I sogni non esistono.
Prologo
PULA’S
POV
“Pula,
dov’è la mia giacca blu?”- mi chiede
urlando la donna che tanto dice di avermi messa al mondo dalla stanza
da letto mentre io sono in cucina.
“Non
lo so, tu sai dove l’hai messa!”- rispondo urlando
anche io mentre continuo ciò che dovrebbe fare lei: stirare.
“IO
VOGLIO SAPERE DOV’E’ LA MIA GIACCA!”-
urla entrando in cucina. Per fortuna sono munita di auto controllo e
subito dopo aver staccato la spina del ferro da stiro dalla corrente mi
allontano anzicchè lanciarglielo dietro.
“Non
lo so dov’è la tua giacca, ti ho detto che non lo
so! Come te lo devo dire? NON LO SO!”- urlo anche io mentre
la sorpasso per andare alle camere e mettere a posto gli indumenti che
ho stirato poco fa. Lei mi segue continuando ad urlare
ininterrottamente. Ogni giorno è sempre la stessa storia.
“E
allora dov'è? Secondo me è entrato qualcuno di
nascosto e me l’ha rubata.- riflette urlando (ovviamente).-
Io vorrei sapere perché tu non fai la guardia alla casa.-
ora se la prende con me. Ma che crede che io sia un cagnolino che fa
tutto quello che dice lei? No, si sbaglia di grosso.- Ancora non
capisco che ti tengo a fare, io!”- ed ecco che una delle sue
solite frasi fa crescere in me il pensiero che io quando sono nata sia
stato un errore, e, nonostante le mie orecchie abbiano sentito spesso
parole del genere, rimango sempre più senza parole. Lei
continua a cercare nei cassetti dei mobili buttando tutto per
l’aria, tanto dopo mette a posto Pula, no?
“Ma
chi vuoi che ci entri in questa casa se siamo al terzo piano e abbiamo
tutte le porte blindate?- le chiedo retoricamente.- solo se lei non
nasconderebbe le sue cose per paura che vengano i
‘ladri’ per poi non trovarli, subito li troverebbe,
senza scerverllarsi. Invece no, li deve nascondere- parlo come se
stessi parlando con un’altra persona- così se la
prende con me o con papà….”-
“Brava-
m’interrompe.- è stato tuo padre. Quel cretino di
tuo padre mi ruba sempre tutto. Io prima o poi chiamerò i
carabinieri, eh! Non può andare avanti così. Che
razza di uomo è?”-urla continuando a distruggere
mezza casa imprecando contro l’ uomo più
importante della mia vita. Ora ha superato il limite di sopportazione,
sto per scoppiare.
“Che
razza di uomo è? Ma ti stai ascoltando? Come fai a parlare
male dell’uomo che ti ha dato tutto nella sua vita? Ti ha
dato la possibilità di creare una famiglia che tanto
desideravi. Ti ha tolto la certezza di morire in solitudine con la tua
malattia. Ha patito le pene dell’inferno per te, per noi, per
farti stare bene, per farci vivere una vita dignitosa, per farci
studiare. Lui continua ad andare al lavoro pur guadagnando una miseria
per farci vivere. E tu lo ripaghi così?”- urlo
cercando di non piangere, ma lei fa come se non avessi parlato per
niente.
“Lo
dovresti ringraziare che ti sta ancora accanto, che non ha il coraggio
di lasciarti perché prova pena per te. Si, perché
lui prova pena nei tuoi confronti, non amore. Perché tu non
sei capace di farti amare, non sai ne amare ne farti amare. Neanche da
me ed Anna che siamo le tue uniche figlie.”- le lacrime non
riescono a trattenersi, fanno a cazzotti con le palpebre pur di poter
uscire, e ci riescono. In meno di cinque secondi mi ritrovo il viso
completamente bagnato e il poco trucco che avevo sbavato, ma ora poco
me ne importa.
“Se
non era per lui noi ora stavamo chissà dove a chiedere
l’elemosina. Continua pure a distruggere mezza casa tanto
dopo è Pula che pulisce e mette tutto a posto.”-
cerco invano di asciugarmi.
“Forse
è meglio che me ne vado. In questa casa non si
respira.”- afferma prendendo, come al solito, la borsa e
andarsene.
