Se ti manca l’amore
per compiere un’opera
compi l’opera
e l’amore seguirà.
(J. Bernhart)
Il professor Piton saliva
lentamente le scale diretto in presidenza. Era quello il giorno. Non credeva
sarebbe giunto così presto, o forse non aveva voluto pensarci nelle ultime
settimane ed ora l’attesa era finita senza che se ne fosse reso conto. Harry
Potter aspettava dal Preside di conoscere il suo nuovo tutore. Severus si
sentiva terribilmente frustrato e per questo altrettanto terribilmente
infuriato. Non aveva nessuna voglia, o intenzione o predisposizione ad
accogliere quel bambino nella sua vita. Quando Silente aveva deciso per lui
(come del resto faceva ormai da tempo) non aveva potuto far altro che
accettare, vincolato da una promessa che non si sarebbe rimangiato per nessun
motivo al mondo. Superò i gargoyles e bussò.
- Vieni avanti Severus. –
Il mago buttò fuori violentemente
l’aria dai polmoni, poi aprì la porta. Lo studio di Albus era inondato di luce,
Fanny risplendeva sul suo trespolo. Il Preside era in piedi, luminoso tanto
negli occhi quanto nell’abbigliamento. Tutto quel bagliore investì il
pozionista che assottigliò lo sguardo, troppo abituato ai luoghi in penombra
dei sotterranei. Severus non vide bambini e per un attimo pensò che era stato
tutto un equivoco. Ma la voce morbida di Silente gli confermò che tutto stava
procedendo secondo i piani prestabiliti.
- Sei pronto Severus? – no, non
era pronto e difficilmente lo sarebbe stato. L’ultima cosa che avrebbe desiderato era crescere da solo un
bambino. Per giunta maltrattato. E per giunta proprio “quel” bambino. Si sentì
improvvisamente in trappola: un animale che realizza di non avere via di scampo
e impazzisce. Sarebbe impazzito, sì, era già stato un pazzo ad accettare.
Mentre ragionava sul suo prossimo futuro Albus chiamò Harry.
- Avanti Harry, fatti vedere. – Un
bambino esile e piccolo per avere quasi sei anni sbucò da dietro le lunghe
vesti del Preside. Severus stentò a credere che quello fosse Harry Potter. Non
somigliava a suo padre se non per i capelli spettinati, che erano però lunghi,
senza un minimo di ordine e a prima vista nemmeno troppo puliti. Era vestito
con abiti sgualciti e vecchi. Portava gli occhiali con le stanghette incerottate.
Teneva lo sguardo a terra mentre con una mano si lisciava i pantaloni e con
l’altra stringeva per la zampa un orsacchiotto sdrucito. Sembrava uscito da un
romanzo di Charles Dickens.
- Harry non devi avere paura di
questo signore, ti tratterà bene. – Il piccolo non alzò lo sguardo ma annuì con
la testa. Severus era sconcertato e scettico. L’unico ricordo che aveva del
bambino era il suo pianto ininterrotto la notte della morte dei suoi genitori.
Con Lily senza vita tra le braccia Severus si era appena accorto delle mani che
gli avevano tirato i capelli attraverso le sbarre del lettino. Poi erano
arrivati gli auror e aveva visto portar via Harry ancora sotto shock per
l’accaduto.
- Severus, il bambino adesso è
affidato a te. So che puoi fare bene con lui. –
- E’ muto? –
- Affatto. E’ solo spaventato. Ma
sono sicuro che ti conquisterà.-
- Tu leggi troppi libri di favole
Albus. – In quel momento Harry si decise a guardarlo e Severus per poco non
cadde in ginocchio.
- Lo so Severus, ricorda Lily
terribilmente vero? – Albus guardava gentilmente entrambi. Nel viso magrino e spaesato
del piccolo, gli occhi di Lily splendevano grandi. Severus si sforzò di
mantenere il solito contegno ma non avrebbe mai dimenticato quel momento. Sentì
una fitta lancinante al petto, poi un senso di nausea. Gli sembrò di aprire la
porta dell’inferno e di essere investito da fiamme e tormenti. Avvertì, come
quella lontana notte, la più profonda disperazione. Voltò le spalle ad Albus e
al bambino:
- Mi segua signor Potter, le
mostrerò la sua nuova casa. - E senza
aggiungere altro si diresse alla porta. Sentì Albus sussurrare ad Harry qualche
parola incoraggiante, poi quando ebbe la certezza di essere seguito prese la
strada per i sotterranei.
