...E
ci chiedevano ancora come avessimo fatto.
Ho
ancora gli occhi fissi sulla televisione, faccio zapping da ormai un
quarto d'ora, dovrò accontentarmi del telegiornale.
Quel
giornalista non va mai in pensione? Sono più di trent'anni che
è seduto a quella scrivania.
Mi
guardo lentamente intorno, non per curiosità, assolutamente
no. È come se volessi controllare che sia tutto come è
sempre stato. Il divano bianco, leggermente ingiallito dal tempo,
così come la carta da parati, che lascia intravedere due o tre
crepe nel muro, il tavolino al centro della sala, molto piccolo, ma
abbastanza spazioso per due, l'angolo cottura, la libreria stracolma
e la televisione, il parquet, la porta lucida e perfetta del
corridoio e quella tarlata della camera da pranzo.
È
tutto come cinquantatré anni fa, nulla è cambiato.
Ho
settantanove anni; quando comprai questa casa mi sembrò
eccessivamente grande, ora invece mi provoca una sensazione di
inquietudine, come se le pareti si fossero ristrette fino a plasmare
la forma del mio corpo. La casa è diventata solo per noi due,
ormai.
Io
e la donna che amo.
Si
usano questi termini molto bonariamente e con estrema facilità,
ma è difficile pensare che le persone siano in grado di
legarsi ad un altro individuo in questo
modo.
Io e Courtney siamo
innamorati da più di sessant'anni e non abbiamo mai pensato di
lasciarci, ogni volta che una crepa si formava nel nostro rapporto
eravamo entrambi pronti a ripararla.
Esattamente
sessantaquattro anni or sono lei bussò alla porta dell'aula e
rimase sull'uscio, senza entrare.
D'altronde aveva
appena varcato la soglia del mio cuore.
Parlò con
disinvoltura, non accorgendosi che aveva catturato il mio sguardo e
la mia mente.
«'Giorno
signorina Wallis, il professor Apples desidera parlare con lei e...
piuttosto urgentemente.»
Aggiunse all'ultimo.
Era bellissima, aveva
una maglietta a girocollo bianca e un paio di pantaloni beige,
piuttosto attillati.
La professoressa uscì,
lei rimase sull'uscio per alcuni secondi, poi la seguì. Sentii
la sua voce di nuovo, ero sicuro che fosse la sua perché
difficilmente l'avrei più scordata.
«Insomma...
Vuole che io resti in classe.»
Disse eloquentemente.
«Esatto,
grazie carissima.»
Affermò la prof.
La sentii avvicinarsi,
ebbi un tuffo al cuore. Entrò e si sedette alla cattedra,
scribacchiando su un taccuino mente la classe rumoreggiava fra parole
e brusii.
La professoressa tornò
circa quindici minuti più tardi, ringraziandola.
«Grazie
Courtney, a buon rendere.»
La mandò in classe.
Courtney.
Non avrei più
scordato quel nome.
No, certamente, mai.
Mi alzo dal divano e mi
avvio alla finestra. Fa troppo caldo per essere a Maggio, apro e
sento tutta l'aria che penetra in casa, la corrente mi investe. Anche
qui è tutto come allora. I pini cresciuti di qualche altro
metro, il prato, il viale che poi dà sulla strada e quella
BMW bruciata che non è mai stata rimossa dal ciglio della
strada. Ci sono due signori che si tengono per mano e che ad un
tratto cominciano a baciarsi appassionatamente. Avranno quarant'anni
a testa.
La prima volta che ho
visto due quarantenni baciarsi non è stato affatto un bello
spettacolo.
No di certo, per la
quinta volta Courtney era venuta per chiamare la signorina Wallis,
ignara di quello che un po' tutti sospettavamo. Mi alzai dal banco,
dirigendomi verso l'uscita.
«Hey,
tu. Siediti.»
Mi riprese lei.
Cercai di abbattere la
timidezza e rispondere.
«Un
momento... Mi ci vuole un attimo.»
E uscii.
La sentii alzarsi, mi
raggiunse nel corridoio.
«Ma
dove credi di andare?»
Mi afferrò per un braccio.
«Lì.»
Indicai la sala professori.
Lei assunse
un'espressione interrogativa.
«Perché
non vieni? Non c'è niente di male ad allontanarsi di quindici
passi dall'aula.»
Proposi con il cuore in gola.
Tentai in tutti i modi
di sembrare inespressivo, ma il sudore ricadeva fin troppo abbondante
lungo la fronte e il collo. Troppo abbondante per una giornata di
Aprile.
Mi avviai verso la
porta, accorgendomi con sorpresa che lei mi seguiva titubante.
