Remove Silence
Dim the light so I can embrace you
‘’Il
suono
della campana del tempio Gion è l’eco della
caducità de il mondo delle
apparenze, la tinta dei fiori di shorea dimostra il principio della
decadenza
ineluttabile dei potenti. Effimero sarà il loro orgoglio,
come un sogno in una
notte di primavera...’’
Sumire era ferma su quelle poche righe da
più di
un’ora. Le sembravano rappresentare un credibile, fervido
specchio del suo
tempo, di un società che prima o poi si sarebbe dovuta
piegare alla volontà dei
sempre più numerosi studenti e cittadini che accorrevano
ogni giorno alle
manifestazioni indette dai sovversatori del governo. Era
l’epoca delle rivolte
studentesche, in un Giappone dove l’eco
dell’ultima, catastrofica guerra
mondiale non lasciava, non poteva lasciare riposare con
tranquillità i feriti
inguaribili come pure i vecchi monaci buddisti che si occupavano di
riportare
al loro antico splendore gli oramai disadorni templi di Kyōto.
Il suo sguardo distratto fu attirato dal
placido
movimento dei rami d’acero fuori dalla finestra; il vento li
muoveva
dolcemente, quasi non volesse darle alcun disturbo.
Sumire viveva in una ricca casa nel
quartiere più
in vista di Kyōto, dove i negozi erano assai costosi e i ristoranti,
nonostante
i prezzi poco abbordabili, non mancavano mai di clientela. Non si
poteva certo
lamentare, adorava ascoltare le melodie dai ritmi jazz che a giorni
alterni
fuoriuscivano da uno di quei tanti locali dalle insegne irridescenti.
Gli shōnji
addetti
alla divisione delle stanze erano dipinti con fantasie floreali, voluta
fortemente da Sumire, elemento che rendeva la casa ancor più
elegante.
I genitori della ragazza, che da poco aveva
compiuto diciotto anni, erano entrambi commercianti in ambito
immobiliare. Non
doveva dunque sorprendere che abitassero in una tale dimora, sempre per
curata.
Nonostante i pedanti influssi occidentali
d’après-guerre,
il padre aveva voluto mantenersi il più fedele possibile ai
canoni dettati
dallo stile orientale.
Il cortile, circondato da un muretto color
mattone, era decorato con aiuole fiorite d’orchidee e
camelie, mentre sul lato
destro, opposto all’acero dalle tinte autunnali davanti alla
camera di Sumire,
s’innalzava un ciliegio dai rami che si aprivano a ventaglio.
Lo spettacolo
offerto da quel giardino attirava decide d’occhi curiosi ogni
primavera.
Non dobbiamo cercare grandi parole per
raccontare
Sumire; possiamo descrivere la sua esistenza con un solo, unico
aggettivo: normale. Utilizzare il
termine banale sarebbe ingiusto,
perchè ogni persona,
a modo suo, è originale. Ma la giovane non si disturbava a
mettere in evidenza
questo lato occulto di sè.
Di carattere arrendevole, nascondeva il suo
pallido viso dietro una folta chioma corvina, che le ricadeva
dolcemente sulla
schiena.
I suoi tratti, abbastanza regolari,
tradivano a
voltw un’esitazione di fronte alla appena accennata fioritura
della bellezza
(se così ci è dato definirla) adolescenziale.
Solo gli occhi, neri e profondi
come la notte, risaltavano allo sguardo altrui. Due profondi, tristi
occhi
neri.
Frequentava l’ultimo anno
dell’istituto superiore
della città, a qualche fermata di distanza da casa. Non le
costava particolari
fatiche, eppure il terrore di non essere all’altezza delle
aspettative faceva
largo ogni giorno nella sua mente.
Che cosa
farò in un domani oscuro ormai prossimo?
Renderò
orgogliosi i miei genitori?
Queste erano le domande più
frequenti, domande per
nulla egoiste, diverse da quelle che si ponevano i suoi coetanei,
troppo
impegnati a tentare di cambiare quella società corrotta,
ignorando i deettami
del buon senso e della condotta dignitosa.