Una volta nei sotterranei il
bambino si mosse silenzioso e con molta circospezione. Era ubbidiente, cosa che
sorprese il pozionista convinto fino a poche settimane prima che la vita a
Privet Drive fosse stata un idillio. Ma le manchevolezze dei Dursley si
sarebbero manifestate. Cattiva nutrizione, igiene personale insufficiente e
purtroppo anche i segni di percosse. E questi erano solo i mali evidenti:
presto Severus avrebbe cozzato contro cinque anni di vessazioni più sottili che
avevano reso il figlio di Lily un bambino insicuro, con difficoltà di
relazione, privo di autostima e terrorizzato dai luoghi chiusi e bui.
La prima cosa che notò fu che le uniche
parole che il piccolo sembrava conoscere erano “sì signore” e “no signore”. Se
da una parte indicavano un atteggiamento rispettoso, dall’altro erano indice
che il mondo del giovane Potter era di orizzonti davvero limitati.
Severus gli aveva preparato una
camera da letto: non sembrava assolutamente la camera di un bambino, era
spoglia e incolore ma Harry la osservava come se fosse la prima camera da letto
a vedere in vita sua. Puntava lo sguardo sul letto grande e dall’aspetto
confortevole.
- Qualcosa non va signor Potter?
– la voce non gli usciva dolce, non ce la faceva.
- No signore. – fu la semplice
risposta.
Severus aprì l’armadio: prese
della biancheria, un paio di pantaloni e una maglietta di cotone. Si rese conto
che erano grandi per il bambino, estrasse la bacchetta e ne cambiò la taglia.
Si accorse solo allora che Harry lo guardava intimorito.
- Lei non ha idea di cosa io
abbia appena fatto vero? –
- No signore. – La voce era
uscita piccola piccola.
Piton scosse la testa in segno di
insofferenza. – Le vado a preparare la stanza da bagno. Credo che prima di cena
dovremo affrontare alcuni argomenti. – Detto questo uscì piuttosto arrabbiato:
il compito gli sembrava arduo ogni minuto di più. Dopo cinque minuti, vedendo
che Harry non arrivava tornò nella camera: lo trovò ancora lì, in piedi,
totalmente disorientato.
-Signor Potter, è in grado di
prendere i suoi abiti e di seguirmi?! –
- Sì signore. – la voce era sempre più fievole.
Quando Harry entrò nella stanza
da bagno Piton gli indicò dove trovare tutto quello che gli serviva.
-Sa fare da solo? –
- Sì signore. –
- Bene, allora l’aspetto di là. –
Stavolta l’attesa fu brevissima.
Harry si presentò nel giro di pochi minuti. Cambiato d’abito.
- Signor Potter ma si è lavato o
ha solo fatto finta? -
- Mi sono lavato veloce, come
vuole zia Petunia. –
- Qui non comanda sua zia…-
spazientito si alzò: il bambino ebbe un sussulto. Possibile che si spaventasse
per così poco? Piton lo riportò nella stanza da bagno: - Voglio vedere quali
cattive abitudini ha assunto in questi cinque anni. – Si mise in piedi a
braccia incrociate e attese. Harry sembrava non capire.
– Signor Potter, la voglio nella
vasca da bagno entro due minuti. – Notando che il bambino stentava ancora gli
venne il dubbio che provasse vergogna.
– Se il problema è spogliarsi
uscirò giusto il tempo per permetterle di farlo. – Ma il problema non era
quello. Quando Severus riaprì la porta, Harry era in piedi nella vasca e non
sembrava imbarazzato dalla sua nudità. Era Severus, quello imbarazzato. Perché
senza abiti addosso Harry appariva più misero di quello che la prima
impressione gli avesse dato. E aveva dei lividi appena sopra le natiche e sulle
braccia, come quando si viene afferrati con troppo forza. Raccoglieva l’acqua
con le mani e si strofinava la pelle. Severus ebbe per la prima volta quel
giorno un impulso di pietà.
