IL
PORTACHIAVI
by elyxyz
A Lalla e Ale, che non leggeranno mai questa ff, per
avermi sopportata in ferie anche quest’anno. Grazie…
Due bambini: un parco giochi, un
portachiavi, una promessa e un addio…
E se il primo incontro tra Sakuragi e Rukawa non fosse
avvenuto allo Shohoku?…
Attenzione: autoconclusiva; genere non-yaoi,
SS/PG, sentimentale…
Legenda: “ ”= parole
<
>= pensieri
Il sole era ormai al tramonto dietro la collina.
Il parco giochi, che delimitava il quartiere popolare e le
prime villette residenziali, salutava gli ultimi bimbi che, con le loro mamme,
si accingevano a rincasare per la cena.
Due bambini si attardavano ancora con una palla arancione,
striata di nero, in mano, incuranti dei richiami delle
proprie madri.
Alla fine il bimbo più piccolo, morettino ed esile di corporatura,
disse: “Dai, Hanachan! Se non le ascoltiamo, domani
non potremo venire!”
“Nessuno può ostacolare il Tensai”
rispose l’altro, in modo orgoglioso. Ma aggiunse “Ok,
Yochan, hai vinto tu...”
Con passo svogliato, prese la palla rugosa, come quella da
basket, eccetto che per le dimensioni.
Lanciò uno sguardo furtivo verso il campo da pallacanestro,
confinante con il parco e rimase assorto a contemplare un giocatore che
prendeva un rimbalzo.
< Ah, - pensò - magari un giorno ci riuscissi
anch’io! >
Poi si affrettò di corsa, verso le due donne e Yohei che lo
attendevano.
Con la coda dell’occhio vide che nel parchetto era rimasto
solo un bambino, con i capelli molto scuri e una signora anziana, che svogliatamente
lo sorvegliava, mentre leggeva un libro.
Il giorno seguente, Hanamichi era di cattivo umore.
La sua mamma lo aveva avvisato che Yohei era ammalato e
perciò avrebbe trascorso la settimana dai nonni.
Hanachan, senza Mito, non voleva uscire.
La madre, esasperata, disse: “Vuoi rimanere a casa anche tu
una settimana, come il povero Yochan?! Su, forza, il
tuo impegno di oggi sarà conoscere un nuovo amico! Io so, bimbo mio, che, con
la tua vivacità e allegria ci riuscirai senza problemi! In fondo, non sei un
tensai?!”
Galvanizzato da quelle parole, il bambino cambiò
radicalmente umore: “Dov’è il pallone da pallacanestro, mamma? Il parco attende
il tensai!”
Sollevata, la donna porse la sfera arancione e si diressero
al giardino lì vicino.
Arrivati, però, Hanamichi perse la sua baldanza: “Mamma,
senti… devo proprio?!”
“Sì, caro, è bello conoscere nuovi amici.”
Il rossino, di rimando, infilò una mano in tasca e strinse
un portachiavi.
“In fondo, Yochan, non ti tradisco, se gioco un po’ anche
con gli altri…”
disse sottovoce, quasi più per
convincere sé stesso.
“Hanamichi, guarda!” disse la madre al piccolo, interrompendo
il filo dei suoi discorsi “quel bambino, là sulla sabbiaia, sta giocando da solo.
Mi sembra sia sempre solo… Cosa aspetti? Potrebbe
essere lui, un nuovo amico speciale… Non ti crucciare, Yohei non si arrabbierà
per questo.”
Il figlio si sentì sollevato da quelle parole e, rianimato,
si diresse verso il bambino seduto sulla sabbia.
La madre, intanto, si sentiva più tranquilla, nel vederlo
reagire positivamente al suo invito.
Non era difficile capire le preoccupazioni del figlioletto.
Del resto, il rapporto che lo legava a Yohei era fin troppo
simbiotico.
Un po’ di cambiamento avrebbe giovato… ne era certa.
“Ciao! Come ti chiami?” disse, con tono squillante,
Hanamichi.
