Autore: Ss904
(Sophrosouneh)
Fandom: Angel
Sanctuary
Personaggi: Rosiel,
Alexiel
Set: Stati
d’animo
Prompt:
Lussuria
Storia
partecipante alla Challenge
Think Angst di Simph8
e Vogue91
Il corpo dei Gemelli.
Se ne
stava seduta lì, a pochi passi da lui.
Solo
la solida pietra secolare che cingeva il giardino dell’Eden
adesso li separava.
Poteva
sentire la sua essenza immobile su quel trono diroccato.
I
poteri di Alexiel, inibiti dall’effetto del giardino, ancora
erano capaci di incutere timore e rispetto a qualsiasi Angelo.
Quella
era la donna più forte e bella di tutto
l’Aziluth.
Forse
anche perché si era presa tutta la vita che sarebbe di
diritto spettata a lui.
Rosiel
sfiorò con il palmo della mano la nuda pietra.
Nell’esistenza
della sorella, fin nel suo stesso respirare, ritrovava se stesso.
Gemelli
separati alla nascita, truce era il loro destino.
“Parlami
Alexiel!” un invocazione, una preghiera rivolta ad una dea
troppo umana per concedersi il lusso di rispondere ad un orante.
Rimase
inascoltata la sua supplica.
Ogni
giorno la pregava di concedergli anche solo uno sguardo, ma non
otteneva altro che indifferenza.
Alexiel
era ancora giovanissima, ma sapeva ferire con una capacità
innata.
Raccogliendo
tutte le proprie energie il bambino andava a far visita alla ritrosa
sorella ogni giorno.
Le
profonde piaghe e le numerose deformazioni che ne alteravano
l’aspetto gli rendevano difficili anche le più
comuni azioni come alzarsi dal letto e camminare.
Disobbedendo
all’ordine di Dio Padre, si affacciava sulla soglia di quel
giardino, sperando di cogliere nel volto di Alexiel una qualche
emozione nei suoi confronti.
La
vide abbeverarsi al fiume mormorante che scorreva ameno nella piana.
Era
la creatura più bella che avesse mai visto.
Cos’era
lui se non una sua orribile caricatura?
I
loro corpi, quelli di due gemelli, non potevano essere più
differenti.
“Lei
si è nutrita di te, Rosiel. Lei non ti ama. Solo di me ti
puoi fidare.”
Ben
ricordava le parole del Dio Creatore.
Suo
padre aveva ragione, era diventato un orribile mostro solo a causa sua.
Voleva
indietro ciò che gli era stato strappato tanto barbaramente.
Voleva
assaporare quella normalità a lui reclusa.
Voleva
potersi specchiare in quegli occhi freddi e riconoscersi in quel
riflesso.
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Poteva
sentire sulle labbra la morbida consistenza della pelle della
clavicola, per poi affondarci i denti senza alcun segno di esitazione.
Crudelmente
le lambiva la pelle con la lingua umida prima di strapparne i tessuti
molli.
Rivoli
di sangue si riversavano dalla profonda ferita.
Mentre
addentava famelico le carini della sorella addormentata, nessun altro
pensiero gli sfiorava la mente se non quello di voler assomigliare
almeno un po’ a quell’essere tanto perfetto.
L’avrebbe
divorata fin che non ne sarebbe stato sazio.
Mangiare
del corpo stesso dell’amata gemella era più
rifocillante che ingurgitare passivamente le medicine delle suore.
Nutrirsi
del suo corpo risvegliava in lui desideri mai sedati: lascivia e
lussuria si confondevano in un inebriante cocktail di morte.
Come
ne strappava brandelli di carne, essi immediatamente ricrescevano dal
nulla.
E
la principessa continuava a dormire nel suo Eden sanguigno.
Ogni
notte il fratello tornava e divorava una parte di lei.
Gli
occhi, le guance, il petto, le mani, le labbra.
Ogni
brandello di lei aveva un diverso odore e sapore, Rosiel aveva imparato
a riconoscerli ed a divenirne assuefatto.
Ogni
notte Rosiel si nutriva di Alexiel per tentare di affrancarsi da quella
orrenda immagine di mostruosa creatura.