Per questo evitava di farsi notare; temeva
di
poter essere risucchiata da quel labirinto costellato di sommosse,
fughe
improvvise, e risposte mai date.
La scuola che frequentava era divisa in due
edifici, uno di fronte all’altro. Non era uno di quei college
cristiani dalla
fama dilagante, ma era ugualmente abbastanza severa. Ed era
esclusivamente
femminile.
Al suono della campanella
dell’ora di pranzo, le
ragazze, eccetto le matricole cui
era
riservata un’ala speciale del primo edificio, si riunivano
nello spazio che si
frapponeva tra le due alte strutture; era alquanto ampio, tanto da
poter
disporre di alcuni tavoli dove le alunne potevano passare il loro tempo
libero.
Fu in uno di questi tavoli che Sumire
conobbe
Eiko.
I suoi capelli rossi, d’uno
scarlatto troppo
brillante per essere naturale, e insolito per una ragazza orientale,
catturarono lo sguardo di Sumire in un tiepido pomeriggio
d’ottobre.
Eiko le si era seduta davanti per
casualità.
Mentre parlava conincitamente con un’altra compagna. Entrambe
indossavano la
stessa divisa attillata di Sumire, quindi dovevano essere del suo
stesso anno.
In realtà, Sumire
l’aveva notata da almeno un
mese, circa dall’inizio delle lezioni. La vedeva uscire
dall’edificio opposto
quando si fermava per partecipare, oltre l’orario normale, al
club di
scrittura; nelle altre occasioni, la folla non le aveva mai permesso di
incrociare lo sguardo dell’altra, nonostante questa fosse
notevolmente più alta
della media.
Quel giorno, quando l’amica se ne
fu andata, Eiko
estrasse disinvoltamente dallo zaino un vinile, beatamente ignara della
fame e
della sete, e se lo rigirò tra le mani. Sumire la scrutava
curiosamente.
‘’Scusai, quello
è un disco di Miles Davis?’’ le
chiese.
La ragazza, alzando gli occhi da quel
prezioso
oggetto, sembrava non essersi resa conto della domanda improvvia.
Sumire gliela
ripetè.
‘’Oh,
si’’ rispose infine Eiko
‘’perdonami, ma
quando mi capita di comprare un nuovo vinile non riesco a pensare ad
altro
prima di averlo ascoltato almeno una dozzina di volte. L’ho
acquistato
stamattina sai? Camminavo costeggiando il fiume, e sono entrata in quel
negozio
dalla porta in legno che vende ogni tipo di oggettistica
musicale’’
C’era una nota vagamente
cristallina nella sua
voce, e Sumire ne era interessata.
‘’Sì,
conosco quel negozio, non è molto lontano da
casa mia’’
‘’Davvero?
Anch’io abito in quella zona’’
Sumire rimas sorpresa. Da quasi dieci anni
abitava
in quel quartiere, com’era possibile che non si fossero mai
incontrate?
‘’Strano, non ti ho mai
visto. Comunnque, io abito
nella casa bianca di fronte al parco Maruyama’’
A Eiko quasi non cadde il vinile dalle mani.
‘’La
casa
dell’ immbiliare Matsumoto? Tu quindi sei Sumire
Matsumoto?’’
Sumire piegò lievemente la testa.
‘’E’
così’’
‘’Pazzesco, ho sempre
voluto conoscerti’’
Sumire, a quelle parole, spostò
gli occhi dal
vinile al volto di Eiko, illuminato a tratti dal sole.
‘’E come
mai?’’
‘’Perchè
volevo vedere personalmentela decantata
timida ragazza dai grandi occhi tristi di Kyōto’’
La ragazza respirò profondamente.
‘’Odio quando mi
chiamano così’’
‘’Perchè?’’
‘’Perchè so
che è vero’’
La conversazione fu interrotta da un
leggero
frusciare di foglie secche, destinate presto ad abbandonare i lunghi
rami,
spogliando i già esili alberi intorno alla scuola. Questo le
avrebbe dato ancor
di più l’aspetto di una logora, soffocante
prigione.