Piazzai l'occhio nella fessura della serratura e li vidi. Come
pensavo. Mi scappò un leggero risolino, quindi feci spazio a
lei.
«Prego,
ma evita di gridare.»
Le dissi.
Lei si portò le
mani alla bocca, inspirando molto velocemente per lo stupore.
«Ma...
Ma è...»
Balbettò.
«È...»
Indicibile, già,
senza dubbio.
Quei due professori
stavano letteralmente avvinghiati; il preside prese seri
provvedimenti per questo, ma in fondo sono loro grato: solo grazie a
questo io e Courtney iniziammo ad avvicinarci.
Stanno dando un qualche
talent show sul quinto canale, qualcosa di a dir poco orribile.
Canto, ballo, recitazione, non ce n'è uno che sia capace.
Entra sul palco una diciassettenne, dice il presentatore, con un
violino in mano.
E lei aveva più
o meno quell'età quando...
Sette Giugno, festa del
diciassettesimo compleanno di Darren, aveva invitato tutti i ragazzi
frequentanti il secondo liceo* e aveva affittato una villa con
piscina.
“Ottima idea per
gli assassini e i maniaci sessuali”, aveva commentato Courtney,
inevitabilmente scocciata. Aveva passato gran parte della serata in
disparte, lamentandosi della musica troppo alta e sgranocchiando la
stessa tartina da parecchio tempo.
Uscii dalla piscina,
dirigendomi deciso verso lei. L'acqua sul corpo camuffava il sudore e
l'agitazione perfettamente. Camminai lentamente, ma con un ritmo
regolare, quasi a voler iniziare una danza che non mi avrebbe fermato
nella traversata. Arrivai da lei, inspirai il coraggio e lo immisi
nella gola sotto forma di voce.
«Ti va di
entrare in piscina?» Chiesi deciso.
«Scherziamo?
Con tutta questa gente, neanche morta!» Rifiutò.
«Beh, vado a
vestirmi.» Conclusi, imbarazzato per la proposta fatta.
Avrei dovuto pensarci,
avrei potuto risparmiarmi quella figuraccia. Spostai lo sguardo a
destra, notando disperatamente che la polo e i jeans erano spariti.
«Court...?
C'erano degli abiti qui...» Balbettai preoccupato.
«Ah, sì,
Darren li ha portati dentro la villa.» Rispose con
semplicità.
«Cosa? Ma...
Dove?» Domandai esasperato.
«Dunque... Ti
ci porto, vieni.» Mi richiamò, accelerando il passo
verso la porta.
La seguii, raggiungemmo
il salone e lei si guardò lentamente intorno.
«Lì c'è
un armadio, sicuramente...» Si avviò verso di esso,
spalancando le due ante di scatto e sbarrando gli occhi.
«Wow...»
Mormorò, vedendo uno Stradivari bellissimo.
«Lo sai
suonare?» Chiesi interessato.
Lei non rispose, prese
il violino in mano; l'archetto sfiorò le corde per un attimo,
poi si staccò di nuovo.
Iniziò a
riecheggiare nella stanza una melodia meravigliosa, andante a tratti
e malinconica nel sottofondo. Sembrava che tutto il mare di note non
uscisse da quel piccolo strumento, ma risuonasse dai muri, dai
mobili, da lei.
Mi avvicinai lentamente,
misi una mano sulle corde, che smisero di suonare. Avvicinai il mio
viso al suo, posai delicatamente le mie labbra sulle sue, in un bacio
che durò all'infinito.
Ancora adesso sogno
quel meraviglioso momento.
Non ritrovai più
quei vestiti, tornai a casa in costume. Volendo essere corretti, non
li cercai proprio, non avevano affatto importanza ormai.
Decido di cambiare
canale, questo programma mi dà sui nervi. C'è un talk
show sul primo, piuttosto interessante, ma non mi va di guardarlo.
Non presto attenzione a nulla, sono stanco, ormai.
Al muro sono appesi i
quadri di sempre, la riproduzione in scala ridotta della Scuola di
Atene di Raffaello, la fotocopia della Vergine delle Rocce di
Leonardo, la sua laurea. E il mio diploma del conservatorio.
Erano cinque mesi
precisi...
Lei aveva compiuto
diciassette anni da circa venti giorni, io ero appena uscito
dall'aula di conservatorio, dall'ultima lezione. Presi il tram per
dirigermi a casa.
La trovai lì,
davanti alla porta. Il giubbotto grigio che tanto mi piaceva la
avvolgeva quasi per intero. Lei mi salutò allegramente. La
baciai delicatamente.
«Come mai sei
qui?» Domandai.
«È... È
una lunga storia... andiamo a farci un giro?» Chiese.
