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Questa è la nostra casa, e sarà la nostra tomba.
E' tempo di credere alla vita, in tempo di morte.
Commodiano
Scotland Yard è silenziosa, in un pomeriggio qualsiasi di
maggio. Non fa troppo caldo né troppo freddo e il sole è
di un tiepido color camomilla che a John non dispiace. Sta bene, e a
John piace stare bene. All'interno della centrale, qualcuno compila
scartoffie chino sulla propria scrivania, altri corrono qua e là
ma sempre con una certa postura dritta, come se quella bastasse per far
intuire alla gente che della polizia ci si può fidare. Un agente
gli chiede se ha bisogno di qualcosa, perché è fermo da
dieci minuti nell'atrio e non accenna a muoversi. John non lo sente
davvero e risponde più per riflesso che per cortesia, no, non ho
bisogno di niente grazie, so dove devo andare. L'agente non fa domande,
forse l'ha riconosciuto o forse no. A John non interessa ma lo
ringrazia mentalmente di avergli lasciato il tempo di prepararsi.
Socchiude gli occhi, si sistema il giubbotto nero e inspira. Assorbe
ogni briciola d'aria che i suoi polmoni riescono a incalanare, poi
spinge la porta ed entra. La stanza non è gremita di gente come
si aspettava, tre agenti in divisa, due in borghese, Anderson, Donovan.
Le solite facce, la solita feccia. John non lo dice, ma è sicuro
che il suo sguardo parli abbastanza anche da solo. Come prima,
socchiude gli occhi, si aggiusta il cappotto, inspira. Ha il viso in
alto, l'andatura militare e il portamento fiero a nascondere la
sofferenza mentre i suoi piedi calcano quel pavimento che tante volte
hanno percorso in due. John non ha niente di cui vergognarsi, non l'ha
mai avuto né l'avrà mai. Donovan e Anderson possono
continuare a guardarlo in quel modo per il resto della vita miserabile
che conducono, se la loro coscienza glielo permette; prima o poi ci
sarà un killer abbastanza coraggioso da piantare una pallottola in uno
dei due, per vedere poi l'altro diventare un fantasma. Perché
è così che funziona. Uno muore, l'altro sopravvive
morendo ogni giorno.
La porta dell'ufficio dell'Ispettore Lestrade si apre con uno
scricchiolio sinistro. Greg ha i capelli più grigi di come li
ricordava, gli occhi stanchi e il fisico asciutto. Le sue iridi chiare
sferzano il viso di John come una frusta che forse non ha la forza di
sopportare. Gli si avvicina veloce, stringendolo goffamente in un
abbraccio bollente che John accoglie con una forza che ha smesso da
tempo di avere, aggrappandosi alla sua giacca per non rovinare a terra,
stanco com'è. Lo sapevo John, dice Greg, lui non era...
così. Aveva te. Io lo sapevo. Perdonami, perdonami, John.
John vorrebbe dirgli che non ha nulla di cui chiedere perdono ma non
riesce a parlare, perché c'è qualcosa che gli fa male,
cos'è?, non lo sa che cos'è, ma si stringe a Greg un po'
più forte. Ma lui non c'è, Greg. Lo dice piano, John,
affondando il viso fra il collo e la spalla dell'amico. Lui non
c'è e io sono ancora qui. Greg lo stringe così tanto che
John ha paura di soffocare. Solo che non puoi farlo, se hai smesso di
respirare. E John non respira più da un po'. Lui non c'è.
***
- Qualunque cosa tu abbia da dirmi non voglio ascoltare e visto che sei
entrato da solo in casa mia saprai anche dov'è l'uscita. Fuori di qui.
Mycroft sospira piano, stringendo le dita in pugno. Non alza gli occhi
su John che invece lo guarda con disgusto, rabbia e una sorta di
istinto omicida serpeggiante nelle iridi verdazzurre.
- Voglio offrirle il mio aiuto, Dottore.
John ride, spettrale, e un brivido freddo colpisce la spina dorsale del Governo.
- L'unico aiuto che mi puoi dare è toglierti dai piedi, prima che lo faccia io.
- John, la prego. Sherlock-
- Non. Osare.
John sente la gola stringersi e gli occhi che pungono prepotenti. Afferra
Mycroft per la camicia, sbattendolo
contro il primo muro disponibile. Gli occhi di ghiaccio sbarrati e il
respiro mozzato, la voce in un rantolo e... paura? Rimorso?
Cos'è quella scintilla?
- Non lo nominare. Non ne hai il diritto, con le mani macchiate del suo
sangue. Non dire il suo nome mai più, specialmente davanti a me,
Mycroft.
John lo lascia andare con uno spintone che gli fa urtare la testa
contro un quadro. Il rumore dei cocci di vetro è così
simile a quello del suo cuore che il sussulto è involontario.
- Gregory mi ha chiamato questo pomeriggio. Ha detto che sei stato a Scotland Yard.
- Quello che faccio non sono di certo affari tuoi - sputa, velenoso -
Mycroft, è l'ultimo avvertimento che ti do. Vattene fuori da
casa mia, o sarò ben felice di finire in prigione.
