“Sta’
fermo, Gesù!”
“Oh,
Dom, andiamo. Puoi chiamarmi semplicemente Matt”.
Dominic
rise e gli toccò con delicatezza il mento per farglielo
stare su, in modo da
essere in grado di annodargli il cravattino con più agio.
“Eccola,
la sindrome da red carpet. Tutti quei flash ti friggeranno il cervello
un giorno
o l’altro” disse a bassa voce con una tenerezza un
po’ ombrosa.
Matt
fece un sorrisino e si lisciò la camicia immacolata sul
petto. Dom, esasperato,
fece schioccare la lingua.
“Cosa
ti ci vuole per star fermo?”
“Come
cosa mi ci vuole? Se non lo sai tu, cosa mi ci
vuole…”
Dom
scosse la testa. Matt gli circondò le spalle nude con
entrambe le braccia e lo
baciò. Quando riaprirono gli occhi, sorridevano entrambi.
Cosa
c’era tanto da sorridere, da un po’ di tempo a
quella parte, Don non riusciva
più a capirlo. Ma Matt sorrideva perché era
felice, perché la sua vita ora era
completa, e lui era un uomo che sorrideva sin da quando era nato.
Sorridere era
forse la cosa che gli riusciva meglio; di certo non intendeva cambiare
proprio in
quel momento.
Riprese
a sistemargli lo smoking, aggiustando il cravattino, tirandogli le
spalline per
farle aderire di più alla pelle.
“Ho
sempre desiderato vederti indossare un bello smoking su
misura” sussurrò. Matt
alzò un sopracciglio, curandosi di tenere il mento bello
alto.
“E
io ho sempre desiderato che tu me lo sistemassi addosso mezzo
nudo” ribatté malizioso.
Dom
ridacchiò e abbassò lo sguardo sul proprio corpo:
era, effettivamente, in boxer
e nient’altro, come lo era stato Matt fino a dieci minuti
prima. Avrebbe dovuto
raggiungere Kate in meno di un’ora, e, dato che era
già in ritardo sulla sua
tabella di marcia (“Per colpa tua…”
aveva aggiunto giocoso, baciandolo sul
collo mentre se ne stavano ancora sdraiati a letto, sopra le lenzuola,
e Dom
aveva distolto lo sguardo e lo aveva mandato a quel paese con il suo
sempiterno
sorriso sulle labbra) lui gli aveva chiesto di aiutarlo a vestirsi.
“Sai,
non ho molta esperienza coi bei vestiti” aveva detto cercando
di togliere dal
volto di Dom quel cipiglio pensieroso.
“Oh
no, non ce l’hai quanto è vero Dio”
aveva risposto il batterista ridacchiando,
e Matt si era rilassato.
Ora
erano in silenzio e le cose sembravano di nuovo essere luminose.
“Davvero
lo hai sempre desiderato?” gli domandò
improvvisamente Matt, gli occhi fissi
sul soffitto. Dom accarezzò con un pollice il suo pomo
d’Adamo e diede il tocco
finale al cravattino.
“No”,
rispose, sempre sorridendo, sempre triste. “Mi sei sempre
andato bene com’eri”.
“Neanch’io
ho mai fatto fantasie su di te che mi allacciavi i bottoni della
camicia in
mutande”. Gli fece un occhiolino. “Però
la cosa non mi dispiace”.
Il
suo cellulare squillò. Dom si allontanò di un
passo, Matt rispose: era Kate.
Scambiarono poche parole miste a risatine. Matt la salutò
dicendole che la
amava, Kate di sicuro gli credette, Dom cominciò a crederci
un po’ anche lui.
Poi Matt mise giù e compose il numero dei taxi.
“Allora
vado” disse quando lo ebbe prenotato. Poi lo baciò
e gli sorrise ancora. “Grazie
di tutto”.
Dom
annuì e lo baciò a sua volta, poi
tornò a stendersi sul letto e prese in mano
una rivista. Cominciò a sfogliarla distrattamente mentre
Matt era in bagno a
mettersi un po’ di acqua di colonia, ma quando si accorse di
aver riletto la
stessa riga per la terza volta smise di fingere e si portò
un braccio dietro la
testa. Fissare il soffitto non richiedeva una grande
capacità di recitazione,
si disse.
La
porta del bagno si aprì: Matt fece un passo, poi una
giravolta, e allargò le
braccia in piedi davanti a lui dal lato opposto del letto.
“Come
sto?”
Dom
stette in silenzio per un paio di secondi, poi sorrise il primo sorriso
sincero
di quel giorno.
“Sta
benissimo”. Tornò a fissare il soffitto.
“Infatti non sembri tu”.
“È
il tuo modo da stronzo di fare i complimenti?”
È
il tuo modo da
stronzo di dirmi che sto scivolando fuori dalla tua vita ogni giorno
che passa,
e che presto imparerai ad essere felice anche senza di me?
Sorrise.
“Sì”.
Matt
gli alzò il dito medio, si abbottonò il primo
bottone della giacca e fece per
uscire.
“Matt”
lo richiamò Dom, la voce incerta. Lui si girò,
gli occhi chiarissimi e
brillanti, le sopracciglia aggrottate.
Non
andare.
“Lascia
qui quegli orrendi occhiali da sole” disse, esasperato.
“Rovinano tutto”.
Matt
li tirò fuori dalla tasca e li sventolò nella sua
direzione, felice come un
bambino.
“Un
tocco alla Bellamy ci vuole sempre!”
Poi
lo salutò, senza dirgli che lo amava, e uscì.
Dom
riprese in mano la rivista, tentò ancora di sfogliarla, poi
la mise giù di
nuovo e tornò a guardare il soffitto.
Note
dell’autrice:
…
angst! Angst nei sotterranei!
Come
ormai vi sarete abituati a sentirmelo dire, non so da dove sia saltata
fuori
questa storia, e questa volta più che mai perché
non sono assolutamente una
delle sostenitrici della teoria “Kate ha cambiato
Matt”, “aridatece il nano
tinto che spaccava le chitarre”, “Madness fa
cagare”, ecc. ecc.
Però
mi è saltata in testa quest’immagine di Dom che
sistema lo smoking a Matt prima
della cerimonia del Festival di Venezia (sì, esatto, quella
in cui sembra un
incrocio fra un inventore pazzo e un James Bond tascabile e denutrito
–
sembrava Matt, insomma, e quindi <3) ed è venuta
fuori questa robetta senza
pretese.
Ringraziando
tutti quelli che leggeranno, vi cuoro e vi sbacio :***
<3
P.S.
Il titolo è preso da “Walk Away” dei
Franz Ferdinand, che è una delle mille
canzoni che vorrei scolpita per intero sulla mia tomba. XD
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