Speranza
Salve, è per me la
prima volta che mi affaccio nella sezione delle storie originali.
Finora ho sempre operato in un unico fandom di anime e manga. Ora mi
piacerebbe provare questa nuova avventura. Questa prima one-shot che
presento, è in realtà una rielaborazione della
mia primissima storia, epurata naturalmente di tutti i riferimenti che
erano presenti per il fandom che sono solita frequentare e scrivere. E'
maggiormente sviluppata pur mantenendo quasi inalterata l'ambientazione
e la trama.
Buona lettura!
Speranza
1859
Stanco e sconfortato, camminava per una stradina sterrata e fangosa,
immersa nel buio di una notte di primavera inoltrata. Nuvole fosche
permanevano ingombranti nella loro staticità a coprire la
tenue luce della luna e delle stelle. Non un alito di vento muoveva una
foglia; in quel surreale silenzio dove persino gli animali notturni
avevano timore di farsi sentire, solo l’assordante rumore
delle suole consumate dei suoi stivali – che procedevano
senza cura fra le pozzanghere – era percettibile.
Da quando lui era arrivato in quel piccolo paesino, una manciata di
giorni prima, aveva piovuto ininterrottamente. A volte con violenti
scrosci e a volte, con fini pioggerelline; come in quella notte. Aveva
alzato lo sguardo disilluso verso il cielo, chiedendosi se quella terra
fosse stata abbandonata da Dio. Dopo quanto aveva vissuto, dopo quanto
aveva visto, tutto gli appariva ormai come un’immensa
desolazione appesantita da un manto di umida e gelida pioggia che
invano cercava di lavare via la disperazione, anzi, ne alimentava la
presenza.
Erano anni che lui, un tempo giovane rampollo che tutto aveva nella
vita ed ora, maturo uomo forgiato dall’asprezza della vita
militare, vagabondava senza meta per il mondo. Era diventato uno
straniero senza pace né dimora, inadeguato in qualsiasi
posto si trovasse o situazione che vivesse. Aveva girato fra le genti
di tutte le razze e religioni, fra sfarzo e miseria; sperperando senza
requie le sue ricchezze, nella sterile ricerca di un qualcosa che desse
un nuovo significato alla sua vita, anche solo un piccolo segno che gli
indicasse la sua meta.
Il suo viaggiare lo aveva infine portato in quell’anonimo
paesino del nord Italia: poche migliaia di anime prostrate nel dolore e
nella più cruda miseria, schiacciate da una guerra che non
apparteneva loro, semplici contadini ignoranti. Vi erano rimasti solo
vecchi, donne e bambini in quei luoghi; gli uomini e i giovani di tutta
la campagna circostante, erano andati volontari per alimentare le
truppe che a pochi chilometri da lì, stavano dando la vita
per la libertà e un futuro migliore per i propri figli.
Pensieri tristi e lugubri si affollavano nella mente
dell’uomo, che intirizzito dalla pungente umidità
si stringeva nell’ormai logoro pastrano. In un lontano
passato riluceva di decorazioni e onorificenze; ora invece era un
semplice capo spoglio e anonimo. Pensieri pesanti che accompagnavano il
suo cammino di ritorno verso la locanda nella quale aveva preso
alloggio. Procedeva quasi rasente ai muri diroccati delle case: ad ogni
passo che faceva, i suoi stivali – emblema di una ricchezza
che stava sfiorendo – affondavano nel terreno fangoso.
Il convulso e rabbioso abbaiare di un vecchio cane, chiuso nel giardino
incolto di una casa fatiscente, aveva risvegliato l’uomo
liberandolo per un momento da quel vortice di malinconia che lo aveva
sopraffatto. A grandi falcate, nonostante il terreno scivoloso,
l’uomo si era precipitato verso il punto da cui proveniva il
rumore, notando una strana figura coperta da un mantello sdrucito che
poco riusciva a nascondere le sue fattezze. Era una giovane donna
dall’aspetto emaciato che camminava ricurva e con passo
malfermo, alla ricerca forse di un riparo per la notte.
Avanzava appoggiandosi stancamente al muro di cinta di quella casa, non
facendo caso ai continui ringhi dell’animale che poco
più avanti tentava di sfondare il cancello malandato,
seguendo quasi indemoniato i suoi passi. Si sosteneva come poteva a
quei mattoni scivolosi, tentando di mantenersi in piedi per non cedere
alla fatica e ai dolori lancinanti che le facevano scappare degli
improvvisi lamenti. Pochi passi ancora, aveva percorso, camminando per
raggiungere uno degli sparuti lampioni ad olio che malamente
illuminavano la strada principale, cadendo rovinosamente poco prima.
Altri gemiti avevano riempito l’aria. Si era portata una mano
a protezione del ventre rigonfio che aveva iniziato a provocarle dolori
sempre più forti e frequenti, con l’altra invece
tentava di risollevarsi per riprendere il cammino. L’uomo le
era arrivato vicino, accovacciandosi su di lei per prestarle i primi
soccorsi. Non era preparato a quella situazione e nei dintorni, non
sembrava esserci nessuno a cui chiedere aiuto. Se qualcuno
c’era, era ben rintanato dietro le imposte sconnesse delle
finestre, celato agli occhi di uno straniero come lui, incatenato dalla
paura o solamente dal disinteresse per le sorti di altri sventurati.
L’uomo la prese fra le braccia e sollevandola da terra, si
incamminò affrettando il passo verso la locanda.
Erano ormai più di quattro ore che la giovane si contorceva
nel letto della camera dell’uomo, in preda a deliri provocati
dalla febbre alta e dal dolore delle contrazioni sempre più
frequenti e prolungate. Lo straniero aveva chiesto alla padrona della
locanda – che si stava prendendo cura della giovane
– dove poter rintracciare il medico del paese, ma gli fu
risposto con rammarico che lì non se ne trovava
più da lungo tempo; e cercare nei paesini vicini avrebbe
portato allo stesso risultato.
