COSTANTINUS
FUR DER OBERGUTE
COSTANTINO
Settembre 1897, Istituto Durmstrang.
L’Istituto Durmstrang per Maghi e Streghe era
un luogo piuttosto tetro; sorgeva a Nord, nei pressi delle gelide acque
del mar Baltico: un grosso castello, di cinque piani e con altrettante
torri, costruito con enormi pietre nere nei pressi di
un’immensa foresta di conifere. Il cancello di ingresso non
contribuiva a migliorare la visione d’insieme: era
un’enorme struttura di ferro battuto, decorata con draghi,
grifoni, gargoyle e altre creature fantastiche ed era vegliato da due
grandi statue di lupi accucciati, con le fauci spalancate. Non appena
Constantinus e suo padre Ambrosius furono a pochi metri di distanza i
lupi balzarono in piedi ruggendo. Il ragazzo fece un balzo indietro,
più stupito e sorpreso che autenticamente spaventato. Poi
scoppiò a ridere.
«Davvero
impressionante! Soprattutto di grande gusto. Credi che ci
attaccherebbero se provassimo ad entrare senza il permesso del preside,
padre?».
«Smettila di scherzare come uno sciocco, Costantino! Ricordati
che ho faticato non poco a farti ammettere a Durmstrang perché
tu potessi completare la tua istruzione magica. Spero bene che renderai
onore alla nobile casata dei Balsamo... e che non combinerai
stupidaggini di qualche tipo».
«Non
temere, padre, non deluderò le nobili anime dei nostri antenati.
Comunque la tua è tutta fatica sprecata!». Costantino
sorrise ironicamente. «Avrei potuto benissimo continuare a
studiare in Italia. Trovo che l'Accademia di San Marsilio sia
un’ottima scuola... e nel caso sfruttare la nostra ottima
biblioteca».
«Tu
studierai dove dico io, ragazzo!» Sbottò con astio
Ambrosio. «Durmstrang è un istituto molto più
celebre e molto più importante di quanto non sia San Marsilio.
Ottenere un diploma qui è prima di tutto un privilegio, oltre
che un titolo di studio più valido e maggiormente
riconosciuto».
In
verità, la ragione più importante per la quale Costantino
avrebbe completato la sua istruzione magica proprio a Durmstrang era la
posizione molto più flessibile della scuola nei confronti delle
Arti Oscure in generale. Da generazioni i Balsamo avevano un interesse
nei confronti di quella particolare branca della magia. Benché
nessuno osasse accusare apertamente la potente famiglia del Prior
Consul Italiae, tra la popolazione magica italiana si sussurrava che la
biblioteca della dimora di famiglia fosse piena di libri oscuri di ogni
genere, alcuni dei quali scritti dagli stessi esponenti della famiglia.
E per quanto i Balsamo sapessero presentare al mondo un volto di
rispettabilità e di onore, nel corso della storia non pochi
esponenti dell’antica casata avevano fatto parlare di sé
per le loro imprese. Tra questi anche quel Giuseppe che nel XVIII
secolo, con il soprannome di Cagliostro, aveva fatto parlare di
sé persino nel mondo Babbano. Alla fine era stato arrestato e
rinchiuso nel castello di famiglia, privato della bacchetta. I Balsamo,
naturalmente,avevano fatto di tutto per nascondere la cosa.
A Costantino
tutto ciò interessava ben poco. Non avrebbe voluto frequentare
Durmstrang: odiava l’idea di dover abbandonare l’Italia per
un luogo lontano e sconosciuto, odiava già le fredde coste del
Baltico, così distanti dalla splendida isola al largo della
Sardegna, dove sorgeva la sua vecchia scuola. Aveva sedici anni da poco
compiuti, un singolare talento per incantesimi e arti magiche e una
certa dose di arroganza. Il buon nome della famiglia gli era stato
sempre in sommo grado indifferente: ciò che cercava era
soprattutto una via verso la propria affermazione personale. Verso la
Grandezza, alla quale sentiva di essere destinato, in virtù di
un talento che – non a torto – riteneva straordinario. Suo
padre – pensava – era uno sciocco. Non serviva a nulla
percorrere centinaia di chilometri e gettare molto oro nelle tasche del
preside solo per far sì che lui, Costantino, fosse ammesso a
Durmstrang a studiare le Arti Oscure: per chi sapesse farsi furbo la
biblioteca dell'Accademia era più che sufficiente. Grazie ad
essa aveva appreso incantesimi, maledizioni e pozioni che avrebbero
fatto tremare i polsi persino al celebre
“Cagliostro”. Eppure poteva essere interessante frequentare
quella Scuola: un altro antico luogo di potere da cui attingere antica
sapienza e nuove conoscenze. E la Conoscenza è Potere. In
questo, almeno, si sentiva simile a suo padre: anche lui amava il
potere.