“Ecco,
solo questo sai fare: fuggire. Ma guarda non me ne importa
più ormai, ci sono abituata”- le urlo dietro
cercando di farla reagire ma nulla. Si infila nell’ascensore
senza nemmeno chiudere la porta dell’appartamento.
Mi
lascio scivolare lungo la parete di fronte alla porta spalancata.
Appoggio la testa tra le ginocchia senza preoccuparmi di chi potrebbe
vedermi dal pianerottolo. Dopo qualche minuto sento una borsa cadere
alla mia sinistra e due braccia avvolgermi in un abbraccio. Dal profumo
e dai capelli riesco a capire che è Chiara, la mia migliore
amica.
“Cos’è
successo, Pula?”- mi chiede accarezzandomi la testa per farmi
smettere di singhiozzare.
“Ho
di nuovo litigato con mamma.”- l’abbraccio anche io.
“Cosa
non trovava questa volta?”- mi chiede prendendo il mio viso
tra le mani e asciugandomi le lacrime con i pollici.
“Quella
maledetta giacca blu. Però questa volta ha dato la colpa
prima a me e poi a papà.”- rispondo calmandomi.
Gli abbracci di Chiara sono magici, mi calmano, mi tranquillizzano.
Anche quelli di Maria e Antonio, i genitori di Chiara, mi fanno
sentire, in un certo senso, protetta. Io, mio padre e mia sorella non
immagineremo la nostra vita senza di loro. Ci sono sempre in momenti
del genere. Ci danno la forza per andare avanti, ci sono vicini in
qualsiasi momento. Anche perché non possono farne a meno:
sono i nostri vicini di casa. Hanno l’appartamento proprio di
fronte al nostro. Siamo una famiglia, facciamo tutto insieme. Sanno
sempre quando abbiamo bisogno del loro aiuto. Anche perché
con tutte le nostre urla è difficile non saperlo. Ecco
perché Chiara è subito corsa di qua,
perché ha capito tutto.
“Chiara,
non ce la faccio più con lei. avvolte penso che la vita
senza di lei sarebbe migliore per tutti.”- affermo alzandomi
per andare in bagno a lavarmi il viso mentre lei chiude la porta.
“Pula
quante volte te lo devo ripetere? Non puoi desiderare la morte di una
persona, soprattutto della persona che ti ha dato alla luce, che ti a
fatto nascere. Non puoi desiderare la morte di tua madre.”-
inizia a mettere a posto un po’ di cose.
“E
tu una persona del genere la chiami
‘madre’?”- le chiedo asciugandomi ed
indicando la porta d’ingresso. -Una madre non è
una persona che ti mette al mondo solo per farti sentire una merda, non
è la persona che ti fa pagare l’errore di essere
nata. Una madre non è la persona che mangia, beve, dorme ed
esce quando le pare senza nemmeno dirti ‘grazie per quello
che fai per me’. Solo un grazie pretendo. Pretendo tanto?-
accenna un no con la testa. –Ma lei non solo non mi dice
‘grazie’, fa peggio. Mi dice persino ‘ho
fatto tanto per farvi nascere e ora mi trattate
così?’. Se lo poteva risparmiare di farci nascere.
Se io e Anna non nascevamo adesso papà sarebbe felice senza
tutte queste preoccupazioni per la testa. Così si
risparmiava anche tre persone che soffrono per colpa sua. Ora tu dimmi
se questa è una mamma, se lo è allora- alzo le
mani- scusami, ma non ho capito nulla della vita.”-
l’aiuto a mettere a posto.
“Pula,
tu hai ragione. Ma devi capire che non è nemmeno colpa sua
se lei è così. E’ la malattia che se
l’è divorata. Non devi dare la colpa a lei
perché non è lei, è la malattia che
parla e agisce per conto suo.”- mi dice aggiustando il letto.
“Lo
so, ma io non ce la faccio più. A stare con lei quasi
impazzisco.”- affermo mettendomi le mani nei capelli e
sedendomi sul letto.
