Thought
that I was the exception
Presi
fra le mani tremanti l'iPhone. Su Twitter c'era la notizia del
divorzio, tutti ne parlavano, da vip a giornali che seguivo di
malavoglia, incitata dal mio migliore amico. Lo buttai a terra, lo
schermo si frantumò in mille schegge di pericoloso vetro
tagliente.
Non me ne fregava un cazzo. Mio marito.
Mio marito!
Mio marito mi aveva lasciata. Era andato a chiedere il divorzio.
Quando me lo disse al telefono, gli dissi "vai, voglio proprio vedere
come lo farai." Pensavo che non ne avesse il coraggio.
E invece, l'ha fatto.
Ero sola. Ero senza il mio punto di riferimento, senza la persona di
cui più mi importasse al mondo.
Presi una birra dal frigo bar, non lessi neanche la marca, come facevo
di solito.
Dal sapore sembrava una Tennet's. Guardai con gli occhi appannati dalle
lacrime la marca. Si, era una Tennet's.
Ne presi un'altra, e bevvi, bevvi, bevvi, finchè non arrivai
a dimenticare il mio nome, la causa del mio dolore, chi ero e cosa
facevo. Dimenticai tutto, grazie all'alcohol che mi scorreva nelle
vene.
Mi venne da ridere istericamente, presi una sigaretta, l'accesi e
ricominciai a fumare. Così, all'improvviso, senza
ripensamenti.
Lui non voleva che io fumassi, gli dava enormemente fastidio la vista
di me con una sigaretta in mano ed io, da brava moglie, smisi di
fumare. Smisi di fare tante cose solo per lui.
Smisi anche di bere. Che assurdità.
Incominciai a dipendere da lui, divenne quasi una droga. Non volevo
deluderlo per nessuna ragione al mondo, volevo tenermelo stretto
perchè era l'unica persona che pensavo mi accettasse e mi
amasse per quello che ero. Che ingenua che ero stata. Lui non mi amava
per ciò che ero.
Amava la persona che ero diventata, che cercavo di essere a tutti i
costi pur di continuare a stargli accanto.
Ed io, d'altra parte, ero innamorata della parte che più
preferivo di Russell. Quella calma e posata, quella che assumeva quando
mi guardava negli occhi.
Pensavo di essere il suo angelo custode. Pensavo di essere la donna
della sua vita, quella donna capace di curare ogni sua ferita e ogni
sua dipendenza.
Pensavo fossi la sua eccezione.
E invece, mi ero sbagliata, ancora una volta.
Non ero la sua eccezione. Forse, ero una fra le tante, una di quelle
che si era innamorata dei suoi sguardi dolci e delle sue carezze
leggere come un vento primaverile.
Incominciai a piangere, a piangere senza sosta e poi a ridere fra le
lacrime, e di nuovo a piangere, piangere e piangere.
Ero in un hotel di Miami, con il viso ricoperto di lacrime, gli occhi
gonfi e lo sguardo vacuo quando Marcus aprì la porta e mi
ritrovò.
La mia ancora di salvezza. Mi teneva salda, ferma, quando tutto
ciò che volevo fare era lasciarmi trasportare dal nulla
assoluto.
Mi coprì in un abbraccio da orso. Ovviamente, doveva aver
saputo tutto. Tutti sapevano tutto.
Che schifo.
«Katy Perry non piange. Katy Perry è
forte.» mi sussurrò Marcus, stringendomi ancor di
più.
«Già,
Katy Perry è forte. Il problema è che io adesso
non sono Katy Perry, ma Katy Hudson dal cuore frantumato in mille
schegge, proprio come il mio iPhone.»
«Hai
distrutto l'iPhone? Sei diventata pazza?» urlò
lui, ed io scoppiai a ridere buttandomi per terra e scalciando come una
bambina.
«Katy cazzo
sei ubriaca?»
Non risposi. Ero troppo presa a ridere dal
suo tono di voce così stridulo, che non lo ascoltai neanche.
Poi improvvisamente mi venne in mente Russell, e piansi.
Presi un'altra birra dal frigobar, sperando che Marcus non mi fermasse.
Non lo fece.
La bevvi, non sentii neanche il sapore in gola.
Il ricordo di Russell cominciò ad annebbiarsi, ma restava
sempre un assurdo promemoria nella mia mente, come a precisare che
cazzo di fallimento fossi.
Presi un'altra birra.
Vidi Marcus che tratteneva un singhiozzo. Smisi di trangugiare la birra
e mi avvicinai a lui.
«Io... io non voglio vederti
così Katy, non voglio. Non voglio dover raccogliere ogni
pezzo di te che adesso è sparso in questa camera. Non voglio
vederti affogare il dolore nella birra. Non voglio. Non l'ho mai
voluto.» mormorò lui, mentre una lacrima gli
rigò il viso.
Lo abbracciai, senza parole.
Non ci parlammo, piangemmo solo in quella insulsa camera d'hotel. Le
nostre lacrime si confondevano, si mescolavano e avevano il sapore di
bugie e segreti malsani.
Quando ci ricomponemmo, sentii il telefono squillare.
Shannon.
«Perry,
cazzo... » la vocina di Shannon mi rimbombava nell'orecchio,
come una eco incessante e martellante. Avevo decisamente esagerato con
le birre.
«Shann..
on.» mormorai a fatica. Non riuscivo neanche a parlare, ero
paralizzata dal dolore. I singhiozzi mi scuotevano il petto, ad ogni
respiro una lacrima mi scorreva sul viso, finendo fra l'incavo dei seni.
Stavo troppo male, il mio fisico sembrò quasi non reggere
tutto quel dolore.
Come si fa a dire addio ad una persona che è stata una
costante nella tua vita? Come si fa a non incolparsi tutto?
La colpa era solo mia, solo mia, perchè non ero la persona
che lui voleva che fossi. Dovevo essere la Katy che, diligente e
premurosa, restava in casa a badare ai bambini, che rassettava e puliva
tutto. Che amava suo marito, e che non le importava di quanti errori
facesse.
Era questo il nostro problema. Gli errori.
Avevamo commesso entrambi troppi sbagli, troppi per poterceli
perdonare. Sbagli di cui si fa fatica anche solo pensare, ma che si
rinfacciano in continuazione, come una prova da sbandierare al vento di
come l'essere umano sia imperfetto nonostante cerchi di sostenere il
contrario.
Io ero imperfetta, lui era imperfetto, e non ci amavamo per
ciò che eravamo. Entrambi amavamo una persona che in
realtà non esisteva.
Mi arrivò un messaggio sul mio telefono che utilizzavo solo per questioni private, il Blackberry, che mi distolse da quei pensieri.
"Pensavo tu fossi la mia
eccezione. Mi sbagliavo. Continuerò ad amare quella parte di
te che resterà per sempre mia."
Le lacrime rigarono nuovamente il mio viso segnato dalla sofferenza e
dal dolore.
«Ti
amerò anch'io per sempre.» fu il
sussurrò che uscì dalle mie labbra e che si perse
in quella stanza impregnata dall'odore dell'alcohol e delle lacrime.
Poi mi addormentai di colpo, stroncata da quel dolore troppo forte.