I can't ask for things to be still again / I can't ask
if I could walk through the world in your eyes
Longing for home again, but home is a feeling I
buried in you
(Breathe, Melissa Etheridge)
20
Dicembre 2023
Francia,
Parigi.
Violet non aveva la minima
voglia di trovarsi dove si trovava al momento.
Tuttavia comportarsi come
una
bambina capricciosa non avrebbe migliorato la situazione, considerando
che si
trovava di fronte alla raffigurazione vivente del capriccio, ovvero sua
madre.
La ormai prossima ex-vedova
Goyle nonché sua genitrice si stava provando qualcosa come
il ventisettesimo
abito matrimoniale e Violet, per quanto adorasse lo shopping come la
maggioranza delle donne sul pianeta, stava per avere un crollo di nervi.
La boutique, che si trovava
nella
via della moda magica di Parigi, a sua volta nascosta nel Marais¹, era rigurgitante
vestiti vaporosi, tuniche cerimoniali e
più moderni vestiti dal taglio babbano.
Sua madre, per quanto si
professasse Purosangue fino allo stremo, stava pescando solo dal
mucchio
Babbano.
Ironia…
Si fissò le mani,
facendo una
smorfia assertiva al ciarlare della compagna di occasione, ovvero
Sophie. Doveva
ammettere che non le era mancata affatto. Jenny forse un po’
di più, ma
comunque in quei mesi scozzesi non aveva rimpianto la presenza delle
due amiche
del cuore.
Questo
la dice lunga…
“Oh, questo
vestito le sta
benissimo, Madame Parkinson!”
Cinguettò Sophie, dandole di gomito. “Non
è vero Violèt?”
Si stampò il suo miglior sorriso sulle labbra.
“Davvero.” Conosceva Sophie da
quando aveva undici anni e sapeva interpretare quell’ansioso
sorriso che le
lasciava in mostra le gengive.
Pensa
che le stia da schifo.
…
da schifo. Ditemi che non ho appena pensato con il
lessico di Nicky. Ditemelo.
“Solo, mi
sembra…” Tentò
perché in fondo Sophie aveva ragione.
“Oh sì,
hai ragione tesoro, è
troppo pretenzioso!” La interruppe. “Mi porti
quello blu.” Intimò alla
servizievole commessa che, con gran soddisfazione di sua madre, si era
messa a
loro completa disposizione.
Così
avrà qualcosa da raccontare stasera ‘Sapete la
Vedova Goyle? Beh, è vero, sta per risposarsi! Con quella
pancia poi!’
Violet si fissò
le scarpe lucide,
studiando il volto distorto che vi si rifletteva. Era tornata a casa da
soli
tre giorni e già rimpiangeva Hogwarts. Le mancava persino il
clima orrendo e il
cibo pesante.
Beh,
non proprio … i ricordi che mi suscitano piuttosto.
La pioggia, ad esempio:
quando
diluviava persino Nicky desisteva dagli allenamenti. La sciroccata
tornava così
in camera zuppa come un pulcino, ma per l’ora del the.
Asciugata e rimbrottata
a dovere, finivano sempre per baciarsi e fare l’amore sotto
le coperte,
approfittando dell’assenza della Gerard. O Lombard.
Qualunque
sia il suo nome. O cognome.
Il cibo, anche: continuava
ad
essere insopportabile, ma proprio per questo ad ora di pranzo Scorpius
la
raggiungeva nelle serre, con sandwich e bottiglie di Burrobirra
sottratti nelle
cucine. A volte si univano a loro anche Michel e Loki, con una
varietà di scuse
e diversioni da far concorrenza al mago che aveva dato il nome alla
loro Casa.
Ma comunque, c’erano. Era divertente mangiare in quel modo
improvvisato, e
Violet aveva scoperto che la compagnia maschile, se giusta, poteva
anche essere
piacevole.
Alla fine si era confessata
all’altro.
Non aveva potuto farne a meno.
“Scorpius?”
Il ragazzo, con la bocca piena di sandwich al prosciutto aveva fatto
cenno di
parlare. Era tornato in Scozia da pochi giorni. Violet era venuta a
sapere da
Zabini quanto la faccenda dei Dissennatori l’avesse messo in
crisi. Non gli
aveva chiesto spiegazioni e si era limitata ad offrirgli la sua
compagnia. Era
bastata.
“Devo
dirti una cosa.”
“Uh-uh?” Fece un altro cenno convulso.
“’mi!” Bofonchiò deglutendo.
“Dimmi,
dimmi! Ti ascolto!”
“Mi
piacciono le donne.” Era sbottata fissando una
serie di sgargianti azalee. Per tutta risposta aveva sentito un gran
ruminare
dalle parti del ragazzo. E basta.
“Scorpius…?”
Questo
aveva deglutito l’ennesimo boccone. “Oh, dovevo
rispondere qualcosa?” Dovette accorgersi della sua aria
sbalordita, perché
sorrise con aria di scuse. “Allora … fantastico!
Un’altra cosa che abbiamo in
comune!”
“Non so se hai capito…”
“Sì che ho capito, sei lesbica.” Si era
stretto nelle spalle. “Le ragazze
Babbane si definiscono così.”
“Lo
so, ma tu … A te non dà fastidio?”
Il
biondo aveva bevuto un sorso di Burrobirra. La
beveva con la cannuccia, un particolare, questo, che gli era valso
prese in
giro feroci da parte di Zabini e Nott. E da lei. “Il mio
migliore amico James è
bisessuale, gli piacciono entrambi. Parecchio, a giudicare come
scannerizza
qualsiasi sedere gli passi davanti.” Replicò
schioccando la lingua. “Se non mi
sento a disagio con lui, come posso esserlo con te?”