-Signor Potter, ci si siede nella
vasca da bagno – e lo fece sedere. Poi gli porse la spugna su cui versò del
sapone. – Si aiuti con questa. –
- L’acqua è calda. –
- Certo che è calda signor
Potter, pensava di no? –
- Ho sempre fatto la doccia
fredda. –
- Anche d’inverno?! –
- Dovevo fare presto, non avevo
tempo di aspettare che venisse calda. – Lo lasciò fare. Gli disse che poteva
restare nella vasca da bagno per un po’. Lo attese in sala da pranzo. Quando lo
raggiunse si accorse che non aveva lavato la testa.
- Dovremo rimandare la cena
ancora per qualche minuto. Mi segua. – Si ricordava quando Eileen gli lavava i
capelli: quindi fece lo stesso. Fece salire Harry su un seggiolino per alzarlo
a sufficienza, poi gli mise la testa sotto il rubinetto del lavandino. Gli
versò dello shampoo.
- Si strofini per bene i capelli
poi li sciacqui. – Stavolta rimase ad osservalo: quando si rese conto che era
più l’acqua che finiva per terra che quella sui capelli lo aiutò. Si sentì
impacciato e maledisse nuovamente Albus per la decisione presa. Non era adatto
a fare da balia. Se quella doveva essere la sua nuova occupazione allora
avrebbe restituito il pacco al mittente. Di sicuro esistevano famiglie di maghi
più adatte per l’occasione. E con il grande potere di Silente sicuramente il
modo di tenere il bambino al sicuro si sarebbe trovato.
Finalmente cenarono. Harry
profumava di sapone e continuava a guardare i suoi abiti nuovi. Mangiò in
silenzio, sembrando gradire tutto quello che c’era nel piatto e Severus ebbe
più volte l’impressione di essere osservato. Era a disagio. E non tollerava di
sentirsi a disagio nella propria abitazione.
- Domattina l’aspetta la visita
medica. – si era ricordato improvvisamente dell’incontro con Madama Chips.
- Mi sono fatto male cadendo
signore. –
- A cosa allude scusi? –
- A… alle botte. Sono scivolato
dalle scale. – Una scusa banale. Quante volte l’aveva usata sua madre per
nascondere gli eccessi di Tobias?
- Lo stabilirà madama Chips. La
nostra medimaga. – specificò notando lo sguardo interrogativo del bambino e
conscio comunque che non avrebbe capito. Al termine della cena Harry chiese
dove lavare i piatti.
- E’ troppo piccolo per lavare i
piatti. –
- A casa li lavavo sempre. –
- I bambini della sua età
giocano, non lavano i piatti. –
- Io dovevo aiutare zia Petunia a
tenere in ordine la casa, poi potevo giocare. -
Ma dove era cresciuto il figlio
di Lily? Il sospetto che Petunia non fosse mai cambiata si faceva concreto. Ma
una parte di sé continuava a non volerlo ammettere, forse per giustificarsi con
Lily, quasi che la meschinità della sorella fosse colpa del pozionista. Perché
in fondo, di colpe Severus Piton ne aveva e ci faceva i conti ogni giorno.
Dopo cena fece accomodare Harry in
salotto, davanti al camino. Il piccolo portò con sé l’orsetto rotto.
- Signor Potter, dovremo vivere
assieme per un po’ di tempo. In questa casa ci sono regole che esigo vengano
rispettate. Io non tollero i ritardi, la confusione, il disordine. Lei avrà il suo
spazio per le sue attività ma le sarà assolutamente vietato invadere il mio.
Non si aspetti da me smancerie di nessun genere. I lavori di casa non spettano
a lei, abbiamo il nostro elfo per questo. Se la convivenza non sarà
sopportabile per lei o per me ne parleremo col Preside. Ha qualcosa da
chiedere?
- No signore. –
- Bene, allora può ritirarsi
nella sua stanza. – Harry tentennò. Sprofondato nella poltrona stringeva
l’orsetto.
- Le ho detto che può andare a
letto. –
- In quella stanza? –
- Certo, perché? Non la trova di
suo gradimento per caso? – il sarcasmo invece gli usciva sempre con
naturalezza. Guardò il bambino quasi con sufficienza.