“Devi
resistere ancora un po’. Tra poco più di un anno
diventeremo maggiorenni e ce ne andremo via da Napoli, andremo nella
nostra città preferita: Londra. Ma ti immagini? Io e te a
Londra, sotto il Big Ben, sul London Eye, sul Tamigi….-
afferma mettendo un braccio davanti come a mostrarmi una nuvoletta
immaginaria. -….Da Harrods!”- esclama eccitata
facendomi scoppiare a ridere.
Lei
adora fare shopping e se non fosse per la sua paghetta abbastanza
limitata svaligerebbe tutti i negozi di via Roma.
“E
perché no, potremo anche realizzare il nostro sogno:
incontrare i One Direction.”- mi sorride con gli occhi
spalancati lasciandosi cadere a peso morto sul letto.
Io
e Chiara abbiamo sempre desiderato andare a Londra e, si, anche
incontrare i One Direction. Un giorno forse io l’ho sognato.
Più che sogni, lei ha fatto più pensieri perversi
su di loro, se vogliamo essere sinceri. Si, anche io a volte li ho
fatti ma mai come lei. Non è una bimbaminchia, è
solo una donna in astinenza.
Lei
dice che se lei conoscesse Zayn Malik l’equivalente del tempo
che lui dice di passare in bagno lei lo usufruirebbe volentieri per
violentarlo come si deve.
All’apparenza
potrebbe fare paura ma non è una ragazza così
aggrassiva, lo dice solo per apparire una ragazza forte ma in
realtà non lo è.
All’interno
è molto fragile, quasi come me. Forse è per
questo che siamo così legate, ci facciamo forza a vicenda.
Poi
ora che ci penso, lei ha buone possibilità di essere notata
da Zayn-pettorali-scolpiti-Malik. Con i suoi capelli biondi,
ricci, corti dietro e lunghi davanti e i suoi occhi verde smeraldo,
direi più che unici, ha sempre avuto la scia di ragazzi
dietro.
Io
invece.
Si,
ho anche un corpo bellissimo e delle labbra invitanti ma ho avuto, si e
no, 3 ragazzi in quasi 17 anni di vita. L’unica differenza da
allora a oggi è che non credo più nel sogno di
incontrarli. Certo sarei contentissima se venissero qui ma
più che altro cerco di non illudermi. Non ho per nulla
voglia di soffrire di nuovo per un sogno che non potrebbe mai
realizzarsi. Ho già sofferto fin troppo.
“Chiara
per quanto io possa amare i One Direction e desiderare
d’incontrarli, non credo e non crederò mai nei
sogni.”- mi siedo accanto a lei.
“Non
ho mai conosciuto una persona più pessimista di te. Cosa ti
costa crederci?”- mi chiede sbuffando.
“Nulla
ma a me è costato tanto credere nei sogni e tu lo
sai.”- affermo. “E poi io amo sognare, se non lo
facessi da dove uscirebbero le mie fan fiction?”-
“Infatti
come scrivi tu non scrive nessuno.- ammette.- Però come fai
a non sognare d’incontrare Harry Styles, il tuo amore
platonico?”- si alza sui gomiti per guardarmi meglio.
“Ma
io desidero più di tutti incontrare lui e gli
altri…- affermo alzandomi e avvicinandomi alla finestra
della mia camera per guardare un po’ fuori.- ma credo, anzi
ne sono sicura, che non succederà mai. La realtà
è più forte dei sogni e li sconfiggerà
sempre.”- continuo.
“Te
ne farò ricredere, vedrai!”- esclama alzandosi e
sistemandosi i pantaloni.
“Come
vuoi! Ma sappi che io non cederò mai!”- esclamo
con finto tono superiore.
“Vedremo!”-
esclama con tono di sfida deciso e determinato. Quel tono, non so
perché, mi fa un po’ spaventare ma non ci penso
più di tanto.
Dopo
aver finito di sistemare vado in cucina per cercare qualcosa per
preparare la cena, ma frigo e dispensa sono vuoti. Oggi è
lunedì e tutti i supermercati sono chiusi. Ci conviene
mangiare da Chiara. Andiamo nel suo appartamento e riferiamo tutto a
Maria, la mamma di Chiara, ma anche lei è a corto di cibo.
“Non
ci rimane che la pizzeria.”- suggerisce Chiara.
