To Love Is To Destroy
Dicono
che un concerto sia una futilità, una palese ricerca di adrenalina che, oltre
ad essere un abnorme spreco di soldi, ti riempie di vane speranze già pronte ad
infrangersi all’intonare delle prime note.
Un placebo!, mi sono sentita dire. Tutti schiavi del piacere di suoni e voci
palesemente computerizzati, tutti pieni di false illusioni e disposti a
spendere milioni per sentire voci petulanti e corde stuprate da stupidi artisti
sopravvalutati!
Mentono tutti.
Ogni tanto mi soffermo a riflettere su quanto sia probabile tre quarti di
questo mondo non pensi prima di parlare. Ma la domanda da porsi, in realtà, è
un’altra.
La gente pensa?
Solo questo. Ricerco costantemente un pizzico d’intelligenza nei cervelli di
certa gente che incontro, ma mi ritrovo sempre a ravanare in crani vuoti ed
abbandonati da chissà quanto tempo.
Come può la gente parlare così? Come può non emozionarsi con questi fiotti di
emozioni espressi in accordi ed intonazioni?
Non capisco, e probabilmente non capirò mai.
Continuo semplicemente a passare serate a fissare il soffitto, ad alzare il
volume della musica fino a quando le orecchie non iniziano a farmi male. E, a
questo punto, arriva la domanda.
Quando scrivono le loro canzoni, quando compongono, quando esprimono le loro
emozioni nel modo che gli riesce meglio… loro sanno? Sanno che, oltre ad
esaltare ogni loro singolo discepolo nella musica ed a renderlo felice lo
faranno, con tutta probabilità, anche piangere?
Non parlo solo di qualche lacrima di commozione: quella scappa sempre, anche
fra le pagine di un libro o sulla carta lucida di una fotografia. Ciò che
intendo è che, in realtà, migliaia di persone soffrono per ciò che vogliono e
mai avranno. Solo per colpa loro, per colpa degli artisti che tanto amano ma
tanto rimpiangono.
E non c’è più un nome, non c’è più una band, non c’è più genere musicale e non
c’è nemmeno la musica, perché se ami qualcuno e desideri seguirlo fino in
fondo, musicista, attore, sportivo o amico della vita vera che sia, il momento
in cui scoprirai che non ti è possibile farlo ti spezzerà il cuore.
Eccomi. Nel mio caso è un concerto, l’unico modo che ho per vedere quei tre
cretini che mi riempiono il cuore d’orgoglio tutti i santi giorni. L’unico modo
che ho per assuefarmi delle loro canzoni e di sentirli davvero, e non semplicemente attraverso le casse di un lettore CD. L’unico modo…
Ed è così, alla fine. È così sempre,
per ogni cosa possibile immaginabile: per quanto bene ci sia in ciò che ami,
tutto questo ti porterà a soffrirne. La situazione non può mai essere
perfetta: il mondo vuole che per forza
le cose debbano andare male, ad un certo punto.
Soffitto, ancora. Un’altra serata così: torni a casa dopo esserti divertito con
gli amici, ma alla fine ti sdrai comunque sul letto ed osservi il muro, alla
ricerca di qualcosa di buono, di una nuova speranza a cui aggrapparsi.
L’unico legame che ci unisce, però, continua ad essere solo e soltanto le
cuffie del mio MP3.
“No matter what happens or
what the others say
‘Cause they are my resistance”
Angolo Autrice
Ehm.
Si, beh, non ho idea
di come mi sia venuta fuori.
L’ho scritta a mezzanotte di qualche giorno fa, e in quel momento sembrava
avere senso. Ora non lo so più. Cosa ha senso? Cos’è un senso quando non
sappiamo cosa deve avere senso? Mah.
(Non badate ai miei vaneggiamenti, è il cambio di temperatura che mi dà alla
testa!).
L’idea iniziale era di inserire questa storia nelle originali introspettive in
quanto non parla espressamente dei Muse, però alla fine la tentazione di metterla
qua ha prevalso.
Si, uhm, okay, lo ammetto. Uno dei motivi per il quale l’ho messa qua è perché
sono drogata di recensioni e la sezione introspettive manca un po’ di lettori.
GOOD MORNING, I’M PATETIC! *Si nasconde in un angolino*.
Quindi, venendo finalmente alla storia… ebbene sì, mancherò ai concerti del
tour di The 2nd Law per motivi futili ed inutili e dal giorno in cui me ne sono
resa conto non faccio che piangere sul latte versato.
I promise, the next time I will be there.
Accetto ogni tipo di recensione, anche le critiche. Solo, ehm… lasciatemi
andare a cercare uno scudo prima di iniziare a lanciarmi i pomodori.
Alla prossima!
WJ
P.S. Ah, sì, dimenticavo. Due cosucce:
- È la prima volta che scrivo nella sezione dei Muse. BUONGIORNO FANDOM!
- Il titolo della storia è un riferimento a City Of Bones, della somma dea
Cassandra Clare. *Si inchina*