fuoco nel camino crepitava con
bagliori che ricordavano lo splendore dell’oro.
“Una delle mie
sistemazioni” spiegò Loki. Lasciò svanire armatura ed elmo in favore di abiti
eleganti e prendendo il centro del suo soggiorno, per poi scoccargli
un’occhiata.
Thor vi lesse sfida e
orgoglio, tutto insieme. Gliene fu grato. Capì che con quel gesto stava
cercando, alla lontana, la ricostruzione di un possibile rapporto: non si mostra
un rifugio a un nemico, altrimenti, né lo si fa entrare.
Lo stramaledetto
Odinson si spogliò dell’elmo e del mantello prima di accomodarsi accanto a lui
a gambe larghe. Loki lo guardò con la coda dell’occhio.
“Vivi qui da solo?”
“Ovviamente. È la mia
condizione.”
Spinse in avanti il
mento, quando arrivò la mano di Thor sulla testa a scompigliargli i capelli. Ruvida,
senza delicatezza, ma affettuosa.
Loki sospirò, senza
resistere alla tentazione di rimettersi in ordine. Che fatica doveva fare, con
quell’uomo?
Allungò una mano al
basso tavolo di mogano, davanti a loro, e dischiuse le dita facendovi
germogliare la magia dei ghiacci. Ne ricavò due calici di cristallo finissimo
colmi di vino. Allungò la mano di più e ne prese uno.
“Bevi” sbottò. Almeno
se ne sarebbe stato zitto.
Sorseggiò il liquido
dorato, prendendosi il tempo per farlo girare nel calice e assaporarne l’aroma,
mentre il figlio di Odino vuotava il suo bicchiere con entusiasmo e lo
fracassava a terra in segno di apprezzamento.
“Ah, un vino ottimo.”
“Certo che lo è.”
Loki contemplò il cristallo in frantumi scomparire dal pavimento e lasciarlo
perfettamente pulito, poi si sporse all’orecchio di Thor con un sorriso
crudele. “I migliori veleni sono quelli più dolci.”
Si era aspettato
un’espressione allarmata sul viso di Odinson, alla prospettiva di avere bevuto
vino intossicato dalla magia, ma ricevette in cambio solo un sorriso.
“È un veleno solo per
chi non sa reggerlo.”
Loki boccheggiò. Era
così sciocco da non avere capito l’allusione? Invece pareva averla capita
benissimo, tuttavia non aveva creduto alla minaccia, e gli aveva lanciato una
sfida in risposta.
Anche Loki fracassò
il suo calice a terra e ne materializzò subito altri due.
“Bevi!” ripeté,
astioso.
“Cosa c’è, Loki? Vuoi
fare a gara?”
Loki sogghignò,
ferino.
“Vediamo un po’ chi
la spunta, Odinson.”
Bevvero.
Thor sospirò di
piacere e si allungò sui cuscini come solo una divinità del nord avrebbe
potuto. Terribilmente scomposto e terribilmente regale insieme, le caviglie
incrociate e il braccio ripiegato dietro la testa.
“Un altro.”
Loki lo guardò a
lungo.
“Bene” disse. Chiese
alla propria magia atri due calici e alle proprie scorte dell’altro vino.
Thor vuotò il proprio
e si leccò le labbra, come un gatto, piantando nei suoi gli occhi azzurri,
brillanti.
Loki produsse un
mezzo ringhio. Lo voleva morto.
Pensò che
avvelenargli davvero il vino non sarebbe stata una pessima idea, infondo.
Avrebbe potuto farlo.
Invece bevve e poi
diede il via a un altro giro.
Bevvero più
lentamente. Alla fine Thor ruppe il bicchiere dove aveva mandato a infrangersi
gli altri ed esso, come i calici che lo avevano preceduto, si dissolse sul
pavimento dopo pochi istanti, senza lasciare traccia.
Loki socchiuse le
labbra, guardandolo allentare i cordami di cuoio della tunica di Asgard,
liberando il torace.