Il morettino, interrotta una costruzione di sabbia, lo
guardò intimorito e titubante: “Kaede… Rukawa” rispose.
“Kaede Rukawa”
ripeté l’altro, con fare solenne, quasi a soppesarne il valore, e in fretta
continuò: “E’ troppo lungo... e… difficile da ricordare! Ti chiamerò Kawachan!
Ti piace? Posso? Posso? Posso?...”
Senza attendere una risposta, cercò di leggerla sul viso
arrossito e imbarazzato del suo interlocutore e aggiunse: “In cambio, tu puoi
chiamarmi Sacchan! E’ un onore, sai?!” Poi spiegò “solo
Yochan mi chiama Hanachan...”
“Yochan è il bambino che gioca a
palla sempre con te, vero?” disse il morettino.
“Sì, ma ora è ammalato. Ti va di giocare a basket con me?!”
“Io non ci so giocare, non sono capace…” disse l’altro.
In tutta risposta, Hanamichi gli prese la mano destra fra le
sue e gli fissò il palmo aperto: “Hai mani molto grandi… dita lunghe... e sei
alto quasi quanto me… Potresti diventare un grande giocatore!!”
Disse con fare profetico, di chi ha
cognizione di causa.
“Ma... io ho solo 3 anni!...”
Rispose Rukawa, incerto.
“Anch’io!, ma vedrai che possiamo
imparare anche adesso… qualcosa...” e aggiunse triste “Yohei odia il basket. Non vuole mai giocarci e diventa
triste, se gli chiedo di giocare con il canestro… Penso che smetterò anch’io di
giocare...”
Rukawa intervenne: “Oggi, allora,
insegnalo a me!”
E i due si diressero verso un canestro lì vicino,
posizionato sul bordo del parco; creato apposta per i bambini.
Hanamichi spiegò a Kaede come si palleggiava e come tirare a
canestro.
I movimenti che compiva erano grossolanamente scoordinati,
ma il rossino possedeva forza e agilità superiori ad un bambino di 3 anni.
Buona parte dei canestri, infatti, entravano nel cerchio.
Kaede rimase a guardarlo, poi, incoraggiato, tentò a sua
volta.
Per poco non riuscì a centrare il ferro.
Ma, anziché sembrare deluso, dichiarò che avrebbe tentato
finché non sarebbe riuscito nell’intento.
La mamma di Sakuragi e la governante di Rukawa, intanto,
controllavano i rispettivi protetti in modo solerte.
Il tempo passò in fretta.
Hanamichi pensava tra sé che il morettino era molto bravo a
giocare a basket: non sembrava goffo come lui nei movimenti, forse perché era
più esile di corporatura.
Rukawa interruppe i suoi pensieri: “Posso chiederti una
cosa, Sacchan? I… i tuoi capelli... perché sono così?!”
In tutta risposta, il rossino rise di gusto, ma rispose
serio: “La mamma dice che, quando sono nato, il mio vicino stava tinteggiando
la sua recinzione, e mi è arrivata una pennellata di antiruggine in testa…”
Rukawa rimase assorto: “Ahhhhhhh...”
“Scherzo, scherzo!! La verità è che
la mia mamma e i nonni sono nati in un posto molto lontano, chiamato “Irlanda”,
e lì, tanta gente ha i capelli come i miei!”
“Insomma” concluse Ru “tu hai dei
capelli speciali, perché sei un bambino speciale!”
Hanamichi fu completamente conquistato da quel ragionamento.
“Già” disse.
La madre di Sakuragi interruppe i loro discorsi. “Hanamichi, tra poco torniamo a casa! E’ già ora di cena!”
Il rossino si rivolse al compagno di giochi e gli disse:
“Domani, giocheremo ancora a basket, vuoi?!”
Il morettino si rabbuiò all’improvviso.