«Come
vuoi, padre». Costantino sbuffò forte e una sottile
nuvoletta di vapore si liberò per svanire nell’aria fredda
e secca dopo pochi secondi. «Dobbiamo aspettare ancora molto?
Comincio a temere di perdere un dito o due con questo freddo
malefico».
«Piantala di lamentarti!» sbottò nuovamente suo
padre. «Il preside von Klausen sta per arrivare. Quei lupi sono
una specie di campanello d’ingresso. E comunque ti conviene
abituarti al freddo...siamo solo a settembre quando l’inverno
arriverà... allora saprai cosa significa davvero la parola
“freddo”».
Il preside arrivò pochi
minuti dopo. Frederik von Klausen era un uomo molto alto e magro, il
suo volto, stretto e allungato, era accentuato da un pizzetto nero che
scendeva di pochi centimetri sotto il mento; indossava un cappotto di
pelliccia scuro sopra una lunga veste nera con il blasone di Durmstrang
cucito al centro.
«Caro
Ambrosio!». L’uomo strinse la mano di suo padre, parlando
con un certo calore, ma i suoi occhi grigi rimasero freddi. «Sono
veramente lieto che sia venuto anche tu! Come sta il Consul? Spero sia
sempre in salute».
«Mio padre sta benissimo come sempre, Herr
Frederik. Sfortunatamente governare il mondo magico italiano è
un impegno assai gravoso, altrimenti sono certo che sarebbe venuto a
salutarla. Si ricorda molto bene di lei».
Costantino sorrise tra sé.
Suo nonno e il preside di Durmstrang erano stati compagni di studi per
qualche tempo, ma Cesare Balsamo non aveva mai avuto grande stima di
von Klausen: “un emerito idiota che è diventato preside
più grazie all’oro di famiglia che per le sue
capacità” lo aveva definito prima di far partire lui e suo
padre. “Ma un idiota che ci è utile, per ora. Comportati
bene, ragazzo e non metterti nei guai.... oppure sarò molto,
molto deluso....”.
«Ma
certo! Lo capisco bene io! Sai, Ambrosio, solo gestire questo benedetto
istituto mi toglie tutto il tempo che vorrei dedicare ai vecchi amici,
come lui. Un lavoraccio, un vero lavoraccio! Questi giovani
d’oggi sono sempre più indisciplinati: combinano un sacco
di guai e passano il tempo a divertirsi anziché studiare. Non
c’è più il rispetto che avevamo ai nostri tempi. E
non che i professori siano tanto meglio. Non fanno che lamentarsi per
gli orari, la paga troppo bassa, il freddo troppo intenso...
mah!».
«Ebbene!
– aggiunse rivolgendosi finalmente a Costantino, assumendo nel
contempo un’espressione più cordiale - Tu devi
essere Costantino! Ah, il preside Abbate mi ha scritto una lettera
veramente lusinghiera nei tuoi confronti. Ti descrive come uno studente
di un talento eccezionale e di grande intelligenza. Sono certo che ti
troverai bene qui a Durmstrang».
Costantinus cominciava ad essere
stufo di tutti quei convenevoli: il professor Von Klausen non gli
piaceva affatto: lo irritavano il suo tono mellifluo e falsamente
gentile, il suo finto interesse per lo stato di salute di suo nonno o
per le sue capacità. Tuttavia continuò a recitare la sua
parte: si schernì umilmente dagli elogi del professor Abate, si
disse lieto e onorato di poter frequentare “la scuola di Magia
più celebre in Europa”, proclamò con certezza che,
seppure per un breve tempo, Durmstrang sarebbe stata la sua casa. Fece,
insomma, tutto ciò che suo padre si aspettava da lui, tutto
ciò che un Balsamo era tenuto a fare in simili circostanze.
Finalmente venne congedato: suo padre e il preside dovevano discutere
in privato di questioni molto importanti (oro, presumibilmente), mentre
un Elfo Domestico lo avrebbe condotto fino alla sua stanza, nella Torre
Nord del castello.
Avanzò
lentamente guardandosi continuamente intorno, come per memorizzare da
subito quell’ambiente nuovo che per almeno un paio di anni
sarebbe stato la sua casa; davanti a lui l’Elfo Domestico
trotterellava nervosamente facendogli strada lungo i corridoi e su per
diverse rampe di scale. A prima vista Durmstrang non gli piaceva
affatto. Il castello era davvero molto grande e – a giudicare da
ciò che aveva visto dall’esterno – il parco era
davvero molto esteso e ciò era indubbiamente interessante.