Tornarono a casa l’una accanto
all’altra. La
brillantezza di quel cielo, or ora lievemente tinto di rosa, ridestava
in
Sumire i ricordi della sua precedente vita nell’Hokkaidō,
dove era solita ammirare gli spettacoli della natura durante le
piacevoli,
seppur rare, passeggiate con la madre Asako.
‘’Sai,
Sumire’’ le diceva spesso ‘’la
bellezza di
una donna avvizzisce molto presto, ma quella della Natura
durerà per sempre’’
‘’Ti manca
l’Hokkaidō?’’ le chiese allora Eiko.
‘’No, non
particolarmente. La vita lì scorre monotona,
troppo tranquilla, come quei placidi rivoli di montagna... non ci sono
stimoli,
la gente è sempre la stessa’’
‘’E qui? E’
cambiato qualcosa?’’
Sumire riflettè un momento.
‘’No, in effetti. Ma
qui mi sento più coinvolta,
nonostante l’imbarazzante situazione in cui imperversa il
nostro governo.
Insomma, posso dire di aver vissuto una buona parte della mia esistenza
sotto
una campana di vetro. E uscire non è affatto facile, ma ci
sto provando, giorno
per giorno’’
Eiko seguiva il discorso
dell’altra con vivido
interesse.
‘’Nella mia vecchia
casa, sarei rimasta una
bambina per sempre’’ asserì Sumire,
arrossendo lievemente. Eiko fu colta da un
improvviso impeto di tenerezza, o commozione, per quella creatura
così fragile
al suo fianco. Avrebbe voluto abbracciare quella ragazza minuta, e
sottrarla a
tutte le insidie che l’avrebbe attesa negli anni.
‘’E’ normale,
Sumire; tutti, almeno una volta nel
corso della nostra vita, abbiamo provato queste sensazioni. Ma non devi
lasciarti scoraggiare; ti capiterà di aver una forte voglia
di piangere, di
cedere, ma è fondamentale che ci sia qualcuno, accanto a te,
pronto a
sostenerti’’
Sumire, alzando gli occhi sugli alberi
spogliati
dal corso delle stagioni, non rispose a quel tacito, muto invito.
Cominciarono a frequentarsi ogni volta che
ne
avessero l’opportunità. Anche Eiko, figlia di un
illustre professore
universitario, era occupata a mantenere intatto,
all’apparenza, il buon nome
della famiglia, ma questo non le impediva di correre da Sumire.
All’apparenza, si è
detto. Ciò perché, nonostante
quasi nessuno ne fosse a conoscenza, Eiko partecipava attivamente ai
movimenti
studenteschi, protetta da un paio di pesanti occhiali scuri e dal
cappello
della divisa scolastica del fratello, che ben era adatto a coprirle i
lunghi
capelli rossi.
Sumire apprese di queste anonime
partecipazioni
durante un freddo pomeriggio d’inizio dicembre, mentre
sfogliavano in un
vecchio libro i quadri di Katsushika
Hokusai.
‘’Se qualcuno
diffondesse la notizia che la figlia
i uno dei più importanti e insigni professori della
città partecipa a quelle
riunioni illegali’’ le raccontava Eiko
‘’scoppierebbe uno scandalo. Per questo
dico sempre ai miei genitori che frequento un numero spropositato di
club extra
scolastici. E loro sono troppo occupati per preoccupasi minimamente di
me’’
Sumire non si sorprese troppo. Eiko aveva
un
carattere troppo vivace, a tratti invasivo, per non avere qualche
segreto
malcelato. Il ruolo della docile studentessa non le si addiceva.
Semplicemente,
come le aveva detto, gli altri intorno a lei erano troppo occupati per
accorgersene.
Non s’isolava però
dagli altri, come piaceva a
Sumire; anzi, per qualche strana congiunzione astrale, nonostante i
suoi modi
stravaganti, era amata da tutti. Anche Sumire le era molto affezionata,
ma il
loro legame, nonostante non si conoscessero da molto, andava ben oltre
la banale
amicizia; c’era una sorta di implicito accordo tra le due,
che prevedeva da
parte di Sumire l’assoluto abbandono all’altra, in
cambio di una promessa di
generosa protezione. Protezione da quel futuro ignoto, intriso di fitta
nebbia,
dove il sentiero da percorrere, ora chiaro ora nascosto, cela parecchie
sorprese.