“Mi dispiace, Sacchan, domani io partirò. Oggi sono venuto
per dire addio al parco... Papà ha un nuovo importante lavoro… In una grande
città, molto lontana… Non credo che ti rivedrò.” E due
grossi lacrimoni spuntarono sugli zigomi.
Il rossino era rimasto zitto e impietrito da quell’inaspettata
dichiarazione… e rispose: “Ma… Non è giusto! Noi siamo appena diventati amici!
Dobbiamo giocare a basket insieme! Ti
devo presentare Yochan… No, non è giusto…” e iniziò a piangere in silenzio.
Affondò, sconsolato, le mani nei pantaloni. Poi, un lampo di
genio improvviso lo rianimò e disse con rinnovato entusiasmo: “Tieni!” ed
estrasse un portachiavi con una palla da basket come pendolo “ti regalo questo.
Li ha fatti mio nonno per me e Yochan. Sono due uguali” disse, cavandone uno gemello dall’altra tasca. “Ma voglio che uno lo abbia
tu.
Sono unici, sai.
Non ce ne sono altri al mondo.” Evidenziò solennemente. “Così,
quando guarderai la palla, penserai a me e ad oggi, come il giorno in cui hai
imparato cos’è il basket!”
Ru, con un impeto, lo abbracciò forte e piangendo rispose.
“Ti prometto che imparerò a giocare... Diventerò il
migliore del Giappone. Sarai orgoglioso di me. E, forse, questo pallone”
indicando la grossa sfera “ci farà rincontrare!”
Quando si staccarono, Hanamichi lesse una forza e una
determinazione negli occhi blu di Kawachan che lo fecero rabbrividire.
E ripeté: “Il migliore...”
E l’altro, in un sussurro: “Il migliore”.
“Ti batterò comunque! Nessuno è più bravo del tensai!”
E risero di gusto, solo come i bambini sanno fare.
Poi, si salutarono.
“Allora, addio...” disse Ru.
“No, ci rivedremo... grazie a questa palla...”
E divisero le loro strade.
L’allenamento straordinario era appena finito, anche quella
sera.
Erano tutti a pezzi.
Il gorilla sembrava una bestia, da quando
lo Shohoku aveva perso l’amichevole contro il Ryonan. Ma anche Ayako non era da
meno, nei suoi allenamenti speciali per Sakuragi.
Anzai amava ripetere che Hanamichi era argilla grezza che
andava plasmata, soprattutto finché era bagnata e malleabile. Aveva talento e
abilità straordinarie, ma andavano affinate per non venir
sprecate.
< Se avesse iniziato a giocare presto, chissà dove
sarebbe!- pensava Akagi, meditabondo- Probabilmente, supererebbe persino
Rukawa, il che, è già tutto un programma… >
In palestra, erano rimasti solo il
capitano per supervisionare, con Ayako, gli allenamenti del tensai più
eclettico dello Shohoku; Miyagi, che aspettava Ayacuccia cara, per
riaccompagnarla a casa; il vice capitano Kogure e Mitsui, che aiutavano
Sakuragi negli esercizi di consolidamento; e Rukawa
che, dopo gli abituali sforzi imposti dal gorilla, era solito allenarsi da solo
in palestra, fino alla sua chiusura, con spettacolari canestri da tre punti,
tiri in sospensione e palleggi dribblati, contro inesistenti avversari, con
grazia e eleganza magistrali.
Il gorilla aveva appena mandato Sakuragi a cambiarsi negli
spogliatoi.
E il rossino era rimasto un attimo incantato ad osservare il
gioco del suo peggior rivale: doveva riconoscerne la bravura, anche se gli dava
fastidio.
< Probabilmente, Rukawa gioca a
pallacanestro fin dalla culla.
Ah, - pensò la parte razionale di Hanamichi
- se non avessi smesso tanto tempo addietro, e non fossi addirittura arrivato
ad odiarlo, il basket, forse sarei io, ora, la matricola più forte della
Prefettura di Kanagawa... >
Uscì dagli spogliatoi immerso in
queste elucubrazioni, e salutò distrattamente i compagni di squadra, tranne
l’odiata baka kitsune.