- Signore, io dormivo sotto le
scale. -
Severus tentava di concentrarsi
sulle proprietà sulfuree di alcuni minerali che intendeva utilizzare per un
nuovo composto di sua invenzione. Ma non ci riusciva. Nel sottoscala… Il senso
di colpa di poche ore prima adesso era grosso quanto una noce che gli impediva
di deglutire regolarmente e si ingrandiva poi nello stomaco fino a pesare come
se avesse mangiato del ferro. Iniziava a desiderare che la visita di madama
Chips venisse in fretta per sapere fino a che punto quegli orribili babbani si
fossero spinti: sapeva che Poppy disponeva di un questionario, poche ma
semplici e dirette domande per avere un quadro psicofisico delle condizioni del
paziente. Fece il suo primo giro in camera, per verificare che si fosse
addormentato. Era rannicchiato sotto le lenzuola, l’orsetto in fianco. Gli
abiti piegati sulla poltroncina. Ma non dormiva. Al lume della candela Severus
vide gli occhi verdi fissare il suo compagno di letto. Quell’orsetto stava
insieme per misericordia, una zampa era penzoloni, attaccata per pochi fili e gli
mancava pure un occhio. Ma era evidente che per il bambino fosse di conforto.
- Signor Potter è tardi. Perché
non dorme? – Stavolta fu un po’ più dolce. O almeno gli sembrò.
- Signore non c’è neanche una
luce. – Effettivamente la stanza non
era affatto accogliente di giorno, figurarsi di notte. E non aveva pensato ad
una lampada.
- Domani le farò avere una
lampada. –
- Per favore signore posso
dormire con la porta aperta? – Severus sollevò il sopracciglio. Non gli andava
di discutere a quell’ora e dopo le ultime riflessioni che lo avevano distolto
dai suoi doveri di insegnante. Decise di accontentarlo. Avrebbe approfondito il
discorso in un altro momento.
- E sia signor Potter. – E senza
aggiungere parola si voltò per andarsene.
- Grazie signore. –
Harry si era infilato il pigiama
e si era arrampicato sul letto. Era difficile per lui credere di avere una
stanza per sé. Non sapeva cosa pensare di quell’uomo, il padrone della stanza.
Non era gentile, lo sentiva. Però fino a quel momento non era nemmeno stato
cattivo con lui. Non sembrava avere figli, quindi non c’era nemmeno un Dudley
con cui fare i confronti. Quella casa non era bella come quella di zia Petunia.
Ma c’era un odore di menta che gli piaceva. E poi aveva mangiato delle buone
cose, diverse dalle solite cose che mangiava a casa. E aveva fatto il bagno con
l’acqua calda e la spugna e un sapone che faceva la pelle morbida e profumata.
Quell’uomo era strano, faceva strane cose. Gli aveva asciugato i capelli in
pochi secondi senza l’aggeggio rumoroso che usava zia Petunia per Dudley. E poi
i vestiti: erano diventati più piccoli sotto i suoi occhi. Non sapeva se essere
preoccupato di questa cosa. Era ancora intento ad osservare il nuovo ambiente.
E lo impensieriva un po’ la visita del dottore il giorno dopo. Era d’accordo
con zio Vernon che i lividi lasciati dalle cinghiate che si era meritato per
aver risposto male se li fosse procurati cadendo. Gli aveva detto che se diceva
che qualche volta le prendeva lo avrebbero portato via e chiuso in un istituto
per bambini soli e non sarebbe più tornato a casa. Harry aveva solo quella di
casa, e non voleva finire in un istituto abbandonato da tutti. Adesso però lo
avevano portato lì: eppure lui non aveva detto a nessuno quello che era
successo. Però quello non era nemmeno un istituto, era un castello gli aveva
detto il signore anziano che gli aveva dato le caramelle e lo aveva tenuto
seduto sulle ginocchia. La prima volta che sedeva sulle ginocchia di una
persona… non era molto comodo ma gli era piaciuto. Perché il signore con la
barba che aveva quella stanza tutta piena di belle cose non lo aveva tenuto lì
con lui? “Forse è troppo vecchio” si era detto. Poi era arrivato l’uomo vestito
di nero con lo sguardo duro e senza voglia di ridere. Era serio anche col
signore con la barba, che invece rideva e aveva gli occhi come il cielo. Per
non parlare di come era vestito, sembrava mago Merlino. Beh, se avesse potuto
scegliere, il signore anziano era meglio di quello più giovane. Gli aveva detto
anche che sarebbe rimasto nel castello un po’, perché gli zii avevano già
troppo da fare con Dudley. Se si fosse trovato bene poteva anche rimanere lì
più a lungo. Harry sospirò: era in balia dei grandi. Ma non si sentiva
minacciato e questo era importante. Baciò il suo amico e chiuse gli occhi,
rassicurato dal bagliore che proveniva dalla cornice della porta che l’uomo
nero gli aveva lasciato aperta. Il letto era comodo, si addormentò nel giro di
pochi minuti.