E
la sorella, placidamente, si lasciava divorare, distesa tra le braccia
insanguinate del fratello.
Fin
quando, un giorno, si svegliò dai suoi mistici
sogni d’alabastro, fissando immobile Rosiel prono
su di lei.
Non
un’espressione velava quel volto di marmo.
Gli
occhi, più profondi del nulla, scrutavano fin dentro
l’anima di quello sventurato pellegrino.
“Mi
stai guardando, sorella? Dopo tutti questi anni posso vedere i tuoi
occhi.” Sussurrò Rosiel tremando percettibilmente.
L’abbracciò
stretta, ma le braccia delle bambina rimasero ferme nella loro
posizione.
“Perché
lo stai facendo?”
Era
stupendo. In quella voce si riassumeva un senso di raffinata
compostezza, ma anche di un’assoluta ed incontenibile forza.
Non
aveva mai udito la sorella parlare, ma non immaginava che le sue corde
vocali potessero dipingere tali arabeschi nell’aere muto.
“Perché
mi divori?”
Tuttavia
non c’era sentimento nella sue voce.
Era
immobile e severa, non un’emozione di qualsiasi sorta.
Pareva
una bambola in quel momento, una statua severa e bellissima nelle cui
vene non scorreva la vita.
Conosceva
le voci secondo le quali quella bambina contenuta nell’Eden
non fosse che una degenerata, ma non aveva mai voluto crederci.
“Cosa
c’è Rosiel, anche tu mi giudichi un mostro
perché mangio dei frutti del giardino? È vero,
sono un’ingrata che si nutre del corpo della sua stessa
madre.”
Disgusto.
Fu
questa l’unica nota che percepì nella sua voce.
Una
profonda avversione verso tutto il creato.
Era
paralizzato, ancora abbracciato a quel corpo, ne provava adesso una
sorta di orrore.
“Vattene.”
Solo
un sussurro ma più potente di ogni ordine.
Obbedì
Rosiel, allontanandosi velocemente da quel luogo.
Le
ferite che le aveva procurato anche quella notte si erano
già rimarginate perfettamente.
Non
proferì parola.
Nessun
suono avrebbe potuto mai eguagliare le parole di quell’angelo
guerriero.
Non
c’era altro da aggiungere.
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E
mentre osserva il fratello volare via da quel giardino
maledetto, una lacrima solco la guancia di quella maschera di dolore.
I
suoi occhi seguirono l’ombra dalle tre ali fin quando non
varcò i sacri confini, mentre le sue mani si strinsero sul
petto.
“Tu
non sei un mostro Rosiel. Sei l’essere più puro
che io conosca. Non lasciare che l’amore che provi per me ti
paralizzi. Dimenticami, odiami se necessario.”
C’era
amarezza nel tono dell’Angelo Organico.
La
consapevolezza di una verità tanto profonda quanto
angosciante.
Suo
fratello ancora si ostinava ad amarla.
E,
sebbene non potesse imporre al suo cuore di gioirne segretamente,
sapeva che questo non era ammesso, doveva imparare ad odiarla se voleva
essere libero di vivere nell’Aziluth, lontano da quel
giardino e da lei.
Quello
era il suo castigo, Rosiel doveva rimanere in salvo.
Si
era rinchiusa lei stessa in quella prigione.
Se
fosse rimasta in disparte e non avesse dimostrato a Rosiel
l’amore che provava per lui, il Dio Creatore avrebbe concesso
a suo fratello una vita normale.
Avrebbe
affrontato volentieri qualsiasi sacrificio per la salvezza della
persona che più amava al mondo.
“Tu
sei bellissimo, non importa ciò che dicono gli altri, non
lasciare che le loro parole ti mortifichino. Ai miei occhi rimarrai per
sempre l’astro più splendente del creato. Vivi per
me, Rosiel.”
Per
questo gli aveva concesso di divorare le sua carne: così
avrebbe ottenuto il corpo che tanto bramava, abbeverandosi dal suo
stesso sangue sarebbe rinato a nuova vita.
Adesso
erano veramente gemelli.
E,
così facendo, l’Angelo Inorganico avrebbe finito
per portarla sempre con sé.
A
lei tanto bastava.
Sapere
Rosiel vivo e libero era il suo unico desiderio.
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