Il Governo si sistema il vestito sgualcito, in mezzo un silenzio
appiccicoso che penetra nella pelle di entrambi. Ha gli occhi più scuri, quando John torna a
guardarlo. I suoi sono solo più freddi. Non hanno colore.
- Sto cercando di pagare il mio debito, John. Ora che tutti sanno la
verità - dice, con uno strano tono basso - e lo farò,
anche senza il tuo consenso.
Il pugno che colpisce Mycroft è inaspettatamente forte. Il
sangue
schizza sulla mano del Medico come sul mento del Governo che crolla a
terra come se non avesse vita. Piange, John, senza fare rumore,
pregando un dio invisibile di avere pietà di lui, lui che ha una
goccia del sangue di Mycroft sulla guancia e lo sguardo allucinato di
chi è pronto a fare peggio di così, perché non ha
più niente da perdere.
- Tutto ciò che farai, tutto ciò che penserai di fare - mormora John, affannato -
tutto ciò che continuerai a provare per ottenere il mio perdono
o per riscattare la memoria di Sher-la sua memoria,
non sarà mai abbastanza. Impara a convivere con la
colpa di essere l'assassino di tuo fratello! - è cattivo, John,
ma anche quando vede il riflesso del proprio dolore nelle iridi chiare
di Mycroft non prova niente - Voglio solo... essere
lasciato in pace.
John si stringe la testa fra le mani, a occhi chiusi, seduto su una
poltrona fredda e asettica che non ha niente del calore di Baker
Street. Quando alza il capo è solo per vedere l'appartamento
vuoto e
qualche goccia di sangue che ancora macchia il pavimento. Sangue
Holmes, come quello di Sherlock. John si piega in due, rigettando a
terra. Vuole solo essere lasciato in pace.
***
Harry è gentile. Da quando Sherlock è morto, lei gli
è sempre stata vicino e anche se non abita proprio dietro
l'angolo, va a trovarlo ogni giorno. John non gliel'ha mai detto,
ma il suo calore gli impedisce un po' di impazzire. Ma oggi è un
giorno diverso, e John non è sicuro di riuscire a sopportare la
presenza di qualcuno che non sia la propria. E' steso sul divano, con
gli occhi puntati al soffitto e il cuore gonfio delle sue immagini.
Ripete a se stesso che non lo sta dimenticando, si autoconvince che sa
ancora di che colore sono i suoi occhi - celesti? Verdi? Azzurri?
Grigi? - e quante fossette gli spuntano nelle guance quando sorride. Ma
la verità è che non ha altra immagine, se non l'ultima,
impressa nella testa. E il rosso è l'unico colore nitido che
riesce a ricordare. Harry lo trova così, steso sul divano con
una mano sugli occhi, che singhiozza come un neonato appena venuto al
mondo. Le braccia di Harry sono forti, un buon appiglio a cui John si
aggrappa con ogni forza del suo essere, come quella mattina ha fatto
con Greg. Harry, dice, aiutami, continua, aiutami, ti prego. Non ce la
faccio più. Harry piange, sulla spalla di suo fratello,
stringendosi al suo maglione, tirandogli la pelle e, con essa, parte
del dolore lancinante che la sta investendo. Dimmi cosa posso fare,
Johnny, dimmelo. Farò ogni cosa che mi chiederai, dice. John la
guarda, con i suoi occhi limpidi e le labbra contratte. Uccidimi.
Uccidimi, ripete, puoi farlo? Harry non dice niente, asciugandogli
piano le guance come quando era bambino. Ucciderò ogni parte di
te, fratellino. Ti strapperò via questo male e me ne
prenderò carico io, dice. John la stringe più forte,
nascondendosi sul suo collo. Harry non è sicura che il suo
fratellino abbia capito che cosa gli ha realmente promesso.
Però, lei sì.
Ps. I'm a Serial Addicted
Quello che vi presento oggi è il primo capitolo di una
oneshot in tre parti. Dopo la scoperta delle tre parole della prossima
stagione sono caduta in uno stato di depression
che con l'ascoltare Einaudi e qualche canzoncina triste non è
nient'altro che aumentato. Così ho incanalato tutto così.
Vi chiedo perdono perché lo stile è pesante, specialmente
la prima e l'ultima parte, ma così è nata e non ho
intenzione di cambiarla. Il titolo è un omaggio al mio manga
preferito Fullmetal Alchemist, tratto dal primo volume in cui, un
gruppo di minatori che hanno rischiato di morire per via di un incendio,
ricevono il gentile consiglio di Ed: "se state così male,
perché non ve ne andate e cercate un altro lavoro?" e loro
rispondono "ragazzino, tu forse non riesci a capirlo ma noi siamo nati
qui. Questa è la nostra casa, e sarà la nostra tomba". E
vista l'aria che tira in questa oneshot, l'ho trovata più che
azzeccata (vi devo specificare qual è la casa di John?). Come al solito vi ringrazio per tutte le vostre belle
parole, le vostre recensioni (anche quelle negative *da bacino a Mis*)
e il vostro seguito che mi rende tanto felice. Che altro dirvi? Perdono
per l'angst? See you later!
Jess
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