Life
Freddie
percorre il corridoio dell'albergo arrabbiato più che mai
per il suo ennesimo ritardo
alle prove, Roger questa volta lo sente, questa volta si
infurierà talmente
tanto che quel mostriciattolo dalla chioma bionda non lo
dimenticherà per mesi.
La sua irresponsabilità dannazione, la sua
irresponsabilità!
Irrompe nella stanza registrandosi mentalmente il
discorsetto pieno di imprecazioni che è pronto a lanciargli,
prende fiato per
cominciare un animato litigio con lui, ma qualcosa gli fa morire il
fiato in
gola, e improvvisamente non ha più tanta voglia di fare a
botte. Si
blocca, in piedi davanti all’uscio, con i capelli lunghi e
scuri ad
incorniciargli il volto squadrato e con addosso uno dei tanti suoi
bizzarri
indumenti.
Entra e lo vede lì, seduto
sul letto con la testa fra le mani, in silenzio. Svogliato, triste,
indecifrabile. Le molle del materasso scricchiolano quando Roger si
alza e va
verso di lui per inventare due scuse, ma sa che il cantante ha
già notato
l’ombra nei suoi occhi chiari, e prega che non faccia
domande.
E Freddie non fa domande.
Lo fissa semplicemente intontito dal suo improvviso malessere, e lo
ferma con
una mano.
"Come si fa, come diavolo si
fa a far finta davanti a lui?" pensa Roger maledicendolo, e non sa come
cavarsela. E non sa quali sono quelle due scuse che deve inventare. Ma
perché
poi inventare? Perché ancora?
"Perché sono Roger Taylor"
si ripete.
Ma l’amico non lo lascia
andar via, e Roger non riesce più a riflettere,
l’orgoglio non gli arriva più
alla testa, e non si trattiene più.
Si butta feroce e disperato
su Freddie facendolo sussultare, si
stringe forte al suo corpo,
sentendo solo
il bisogno di stringerlo come un bambino di sei o sette anni.
E non sa esattamente che
sta facendo, fino a quando il cantante non gli chiede che cosa gli
prende,
allora un nodo gli sale alla gola, e non ce la fa più.
Freddie si fa serio in
volto, incapace di capire, incapace di arrivare a Roger che trema, che
tace,
che singhiozza. Lo ascolta piangere.
“Ma che fai piangi?” gli
chiede preoccupato e spaventato.
Il batterista non risponde,
piange, piange e singhiozza, e si sente terribilmente in imbarazzo.
“Rog…” sussurra, ed è
incapace di capire, incapace di entrare nel labirinto di pensieri di
Roger che
si lascia accarezzare piano la schiena.
Lo sente mugugnare
qualcosa, ma la sua voce, quella sua voce roca e graffiante
è rotta dai sussulti
e dai gemiti, e Freddie non capisce. Capisce solo che sta aumentando la
stretta
attorno ai suoi vestiti. Capisce solo che ha bisogno di lui.
“Cosa vuoi dirmi Rog?”
Il biondo alza il capo,
tremante, ma non ha il coraggio di guardarlo, e tiene i suoi universi
azzurri e
lucenti serrati, in preda all’imbarazzo e alla vergogna.
Freddie lo guarda, aspetta,
e vorrebbe capire.
“… m-mhh-" sussulta cercando
di spiegare, ma quel pianto gli chiude la gola e lo scuote.
“Ehi, tranquillo… se non
hai voglia di parlare fa lo stesso... ma aiutami a capire”
Roger non sa, non sa cosa gli dia la
spinta a tentare di parlare di nuovo, fatto sta che la sua voce roca e
graffiante riappare nell’aria, più chiara alle orecchie dell'altro.
“…h-ho paura del mondo…”
Freddie stende un piccolo
sorriso, Freddie capisce.
“Posso fare una cosa senza
che io mi prenda un cazzotto in faccia?” gli sussurra.
Sente l’altro annuire nel
suo petto, sente l’altro annegare nel totale imbarazzo
risultato del suo solido
orgoglio.
Quest’ultimo avverte
addosso a sé le mani sottili dell’amico, che lo
riscalda in un abbraccio. E il
suo solido orgoglio ormai non è più nulla.
“Anch’io… sempre…”
gli
soffia all’orecchio. “… ma non dirlo a
nessuno.”
A Roger scappa una leggera risatina, e forse non è
più così tanto perso, forse non è più così tanto solo al
mondo. Capisce che il mondo fa paura, che il
futuro spaventa, che si sbatte la testa contro a un muro quando si
crede che la
strada sia libera. Ma Freddie è lì.
Semplicemente, Freddie è lì con lui.
Il più grande chiude i suoi
occhi scuri e brillanti, appoggia piano il volto sulla chioma
bionda e
selvaggia dell’altro, e non fa niente se non fargli capire
che è lì con lui.
Due, tre, quattro minuti?
Quanto rimangono stretti in quell’abbraccio?
“Ora asciugati quelle
lacrime Rog, non vorrai mica che si pensi che Roger Taylor piange come
una
ragazzina vero?”
Roger lo guarda mentre
sfrega una manica della maglia contro le sue guance arrossate, e
sorride, frungandosi in tasca pronto per stringere fra le labbra una sigaretta.
Freddie ridacchia mentre
gli scombina i capelli lunghi per gioco, e fa per andarsene pensando che la
vita fa
paura e che a volte ti costringe a chiudere gli occhi come un bambino
di sei o
sette anni. Ma è grazie ad essa se si può amare
qualcuno.
Incondizionatamente.
Note note note note note
note note note note note note note note note note note note
No
ok, lo so, questa storia potrebbe non aver senso, potrebbe essere
addirittura
banale e stupida. Ma credetemi, sono tutte cose sentite e che vengono
direttamente dal mio cuore, quindi non cercate troppo di capire,
prendete la
storia semplicemente come la storia di qualcuno che ogni tanto ha
bisogno di
essere abbracciato. Nessun riferimento a slash Freddie/Roger, solo un
piccolo
racconto su due migliori amici.
E’
praticamente la seconda storia che pubblico sulla sezione Queen, una
sezione
per me con qualcosa di sacro, su un gruppo che amo talmente tanto da
non
credere di essere degna di scrivere su di loro. Tantomeno su una
leggenda
immortale come Freddie.
Grazie
a chi ha letto, a chi forse recensirà, a chi è
piaciuta la storia e a chi no.
Grazie a chi ama i Queen e a chi, almeno una volta, ha provato paura di
ciò che
gli è attorno.
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