“Allora
dovremo aspettare tuo padre..- Maria indica
Chiara.-….Carlo..- mio padre.- e Anna e Marco.”-
finisce riferendosi a mia sorella e il fratello di Chiara e il
fidanzato di mia sorella.
“Per
fortuna che oggi hanno lo stesso turno.”- rifletto
riferendomi ai nostri turni lavorativi.
Dico
nostri perché lavoriamo tutti nello stesso albergo.
Lavoriamo
nel più grande e famoso albergo di Napoli: Hotel Excelsior.
E’
un albergo a 5 stelle, molto antico e che gode di una buona clientela.
Tutti
i più grandi artisti almeno una volta nella loro vita hanno
alloggiato lì.
Mio
padre fa il cuoco; Antonio, il padre di Chiara, è un barman;
la mamma di Chiara è un sommelier; Marco il fratello di
Chiara e, quasi, mio cognato, è uno commis; Anna, invece, fa
il servizio in sala.
Chiara
si occupa delle camere e del room service mentre io sono una
receptonist.
Mi
occupo del cliente all’arrivo, durante il soggiorno e alla
partenza.
Io
e Chiara siamo due stagiste, frequentiamo il quarto anno
dell’istituto alberghiero ed è grazie a questa
scuola se abbiamo questo lavoro.
I
nostri orari combaciano con i nostri turni e molto raramente capita che
abbiamo turni diversi. Come avrete capito il lunedì ce lo
abbiamo libero.
I
miei pensieri sono interrotti dal citofono che suona. Sono arrivati.
Finalmente si mangia.
CHIARA’S
POV
“Dai,
Chiara! Andiamo ad ordinare le pizze.”- mi tende la mano.
“No,
Pula. Andate tu, Anna e Marco.”- affermo sedendomi al tavolo
della pizzeria con mamma, papà e Carlo. Ci troviamo nella
nostra pizzeria preferita, dove si fanno le vere pizze napoletane.
Amiamo questo posto infatti ci veniamo molto spesso.
“Io
voglio la margherita.”- afferma papà rivolgendosi
ai tre al bancone. Pula gli sorride facendogli ‘ok’
con la mano.
“Per
fortuna non sei andata anche tu ad ordinare”- afferma Carlo
con le labbra increspate in un sorriso.
“Perché?”-
chiedo confusa bevendo un po’ della mia coca cola.
“Perché
ti devo dire una cosa.”- continua a ridere mentre io, mamma e
papà lo guardiamo confusi.
“Oggi
De Angelis, il direttore amministrativo dell’albergo, mi ha
convocato per parlarmi.- inizia cercando di tenere un tono serio ma
continua a sorridere. Gli faccio un cenno con la mano fer farlo
continuare. “E mi ha detto che tra una
settimana….. beh…… tra una
settimana….. averemo…..avremo come
clienti……. Non so come dirtelo!”-
esclama balbettando.
“Come
clienti?”- domando nervosa bevendo un altro sorso di coca
cola.
“I
ONE DIRECTION alloggeranno nell’albergo dove
lavoriamo.”- risponde subito. No, ma dico delle notizie del
genere si danno così? Al solo ascoltare quelle parole tutto
ciò che poco prima stava per andare nel mio stomaco si
ritrova improvvisamente in faccia a quel poverino di mio padre che
coglie al volo la risposta.
“Cosa?”-
chiedo stupita.
“Hai
capito bene cosa ti ho detto!”- esclama lui. Lo fisso per un
po’ di tempo negli occhi con gli occhi sgranati per capire se
dice la verità. Più di una volte mi hanno fatto
uno scherzo del genere. Lui annuisce ridendo beffardo.
Di
scatto mi alzo dalla sedia su cui sono seduta facendo traballare tutto
ciò che è sul tavolo.
“Devo
dirlo subito a Pula!”- ma la mano di Carlo che mi tiene il
polso mi impedisce di correre da lei a raccontarle tutto e mi obbliga a
sedermi.
“L’ho
detto solo a te perché per il momento non voglio che lo
sappia.”- mi dice invitandomi a non urlare.
“Ma
come fai a non dirglielo? Non crederebbe alle sue orecchie.”-
affermo gesticolando.