Arrivato al cancello della scuola, si accorse di aver
dimenticato nell’armadietto degli spogliatoi il portafoglio, con l’abbonamento
del treno.
Si diede mentalmente dello stupido, poi, però, ad alta voce
disse: “Il tensai non può essere uno stupido!”
E si diresse con fare lento e stanco verso la strada appena
percorsa.
Tensai o non tensai, la fatica degli allenamenti si faceva
sentire.
Quando rientrò in palestra, gli altri componenti dello
Shohoku team stavano finendo di riordinare. Rukawa era negli spogliatoi e si
stava rivestendo.
Aveva già svuotato le sue cose dall’armadietto, che stava
affianco a quello del rossino.
Tutto il contenuto era sulla panca, sparso alla rinfusa.
Sakuragi lo fulminò con lo sguardo e Ru lo ignorò.
Hana aprì l’armadietto e ritrovò il libretto con l’abbonamento
del treno, senza del quale non sarebbe potuto tornare a casa.
Stava per uscire, senza dire niente, quando qualcosa colpì
la sua attenzione.
“Ma dove ho la testa?!” disse ad
alta voce e Rukawa lo guardò, sorpreso.
“Ho lasciato qui anche le chiavi di casa…” e fece per
prendere il portachiavi appoggiato sulla panca.
Una mano più lesta lo precedette. “Fermo! Questo è mio!!” disse Ru.
E, in tutta risposta, Hana irritato inveì: “Baka kitsune, vuoi che non sappia riconoscere il mio
portachiavi?! E’ unico. U-ni-co. Non lo confonderei
mai… Vuoi controllare nelle mie tasche per essere sicuro?!
Toh, guarda, guarda, gua... e rimase senza voce quando, lentamente, estrasse dalla tasca della divisa
scolastica un portachiavi gemello al primo, al cui vertice pendeva una lucente,
minuscola, palla da basket.
I due si fissarono negli occhi per qualche istante, che
sembrò un’eternità.
Sensazioni contrastanti passarono sui loro visi: smarrimento
– paura - sorpresa…
Le loro voci concitate avevano fatto accorrere gli altri del
team che, vedendoli così, si prepararono ad un
cataclisma inaudito… che non avvenne.
I due si sedettero di colpo sulle panche, come svuotati di
ogni energia.
Fu Rukawa che, insolitamente, ruppe il silenzio tombale:
“Sacchan…” Sussurrò a fior di labbra.
Il rossino, poco dopo, rispose con lo stesso tono spossato
ed incredulo: “Kawachan…”
Ayako era sbalordita e il resto
del team aveva le mascelle sino al pavimento a causa del semplice scambio
appena intercorso… che fossero impazziti?
I due protagonisti, incuranti degli altri, fissavano il
vuoto e Ru iniziò a parlare quasi più a se stesso: “Ti avevo giurato che sarei
diventato il migliore… che saresti stato orgoglioso di me…” concluse in un
sussurro.
“Il migliore” ripeté ipnotico Sakuragi
“Alla fine” proseguì più animato “la pallacanestro ci ha fatto davvero
rincontrare… Ti batterò comunque. Nessuno può vincere il tensai...”
Finì, poco convinto lui stesso della propria affermazione.
Kaede riprese con il suo tono grave e profondo, stranamente
caldo: “Come ho fatto a non riconoscere ‘la pennellata di antiruggine’
e il ‘Tensai’?!”
“Anch’io ricordo le tue mani grandi e gli occhi di ghiaccio
brillanti di determinazione, in quel giorno...”
“Ma siamo cambiati, ecco la verità” si risposero in coro.
Rukawa proseguì: “Da quando sono tornato, tre anni fa, sono
andato nel parco, vicino al campo da basket, ogni giorno, nella speranza di
rivederti.
Ma niente.