Eiko, ad ogni incontro, aveva preso
l’abitudine di
prender tra le sue mani una ciocca dei lucidi capelli di Sumire, e
portandoseli
vicino al viso, amava sentirne l’aroma, sempre diverso.
‘’Oggi profumano di
gelsomino. Di quelli bianchi,
che crescono nei prati del tempio’’
Le guance di Sumire assumevano ogni volta
un
colore quasi scarlatto, al tocco gentile di Eiko; non riusciva a
mascherare
quel leggero senso di pudore tipicamente giovanile di cui tanto si
vergognava.
Ma sapeva che Eiko avrebbe facilmente filtrato ogni suo pensiero, se
avesse
tentato di nasconderglielo.
Naturalmente, Sumire finì con
l’innamorarsi
profondamente di Eiko.
Si svegliava nel pieno della notte, madida
di
sudore, e un desiderio impellente le faceva capolino nella mente,
causandole un
lieve fremito nel petto: amami.
Sumire, per natura poco incline a
confidarsi, si
augurava che, almeno in quest’occasione, Eiko non si
accorgesse di nulla. Se
l’avesse respinta, avrebbe sistematicamente smesso di vivere.
Eiko era la sua
linfa vitale; si è mai visto un germoglio crescere e
sopravvivere senza la
nutrizione che la terra gli offre?
Sospettava da tempo di essere attratta da
lei;
quando le accarezzava i capelli, sentiva degli acuti brividi lungo la
schiena,
e riusciva a smettere di tremare solamente quando si scostava da Eiko.
Questo, per Sumire, costituiva un problema.
Perché
Sumire aveva un fidanzato, Hiroto. Hiroto era un ragazzo modello:
otteneva buoni
risultati a scuola, era premuroso, la viziava con doni di genere, e
soprattutto
era approvato dai suoi genitori. A volte, accostandosi agli shōnji della loro stanza, li aveva
sentiti parlare di matrimonio. Si frequentavano ormai da quando erano
bambini,
ma quando lui l’amava, Sumire non provava gioia; stesa
accanto ad Hiroto,
provava nel profondo del cuore un raggelante senso di vuoto.
Ma Hiroto era un ragazzo buono, e sarebbe
diventato
un uomo dal carattere affettuoso, un ottimo padre di famiglia;
separarsi da lui
avrebbe significato procurargli una ferita insanabile, oltre a dover
sopportare
gli sguardi colmi di amarezza dei due genitori.
Sumire viveva all’ombra della sua
latente
omosessualità ormai da lungo tempo; da quando, a dodici
anni, giocava a volano
con le sue compagne nel cortile della scuola.
Un giorno rimase alcune ore, senza
accorgersene, a
guardare Tokiko, una di quelle, destreggiarsi nel piccolo campo, con
una
notevole abilità nonostante la giovane età.
I capelli della ragazza, rilucendo al sole,
mandavano splendidi bagliori dorati, caratteristica alquanto strana per
una
bambina giapponese.
Sumire non si era mai dimenticata di quei
bagliori
dorati dal sapore di miele.
La domenica successiva, dopo varie
insistenze,
Eiko riuscì a trascinare la timida Sumire ad una delle tante
manifestazioni a
cui avrebbe dovuto partecipare altrimenti sola. Le fece togliere la
divisa
scolastica color crema, e, scrutandola attentamente, le fece indossare
un paio
di pantaloni e una giacca di un completo maschile. Le calzavano forse
un po’
troppo larghi, ma avrebbero celato la sua vera identità agli
occhi indiscreti della
folla. Erano le tre del pomeriggio, e il tanto agognato tepore
primaverile non
si faceva ancora sentire.
Eiko s’infilò il
berretto blu del fratello, e
insieme raggiunsero la stazione di Kyōto, dove era stato fissato il
ritrovo; da
lì poi sarebbe partito l’ennesimo corteo di
protesta che avrebbe messo in
allarme l’intera città, come di consueto. Non
perché i manifestanti usassero
violenza, ma le urla e i rumori causati da essi disturbava e irritava
la quiete
dei residenti. Ad ogni incontro scattavano quasi automaticamente
dozzine di
denunce.