Poppy aveva fatto accomodare
Harry nella stanza accanto. Aveva rivestito il bambino, gli aveva ridato
l’orsetto e gli aveva detto di aspettare lì perché doveva parlare con i grandi.
PMadama Chips era scandalizzata quando prese posto dietro la scrivania: di
fronte a lei sedevano Albus Slente e Severus Piton.
- Trascurato! Il bambino è stato
vergognosamente trascurato per quattro anni! ma voi avete idea di quanto abbia
bisogno degli adulti un bambino a quell’età?
- Poppy calmati e spiegaci
altrimenti come possiamo prenderne parte anche noi? – Albus riusciva sempre ad
essere accomodante. Severus invece non aprì bocca. Conosceva bene madama Chips,
conosceva le sue sfuriate. Meglio evitare l’infermeria, era una regola che si
era dato fin dai tempi in cui era studente. Ora con Poppy ci lavorava, le
forniva le pozioni, ma lei continuava a trattarlo in certi momenti come se il
tempo non fosse mai passato. Era rossa in viso da tanto era furiosa. Conosceva
anche molto bene il binomio “bambino trascurato”. E quello gli induriva ancor
di più il cuore.
- Mi auguro tu non sapessi Albus
in quali condizioni era tenuto quel povero bambino, perché saresti
imperdonabile. –
- Purtroppo lo abbiamo saputo
solo un paio di settimane fa, per questo il bambino ora è qui. Adesso vuoi
gentilmente farci il quadro della situazione?-
- Alimentazione scorretta,
dobbiamo rivedere tutta la dieta. Scogliosi. Le mani presentano callosità come
quelle di un falegname. Miopia mal curata, gli occhialacci che porta non hanno
la gradazione corretta. E’ stato picchiato con una cinghia anche se lui dice il
contrario. Ha un’infiammazione cronica
ai bronchi. –
- Decisamente non è un bel
quadro… - Albus aveva perso la sua
solita espressione bonaria.
- E questa alla fine non è la cosa
peggiore. – Poppy poggiò seccamente sul tavolo davanti ai due maghi una serie
di fogli. Erano le risposte al questionario che aveva sottoposto ad Harry.
- Leggete. –
La lettura fu un tormento. Harry
era cresciuto senza amore. Abbandonato a sé stesso. Sfamato quanto basta,
coccolato mai. Mai un abbraccio, mai una carezza. Mai una gratificazione. Lo
chiamavano “piccolo mostro” perché era nato da due mostri. Dormiva nel
sottoscala. Non aveva amici. Non aveva giocattoli, se non quelli vecchi smessi
dal cugino e l’orso che non lasciava mai. Non aveva mai ricevuto un regalo.
Doveva solo ubbidire e “fare il bravo” che significava stare alla larga e non
farsi vedere quando c’erano ospiti. Lui era il figlio della sorella, quella
morta in un incidente d’auto col marito degenerato che l’aveva messa sulla
cattiva strada. Quando combinava qualche pasticcio, quando rompeva qualcosa,
veniva chiuso in cantina. Ma almeno lì poteva guardare i libri rinchiusi nella cassa grande. Però doveva
farlo al lume fioco di una vecchia lampadina e quindi aveva perso la vista.
C’erano belle figure su quei libri. Ed erano stati l’unica porta sul mondo
esterno.
Al termine della lettura Albus aveva un’espressione sofferente.
Severus schifata.