“Appunto
per questo non voglio dirglielo. Sai com’è fatta,
non crede nei sogni. Crede che i sogni non esistano e questo
solo per colpa mia. Perché non sono riuscito a realizzare i
suoi sogni.”- afferma mettendosi le mani nei capelli.
“Carlo,
lo sai benissimo che non è colpa tua, non potevi
saperlo.”- dice mia mamma accarezzandogli la schiena.
“Ti
sbagli…. Ma non è questo il punto. Questa volta
voglio che veda il suo sogno in faccia senza troppe parole, che
illudono solo creando false speranze. Capite cosa intendo? Con il suo
lavoro sicuramente li incontrerà. E, chissà,
magari smetterà di farsi tutte queste paranoie.”-
spiega. In effetti, pensandoci non è una cattiva idea.
E’ un modo per farle cambiare idea sui sogni..
“Si!
Si, mi piace!”- esclamo battendo le mani come una bambina di
cinque anni.
“Ma
Carlo, spiegami una cosa- dice papà avvicinandosi.-
Perché il direttore lo ha detto prima a te e non a Pula, che
dovrebbe essere la prima a venire a conoscenza dei clienti
dell’albergo?”- gli chiede.
“I
ragazzi amano il cibo italiano e stanno cercando qualcuno che possa
cucinare esclusivamente per loro. E il direttore ha consigliato loro di
assumere me. ”- spiega Carlo.
“E
tu hai accettato?”- chiedo speranzosa in una risposta
positiva.
“Come
potevo dire di no agli idoli di mia figlia?”- chiede retorico.
“Non
ci posso credere.”- affermo sbalordita portando le mani alla
bocca spalancata.
“E
farai meglio a crederci se vorrai conoscerli.”- afferma
facendomi l’occhiolino.
Urlo
silenziosamente per cinque minuti, poi non so perché scoppio
a ridere senza motivo.
Quei
cinque fustacchioni mi fanno decisamente un brutto effetto.
Questi
sono gli effetti collaterali che mi provocano. Continuo a ridere come
una cretina tanto che Pula accorgendosi di me, si avvicina e mi chiede
il perché di tutto questo entusiasmo.
Devo
pur trovare una scusa e gli mollo una cazzata.
D’altronde
è nei miei parametri sparare cazzate a tutto spiano.
“Tuo
padre mi ha detto che oggi mentre lui e Marco erano in pausa e stavano
bevendo una birra, lui le ha chiesto che ore erano e Marco, distratto,
si è versato tutto addosso. Che cretino!”- esclamo
continuando a ridere tenendomi la pancia.
“Ah
AH AH, com’è divertente!”- esclama Marco
ironico mentre si siede facendomi l’occhiolino senza farsi
vedere. Credo che lui ed Anna sappiano già della grande
notizia.
“A
cosa ti sei ridotta!”- esclama finta esasperata Pula.
“Questa
settimana ti ci dovrai abituare, mi dispiace!”- esclamo
cercando di darmi un contegno, ma scoppio di nuovo a ridere. In fondo
è vero, credo che questa settimana avrò qualche
attacco di pazzia improvvisamente e senza motivo. Mi sembra anche
normale. Tra una settimana incontrerò i ONE DIRECTION!
PULA'S
POV
“Buonanotte,
ci vediamo domani!”- ci saluta Maria aprendo la porta di casa
loro.
“Buonanotte!”- ricambio sorridendole.
“Ah, Chiara! Domani ti vengo a chiamare io oppure ci
becchiamo la nota, come al solito, per colpa della tua
sveglia!”- l’avverto sorridendo.
“Ok,
simpaticona!”- borbotta pizzicandomi le guance.
Sa benissimo che mi da enormemente fastidio che mi tocchino il viso.
Proprio come a Zayn da fastidio che gli si toccano i capelli. Divento
isterica soprattutto quando lo fanno proprio per farmi arrabbiare, come
nel caso di Chiara. Potrei scatenare la mia ira contro di lei ma lei
sembra fregarsene. Non so perché ma si diverte tantissimo
nel provocarmi e prima o poi mi divertirò anche io.
Entro in casa cercando di alleviare il dolore ma nulla da fare. Lascio
perdere tanto ci sono abituata.