“Fa caldo in casa
tua, fratello.”
“Un altro giro”
sibilò, in risposta Loki, tendendosi di più e mordendosi le labbra, trovandole
dolci. Passò il calice nella mano calda di Thor che si sollevava appena per
alzare il brindisi, spingendogli nel movimento il ginocchio contro la coscia.
Loki vuotò la coppa
in un due sorsate, senza smettere di guardarlo con rancore.
“Sei resistente.”
“Più di quanto
pensi.”
Loki socchiuse gli
occhi. Ma era vero che faceva caldo. Il fuoco nel camino sembrava irrorare la
stanza di calore, allentare il corpo. Slacciò il colletto soltanto, non
desiderando scomporsi troppo.
Ansimò leggero,
mentre una goccia di vino gli scivolava sulla mascella, lungo il collo. E
insieme alla goccia gelata sentì lo sguardo infuocato del figlio di Odino che
la seguiva, fino all’attaccatura delle clavicole, nell’incavo lasciato tra gli
abiti slacciati. Lo guardò stringere in due linee celesti, attente come se
fosse pronto all’attacco, i capelli appena scomposti che disegnavano un
bagliore dorato attorno alla figura.
Loki stese le labbra
a metà tra un sorriso e un ringhio. Non attese che Thor finisse il vino. Gli
sottrasse la coppa e la gettò a terra lui stesso, prima di afferrarlo tra le braccia
in una zuffa furiosa.
Lo odiava. Come lo
odiava.
Il mattino dopo, Loki
alzò lo sguardo dalla propria tazza e sollevò un sopracciglio, tirando appena
le labbra.
Esitò.
“Avanti, ricomponiti”
borbottò, davanti al dio del tuono che si era mostrato nell’arcata del
soggiorno, appoggiato allo stipite, nudo e con i capelli scomposti che
ricordavano la criniera di un leone.
Lo guardò passarsi la
mano sulla faccia e sbadigliare. Aveva dormito fino a tardi e non era ancora
sveglio del tutto.
Loki sospirò. Perché
se lo teneva in casa?
Thor sparì senza una
parola, solo per cercare i pantaloni attillati della sua uniforme di Asgard. Vestito
a metà si lasciò cadere sulla sedia di quercia lucida accanto a lui, come fosse
su un trono.
Allungò la mano e gli
sottrasse la tazza.
Dalla sua breve
permanenza a Midgard, Loki aveva capito che amava poche cose di quel mondo di
stupidi mortali. Una di queste era il caffè.
E Odinson glielo
stava bevendo.
Lo dardeggiò con uno
sguardo feroce, che l’imbecille si guardò bene dal cogliere, e andò a
prendersene ancora, sbottando.
Dalla foresta il sole
filtrava pallido e gelido, facendo brillare d’argento l’arredamento sontuoso
che Loki aveva scelto per sé.
Per sé e soltanto per
sé, non per sé e Thor.
Sibilò qualcosa al
suo indirizzo, tornando a sedersi e guardò dall’altra parte, godendosi il caffè
bollente.
Profumato, forte.
Sussultò infastidito,
sentendo la mano di Thor sulla spalla.
Poi però rimase fermo,
senza fare nulla perché la levasse. La sentì arrampicarsi sul collo, affondando
le dita ruvide nei suoi capelli. Profumato, forte.
Si sentì in diritto
di trafiggerlo con una risposta sgradevole.
“Facevi confusione
anche nel sonno, Odinson.”
Scoccò. E bevve un
sorso di caffè, soddisfatto.
“Che sciocchezze,
Loki. Dormivo.” Lo stupido figlio dello stupido Odino gli inanellò una ciocca
alle dita. “Ma ti stavo sognando.”
Loki tirò le labbra
sui denti, sentendosi come un lupo sorpreso dalla minaccia del temporale.
Gliele diceva con una serenità così lineare, quelle sdolcinatezze senza alcun
senso, che aveva sempre il suo effetto.