“Tutti gli uomini abili sono andati ad unirsi ai
volontari”, gli aveva detto con le lacrime agli occhi.
“Persino il mio figlio più piccolo di appena
quattordici anni, è fuggito di casa poco
più di un mese fa per andare a combattere”.
L’uomo non poteva far altro quindi, che vivere impotente
l’agonia della donna, assistendo per come riusciva con le sue
capacità e senza intralciare troppo, l’anziana
donna nei suoi tentativi di salvare sia la giovane che la creatura che
portava in grembo. La locandiera infatti, era un’esperta
levatrice che aveva aiutato negli anni molte partorienti e lei stessa
aveva avuto ben cinque figli, ma seppur molto preparata, non era un
medico.
Il parto era da subito risultato assai difficile, sia per la debolezza
della gestante, sia per le complessità insite in esso.
Inoltre, la grande quantità di sangue che la giovane aveva
perso, non faceva presagire un roseo epilogo. Nonostante il gran
prodigarsi dell’anziana, in quella notte si
consumò l’ennesima tragedia. Poco dopo il parto
del neonato, un maschietto che non aveva avuto neppure la forza di fare
il suo primo vagito, anche la giovane madre lo aveva seguito, ormai
spogliata delle sue ultime forze. Ma le brutture, in quella lunga notte
di dolore, non erano ancora terminate. Esaminando il corpo ormai privo
di vita della giovane, un’agghiacciante scoperta
aumentò lo sgomento nei presenti. Un’altra
creatura era ancora presente nel suo grembo. Con le rudimentali nozioni
che l’anziana levatrice aveva appreso dal medico del paese,
aveva eseguito un grossolano parto cesareo per estrarre il corpo della
seconda creatura, con la speranza di poter salvare almeno lei.
Vana speranza.
In quel mondo afflitto da guerre e morte, sembrava non esserci proprio
posto per una nuova vita.
Anche il secondo corpicino, questa volta una femminuccia, giaceva ora
inerme accanto al fratello; entrambi avvolti in teli di cotone grezzo e
deposti su un vecchio e consunto tavolo di legno, accostato ad una
delle pareti di quella stanza spoglia. L’anziana donna, non
potendo fare altro in quel frangente, si avviò fuori dalla
stanza con aria greve e lacrime che sgorgavano da occhi troppo stanchi;
tamponandoli con il bordo del grembiule. Lo straniero invece, con il
cuore gonfio di dolore e scoramento, si era lasciato cadere sulla sedia
accanto all’unica finestra prendendosi la testa fra le mani
tremanti. Aveva serrato le labbra per reprimere i singhiozzi ma nulla
aveva potuto per fermare le lacrime che rigavano il suo volto, fino a
cadere sul pavimento di legno.
Pochi attimi, che erano sembrati invece
un’eternità, erano passati da quando tutto era
diventato silenzio in quella stanza. Una manciata di secondi, forse
poco più di un minuto, da quando tutti si erano arresi ed un
piccolo, impercettibile lamento, si era udito. Uno scherzo del destino,
quel frangente. Qualche secondo ancora ed un lamento più
nitido, forse un colpo di tosse, ed il breve scatto di una manina
avevano preceduto dei vagiti sempre più forti e insistenti.
Un miracolo si era compiuto davanti agli occhi dell’uomo, che
ora erano ancor più inondati di lacrime. La speranza non
aveva abbandonato il mondo.
Seppur svuotato di ogni energia per gli eventi di quella notte,
l’uomo su era alzato e si era avvicinato a quel piccolo
corpicino che aveva preso a muoversi con maggiore vitalità
ed ora, il suo pianto riecheggiava con forza nella stanza, regalando
all’uomo, la musica più dolce e benedetta che mai
avesse udito. Prendendo in braccio la piccola, con una pezzolina umida
e lievi carezze, aveva iniziato a pulire quel visetto roseo,
ringraziando Dio per quel miracolo.
Erano ormai quasi le cinque di un mattino di fine maggio, il 29 maggio
del 1859.
Tante schermaglie si stavano combattendo e si sarebbero ancora
combattute nei dintorni, ma una ancor più grande e
sanguinosa battaglia sarebbe infuriata da lì a pochi giorni,
per gli uomini di quelle terre martoriate, migliaia di morti ci
sarebbero state; ma almeno una giovane vita innocente era stata
risparmiata.
In quell’ora che volgeva ad un’alba già
scossa in lontananza dal fuoco della guerra, il fragore delle cannonate
salutava quella nuova vita.
Prima di riprendere il suo viaggio, l’uomo aveva predisposto
che la giovane madre e il suo piccolo, avessero una degna sepoltura.
“Nessuno in paese conosceva la donna” gli aveva
detto la locandiera, accettando il pagamento di una moneta
d’argento. “È arrivata qualche giorno
prima di voi, signore; era in cerca del marito disperso al
fronte.” Senza alcuna remora, la donna aveva accettato anche
la seconda moneta, compenso per il suo silenzio sul destino della
piccola.
Non era certo sul da farsi, l’uomo. Era però
risoluto a portare via la piccina da quelle terre. Quale futuro avrebbe
mai potuto avere quella creatura indifesa, in mezzo a tutto quello
squallore e povertà, dove la guerra ogni giorno bussava a
quelle porte? Forse era questo ciò che Dio aveva stabilito
per lui nel suo lungo peregrinare. Ora poteva riprendere la strada per
casa. Ora la sua vita non sarebbe più stata vuota, avrebbe
avuto uno scopo e lui, non si sarebbe più sentito solo.
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