Liar
Era
facile condurre il destriero verso
la strada di casa, soprattutto dopo che si erano passati mesi a
difenderne i confini, a veder morire valorosi combattenti sul campo,
a pregare che le fiamme non arrivassero alle case e alle campagne.
Dopo tanto, i torrioni dorati della
roccaforte ricomparivano all'orizzonte.
Loki si sedette sull'erba molle dalla
rugiada mattutina e diede sollievo alle mani piagate, costellate di
bolle e calli. Non aveva aspettato altro che abbandonare la
scomodissima sella di quel cavallo, rubato durante la battaglia, una
bestia che non reggeva il confronto con i nobili purosangue di
Asgard.
Thor guardò ironico il fratello
dall'alto del suo destriero bruno, nei suoi occhi vi erano immensa
soddisfazione e stanchezza.
«Ti
riposi di già, fratello? Non fremi come me dalla voglia di
spalancare le porte della sala del trono e annunciare al padre degli
dei la nostra vittoria?»
Loki
si tolse l'elmo dal capo, permettendo alla pelle di respirare. Le
narici gli si riempirono del profumo tenue dei prati fioriti di
Asgard, e dell'odore di muschio e di pioggia dei boschi, delle
foreste cupe che si erano appena lasciati alle spalle.
Casa,
finalmente.
«Hai
delle strane priorità, fratello. Io più di ogni
altra cosa bramo
mirare di nuovo i paesaggi della mia terra. Dì, non ti
è mancata?»
Thor si guardò meglio attorno, si
lasciò avvolgere dalla frescura e dall'umidità
dell'alba nascente e
inspirò come respirasse per la prima volta dopo secoli.
Ásaheimr
non era mai stata così bella.
«Hai
ragione Loki, mi è mancata».
I
cavalieri e i soldati si rimisero in marcia, sotto ordine del prode
Balder. Mancava ormai poco più che un miglio alle porte
della Città
Eterna, e nessuno di loro intendeva fermarsi oltre. L'eccitazione di
varcare quella soglia era alle stelle, ma Loki sapeva che nessun
guerriero bramava di arrivare al cospetto di Odino, era ben altro il
motivo che li spronava ad affrettarsi. Le loro donne, i loro uomini e
i loro bambini di certo li attendevano ansiosi sulle mura, ognuno di
loro aveva un affetto da riabbracciare, un affetto particolarmente
importante che aveva lasciato a casa.
«Ci
vediamo stasera al banchetto fratello!»
Loki
fece un cenno di assenso a Thor e lo guardò ripartire alla
volta
della città. I suoi compagni di battaglia lo guardavano
incerti, ma
in realtà sapevano il motivo della sua insolita calma. Loki
non
aveva nessuno che lo aspettasse, non aveva nessuno per cui si dovesse
affrettare.
Il
dio degli inganni aspettò che il rumore degli zoccoli
sfumasse per
poi alzarsi da terra e scuotersi lo sporco dalle vesti,
indossò
nuovamente quel suo ingombrante elmo e afferrò la briglia
del
cavallo che l'aveva condotto fin lì.
Avrebbe
fatto la via che attraversava i boschi di Azüle, bramava
salutare a
dovere gli alberi, i ruscelli e gli animali. La natura gli era sempre
stata amica, la natura non distingueva tra eredi al trono e
contadini, essa accoglieva benevolmente solo chi sapeva rispettarla e
trattarla con criterio.
Il
mago accarezzò le fronde riarse di un salice, poi scrisse un
incantesimo d'acqua alla base delle sue radici, rinvigorendo
all'istante le sue foglie sottili come lame.
«Trova
refrigerio, amico mio». Il salice parve quasi gracidare in
segno di
ringraziamento, e con lui tutta quanta la foresta sembrò
salutare il
ritorno del dio degli inganni.
Avevamo
temuto il peggio per te, Signore del chaos. Da anni Ásaheimr
non
vedeva uno scontro così cruento.
«Mi
sottovalutate Fiume, Roccia, Albero. Dovreste sapere che non
è
semplice uccidere Loki, figlio di Odino. Loki ha qualcosa che tutti i
combattenti asgardiani non hanno, e cioè un cervello che
funziona».
Le
fronde si scossero come provassero pena, sentendo che ancora il
giovane si definiva figlio di Odino. Vi erano
creature in quel
bosco molto più vecchie e sagge di lui, che ben sapevano la
storia
del suo passato. Ma il padre degli dei aveva deciso di tenere la
verità nascosta al ragazzo, e persino il vecchio fiume
ignorava il
motivo di tale scelta.
Crudele,
confinare un Gigante di ghiaccio nell'accecante terra degli Asi. Era
come trapiantare un ramoscello delle steppe nordiche in una giungla
bollente.
Loki
oltrepassò il guado e giunse ad un'ampia radura soleggiata
infestata
dalle graminacee. Al lati, crescevano e si annodavano tra loro piante
di frutti di bosco, i raggi gialli penetravano a macchie tra il fitto
fogliame e i cervi si facevano avanti nello spazio aperto per
abbeverarsi nelle pozze d'acqua.
Era
un luogo a dir poco magico, e racchiudeva preziosissimi ricordi.
Con
la nostalgia che gli pesava nel cuore, il dio si avvicinò ai
quattro
tronchi tagliati nel mezzo della radura. Si ergevano come scheletri,
possenti e antichissimi. Era quattro bellissime querce, un tempo
verdeggianti e frondose, prima che un incendio non aggredisse la
foresta. Allora esse, poiché erano gli alberi più
vecchi di tutta
Azüle, si posero davanti alle fiamme e le bloccarono, salvando
la
metà del bosco che ancora non era stata divorata dal fuoco.