Eiko, che usualmente si portava tra le
prime file,
dovette cedere alle ragionevoli preoccupazioni di Sumire,
così si spostarono
verso il centro del lungo fiume umano.
Sumire, aggrappata al braccio destro di
Eiko, si
proteggeva premendosi il cappuccio della giacca sul volto.
‘’Sta’
tranquilla, nessuno ti riconoscerà’’ la
rassicurava puntualmente l’amica, ma le sue parole
risuonavano a vuoto,
inghiottite dal crescente vociare dei manifestanti.
Passarono innanzi numerosi palazzi
importanti,
sedi universitarie, aziende che detenevano il potere nei mercati
esteri; i
turisti di passaggio li osservavano turbati, mentre fluivano come una
massa
informe per le vie cittadine, a stento larghe abbastanza. Il corteo,
dopo una
buona mezzora di cammino, esortato dai cori provenienti dai megafoni
degli
organizzatori, si fermò davanti al Santuario
di Kamomioya.
Sumire
guardava con aria trasognata l’enorme ammasso di persone che
ancora accorrevano
a rinforzare il già numeroso gruppo.
“Eiko, che
succede?’’
‘’Ora gli organizzatori
faranno il loro solito
discorso pieno zeppo di parole altisonanti, tentando di farsi ascoltare
anche
dai piani alti’’ disse lei, con una nota
d’amarezza, indicando con il dito
indice l’alto palazzo di fronte a loro.
‘’Speriamo
però che questa volta ascoltino’’
La manifestazione durò
più a lungo del previsto.
Sumire sentiva, almeno in parte, di condividere i pensieri di quelle
persone.
Le sembrava, in maniera naturale, di riuscire ad uscire da quel guscio
bianco e
ruvido, di scavalcare quel muro invisibile che per anni
l’aveva divisa dal
resto del mondo. Come poteva spiegarlo? Non ce n’era bisogno,
Eiko l’avrebbe
capito senza dubbio.
La ragazza dai capelli scarlatti la
guardava,
intanto, senza farsi notare; era fiera di Sumire, del cambiamento che,
in poco
tempo, la stava portando ad aprirsi completamente verso un nuovo
universo
finora tanto temuto. E, il fatto che fosse lei l’artefice di
tutto questo, la
faceva sorridere.
Un frastuono improvviso la scosse.
Una grossa nube nera dall’odore
acre si era
sollevata a qualche metro da loro, alla sinistra del corteo. Un corpo
di
polizia, senza un motivo apparente, aveva lanciato delle piccole bombe
a gas
contro i manifestanti, colpendone alcuni.
Il caos che si generò travolse
le due ragazze come
un’onda anomala. Altre bombe a mano furono lanciate, e
riversi a terra
iniziavano a intravedersi diversi feriti.
Eiko cercò velocemente le mani
di Sumire, e,
annaspando, trovata una via di fuga, iniziarono a correre. Correndo, i
suoni
della strada venivano attutiti dal battito del loro cuore che, come un
tamburo,
rimbombava nel cervello.
Percorsero il viale principale accecate
dagli
ultimi raggi del sole che, lento, si accingeva a tramontare. Le divise
dei
militari, e le loro armi, mandavano intensi e sinistri bagliori.
Arrivarono, immischiandosi nella folla,
anche i
giornalisti delle televisioni locali, puntuali come avvoltoi pronti a
divorare
la succosa preda. Sumire, spaventata dal loro arrivo, non si accorse di
alcuni
oggetti abbandonati alla rinfusa a terra, e inciampò,
finendo a carponi. Eiko
non fece in tempo ad aiutarla ad alzarsi che un uomo, un cronista a
giudicare
dall’entourage dietro di lui, le offrì una mano
per rialzarsi, facendole cadere
il berretto. Il vento, impietoso, le fece ondeggiare i lunghi capelli
neri.
Il giornalista, assaporando il gusto di una
notizia fresca, non aveva esitato a tuffarsi nella mischia, incrociando
sfortunatamente il cammino di Sumire.
