We're the same soul. [GrimmTatsu]

di M e g a m i
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NDA:Lo so, lo so, dovrei aggiornare le due long, ma ho i capitoli mezzi pronti sul portatile, che al momento non posso utilizzare per problemi tecnici, quindi…
Quindi non ci riesco a stare in astinenza dal rompervi le balle con la GrimmTatsu, è più forte di me, capitemi.
E allora eccomi qui con un POV doppio! Da quanto non ne scrivo!
Questo, poi, è completamente, irrimediabilmente intrecciato.
Perciò leggetelo come se fosse un pensiero unico, perché segue lo stesso filo conduttore. Ogni “verso”, ogni parola è collegata, e può essere riferita ad entrambi i personaggi. Proprio a sottolineare la somiglianza psicologica di questi due dolci (?!) tesori (?!?!).
Perché loro sono la stessa anima come dissero i miei amati U2 in Somethimes You Can’t Make It On Your Own, che per quanto mi riguarda è una specie di inno alla GrimmTatsu. ;W;
Insomma, qui ho raccolto un po’ di pensieri, non c’è un contesto preciso, ma metto AU per sicurezza. Perché tra le tante cose, mi hanno ispirata proprio le mie due long in corso, ma anche Scent Of Bookman di N e m e [che purtroppo qui su EFP non c’è! çAç] e una one-shot GrimmTatsu nella raccolta No Song Unheard scritta dalla stessa N e m e tempo fa.
Che altro dire… buona lettura, e come al solito, le recensioni mi fanno piacerissimo, e scusate se non rispondo sempre, ma le leggo tutte e mi riempiono di giUoia! ♥
 
 
 
                                  
 
 
WE’RE THE SAME SOUL.
 
 
 
A volte mi chiedo per quale assurdo motivo il destino mi abbia giocato questo scherzo.
E dire che non ci ho mai creduto tanto, nel destino.
Ho sempre pensato che la mia vita l’avrei scelta da me. Che le mie decisioni, i miei sbagli, li avrei fatti da me, senza essere condizionata in nessun modo da chissà quale disegno divino.
Poi sei arrivato tu.
E non ho avuto proprio la possibilità di scegliere.
 
È stato strano, sai? La prima volta che ti ho incontrata.
Non è stato quello che chiamano “amore a prima vista”. Affatto, anzi.
Più che altro, quello di cui mi sono reso conto a prima vista, è che con te sarebbe stato diverso.
Tutto.
Io, per primo.
E, devo ammetterlo, la cosa mi ha dato un po’ sui nervi.
Un po’ tanto.
 
Mi sono trovata davanti a-… no, mi sono trovata a sbattere contro qualcosa di molto più grande di me.
Non parlo della tua altezza.
E no, caro mio, non parlo nemmeno di quello che hai in mezzo alle gambe, di cui ti vanti tanto.
Ho capito subito, che non avrei saputo come gestirti.
Come farti stare zitto, come metterti al tuo posto.
Insomma, come non farti alzare la cresta con me.
E io non li sopporto, quelli che alzano la cresta con me.
 
A volte mi hai odiato sul serio, eh…?
Lo vedevo, lo capivo dai tuoi occhi, dalla tua espressione, che mi avresti preso volentieri a pugni.
Chissà perché non l’hai mai fatto.
 
Non potevo.
Semplicemente, non ero in grado di alzare un dito contro di te, come tu contro di me.
So che vorresti sentirti dire che era perché mi incutevi timore e soggezione.
Ma non è così, mi spiace infrangere i tuoi sogni di gloria.
 
Il punto è... che è iniziata ancor prima che ce ne potessimo rendere conto.
Ancor prima che… entrambi trovassimo il coraggio di ammetterlo con noi stessi.
È stata dura, è vero, ma alla fine ce l’abbiamo fatta.
Aspetta, perché cazzo mi metto a citare pubblicità scadenti?
 
Era… sì, inevitabile.
Ci vantiamo tanto di essere schietti, sinceri, ma i primi a cui abbiamo mentito siamo stati noi stessi.
Fin dal principio, forse.
Non volevamo vedere.
 
Non volevamo essere deboli.
Vulnerabili, forse è più giusto dire.
Non sopportavo di sentire il tuo sguardo leggermi l’anima.
 
E capirne ogni sfaccettatura.
Non sopportavo come il tuo sguardo, il tuo solo sguardo, era capace di farmi arrossire.
Di tirare fuori tutte quelle cose di me che non avevo fatto altro che nascondere per anni.
, vulnerabile è la parola giusta.
Come se fossi stata tra le tue mani, tra le tue braccia, incapace di difendermi.
 