Mi tolgo le scarpe che lascio nello stanzino di servizio, prendo le
ciabatte e costringo Anna e papà a fare lo stesso. Odio
terribilmente la puzza di piedi sudati per casa. Non parliamo del fumo
poi.
Ecco, appunto. Come al solito mamma fuma in camera e, per giunta, con
tutte le finestre chiuse.
La vedo sdraiata sul suo lettino singolo, che dorme. Lei e
papà non dormono insieme. Dice che non vuole dormire con un
uomo che le ruba le sue cose.
Bah, contenta lei.
Migliaia di cicche di sigarette sono sparse sul comodino e per terra.
Non mi stupirei se avesse svaligiato un tabacchino. Ma faccio finta di
niente. Sinceramente, mi sono stancata di riprenderla a vuoto. Non mi
ascolta.
Sprecherei il mio fiato inutilmente. Vorrà dire che domani
mi sveglierò all’alba per pulire. Socchiudo la
finestra e mi dirigo in camera chiudendo la porta. Ora ho voglia di
chiudermi in camera, mettermi il pigiama e stendermi sul letto, come
sempre, con il mio adorato pc, che mi ha regalato papà per
il mio sedicesimo compleanno. L’unica cosa che poteva fare
per rendermi, anche solo un pizzico, felice. Oltre al fatto che mi
abbia concesso di farmi il tatuaggio dietro l’orecchio
sinistro.
Lo so che è difficile da credere ma mi ci ha portato proprio
lui. Forse mi ha concesso di farmi un tatuaggio per cercare di riparare
a quello che mi aveva fatto. E lo stimo per questo.
In meno di 5 minuti mi ritrovo nel mio letto cercando di mettere su un
capitolo leggibile. La scrittura è la seconda tecnica che
uso per esprimere le mie emozioni ma da poco tempo è
diventata la prima e l’unica. Scrivendo esprimo tutto
ciò che ho dentro, più insicurezze che certezze.
Se non scrivessi non saprei come comunicare le mie sensazioni riguardo
alla vita in generale. Non credo saprei resistere senza scrivere,
soprattutto dopo quello che è successo quattordici mesi fa.
E poi scrivendo inizio il mio viaggio nei miei sogni
‘irrealizzabili’.
Si, sono una super pessimista, ma più che pessimista mi
ritengo realista.
Perché, è vero, i sogni non esistono oppure
esistono ma ti illudono facendoti soffrire.
Ecco cosa cerco di evitare: soffrire.
Dico ‘cerco’ perché ci soffro comunque.
“Pula
sveglia. E’ tardi!”- qualcuno mi scuote con
l’intento di svegliarmi. Ma quello che raggiunge è
un mio borbottio.
“Pula sveglia! Sveglia! Meno male che ero io quella
ritardataria.”- continua a scuotermi quella voce.
“Angelo, lasciami dormire.”- borbotto io girandomi
dal lato opposto a cui ero.
“Angelo? Chi è Angelo?- si chiede da sola quella
voce.- Pula sono io, Chiara! E' tardi! Dobbiamo andare a
scuola.”- mi urla in un orecchio facendomi sobbalzare dal
letto.
“Ma che ti urli? Mi fa male la testa e tu urli?”-
le urlo (?) alzandomi e andando in bagno.
“Buongiorno. La mia piccolina si è
svegliata.”- papà si avvicina per poi lasciarmi un
bacio in fronte.
Ricambio con un bacio sulla guancia per poi chiudermi in bagno.
“Ma che ore sono?”- urlo per ricevere una risposta
che di solito non arriva.
“Le 7 e mezza!”- risponde Chiara.
“Ah, le 7 e mezza…”- dico tranquilla.
“Oh cazzo, ma è tardissimo!”- esco di
colpo dal bagno.
“Oh, finalmente te ne sei accorta.”- esclama Chiara
sbracciandosi. Mi chiudo nel armadio cercando qualcosa di decente da
mettere.
“Stai zitta che tu fai peggio di me.”- affermo.
“Acida, la mattina eh?”- faccio finta di non aver
sentito e le domando:- “Ma se non ti ho svegliato io
stamattina chi ti ha svegliato?”- mi vesto in fretta.