‘’Ma lei è
la figlia dell’immobiliare Matsumoto!’’
l’uomo immediatamente la riconobbe.
Gli occhi della ragazza si riempirono
impetuosamente di lacrime, ed Eiko non poté far altro che
trascinarla via con
tutta la forza di cui disponeva, strappandola dalle mani del
giornalista, sul
cui viso era dipinto un sordido ghigno di vittoria.
Sumire, rinchiusa nella sua stanza, era
paralizzata. Calde lacrime le rigavano le guance, mentre fissava il
soffitto a
cassettoni. Si sentiva nuovamente vuota, e un senso di leggera nausea
le
tormentava la bocca dello stomaco.
Come fossero riuscite a salvarsi da quella
situazione,
era ancora un mistero. Un sorriso amaro le incrinò il volto;
sicuramente i
genitori erano già venuti a conoscenza di ciò che
era successo al palazzo
di Kamomioya.
Aspettava, sola, distesa sul letto, che tornassero.
Dopo alcuni interminabili minuti,
sent’ scattare
la serratura del piano di sotto; la cameriera, bussando delicatamente
alla sua
porta, l’informò che il signore e la signora
Matsumoto desideravano parlarle.
Sumire scese le scale, stringendo tra i
palmi
freddi il piccolo ciondolo dalla forma inspiegabile che poco tempo
prima Eiko
le aveva regalato.
‘’Quando non
potrò esserti vicino, prendilo e
pensa a me’’
I coniugi Matsumoto l’aspettavano
seduti intorno
al tavolo dell’ampio soggiorno. I fiori, sopra il mobile di
legno, non erano
stati cambiati dal giorno precedente, ed erano lentamente appassiti.
I genitori sono fermamente convinti di
avere
sempre una risposta da dare al posto dei figli, e quelli di Sumire non
facevano
certo eccezione in questo. Entrambi, dalla sua nascita, avevano
progettato la
sua vita futura, com’era naturale
in
tutte le famiglie giapponesi. Lo stupore nel costatare che la figlia
aveva
trasgredito alle loro rigide regole, mettendo in ridicolo la famiglia,
aveva
causato in entrambi, ma soprattutto nel padre, una rabbia tale da non
esitare a
colpire la giovane ragazza con un violento schiaffo, nonostante il
tentativo
della madre di calmarlo.
Lo sguardo del signor Matsumoto, fisso
sull’esile
figura contratta di Sumire, prometteva eterno rancore.
‘’Tornerai
nell’Hokkaidō’’ queste furono le sue
ultime parole.
Sumire risalì, svuotata di ogni
pensiero, nella
sua stanza. Stringeva ancora tra le dita il ciondolo di Eiko; se fosse
partita,
certamente non l’avrebbe più rivista, e questo
pensiero le provocò una fitta
ancora più dolorosa degli occhi rancorosi del padre.
Decise che, per una sola volta nella sua
miserabile vita, avrebbe potuto disporre di essa come meglio credeva. E
così
fu.
Infilò un paio di magliette e i
suoi risparmi
nella sacca verde che utilizzava durante gli allenamenti, e, aperta la
finestra, si arrampicò sul grosso ramo d’acero che
sporgeva verso di lei.
Silenziosamente, scese nel giardino.
Curando di non essere notata,
uscì dal piccolo
cortile e, rimanendo adiacente al muretto, prese la via alla sua
sinistra, in
direzione della casa di Eiko.
La strada, pigramente illuminata da alcuni
rari
lampioni, offriva un triste spettacolo agli occhi della fuggitiva.
Uomini di
mezza età, di ritorno dal lavoro, si ritrovavano ubriachi ai
bordi della strada
in compagnia di prostitute in abiti senza pudore. Sumire gli
passò davanti
senza guardarli.
Raggiunta, nella penombra, la casa di Eiko,
bussò,
sapendola sola in casa. I genitori erano in viaggio a Osaka da un paio
di
giorni, mentre il fratello era partito per l’Europa.
Quando Eiko aprì la porta,
vedendo dritti davanti
a se gli occhi di Sumire, gonfi e arrossati, e il livido sulla guancia,
istintivamente l’abbracciò. Una abbraccio caldo,
protettivo.