- Severus visto che il bambino
starà con te…-
- Non era una buona idea prima e
tanto più lo è adesso. Io il giovane Potter non lo voglio. – Aveva interrotto
Poppy che lo guardava sconcertata. Albus invece non sembrava sorpreso.
- Va oltre le mie possibilità.
Credo che ve ne rendiate conto. Quel bambino ha bisogno di una famiglia vera. –
- Severus non ci sono famiglie e
posti sicuri per Harry Potter. –
- Impossibile. In tutta la Gran
Bretagna? –
- I Mangiamorte girano ancora
liberi. Privet Drive era l’ideale. La protezione di Lily faceva il resto. Se
lasciassimo Harry presso una famiglia di maghi è inevitabile che prima o poi si
sappia. Rimani solo tu Severus. –
- Io non posso dare a quel
bambino ciò di cui ha bisogno. –
- E’ il figlio di Lily, Severus.
-
- Lo so maledizione, lo so! –
Sbattendo i pugni sul tavolo si alzò di scatto intimidendo anche Poppy che non
capiva il perché di tanta veemenza nell’ex alunno. Ma guardando Silente si
ricordò della coppia di ragazzini che passavano insieme tanto tempo, tanti anni
prima. Severus aveva raggiunto la finestra e guardava fuori. Era combattuto e
soffriva. Sentiva gli occhi di Albus e di madama Chips su di sé. Poi si aprì la
porta ed entrò Harry. .
- Signora, devo andare al bagno.
–
La vocina del piccolo smorzò un
poco la tensione. Albus si voltò verso di lui e gli fece uno di quei sorrisi
che metterebbero a proprio agio anche un condannato a morte.
- Adesso madama Chips ti
accompagna Harry. Oh, vedo che il tuo amico sta bene ora. – e strizzò l’occhio
verso l’orsetto che Harry teneva per una zampa.
- Sì signore, George sta bene.
L’ha aggiustato lui. – indicò Severus che ancora dava a tutti le spalle.
Nemmeno a sentirsi chiamato in causa si voltò.
- Davvero? – si incuriosì
Silente.
- Sì, io non gliel’ho chiesto ma
lui ha fatto così e così – e mimando il gesto della bacchetta fece sorridere
Silente. -Non ho mica capito come ha fatto… non ha neanche usato il filo e la
colla! –
- Vieni piccolo, andiamo in
bagno. – Poppy si era alzata e lo aveva gentilmente indirizzato verso la porta.
Appena uscita, Albus si avvicinò al suo pozionista ancora immobile alla
finestra. Gli posò una mano sulla spalla. Severus sentì quel tocco deciso e
rassicurante. Era raro che qualcuno venisse in contatto fisico con lui. Albus
forse era l’unico che si permetteva di toccarlo.
- Sei la persona giusta Severus.
–
- Solo perché ho aggiustato un
orso di peluche? –
- Talvolta sono i piccoli gesti
che ci parlano delle persone. Crescere Harry tirerà fuori il meglio di te. –
- E non pensi che crescere quel
bambino per me sia una tortura? –
- Non lo sarà… forse all’inizio
un po’ sì…. – Il professore si voltò finalmente per guardare in faccia il suo
interlocutore.
- Non so nemmeno da dove si
cominci a crescere un bambino! –
- Sarà un ottimo esercizio… -
Albus sapeva che Severus lo stava mentalmente maledicendo ma nonostante questo
non perse la sua flemma e la sua aria rasserenatrice.
- Non si finisce mai di imparare
mio caro… - e tornò alla sedia. Severus lo guardò duramente, poi prese la via
d’uscita:
- Riportamelo nel sotterraneo
quando avrete finito. – e uscì sbattendo la porta.
Quando Harry e madama Chips
rientrarono il bambino notò subito l’assenza di Severus. Indovinando i suoi
pensieri Albus lo rassicurò:
- Ti aspetta nelle sue stanze. –
- Perché non posso stare con lei?
–. Quel signore gli piaceva proprio.
- Perché io non avrei tempo per
seguirti piccolo mio… e poi sono vecchio, per un bambino come te ci vogliono
forze fresche! Però potrai venire a trovarmi tutte le volte che vorrai. – Gli
fece una carezza. Harry non si ricordava di averne mai ricevuta una. Però
sapeva cosa fossero, vedeva sempre zia Petunia farle a Dudely. Erano belle, lui
le faceva sempre a George. Ma George non poteva ricambiarle.