La
leggenda era talmente vecchia che forse nemmeno Odino la ricordava,
ma Loki sì. Per anni l'aveva ascoltata attentamente
interpretando i
fruscii e gli schiocchi delle creature di Azüle, e ne aveva
fatto
tesoro.
Ma
ora quei vecchi tronchi secchi venivano usati come tirassegno, la
corteccia era costellata di fori e sul terreno sottostante giacevano
frammenti di frecce rotte. Erano un bersaglio comodo per allenarsi a
tirare con l'arco, e nessuno si preoccupava di rispettare il loro
glorioso passato.
Il
giovane sorrise, ma rimase voltato. Quel luogo era stato il nido del
loro primo incontro, era un posto adatto per ritrovarsi.
I
suoi passi erano così leggiadri che nemmeno la foresta si
sarebbe
accorta della sua presenza, tale era la sua delicatezza nel toccare
le foglie, nel camminare sull'erba e sulle radici.
Aveva
atteso tanto, talmente tanto che doveva essere cambiata. Quando
l'aveva lasciata portava da pochi giorni suo figlio in grembo, era
difficile persino credere che dentro al suo ventre stesse crescendo
un bambino; ma ora, la gravidanza doveva essere ben vistosa.
«Parli
ancora con gli alberi, Loki?»
Il
dio si voltò, non riuscendo a trattenere un sorriso nel
rivederla.
Sygin.
Indossava
un vestito celeste che le lasciava scoperte le spalle e le gambe, e
le cadeva con eleganza sui fianchi e in mezzo alle cosce, stretto in
vita da un fine ornamento d'oro. D'oro come i suoi capelli, ampi,
mossi, lasciati liberi e sciolti, lasciati alla carezza del vento.
Ma
c'era qualcosa che mancava. Loki la osservò turbato notando
il suo
ventre, piatto, pallido e levigato. Non vi erano segni ch'ella fosse
incinta.
Per
un attimo, il dio ebbe paura, paura che le fosse accaduto qualcosa,
paura che la guerra fosse arrivata fino ai confini di Asgard.
Avanzò
quindi verso di lei, frettoloso di riabbracciarla e visibilmente
preoccupato.
«Sygin,
cos'è accaduto? Perché sei...»
Ma
si fermò.
Da
dietro le gambe della ragazza spuntò un bimbo, un bimbo
minuto e
gracile, dai capelli scuri e gli intensi occhi verdi. Camminava,
anche se a giudicare dalla sua statura non aveva neppure raggiunto un
anno di vita.
Gli
occhi di Loki si accesero di sorpresa.
Un
sentimento inaspettato lo travolse, un sentimento che non
assomigliava neppure alla felicità, era qualcosa di
più. Era la
luce di un sole intramontabile.
E
anche il suo ghiaccio si sgelò, per un attimo, e non
poté fare a
meno di sorridere.
«Ma
questo è...»
«Sì,
e l'ho fatto tutto da sola». Rispose lei con un cipiglio
canzonatorio.
«Mi
chiedevo quanto tempo fosse passato dalla mia partenza! Pensavo
alcuni mesi...»
Il
dio si abbassò e sollevò in braccio il pargolo,
come per sincerarsi
che fosse reale. Era reale eccome, ed anche parecchio vivace a
giudicare da come si dimenava per tornare in seno alla madre.
«Questo
caratterino suppongo l'abbia preso da te, mia cara».
Sygin
sorrise, dedicandosi ora ad osservare per bene il viso dell'amato, e
i segni che la guerra vi aveva lasciato sopra. Loki le
ricambiò lo
sguardo, non più radioso come i momenti appena trascorsi,
era bravo
a simulare in fretta la sua gioia, ma ella sapeva comunque leggerla
dietro le righe.
Poi
la sua espressione s'indurì, come se d'un tratto la mente
gli fosse
stata oscurata da terribili fantasmi.
Ora
che avevano un figlio, le minacce del mondo parevano moltiplicarsi.
L'odore
della guerra si sentiva vicino, vicinissimo ad Asgard. Come il
sentore della tempesta che si annusa nell'aria mattutina.
«La
guerra ti ha fatto perdere la cognizione del tempo. Persino a te,
Signore del chaos».
Loki
aprì la bocca come volesse dire qualcosa, ma poi rimase
interdetto e
tacque. Strinse a sé la ragazza, cingendole la vita,
cosicché il
bambino poté calmarsi.
In
quel momento Thor sarà stato presso Odino, a cospargersi di
gloria,
ma ignaro del fatto che la battaglia non era stata vinta. Un'altra
battaglia era alle porte, e si prospettava più cruenta e
più lunga
delle precedenti, ma lui se n'era già dimenticato.
Dopotutto
Thor, lo stolto, amava la guerra. Amava quel sentimento di
onnipotenza, quel brivido lungo la spina dorsale, amava ricalcare con
la forza la superiorità di Ásaheimr sull'intero
universo.
Quale
presunzione, pensò Loki storcendo il naso.
«Non
darti pensiero Sygin, Asgard ha la possibilità di vedere la
pace.
Gliel'abbiamo già data» disse Loki, osservando
teneramente il
figlio. Un giorno sarebbe salito al trono, ne era certo. Ne sarebbe
stato degno.
«Qual
è il suo nome?»
Sygin
alzò la testa fiera, e i suoi occhi azzurri si accesero
della luce
mattutina. Una luce vivida di speranza e di amore.
«Liar».
Ora
ne era convinto.
Questa
terra, questo bosco, avrebbero respirato di nuovo. Lontani da
conflitti e soprusi.
Il
giorno dell'incoronazione del Re.
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