“Mh. Sentimentale,
come al solito” esalò. Bevve il caffè, ne bevve ancora, guardò la gelida luce
radente che accarezzava il pavimento di pietra dura e le pellicce lavorate
stese accanto al fuoco. Ascoltò le dita del dio dei fulmini sulla sua nuca,
bevve un altro sorso e poi si maledisse, perché domandò: “Cosa stavi sognando?”
“Eri con me sulla
sponda di un lago” tagliò corto l’imbecille, senza smettere farlo ammattire con
la mano tra i suoi capelli. “Nella foresta, dietro il palazzo. Ad Asgard,
naturalmente. Hai presente, no?”
“Sì.”
“Eravamo a caccia,
forse. Era bello.”
Loki si voltò appena
a guardarlo da sopra la spalla e il maledetto lo salutò con uno sguardo pulito,
azzurro come il cielo. Imbecille.
“Difficile” ringhiò.
“A quel lago si abbeverano pochi animali che tu ami cacciare. Avrai sognato la
volta del Binglesnipe.”
“Sì.” Thor sorrise.
“Sono quasi sicuro che fosse quella. Sai come sono i sogni.”
“Mescolano ricordi senza
troppo significato.” Loki mosse appena le spalle e tornò a voltarsi,
appoggiandosi alla mano di Odinson e sapendo bene di mentire, lui che era uno
sciamano quanto lo era Odino.
“Tu che ricordi ne
hai?”
“Era un mostro che ci
aveva dato del filo da torcere. Lo abbiamo combattuto proprio nel lago.” Sibilò
Loki, duro. “E io, infine, l’ho ucciso.”
“È stata una bella
battaglia. Mi hai salvato la vita.”
Loki strinse le
labbra. Sentì la risata giovanile di Thor riempire la stanza ed ebbe voglia di
girarsi e mordergli la mano, da staccargli le dita.
“Esattamente” disse
invece.
“Me ne ero quasi
dimenticato. Dopo gli ultimi avvenimenti.”
L’affermazione colpì
Loki come una stilettata.
Si girò, scattando
come un serpente e piantandogli gli occhi in faccia. Il proprio sorriso era
freddo e tradiva un certo orgoglio, mentre ripensava all’ultima lotta lì a
Midgard che aveva visto lui, un dio, contrapporsi ai mortali, allo stesso Thor
che adesso dormiva nella casa del suo esilio, e a quel male assortito manipolo
di stupidi vestiti – nella migliore delle ipotesi – con le mutande sopra le
calzamaglie. Gli Avengers, si facevano chiamare: i Vendicatori.
Che potessero
marcire.
“Ho cura di
ricordarmi le mie vittorie” disse, gelido. “Thor Odinson.”
Il maledetto gli
sorrise in risposta. Più caldo del sole di Norvegia, splendente come l’oro di
Asgard.
“Fai bene.” Quasi
distrattamente, gli prese la mano, in un gesto affettuoso. Loki avrebbe voluto
distendergli il braccio e piantargli un pugno sul naso, invece rimase a
guardarlo torvo. Il principe di Asgard appoggiava le labbra sulle sue dita. “Io
invece, me ne ricordo altre.”
“Di tue vittorie?” lo
canzonò. “Che strano. Ne hai collezionate così poche.”
Thor sospirò.
“Di tue, Loki. Quando
la smetterai con questa tua presunta inferiorità?”
Loki sibilò, tendendo
i muscoli.
Aveva preparato sulla
lingua una risposta tagliente, ma il biondo, forte imbecille lo aveva tratto a
sé con un braccio, facendolo appoggiare al proprio petto. Loki tacque, la
guancia premuta alla pelle nuda di Odinson, mentre veniva costretto a
recuperare dei ricordi antichi, seguendo le parole di Thor.
“Ti ricordi la nostra
prima vittoria? Avevamo dodici anni, uno più uno meno. Era una notte d’estate.”