“Mamma.”- risponde facendo spallucce mentre mi
aspetta seduta sul letto.
“Oh cazzo, io dovevo pulire la camera di mamma. E’
un casino.”- mi metto le mani nei capelli.
“Non ti preoccupare. Per una volta posso farlo
io.”- esclama Anna appoggiandosi allo stipite della porta.
“Sicura?”- chiedo cercando di rendermi presentabile
truccandomi.
“Si, sei sempre tu quella che fa le faccende in casa. Per una
volta che le faccio io non casca mica il mondo!”- sorride. Da
piccola l’ho sempre attaccata sul fatto che andava a lavorare
e non mi aiutava in casa.
Lo facevo, più che altro, per sfogarmi perché ero
e sono arrabbiata con mamma.
Sapevo che non era colpa sua o di mio padre se stava così ma
io ne soffrivo e ancora ne soffro.
Avevo tutta la casa sulle spalle.
Ero io la casalinga.
Eccetto Chiara, non avevo una vita sociale perché il tempo
libero che avevo tra scuola e compiti lo passavo a fare le faccende e/o
a preparare pranzo e cena oppure lo passavo a…….
Vabbè, non mi va di pensarci.
Per colpa di mia madre non ho avuto un’ infanzia e
un’adolescenza.
Sono sempre stata caricata di responsabilità più
grandi di me e prima di me mia sorella.
Lei ha sofferto il doppio di me. Non doveva badare solo a mamma,
controllare cosa faceva, avvolte anche pedinarla, come faccio io oggi.
Ma anche badare a me, che ero piccola.
Io mi rifugio nella scrittura e nella….. (ma non
più purtroppo) mentre lei si rifugiava nel cibo.
Piangeva e mangiava, mangiava e piangeva.
Finche a quattordici anni è arrivata a pesare 120 chili.
Se non ci fosse stato Marco, che allora era il suo migliore amico, e
non ci fossimo stati tutti noi, ora era già morta di
obesità.
Ci sono voluti cinque e lunghi anni per farla guarire.
Ora ha 20 anni ed è più bella che mai.
Ha un fidanzato, un lavoro e delle persone che le vogliono bene.
Cosa cerca di più? Nulla. Eccetto la felicità di
papà, ovviamente.
Avvolte le chiedo come ha fatto a raggiungere la felicità e
lei mi risponde ‘credendo nei sogni’.
Ma io preferisco restare dove sono che sognare.
Soffro di meno.
“Ma chi è Angelo?”- Chiara interrompe i
miei pensieri.
“Angelo?”- le chiedo confusa.
“Si, prima lo chiamavi!”- ci penso un po’
su poi le rispondo.
“Ah, stanotte ho fatto un sogno un po’
strano.”-
“Racconta!”- Anna si siede accanto a Chiara curiosa.
“Stavo dormendo quando un angelo di nome Angelo (?) mi
sveglia e mi dice di avere tre desideri per me da farmi
realizzare.”- spiego loro.
“E tu cosa hai desiderato?”- mi interrompe Anna.
“Ho desiderato che papà si realizzasse, che tutto
quello che sogna si realizzi poi ho desiderato di andare a Londra con
le persone che amo.”-
“Hai fatto bene…. E il terzo?”- mi
chiede Chiara sorridendo sfacciata. Già so che lei sa cosa
ho desiderato.
“Tanto lo sai già!”- esclamo facendo
spallucce.
“Vogliamo sentirlo dire da te.”- afferma Anna.
Sbuffo rispondendo.
“Ho desiderato incontrare i ONE DIRECTION.”- alla
pronuncia delle mie ultime parole loro si scambiano occhiate maliziose
e si danno il cinque.
“Mi nascondete qualcosa voi due?”- chiedo
indossando le mie All Star firmate ONE DIRECTION.
“Nulla perché?”- “Cosa vai a
pensare?”- chiedono entrambe all’unisono forse un
po’ troppo agitate.
“Era solo una
domanda, non c’era bisogno di tutta
quest’agitazione. Troppo caffè la
mattina.”- esclamo raccogliendo tutto l’occorrente.
Saluto Anna e
papà (ovviamente mamma non c’è) e
trascino Chiara fuori, come ogni mattina, correndo.
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