La fece accomodare, offrendole una tazza
rovente
di tè, mentre Sumire le raccontava ciò che era
accaduto.
’’Vogliono rimandarmi
nell’Hokkaidō’’
Queste furono le sole parole rotte dal
pianto che
Sumire riuscì a pronunciare. Eiko le prese dolcemente la
mano, per consolarla.
‘’Anche i miei si sono
infuriati. Ho ricevuto una
telefonata di mio padre; è stato informato che, se non
prenderà seri
provvedimenti nei miei confronti, sarà
licenziato’’
Il suo sguardo si fece più cupo
e pensoso.
‘’Credo…credo
che vogliano trasferirsi anche loro.
O almeno, io sicuramente non troverò più rifugio
in questa casa’’
In quel momento, le due ragazze, avvolte
nella
semioscurità, si sentirono più unite che mai. Il
freddo della notte contrastava
con il calore che Sumire sentiva provenire dal corpo e dalle mani di
Eiko. Se
doveva andarsene, nono si sarebbe permessa di reprimere ancora a lungo
i suoi
sentimenti, ancorati per troppo tempo nei luoghi più
desolati del suo cuore. Un
fuoco ardeva in lei, come mai le era capitato.
Nel silenzio che era ora caduto tra loro,
Sumire,
alzandosi leggermente, avvicinò il suo viso a quello di
Eiko, sfiorandole
leggermente le labbra con le sue. L’altra non si ritrasse.
A Sumire parve di toccare un petalo di un
fiore di
ciliegio primaverile, appena sbocciato, un petalo sottile dalle
sfumature
perlacee.
Capita che, con l’avanzare
incessante del tempo,
una persona assuma la forma delle proprie passioni. E
nessuno può riavvolgere il tempo.
Solo allora, Sumire sentì
finalmente di essersi
trasformata nella donna forte che, fino a qualche mese prima, le
sembrava
niente di più che un pallido, intoccabile miraggio di se
stessa.
Strano, pensò, come la vita ti
metta di fronte a
certe scelte, a determinate situazioni per farti crescere. Ma Sumire
non aveva
esitato. Guardò nuovamente Eiko.
‘’Anche i tuoi capelli
profumano di gelsomino’’
Le autorità locali sparsero
lungo le più
importanti vie della città centinaia di volantini con le
fotografie, ormai
sbiadite dalle intemperie, delle due ragazze scomparse. Durante i
telegiornali
si fecero più e più volte i nomi di Sumire
Matsumoto e di Eiko Suzuki; furono
impiegate, invano, anche delle unità cinofile.
Ma nessuno a Kyōto poté
più ammirare quei timidi
occhi tristi.
-BOOM
SHAKALAKA, BOOM SHAKALAKA-
Dopo una settimana ce l’ho fatta!
Ho scritto questa storia per una persona a
cui
darei l’anima. Non ne faccio il nome, ma se avete seguite
qualche mia storia
precedente, intuirete chi è.
Ora sei lontana, ci sentiamo poco, aspetto
ardentemente il tuo ritorno. Ti voglio
bene.
Ho tentato di mettere tutta me stessa in
questa
shot, e mi farebbe un grande piacere se voleste dare un parere (:
Arigatou.
PS: Il titolo è preso dalla
canzone dei Versailles
Dry Ice Scream! [Remove Silence]
A hallucination takes you
To
the eden where nobody is…
The
fake fear left you
The
girl who plays with a white rope
Marionette
on the gallows
Like a Gabriel…
1Storia degli Heike, romanzo epico del XII
secolo che si innesta
nella tradizione del grande Genji
Monogatari (considerato il più importante esempio
di romanzo epico
giapponese) narra le lotte tra le famiglie Heike e dei Genji.
L’incipit,
riportato sopra, è un classico della cultura giapponese.
Pannelli di legno e carta di riso che separano tra loro gli ambienti
della
casa giapponese. Sono scorrevoli, e dunque è possibile
cambiare la disposizione
dei locali.
L’Hokkaidō
la più settentrionale delle quattro
isole principali dell'arcipelago giapponese e la meno sviluppata.
The
Suicide Circus – The GazettE
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