Come se tu avessi potuto schiacciarmi, ridurmi in mille pezzi da un momento all’altro.
 
Mi sento ancora così, anche adesso, ogni giorno.
Quando mi guardi, quando mi guardi e rimani in silenzio.
Quando mi guardi con quei tuoi maledettissimi occhi scuri e… non c’è bisogno che tu dica niente.
 
Quando mi guardi coi quei tuoi maledettissimi occhi chiari, talmente chiari che mi sembra di vederci riflessa me stessa.
Nitidamente, come se tu fossi me, e io te.
 
Vorrei dire che mi bastava guardarti, ma lo sai, sono un egoista.
Lo sono sempre stato.
E da quando, lentamente – lo so, ho la testa dura…
Da quando… ho cominciato a capire il perché i tuoi occhi fossero lo specchio della mia anima, ho iniziato a desiderare anche le tue labbra.
E i tuoi capelli.
E il tuo seno.
 
E le tue braccia.
E le tue mani.
Desiderare di essere abbracciata, e non schiacciata.
 
Quando ho iniziato a sentirne il bisogno, mi sono reso conto che era già troppo tardi.
Basta, fregato.
 
Ti pensavo. Ogni secondo.
Dio mio, che ingenua.
 
Ho cercato di fare finta di niente. Per un po’ ci sono pure riuscito.
Ma più me lo tenevo dentro, più cresceva.
Ero proprio fregato.
 
Ero completamente senza difese.
Ed ero già completamente tua, senza sapere che tu eri già completamente mio.
 
Non lo sapevo. Perché cercavo a tutti i costi di tenermelo dentro, di non fartelo capire, che figura ci avrei fatto altrimenti?
Io sono il re, dannazione.
Mica il primo fesso che passa per strada e che… si innamora così, come niente.
 
Che ti costava dirmelo, eh?
Stupido, stupido orgoglio.
E ancor più stupida paura.
Di lasciarsi andare, di provarci, perché no, accidenti?
Cosa avevo da perdere?
Il mio quieto vivere?
 
La mia reputazione?
 
Il mio cuore, già ferito da tante, tante altre cose.
 
Già, ce l’ho anch’io un cuore.
Sotto sotto, ben nascosto, ma c’è.
E batte.
Un po’ più forte, quando tu mi sei vicino.
 
In fondo, è una cosa che non si può controllare.
Io, maniaca del controllo, che… beh, sì, lo ammetto, sento un po’ il bisogno di dettare legge come una regina dispotica per star tranquilla, non potevo semplicemente dirgli… “fa’ un po’ più piano, altrimenti ti becca, e tu, tu caro il mio cuore, sei… spacciato.”
 
Spacciato, fregato, ma non come pensavo io.
Perché è davvero iniziata ancor prima che ce ne rendessimo conto.
 
E… e non è ancora finita, al contrario di tutte le mie aspettative.
 
Ci sopportiamo meglio del previsto, eh?
Quasi andiamo d’accordo, pensa te.
 
Quasi.
Ti ricordo che ieri me le hai fatte girare.
Anche se non ricordo perché.
 
   « Buongiorno, raggio di sole... »
   « Tsk, buongiorno a te, simpaticona… Che palle, è già mattina… »
   « Mh… Pomeriggio, veramente… Sono le tre passate. »
   « Che?! … Oh, beh, chi se ne frega. Vieni qui. Dormiamo ancora. »
   « Non ti sembra che ci siamo stati già abbastanza, a letto? »
   « Ma abbiamo fatto parecchio movimento stanotte, un po’ di riposo ci spetta di diritto. Dai, vieni qui… »
 
Non ci riesco mai, a dirti di no.
Anche se avrei altre cose da fare. Anche se vorrei farle.
Eppure non posso fare a meno di tornare tra le tue braccia, farmi stringere, cercando il calore del tuo corpo, e anche se è piena estate non me ne potrebbe importare di meno.
 
Andiamo d’accordo, più o meno, forse proprio per il fatto che siamo così simili.
E ci capiamo al volo, meglio di chiunque altro.
Anche se a volte, pure io mi trovo a chiedermi che diavolo tu stia macchinando in quella testa pazza che hai.
Come adesso, che anche se ti sei appena svegliata come testimoniano i tuoi capelli completamente spettinati, ti mordi le labbra pensierosa, con gli occhi socchiusi.
 
Ho fatto un sogno strano, stanotte.
O meglio, stamattina, perché la notte me l’hai strappata via con poca grazia insieme ai vestiti.
Non ricordo su cosa fosse, quello che so di per certo è che riguardava te.
Mi capita spesso di sognarti, sai?
Come se non mi toccasse già sopportarti abbastanza quando sono sveglia.
 