Annuii, entusiasta.
Ci avviammo lungo il
viale, attraversammo il parco e camminammo. Non in una direzione
precisa, qualunque posto sarebbe andato bene. Passammo davanti alla
fontana, al secondo vialetto, e infine in mezzo alle case. Novembre
era iniziato da poco, ma il freddo pungente penetrava facilmente nel
mio giacchetto. Percorremmo quasi due chilometri, alla fine eravamo
esattamente sotto casa sua.
«Saliamo?»
Proposi.
«Fa un freddo
cane...» Aggiunsi.
Lei aprì,
entrando lentamente. Salì le scale, seguita da me, entrò
nella sua camera e si sdraiò sul letto. Lo feci anch'io.
Cominciammo a baciarci appassionatamente, avvinghiati l'uno
all'altra, le mie mani avide correvano sul suo corpo, finché
lei mi fermò.
«Perché?
Non c'è niente di male...» Le sussurrai.
Lei sembrava a disagio..
«Volevo...
Ecco, volevo dirti... Che...» Arrossì, lentamente,
poi abbassò lo sguardo.
«Vedi, io sono
ancora vergine.» Ammise, come se ciò fosse una
colpa.
«E questo
dovrebbe fermarmi?» Sorrisi.
«Io ti amo, tu
mi ami. Questa è l'aria che respiro, non ho bisogno di
null'altro e so di poter arrivare dappertutto.» La baciai
ancora.
«Sei unico.»
Mi disse, e ricominciammo da dove ci eravamo fermati.
Unico... Che parola
futile.
Raggiungo la terrazza,
lo stendino è pieno di vestiti. Incomincio a staccarli e
raccoglierli nel catino.
La televisione è
ancora accesa, fa da sottofondo a tutto ciò che faccio.
Rientro, incomincio a prepararmi la cena. Devo impastare le polpette,
forse mi conviene levarmi la fede, o s'infilerà tutto il
grasso sotto.
Lei non se la tolse
per cucinare...
Quella sera avevo avuto
una tremenda discussione con il capo della casa discografica per cui
lavoravo, ero tornato stanco e affamato. Sarebbe bastata una
scintilla per farmi esplodere. E la scintilla ci fu.
«Court...?
Dove diavolo è la cena?»
Gridai per chiamarla.
«Avresti
dovuto prepararla tu...»
Rispose lei preoccupata.
«Io?
Ma se sono stato fuori tutto il giorno!»
La rimproverai.
«Ah,
certo, perché io invece sono rimasta a girarmi i pollici, eh?»
Ribatté.
«Se
lavorassi la metà di me avresti la lingua per terra, a
quest'ora!»
Strillai.
«Non
ci provare nemmeno, tu non hai neanche preso una laurea!»
«Già,
forse perché mi sarei alzato al tuo livello, al livello di
un'incapace
con manie di grandezza!»
Le rinfacciai.
Andammo avanti per
molto, troppo tempo. Più continuavo, più mi rendevo
conto che stavo male. Stavo male per ogni singola parola che dicevo.
«Ah
sì? Bene, allora cavatela da solo!»
Gridò alla fine, togliendosi la fede e lanciandomela contro.
La mia collera sparì
d'un tratto, due grosse lacrime si formarono nei suoi occhi,
scendendole sulle guance.
Uscì sbattendo la
porta, io rimasi imbambolato per alcuni secondi, poi la rincorsi. La
rincorsi disperatamente, l'anello ancora in mano. La afferrai per un
braccio, la voltai e la strinsi a me, con tutte le mie forze.
«Scusa...»
Mormorai sommessamente, mentre lei ricambiava l'abbraccio.
Se avessi preso le
chiavi prima di uscire avremmo evitato di chiamare i pompieri.
Quello fu il nostro
primo e unico litigio, dopo oltre tredici anni che stavamo insieme.
Molti ci chiedevano come avessimo fatto a resistere per tanto tempo,
a non far mai spezzare quel legame che c'era fra di noi.
Ci chiedevano come
avessimo fatto, come se fosse qualcosa di paranormale.
Era amore, null'altro.
Ma l'amore è
effettivamente qualcosa di speciale...
Dustin aveva ventidue
anni, Lynn ne aveva diciannove.
Era strano pensarci con
dei figli, mi sembrava come se avessimo raggiunto un traguardo. Agli
occhi degli altri era tutto normalissimo, io invece sentivo che tutto
questo era incredibile. E anche Courtney, lei li aveva tenuti in
braccio come trofei fin da quando erano nati.
Entrambi erano andati
via di casa, la ragazza di Dustin aveva un anno meno di lui, mentre
Lynn e Charlie avevano la stessa età.
