Sandor
Il Mastino si
trascinò fino alla base della merlatura e si lasciò
scivolare pesantemente a terra, inalando l’aria greve e salmastra
che si arrampicava lungo i muri della fortezza. Il vino gli aveva
annebbiato la vista e reso molli le gambe. Non sarebbe riuscito a
trovare la strada per la sua stanza, non quella notte.
Sandor si passò il dorso della mano sulle labbra aride, fino a
sentire sotto la punta delle dita la propria pelle farsi dura e
contorta. Istintivamente allontanò la mano dal quel viso
grottesco che, in tutti quegli anni, non aveva mai smesso di
ricordargli cosa fosse la vera paura.
«Fottiti» disse, rivolto a se stesso. Quella notte,
più di tutte le altre, sentiva di detestarsi. A tentoni
cercò di strapparsi di dosso il mantello bianco che portava
addosso, senza ottenere risultati soddisfacenti.
Non aveva chiesto lui di indossarlo quel mantello, maledizione! Non
aveva mai preteso di essere uno di quei rognosi baciapile che si
professavano in falsi giuramenti per atteggiarsi a paladini. Lui non
era un cavaliere.
Sandor smise di dimenarsi, rimanendo assorto sotto il quieto bagliore
delle stelle. Non credeva, nelle condizioni in cui si trovava, di
essere in grado di formulare un pensiero decente.
Si limitava a pensare a lei, Sansa.
La piccola lupa degli Stark di famelico aveva ben poco, preferiva
pensare a lei come a un piccolo uccellino in una gabbietta dorata,
ammaestrato per compiacere.
Un uccellino a cui quel re depravato e meschino che lui serviva avrebbe
presto, e con sommo divertimento, Sandor ne era certo, strappato tutte
le piume.
Il Mastino strinse la mano a pugno e calò violentemente le
nocche sulla fredda pietra al suo fianco. Il dolore si spanse come
un’eco sorda nei suoi sensi intorpiditi dall’alcol, ma non
fu sufficiente a calmarlo.
Quel piccolo mostro, animato dalla crudeltà, stava distruggendo,
pezzo dopo pezzo, l’unica cosa bella che ancora restava in quel
cesto di mele marce che era Approdo del Re. Un vespaio di bugiardi e
cospiratori. Sansa…lei non sapeva mentire, questo lui glie lo
aveva detto. L’aveva messa in guardia, le aveva rivelato che
l’avrebbero sbranata, vomitando solamente le sue ossa se non
avesse imparato presto a difendersi dietro menzogne e ipocrisia.
Eppure, da un lato, gli era dispiaciuto doverle sputare in faccia
quell’amara realtà.
Perché da troppi anni non gli capitava di avere a che fare con l’innocenza.
Sandor levò il volto alle stelle, deboli luci in un cielo troppo
nero. Non discuteva mai un ordine, come un bravo cane dovrebbe fare.
Era lo scudo giurato del re, indossava il mantello bianco della Guardia
Reale.
Ma non avrebbe alzato le mani su Sansa Stark se Joffrey glie lo avesse chiesto.
‘Eppure, sei rimasto a guardare mentre qualcun’altro
lo faceva al posto tuo’ gli ricordò con una punta di
malignità la propria coscienza.
‘Non avevo scelta’
Il Mastino ripensò ai lividi blu sulla pelle bianca di Sansa, al
sangue che le scorreva sulle labbra quando Joffrey l’aveva fatta
schiaffeggiare davanti alla testa mozza di suo padre. Di nuovo le sue
dita si serrarono, ma questa volta rimase immobile. Il dolore era
ancora vivo tra i suoi pensieri.
Avrebbe dovuto fermare una simile crudeltà, ma non l’aveva
fatto. Si era limitato a porgerle il proprio fazzoletto e lei lo aveva
guardato come se temesse qualcosa di ancora peggiore di quello che
aveva dovuto affrontare fino a quel momento.
Sandor non poteva darle torto. Sansa era rimasta sola. La sua famiglia,
il suo onore, i suoi sogni…era andato tutto in pezzi.
Esattamente come era successo a lui. Ma non voleva in alcun modo paragonare le loro vite. Lui aveva avuto una scelta.
L’uccellino non ne aveva. Quando sarebbe diventata la sposa di
Joffrey, lui le avrebbe tolto anche l’ultimo stralcio di purezza.
L’avrebbe masticata e poi sputata.
Sandor si rese conto, non senza un certo stupore, che non riusciva a
pensarci senza provare una fitta dolorosa tra lo stomaco e i polmoni.
Si chiese se questa sensazione non avesse a che fare con l’alcol
che aveva in corpo, ma la risposta che si diede fu negativa.
Aveva a che fare, piuttosto, con la delicata grazia di Sansa, qualcosa
a cui lui non era abituato, ma che non mancava di affascinarlo.
Era poco più di una bambina, l’uccellino. Eppure…
Sandor si rialzò a fatica, sorreggendosi alla merlatura. Oltre
la fortezza, riusciva a udire lo sciabordio del mare. Si chiese se
Sansa stesse dormendo o se, piuttosto, stesse pregando i sette dei di
farla svegliare da quell’incubo. Un incubo di cui lui faceva, in
larga misura, parte.
Improvvisamente desiderò che lei non lo temesse. Desiderò
che i suoi occhi azzurri non si colmassero di terrore quando Joffrey
entrava in una stanza e lui al suo seguito.
Sulle sue labbra si affacciò un pensiero che, da quel momento in poi, avrebbe dominato gran parte delle sue azioni.
«Cercherò di proteggerti, uccellino. Da lui, da me, da
chiunque cercherà di toccarti. Per i sette inferi del cazzo,
giuro che ci proverò.»
Nota dell'autore:
E’ la prima volta che mi
cimento con i personaggi di Martin, scrittore per cui nutro una
profonda ammirazione. Leggendo i libri mi è sempre dispiaciuto
non trovare, insieme agli altri, anche il punto di vista del Mastino,
che adoro sotto ogni punto di vista.
Questo è il mio modesto
tentativo di colmare questa lacuna. Pareri e opinioni sono,
naturalmente, molto più che bene accetti!
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