   « Non ci riesci proprio, a rilassarti e a spegnere il cervello per qualche secondo, eh…? Neanche quando dormi, scommetto. »
   « Vuoi così tanto che smetta di pensare a te? »
   « … Naah. Ti do il permesso di continuare, se proprio insisti. »
   « E da quando mi servirebbe il tuo permesso? »
 
Rido, è vero, non ti è mai servito il permesso di nessuno per fare niente.
Hai sempre fatto di testa tua, anche con me.
Soprattutto con me.
 
Mi piace vederti ridere di prima mattina – pardon, pomeriggio.
Mi sembra come… di iniziare bene la giornata.
Lo so che è un pensiero stupido, ma al momento, beh, io sono stupida.
E innamorata persa, a quanto pare.
 
Ancora sovrappensiero, mi sfiori appena il viso con dorso della mano.
Ricordo ancora come all’inizio, quando lo facevi, eri molto più esitante.
E mi facevi sentire… strano.
Non sono un pozzo di gentilezza, io, e men che meno di delicatezza.
E ho sempre pensato che neanche tu lo fossi, proprio per questa convinzione di essere così simili.
Eppure eri capace di accarezzarmi, talmente piano e lentamente, lasciandomi il tempo di assaporare ogni tuo gesto.
E sorprendendomi. Ogni, singola, fottuta, volta.
 
Sai, a volte ho creduto ti desse fastidio.
Il modo in cui… cercavo di accarezzarti.
Di dimostrarti, anche in minima parte, quanto volevo starti vicino, sentirti vicino.
Ma tu ti tiravi sempre indietro, distoglievi lo sguardo, cambiavi argomento, parlando a vanvera di cose di cui probabilmente neanche tu afferravi il senso.
Poi ho capito.
 
Quando mi toccavi in quel modo, mi sentivo i-… inerme.
No, im-… impossibilitato a muovere anche solo un muscolo.
Ah, va bene, imbarazzato.
Mi vergognavo, sì.
Del modo in cui tu, contro ogni aspettativa, riuscivi ad essere gentile con me.
Come se fosse… la cosa più naturale del mondo.
 
Sì… poi ho capito.
O meglio, me l’hai fatto capire tu.
Perché la reazione che ho avuto io, è stata esattamente come quella che avevi tu ogni volta.
Mi sono tirata indietro, ma non perché la tua mano che senza motivo mi aveva scostato i capelli dal viso, accarezzandomi una guancia, mi avesse dato fastidio.
Semplicemente, perché mi avevi colta alla sprovvista.
E mi avevi fatta sentire in un imbarazzo talmente palese che neanche i miei goffi tentativi di nasconderlo, servirono a niente.
 
Non avrei mai pensato che accarezzare qualcuno fosse più difficile che… che ne so, baciare.
Eppure lo è stato.
Incredibilmente… difficile.
Cercare di toccarti piano, con delicatezza, quasi come se potessi romperti da un momento all’altro.
Quasi come se io, se avessi fatto più pressione con le dita contro la tua pelle, avessi potuto farti del male.
Non avrei mai creduto che le mie mani, che fino a quel momento non avevano fatto che distruggere tante, tante cose, potessero invece fare anche… qualcosa del genere.
Ma sei stata tu a farmelo capire.
E quello che volevo dire in quel momento, quello che voglio dire è solo…
Grazie, sai?
Di dedicarmi sempre piccole attenzioni, gesti spontanei che a te paiono insignificanti e che forse non ti rendi neanche conto dell’effetto che mi fanno, come adesso.
Mi attirano a te, senza via di scampo.
 
   « No, hai capito male. Fila a lavarti i denti prima di azzardarti a baciarmi. »
   « Zanne, prego. E pure affilate, senti? »
   « A-… AIHA! Prova ancora a mordermi e ti faccio sentire come sono affilate le mie, di zanne, la prossima volta che ti-… »
   « Okay, okay, ho afferrato il concetto. Non c’è bisogno di minacciare la mia virilità. Che poi saresti la prima a rimetterci… »
   « Che hai detto?! »
   « Nienfe, mi fto ‘afando i denti, amove! »
   « Va’ a quel paese, Grimmjow! »
   « Fì, anch’io fi amo…! »
 
Non dovresti dirmelo così con leggerezza.
Per me è importante, stupido che non sei altro.
Mi alzo dal letto, prendo la camicia che indossavi tu ieri solo per sentirmi il tuo profumo addosso.
Mi sta enorme.
E non si allaccia, perché praticamente tutti i bottoni sono saltati e finiti chissà dove per terra.
… Forse ero io quella che stanotte ti ha strappato via i vestiti di dosso con poca grazia.
Oh, beh. Facciamo che i denti me li lavo anch’io.
 
