La Caccia
La luna.
Grande, lucente,
bellissima.
Diffondeva
dolcemente su quelle terre la sua luce argentea, dell'intensità perfetta per
nascondere i propri figli e illuminare al contempo le loro prede.
A lei cantava il
suo amore con versi bestiali, forse senza un motivo, forse per propiziarsi i
suoi favori.
Poi, ad un tratto,
quella diventava rossa, come se un manto di sangue l'avesse improvvisamente
avvolta, ed era come se, sogghignando,
stesse invogliando la sua prole ad entrare in azione: era l'ora della
caccia.
Stupida luna!
Se solo ci fosse un
po' più di luce sarebbe già riuscito a trovare la strada per uscire da quel
bosco.
E invece vagava per
quella selva senza vita da un tempo che gli sembrava l'eternità, e non
ricordava nemmeno come ci fosse entrato.
Sapeva solo che
doveva uscirne, ma ad ogni falcata tra rovi e grovigli di fogliame la sua carne
si faceva più pesante.
Sapeva solo che
doveva scappare, ma le gambe diventavano sempre più deboli e dolenti e il
freddo vento che spirava tra le fronde sembrava attraversarlo da parte a parte.
Sapeva solo che
doveva mettersi in salvo. Da cosa? Qualcosa dentro di sé lo sapeva, ma aveva
paura a confessarglielo.
- un ululato -
Come faceva a
saperlo? Sentiva il suo respiro.
Respirare,
sempre più forte,
sempre più avidamente, mentre correva fra gli alberi; foglie e ramoscelli gli
sbattevano addosso senza scalfirlo, ma anzi sembravano trasmettergli la forza
di raggiungere al più presto il suo obiettivo.
Poi finalmente gli
alberi finirono e sbucò in una radura.
Lì il vento
accarezzava la terra muovendo armoniosamente l'erba proprio come faceva col suo
pelo.
E lì, imponente,
troneggiava sopra il prato sanguigno, alla luce della sua luna rossa, il suo
principe e padrone, Hircine.
Rosso!
Tutto era diventato
ad un tratto rosso!
Come in un incubo
il cielo e la luna sembravano grondare sangue. Il che non faceva altro che
alimentare ancora di più il suo terrore. Prese allora a correre, per quanto
concessogli dall'ambiente, verso una direzione qualsiasi, agitando le braccia
per liberarsi della vegetazione, mentre sentiva il suo affannoso respiro
montargli nelle orecchie e confondersi con quell'altro.
Finché finalmente
ne fu fuori. Giusto il tempo di riprendere il fiato che avvistò la figura che si
stagliava dall'altra parte della radura: la sua più grande paura, il principe
daedrico della caccia, suo torturatore e boia, Hircine.
Preda avvistata!
Basta un gesto del
braccio e la muta di lupi obbedisce al cacciatore e parte all'inseguimento
della preda.
Già pregustava il
suo sangue caldo zampillargli sul collo e impregnare la sua pelliccia.
Assaggiava l'aria e
avvertiva paura: il suo gusto preferito.
L'aria attraverso
il pelo, l'erba tra gli artigli, il rombo del cavallo del suo padrone che gli
correva accanto e l'impeto dei suoi fratelli che lo circondavano... non sapeva
chi fosse la preda, né cosa avesse fatto per meritarsi quel supplizio, ma non
gli importava, perché quella era l'unica vera ebbrezza che avesse mai provato
nella sua vita, anzi, l'unica prova che fosse vivo.
Era la fine.
La prima cosa che
pensò, quando vide gli uomini-lupo e il loro padrone caricarlo attraverso la
radura.
Era inutile anche
solo provare a scappare, ma mentre pensava ciò l'istinto di sopravvivenza aveva
già mosso le sue gambe, anche se lui se ne accorse solo dopo aver visto
scorrere davanti a sé la sua intera vita.
Di nuovo nel bosco,
ora non si accorgeva quasi degli ostacoli che prima lo avevano provato tanto.
Ciò non significava che non lo provassero ancora, anzi, forse anche più di
prima, ma nella sua testa era ormai tutto un vortice di rosso, latrati e tonfi
di zoccoli. E poi quel respiro, sempre più vicino.
Ci siamo quasi.
Tronchi e cespugli
gli sfrecciavano accanto, ma tutti i suoi sensi erano focalizzati sulla preda:
ormai non aveva più alcuna speranza, la foresta l'avrebbe sfiancato o
disorientato e lui poi avrebbe finito il lavoro.
Ci siamo quasi.
Una massa di peli
salta fuori da un cespuglio e lo atterra all'istante.
Ora può vedere la
paura nei suoi occhi e specchiarvisi dentro.
L'ultima immagine che
vide fu il suo volto, e orripilato, vi riconobbe la verità.
Svegliarsi di soprassalto, con un urlo e tutto sudato,
freddo e pallido, di certo non si addiceva alla sua posizione di saggio e
guerriero. Per fortuna nessuno se ne avvide.
Dalla finestra, tirò una rapida occhiata alla luna, e per
fortuna constatò che effettivamente era ancora argentata... era stupido, lo
sapeva, ma lo faceva ogni volta.
E ogni volta si alzava dal letto e lentamente camminava fino
alla finestra, alzando spaventato lo sguardo verso il vetro fino ad incrociare
quello del suo riflesso, e sperava ogni volta di vedere una faccia diversa, ma
quella che vi trovava era sempre la stessa: quella del lupo mannaro.
Odio la sigla "NdA", quindi da adesso questo spazio si chiamerà "Il Cantuccio" (cit?) XD
Che si nasconda questo dietro la scritta "Il tuo sangue di bestia non ti fa riposare bene" ogni volta che vi svegliate? Beh, se è così, ogni volta che fate dormire il vostro pg lo costringete a questa tortura... siete davvero delle brutte persone... XD
Comunque questa probabilmente sarà la prima di una "raccolta nella raccolta", una serie di one-shot dedicate ai principi daedrici, anche se purtroppo per Hircine volevo parlare di più dell'aspetto riguardante la questione del Sovngarde (se avete completato la quest-line dei lupimannari avrete sicuramete capito di cosa sto parlando) e del dualismo uomo/lupo, ma mi stava piacendo il ritmo che andava assumendo questa storia, e frenarlo con una lunga riflessione filosofico-religiosa alla fine mi sembrava uno spreco, quindi penso che gli dedicherò un'altra storia... così sarà una "raccolta nella raccolta nella raccolta" su Hircine XD no, vabbè, al massimo ne scriverei solo un'altra... forse...
Ah, e spero che abbiate riconosciuto e gradito il font originale dei libri di Skyrim ;) penso che lo userò anche per le altre storie.
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