Lasciarono Poppy ancora
arrabbiata e sconvolta per la scoperta fatta, forse non del tutto convinta che
il professor Piton fosse davvero l’unica soluzione. Ricordò ad Albus che
Severus doveva contattarla per avere le indicazioni sulla dieta per il bambino
e magari anche qualche raccomandazione. Sulle capacità di Severus quale pozionista
non aveva dubbi, su quelle di educatore nemmeno, ma su quelle di comunicare
sentimenti era decisamente perplessa. E questo, fra tutti, era attualmente il
punto fondamentale.
Harry mangiava e guardava il suo
tutore. C’era qualcosa in quell’uomo che sebbene lo intimidisse allo stesso
tempo lo incantava: era sempre composto, sempre controllato. Non somigliava
lontanamente alle persone che aveva conosciuto fino a quel momento, che poi
erano solo i suoi zii e qualche sporadico vicino di casa. Parlava poco, forse
non gli piaceva parlare, ma piuttosto che lo squittio di zia Petunia e le urla
di zio Vernon Harry preferiva quel silenzio. Però… troppo silenzio gli metteva
tristezza. Prese coraggio.
- Signore, George voleva
ringraziare perché adesso ci vede bene. – George era rimasto in camera da
letto, Severus non aveva voluto che Harry lo portasse a tavola.
Severus guardò il bambino. Doveva rispondere? Rispondere a un orsetto
di peluche? Si sentiva idiota. Ma gli occhi di Harry decisero per lui.
- Può dire a George che ho fatto
quello che avrebbe fatto chiunque. –
- Posso andare a dirglielo
adesso? –
- No, prima deve finire la cena.
– Ancora minuti di imbarazzante silenzio. E ancora ad Harry toccò la
parola.
- Lei fa le magie vero? –
E adesso? Ma non era capace di
dire solo “sì signore” e “no signore”?
- Signor Potter, io raramente
parlo durante i pasti. Lo faccio solo se necessario. – Vide il bambino
rimanerci un po’ male ma senza fare alcuna obiezione. Adesso il silenzio però
pesava anche a lui. Era abituato a mangiare da solo durante il periodo estivo
perché a Spinner’s End non aveva mai compagnia. Ma non avrebbe trascorso
quell’estate nel suo lugubre appartamento cittadino. Sarebbe rimasto ad
Hogwarts, col bambino. E non avrebbe più mangiato da solo per molto tempo.
- Sì, signor Potter, sono un
mago. – Harry alzò lo sguardo dal piatto: aveva una faccia talmente sorpresa
che a Severus quasi scappò l’abbozzo di un sorriso.
- Oh, ma allora lei sa far anche
apparire i conigli dal cappello e tagliare in due le persone! –
- No, signor Potter, io sono un
mago vero. Quello di cui parla lei è opera di prestigiatori babbani che
vorrebbero essere maghi. Stolti e ridicoli. –
- Chi sono i babbani? –
- I suoi zii. –
- E’ una parolaccia? –
- No. E’ il modo con cui noi
maghi chiamiamo i non maghi. –
- E’ una parola che mi fa venire
da ridere. Però mi sa che lo zio si arrabbia se gliela dico. E non è mica bello
fare arrabbiare lo zio. –
- Suo zio la picchiava signor Potter? – A questa domanda la
conversazione cessò. Severus aveva ben presente cosa fossero le botte di un
adulto fuori controllo. Erano dolorose, sulla pelle e nell’anima.