E pensavo che dovevi essere
divenuto un asso della pallacanestro, perché, nella mia testa, eri il mio
idolo, l’insormontabile modello da imitare…”
Hanamichi, invece, disse: “Le cose sono andate molto
diversamente. Due anni dopo la tua partenza, il quartiere dove abitavo fu
demolito e ci trasferimmo in un’altra zona popolare. Giocavo sempre meno a
basket, perché Yochan lo odiava. Alla fine, come ti avevo ipotizzato, smisi.
E arrivai addirittura ad odiarlo, a rinnegarlo…Non posso
essere il tuo modello... Non lo sono mai stato… Però
ricordo la tua determinazione.”
“Quello che hai insegnato a me, 13 anni fa, io non l’ho mai
dimenticato… sai?! E sono convinto che i tuoi costanti e rapidi progressi siano dovuti al fatto
che, in realtà, il basket è parte del tuo DNA, come del mio, del resto… Per me,
eri il tensai, e… potresti ritornare ad esserlo.
Ne sono certo.”
Il team dello Shohoku non sapeva se essere più traumatizzato
dai contenuti del discorso di Rukawa o se dalla sua sorprendente prolissità.
Sakuragi, dal canto suo, rispose: “Ti ho odiato e ti odio,
baka kitsune, perché in te vedo quello che sarei potuto diventare, se non
avessi mai abbandonato la mia palla arancione… Ma sei
anche la mia nuova spinta a migliorare, a dare il massimo; per essere sempre il
tensai che rincontrerà, un giorno, il suo Kawachan, come gli avevo promesso.”
Dopo quella frase, nello spogliatoio era calata una cortina
di silenzio.
Una fase di stallo, di lungo, interminabile vuoto.
Nessun rumore.
Vuoto.
Il mondo pareva essersi fermato.
Dopo un po’, Akagi timidamente propose: “Si è fatto tardi.
Ragazzi, che ne dite, potremmo chiudere la palestra?”
La frase, lì per lì, sembrò sciocca e superficiale, ma la
situazione creatasi non era certo di facile gestione.
Qualche istante successivo, Rukawa, tentando di mantenere il
suo solito tono profondo e distaccato, disse: “Do’aho,
ti va di tornare al nostro solito campetto?!” Ma il
tono mal celava uno stato di incertezza, misto a speranza.
E Sakuragi rispose energico: “D’accordo, baka
kitsune, il tensai ti sfida! Ah, ah, ah…”
E i due se ne andarono, senza litigare tra loro, quasi fossero, da sempre, vecchi amici.
I componenti dello Shohoku presenti rimasero pietrificati
dallo stupore e basiti dallo shock.
Purtroppo, non era stata data loro la possibilità di sapere
quanto sarebbe durato lo stato di grazia in cui erano intercorsi, o se il nuovo
evento avrebbe acceso, nelle due matricole, nuove rivalità e pepati scontri.
L’unica verità da loro posseduta era che, nel bene e nel
male, niente sarebbe stato come prima…
Questo era certo.
OWARI
Disclaimer: I
personaggi di Slam Dunk appartengono al sensei Inoue ed agli aventi
diritto. La sottoscritta non ci guadagna mezzo euro.
Lo fa solo per sadico piacere di stressare.
Precisazioni: I
discorsi fatti da Ru & Hana possono risultare falsati a causa della loro
complessità. In pratica, troppo artificiosi per la loro età.
La mia esperienza mi ha insegnato che i bimbi possono fare
questo tipo di discorsi, perché li sentono dagli “adulti” e li fanno propri,
rielaborandoli.
Se, poi, non ho ancora convinto, ricordo che abbiamo a che
fare con il TENSAI e con l’IMMENSO ASSOLUTO, L’ESSERE OLTREMODO SUPERIORE (Ru
mio).
Special thanks: a “N” che per prima ha letto, commentato,
sopportato… Come te, non c’è nessunaaaaaaaaaa…….
Ogni commento e critica costruttiva sono ben accetti qui: elyxyz@alice.it
Ciao.