Tuttavia non poteva amare quella costruzione scura e cupa, con corridoi
stretti e scuri, tagliati da finestre che sembravano poco più
che feritoie. Passeggiando lungo le pareti scure non poteva che pensare
con rimpianto alla sua vecchia scuola, con i suoi corridoi ampi e
areati, i grandi finestroni istoriati, i cinque chiostri lungo i quali
si poteva passeggiare all’aria aperta, chiacchierare con gli
amici o studiare, al caldo tepore del sole Italiano. E poi il mare: la
sua Scuola sorgeva su una piccola isola al largo della Sardegna,
invisibile ai Babbani e indisegnabile per chiunque. Così, oltre
a qualche lezione di Erbologia o di Cura delle Creature Magiche, si
poteva frequentare la splendida spiaggia anche per un finesettimana di
allegria e divertimento. In ogni caso era piuttosto sciocco continuare
a rimuginare: che gli piacesse o meno Durmstrang sarebbe stata la sua
nuova scuola, l’ambiente in cui avrebbe finalmente completato la
propria istruzione, in cui avrebbe gettato le basi della sua futura
grandezza. Oltretutto Durmstrang era frequentata da studenti di molte
nazioni diverse e ciò gli avrebbe consentito di allacciare
rapporti con i migliori maghi nell’Europa centrale.
Immerso nei
suoi ricordi e nei suoi pensieri, non si accorse che l’Elfo che
gli faceva strada si era appena fermato davanti al portone che dava
accesso alla torre Nord; sovrapensiero lo superò e
proseguì oltre, lungo un altro corridoio scuro.
«Signore! Mi scusi, Signor Balsamo! Signore!» lo richiamò il piccolo Elfo.
«Che
c’è?» sbottò lui con malagrazia voltandosi
indietro verso l’Elfo, ormai a qualche metro di distanza.
«Siamo
arrivati Signore. La sua stanza è in questa torre».
rispose l’Elfo in tono spaurito.
«Ah... bene. Penso che ora me la possa cavare da solo. A che piano?».
«Al sesto, signore. La sua porta è la quarta sulla destra».
Il piccolo si
inchinò profondamente e fece per andarsene, probabilmente per
tornare ai suoi alloggi. «Aspetta!» lo fermò
Costantinus, ancora fermo sulla porta di accesso alla torre.
«Come ti chiami, Elfo?».
«Il
Signore vuole sapere il nome di quest’Elfo? – il piccolo
Essere sembrava confuso da un simile interessamento, un’ombra di
paura passò nei suoi grossi occhi a palla: probabilmente temeva
che il ragazzo lo volesse far punire per qualche sua mancanza –
Pinky, signore. Pinky l’Elfo domestico».
«Molte grazie per il tuo aiuto, Pinky!» disse, oltrepassando finalmente la porta.
La sua stanza
era abbastanza confortevole: a pianta trapezoidale e abbastanza
spaziosa, la parete esterna era solo leggermente incurvata, seguendo il
profilo esterno della torre, su di essa si aprivano un paio di
finestroni alti e stretti che davano sul parco, in quel momento
avvolto dalle tenebre. La stanza era abbastanza calda e lumininosa,
anche grazie al fuoco che scoppiettava allegramente nel piccolo camino.
Costantino immaginava che nei mesi invernali quel fuoco sarebbe stato
ancora più piacevole. Il suo bagaglio era già stato
deposto ai piedi del suo letto a baldacchino che lo aspettava caldo e
invitante. Nella stanza c’era solo un altro letto, oltre al suo,
e accanto ad esso una scrivania sulla quale si trovano disposti
ordinatamente una decina di tomi piuttosto voluminosi.
Era ancora
impegnato a disfare i suoi bagagli, quando la porta si aprì
all’improvviso nella stanza entrò un giovane piuttosto
alto i lunghi capelli biondi, leggermente mossi, che gli ricadevano
ordinatamente sulle spalle, indossava la divisa della scuola, identica
a quella che lui aveva trovato appesa accanto al suo letto.
«Oh. Tu
devi essere il mio nuovo compagno di stanza. Non ti aspettavo questa
sera, credevo non saresti venuto prima della prossima settimana».
«Credo
di sì. Non credevo che il mio arrivo fosse previsto. Comunque,
piacere. Il mio nome è Costantino. Costantino Balsamo».
Gli tese la mano, in segno di saluto.
Il giovane gli strinse la mano con una certa forza, fissandolo negli occhi.
«Piacere mio, Costantino. Io mi chiamo Gellert. Gellert Grindelwald».
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