- Qui nessuno la picchierà più. –
Dopo cena il professore scartò
l’idea di una passeggiata perché stava arrivando un temporale e non voleva che
venissero sorpresi dalla pioggia. Quindi fece quello che faceva di solito e che
gli procurava maggior diletto: si versò del whisky, scelse un libro e sprimacciò i cuscini della sua
poltrona. Qualcosa però doveva far fare anche al bambino, aveva ancora ben
presente lo sguardo sdegnato di Poppy. Le avrebbe fatto una visita l’indomani:
non era solo per ritirare la dieta, doveva farsi dare almeno le indicazioni più
semplici per affrontare quei primi giorni da tutore. Si sentiva dannatamente
disarmato Si ricordò che il bambino leggeva di nascosto i libri della cantina,
quindi gliene procurò uno che fosse corredato di fotografie o disegni. Non
aveva calcolato però che Harry non conosceva le fotografie magiche. Quando il
piccolo aprì il libro di storia illustrata della magia e la fotografia
dell’autore gli strizzò l’occhio ringraziandolo per aver scelto il suo testo
Harry cacciò un urlo, scaraventò il libro a terra e si rifugiò ai piedi
dell’uomo in nero, riparandosi dietro le sue gambe. Severus non capì immediatamente:
sentiva le mani del piccolo strette ai suoi pantaloni. Era una sensazione
strana: di solito i ragazzini fuggivano da lui, non cercavano riparo. Con un
incantesimo di appello richiamò il libro e se lo aprì sulle ginocchia:
- Signor Potter, si alzi e guardi
insieme a me. –
Harry ubbidì. Se quel signore gli
aveva detto che nessuno lo avrebbe più picchiato non gli avrebbe fatto del
male. Così, in piedi accanto al suo tutore, Harry sfogliò il suo primo libro
magico e ascoltò quell’uomo triste e severo raccontargli le figure: maghi e
streghe famosi, battaglie tra buoni e
cattivi, animali, oggetti e formule magiche. Quando fu il momento di andare a
letto era davvero stanco. Severus, nel suo giro di controllo, lo sentì parlare
a George:
- Sai George, questo posto mi
piace. E’ pieno di cose strane, e il signore che bada a me non è mica tanto
male. E’ magico sai? Guarda come ti ha aggiustato bene! Adesso però dormiamo
perché lui dice che i bambini della nostra età devono dormire tante ore. –
Il professor Piton lasciò la
porta della camera di Harry aperta, si preparò per la notte ma non riuscì a
prender sonno. Pensava a Lily, a come sarebbe stata la vita di quel bambino se
lei fosse ancora viva. Lily gli mancava. La mancanza divenne insopportabile,
come nei primi giorni dopo la sua morte. Si alzò, mise la vestaglia, lasciò i
sotterranei e raggiunse la stanza delle Necessità. Lo sapeva che era
un’illusione, ma era un’esigenza incontrollabile e impellente. Entrò e si fermò
davanti allo specchio in attesa che lei arrivasse. Quando la vide sentì
chiudersi la gola. Non riusciva a parlare, se lo avesse fatto avrebbe finito
col piangere. Non aveva più pianto dopo la notte che aveva promesso a Silente
che l’avrebbe onorata mettendosi al servizio dell’Ordine e proteggendo suo
figlio. Gli sembrava che il tempo non fosse mai passato, aveva il cuore
spaccato dal dolore. Lei era sempre lì, bella come l’ultima volta che l’aveva
vista, ma viva. Gli sorrideva. Si sedette sui talloni, lo sguardo a terra e finalmente
le parole gli raggiunsero la gola, e piano piano la sua bocca le lasciò uscire,
a singhiozzo perché la gola gli faceva male per lo sforzo.
- E’ piccolo. E’ indifeso. E ha
bisogno d’amore, Lily. D’amore capisci? Guarda chi hai davanti.-Rimase in
silenzio qualche minuto. Appoggiò una mano sulla superficie liscia dello
specchio quasi a cercare quella di Lily, come facevano da bambini.
- Vorrei essere capace di
crescerlo come lo avresti cresciuto tu… –
Alzò gli occhi e vide che anche
lei adesso era inginocchiata e il suo palmo aderiva al suo: così vicini eppure
irrimediabilmente separati. Per Severus fu come se gli avesse detto che sì,
poteva farlo. Sentì scendere finalmente un po’ di pace. Severus allora liberò
il suo Patronus. La cerva gli leccò il viso, poi lasciò la stanza delle
Necessità. Scese le scale, arrivò nei sotterranei, superò incorporea la pesante
porta dell’abitazione di Piton, raggiunse Harry e si accovacciò ai piedi del
letto. I tondi occhi lucidi di George
luccicarono d’argento quella notte.