   « Guarda che se non la pianti te lo infilo dove non lo vorresti sentire, questo spazzolino. »
   « E dopo lo usi ancora? Sempre detto che sei coraggiosa, ma non pensavo fino a questo punto… »
   « Fi divevti cofì ‘anto a ‘fottermi, mh? »
 
Mi guardi.
Ti guardo.
 
Ed è un attimo.
 
   « … AH AH AH AH AH AH AH AH AH AH AH AH AH AH! »
   « SFOTTERMI! Lo sai che intendevo “sfottermi”! »
   « Cristo, che mal di pancia! AH AH AH AH…! »
 
Ti do le spalle, finisco di lavarmi i denti, tento ti pettinarmi come meglio riesco, cercando di ignorarti.
Ma è dannatamente difficile, quando sei così rumoroso.
Ritiro quello che avevo detto sul sentirti ridere.
Mi dai sui nervi.
 
   « Comunque, per rispondere alla tua domanda, è sì… in tutti e due i casi. »
   « E figuriamoci… »
   « Su, dillo che non ti dispiace, anzi… »
 
Ti abbraccio da dietro, tu tenti di spingermi via la faccia con una mano.
Ma ben presto, ogni tuo sforzo di liberarti diventa nullo.
Anche perché io non ho nessuna intenzione di liberarti e lasciarti andare.
E tu non vuoi che io ti lasci andare, dico bene?
 
   « Adesso ti posso baciare? »
   « Sì, però solo perché mi piace il sapore del dentifricio “alla menta con microgranuli di-…” »
   « Ma quanto parli...? »
 
Perché non riesco mai, proprio mai, a dirti di no?
Perché adesso non riesco a respingere la tua bocca che cerca la mia, zittendomi, la tua lingua che mi lecca lentamente le labbra, le tue “zanne affilate” che me le mordono solo per dispetto?
Invece di respingerti, non posso fare a meno di risponderti.
Perché questo bacio sa sì di menta, e la menta a me piace.
Ma soprattutto perché questo bacio sa di te, è il tuo sapore che mi piace, che amo davvero, le tue mani che mi accarezzano, le dita che mi passi tra i capelli sollevandomi il viso.
I tuoi occhi che si illuminano di un sorriso furbo fissandosi nei miei, mentre premi la fronte contro la mia, dopo che ritieni di avermi baciato più che a sufficienza.
 
   « Ricominciamo da capo. È così che dovrebbe iniziare una giornata. »
   « Un pomeriggio, vorrai dire. »
   « Fa lo stesso. Fatti baciare ancora… Ecco. Buongiorno... »
   « Buongiorno a te… luce dei miei occhi. »
   « Poi sono io quello che si diverte a sfottere, vero? »
   « Dovrò pur vendicarmi in qualche modo, no? Visto che a lasciarti in bianco non ci riesco. »
   « Eh eh… »
   « Levati quel sorrisino ebete dalla faccia. »
   « Levamelo tu… »
 
E lo fai, eccome.
Non ti lasci certo pregare, né fermare dal fatto che  ti tocca metterti in punta di piedi per raggiungere almeno in parte la mia altezza.
È… divertente rendersi conto anche da piccole cose, come un bacio che sa di dentifricio alla menta, che nonostante tutto tu non ti arrenderai mai con me, che cercherai sempre di essere alla mia altezza in tutto.
Anche se a volte sono io quello che si rende conto da solo che dovrebbe chinare la testa davanti al tuo cospetto, mia regina.
Poi invece ci sono altre volte in cui il ripiano del bagno di questo buco di appartamento in affitto che è la nostra casa, la nostra vita, si rivela improvvisamente utile per portarti alla mia altezza.
In fondo dobbiamo trovare un modo per passare il pomeriggio, no?
 
   « Certo che non ci riesci proprio ad accontentarti, eh…? »
   « Di te? Mai… »
 
Torni a stringermi tra le braccia, ma non mi spezzo.
Non cado in mille pezzi, anche se credo proprio che il mio cuore sia veramente spacciato, ormai.
Se non imparerà a darsi una calmata, prima o poi finirò con l’avere un infarto.
Ma se questo è il prezzo, sono disposta anche a pagarlo.
Perché il cuore che per colpa tua batte così forte, così incontrollato, mi fa sentire viva come nient’altro.
 
A volte mi chiedo per quale assurdo motivo il destino mi abbia giocato questo scherzo.
Lo scherzo… di innamorarmi così di te, senza via di scampo.
Ma poi, quando mai ci ho creduto nel destino?

 





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