De ore turris - I
Storia prima classificata al contest "Un'Ora e... la Violenza" (link: http://originalconcorsi.forumfree.it/?f=9826358) indetto da MissDark su Original Concorsi.
Il giudizio è riportato in recensione.
• Titolo: De ore turris – Le fauci della torre
• Tipologia: a capitoli
• Lunghezza: 4.990 parole, escluso note
• Genere: Dark, Fantascienza, Horror
• Avvertimenti: Angst, Character Death, Non per stomaci delicati, Violenza
• Rating: Arancione
• Credits: -
• Note dell'autore: l’ambientazione è di genere steampunk.
La mutazione dei licantropi
della storia si rifà alla versione medioevale, che implicava la
volontà del trasformarsi per mezzo di un artefatto magico. Anche
l’aspetto dei licantropi si rifà alla stessa tradizione
che li vuole di dimensioni molto maggiori dei lupi comuni e privi di coda.
• Introduzione alla storia.
La notte avvolge il Monte Titano, nascondendo trame silenziose,
dove politica e sangue si mescolano fino a divenire una cosa sola
nelle fauci di una bestia oscura, venuta da lontano.
I
Ore 00:16
Contrada di Portanova
Il
centro della città era un intrico di salite e discese immerse in
un buio liquido come inchiostro, dove i guizzi amaranto delle lampade a
gas disegnavano i profili di pietra delle botteghe e degli androni.
La campana della Chiesa dei
Cappuccini, a pochi passi dalla porta cittadina, aveva segnato la
mezzanotte diversi minuti prima, in un miscuglio di stridii di ruote
dentate e rintocchi stonati.
Un gruppo di uomini emerse dalla
Contrada, varcando l’immenso arco in pietra fortificato.
Parlavano fitto tra di loro, alcuni sorreggendosi a vicenda per la
stanchezza e il vino che aveva accompagnato le discussioni fino tarda
ora. Qualche sbadiglio poco signorile interrompeva il ritmico battere
delle suole sul selciato e il fruscio dei mantelli seguiva il dondolio
incerto dei cilindri sulle teste.
L’angusto piazzale incuneato
tra la cinta muraria e la chiesa era occupato da alcuni mezzi,
trabiccoli di ultima generazione con cui le nobili famiglie sanmarinesi
si sfidavano in gare di lusso e tecnologia. Piccole nubi di vapore
s’innalzavano dai motori dei vari modelli, disegnando un velo
denso e pallido sopra il pinnacolo di San Quirino. Il ritmico borbottio
delle caldaie somigliava a una litania profana.
Alcuni salutarono e si allontanarono
verso i veicoli, altri nelle strade della cittadella. Solo un gruppetto
rimase a chiacchierare a breve distanza dal monumento del santo, che
insisteva stoicamente a fissare la vallata, senza prestare ascolto agli
intrighi politico-economici che sciamavano dalle bocche impastate.
Un paio di uomini rimanevano in disparte, osservando gli altri avviarsi incerti alle macchine sbuffanti.
«Tutto bene?» domandò quello più alto, posando una mano sulla spalla dell’altro.
Questi sorrise vago, aggiustando con mano incerta il bavero della giacca.
«Certamente. Do un’altra impressione forse?»
«A dirla tutta, Francesco,
sì. Qualcosa ti preoccupa? La bambina? Tua moglie? Il
lavoro?» s’informò.
Il tono apprensivo e teso fece sospirare l’interlocutore, evidentemente a disagio per la domanda.
Squadrò rapidamente l’uomo prima di rispondere.
«No, nient’affatto,
Antonio. Va tutto benissimo. Oppure… devo essere più
stanco di quanto pensi io stesso. È stato un periodo concitato
in banca. Sai, acquisti, revisioni, i documenti per la Repubblica
e… devo aver speso troppe energie dietro ad inutili scartoffie.
Ci sono state le riunioni con il Consiglio Grande e il Consiglio
Generale per lo stanziamento dei fondi per le opere per
l’eliporto, per l’ampliamento dell’acquedotto, per i
nuovi contrafforti… le cene che le hanno accompagnate»
declamò reprimendo a fatica un rutto. «E poi Marina ci
tiene svegli tutte le notti: una volta perché ha fame, una volta
per il mal di pancia, una volta sa il cielo che; Elisabetta si lamenta
di continuo come se avesse ancora le doglie, le da fastidio qualunque
cosa dica o faccia; la balia non riesce a far star zitta né
l’una né l’altra e si aggiunge alla
solfa…» e s’interruppe, riconsiderando quanto detto.
«Forse hai ragione. Devo essere uno straccio. Grazie per avermelo
fatto notare».
L’altro sorrise nell’oscurità, fingendo palesemente di credere alla bugia.
«I fratelli minori esistono per
questo, per ficcanasare e parlare a sproposito. Se non ci fossi,
chissà di cosa non ti accorgeresti! Meglio andare ora, il vino
mi sta salendo alla testa e non vorrei infilarmi per sbaglio nella
camera di uno stalliere. Sarebbe indecente… e nostra madre non
approverebbe. Buona notte» salutò, salendo sulla
Landaulette1, imitato da Francesco che si avviò al proprio veicolo.
Alcuni mezzi sfilarono lungo la
discesa, diretti ciascuno a casa propria, mentre altri poltrivano in
attesa dei ciarlieri proprietari, allontanatisi per svuotare le
vesciche tra i cespugli. Tra questi, quello del banchiere Francesco
Scarito, con l’autista che seguitava a trafficare nel vano
posteriore.
Il banchiere attese che i rombi e le
voci si dileguassero nel buio, controllando l’orologio da
taschino. Era quasi mezzanotte e mezza.
Fece segno al conducente di salire in
auto e attenderlo lì, a Porta della Fratta, allungandogli un
paio di monete per garantirsi il suo silenzio, casomai ce ne
fosse stato bisogno. Questi tornò a coricarsi sul sedile
posteriore senza dire nulla.
L’uomo non tergiversò oltre: aveva poco tempo per recarsi all’appuntamento.
1 Landaulette: antenato dell’automobile.
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