Ripensavo sempre a
quando io e Courtney prendemmo una casa per noi, non avevamo pensato
a dei bambini, e la camera eravamo riusciti a ricavarla dalla sala
hobby quando loro erano nati.
Ci chiedevano ancora
come avessimo fatto a non guastare mai nulla, a rimanere con stesso
affetto di trent'anni prima. Non c'era risposta a tale domanda, anche
perché qualunque risposta sarebbe risultata futile e banale.
Ma la domanda sorgeva dalle bocche di chiunque. E sarebbe continuato
così.
Ci chiedevano come
avessimo fatto...
Ci siamo amati fino
all'ultimo come dal primo momento.
Courtney se n'è
andata due anni fa, troppo presto per me. Lei ancora vive dentro di
me, il mio cuore è sempre e solo per lei, ma la casa è
tremendamente vuota. Ecco perché mi dà inquietudine,
perché le pareti hanno escluso lei, e stanno avvolgendo solo
me.
Mi ricordo che avevamo
una vita in cui ci bastavamo noi due per arrivare ovunque, era
semplicissimo, io, lei, l'amore. Era talmente semplice che tutti
avrebbero potuto capirlo, eppure tutti ci guardavano sorpresi,
sorpresi di vederci così in accordo, così in simbiosi
senza che nessuno e niente ci contrastasse.
E ci chiedevano
ancora come avessimo fatto...
*Nel
liceo classico, il quarto anno è il secondo liceo.
Angolo
dell'autore
Generi:
Fluff, Sentimentale... Romantico... Non c'è “strappalacrime”?
Diciamo
che questa è una coppia che mi piace molto (non sono carini?
•.•), ma potevo risparmiarmi molte cose.
Ecco
qui una Trentney tutta per voi, Mele.
Questa
storia è stata gentilmente betata dalla mia volenterosa (o
quasi) sorellina Clover
e dal generoso (e disposto a rinunciare alla salute de suo
pterodattilo) Saggio.
Spero
che non siate avidi di recensioni e spero che siate generosi di
parole.
Approfitto,
inoltre, per fare un po' di insano spam: Vorrei
invitare perlomeno coloro che seguono “A
tutto reality: Century” a manifestare il loro
scontento o la loro approvazione tramite qualche recensione,
piuttosto che non commentare per niente.
Detto
questo, spero che la One-shot vi sia piaciuta, a presto!
Enjoy
it!
Angolo
della beta
Ehilà
: ) Sapete bene chi io sia, quindi bando alle ciance e parliamo
subito di ciò che volevo dirvi.
Semplicemente,
per me è stato un piacere betare questa storia : ) Anche se si
tratta di farlo alle undici e mezza di sera :D
Come
ultima cosa, vorrei dire che trovo questa storia molto... *cerca le
parole* commovente.
Sì,
per quanto poco mi piaccia la Trentney, ho deciso di betarla
confidando nelle qualità tecniche del mio fratellino Hid e
sicuramente non me ne sono pentita. È una fanon poco
utilizzata, ma per fortuna c'è chi ne sa scrivere *-*
(E
non parlo solo di questa meraviglia qui sopra e del suo meraviglioso
scrittore, ma anche di somebody else. Chi ha orecchie per
intendere, intenda.)
Recensiteci,
mi raccomando! : )
Angolo
del Beta
Ehm,
ehilà! Sì, ci sono anch'io in mezzo alle scatole:
quando non è con delle storie, è con qualche angolino
tipo questo, ma vabbè xD Ok, sono stato assoldato anch'io
come beta-reader dal buon Hid, e spero... *Lancia occhiata al
coltello puntato contro di lui*... Di aver fatto un buon lavoro
"^^ Devo dire che la storia mi ha profondamente colpito: pur
conoscendo lo stile di Hid -e dunque aspettandomi una signora storia
da lui- sono rimasto piacevolmente colpito da come è stata
strutturata e gestita. Sebbene il pairing mi procuri lievi forme
di orticaria, ammetto di non aver riconosciuto i due piccioncini
prima di almeno metà dell'opera -anche se mi era stato
preannunciato che fosse una Trentney, me ne sono dimenticato...
L'età, l'età...- ma questi sono futili dettagli. Quel
che conta è che la storia è fantastica, non ho trovato
neanche mezzo errore di grammatica (solo qualche refuso qua e là,
niente di che) e mi sono commosso. Sì, ok, l'ho fatto
u.u *Si asciuga furtivamente una lacrimuccia* Che altro dire?
Cercherò di spendere più parole nella recensione che
lascerò alla storia. E comunque, braFerrimo Hid :3
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