Non
faceva una piega e Violet aveva provato il
subitaneo impulso di piangere dal sollievo. Non che si sarebbe
aspettata
giudizi o disgusto da uno come Scorpius…
Ma comunque … Non
sai mai cosa
aspettarti in questi frangenti.
“Quindi
stai con la Weasley francese?” Se ne era uscito
dal nulla. Violet l’aveva fissato con un’aria
assolutamente idiota, ne era
certa dato che l’altro si era messo a ridere.
“Buffo, no? Un’altra cosa che
abbiamo in comune!” Aveva smesso di sorridere per un attimo.
“Avevamo…”
“Scusa?”
“La ragazza dei miei sogni, quella di cui eri tanto curiosa.
È una Weasley, ma
britannica. Rose.”
Violet
si era trattenuta da chiedergli cosa ci trovasse
in quella scialba ragazzetta castana sempre seguita da una pila di
libri come
una fila di cuccioli festanti avrebbe seguito un osso, bel seno a
parte.
L’improvvisa serietà dell’altro non
glielo aveva permesso. “Perché ne parli al
passato?” Aveva chiesto invece. “Vi siete
lasciati?”
Il
grifondoro aveva fatto un sorriso mesto che
rispondeva egregiamente alla domanda. Si era però riscosso
subito. “A
proposito, tu di ragazze ne capisci, no?”
“… immagino di poter rispondere di
sì.”
“Ottimo! Allora mi devi aiutare!”
“A riconquistarla?”
“Oh, no! A farmi riconquistare!”
Hogwarts era fredda,
inospitale e per certi versi folle. Ma lì vi aveva trovato
tesori più preziosi
di quanti ne avesse mai collezionati in Francia.
“A che
pensi?” La riscosse
Sophie con un luccichio vorace negli occhi. Violet tremò al
pensiero di cosa
quella testolina frivola e piena di ricci stesse fraintendendo.
Penso
alla mia ragazza e ad un insospettabile, nuovo
amico. Non quel che ti aspetti.
“Hai incontrato
qualche
fascinoso scozzese in quel
posto?”
Fece una smorfietta affettata, di puro disprezzo. “Dicono si
vestano di una
strana stoffa fatta d’animali e mangino carne
cruda.”
“Hanno le uniformi come noi, veramente. E il cibo
è fin troppo cucinato.” La
corresse con un sospiro. Ma non poteva biasimarla: lei stessa prima
della
partenza aveva pensato di andare trai selvaggi.
E
invece… Temo che la selvaggia adesso sia io.
Separarsi da Dominique non
era
stato facile. L’altra avrebbe trascorso le vacanze nel
Devonshire e non sarebbe
tornata in Francia. Avrebbe quindi finito per vederla al Ballo del
Ceppo, non
prima. E finito quello, si sarebbero riviste solo a Gennaio.
Troppo,
troppo tempo.
Certo, era riuscita a strapparle la promessa di scriverle almeno per
scambiarsi
i regali alla Vigilia, ma conoscendola, non ci sperava
granché. Quella testa
matta avrebbe finito per dimenticarselo.
Non era stato facile
lasciarla
perché ormai, poco da fare, ne era dipendente. Nicky era
come una boccata di
aria fresca e in quel momento si sentiva soffocare nel suo costosissimo
vestito
di mussola scura, intrappolata tra la mole giunonica di Madame
Romilly, madre di Sophie anch’essa presente e quella
sovra-eccitata dell’amica.
“Sta pensando a
quel bel
giovanotto che ci hai mostrato in foto, forse?”
Chiocciò Madame Romilly.
Sua madre aveva già sponsorizzato Scorpius in lungo
e in largo? Violet sentì la nausea serrarle la bocca dello
stomaco.
“Se
così fosse potrei anche
perdonarla di non dare la giusta attenzione a sua madre.”
Ironizzò guardandola dritta
negli occhi.
Sua madre sospettava
qualcosa.
Quando si erano salutate al suo arrivo, l’aveva guardata a
figura intera per
poi decretare che la trovava ingrassata. Poi, prima che potesse
riaversi dalla
deliziosa accoglienza, aveva aggiunto qualcosa che le aveva fatto
gelare il
sangue.
“Ti
trovo cambiata, tesoro. Ma non credo sia il giovane
Malfoy. Hai forse trovato qualcuno che ti suscita maggiore interesse?
Se è così
devi dirmelo … Credo sia opportuno che lo conosca, non
credi?”
Naturalmente aveva negato,
limitandosi a dire che i rapporti tra Scorpius e lei non si erano
affatto
raffreddati – che era poi la verità.
Il problema è che
sua madre,
senza saperlo, era andata molto vicina alla verità.
C’era qualcuno che le
interessava molto di più di Scorpius e
dell’universo tutto in generale.
Il
problema, mamma, è che la conosci già.
“Stavo solo
pensando che il
blu è il tuo colore, mamma. Oltremare, come hai detto
tu.” Replicò con uno dei
suoi migliori sorrisi artefatti. L’altra parve accettare la
sua diversione e
seguita dalla solerte commessa sparì a provare il vestito
appena portatole.
La nausea non accennava a
passare. L’idea che sarebbero dovute trascorrere altre due
settimane, inframmezzate
solo dal Ballo del Ceppo, prima di tornare a scuola la faceva
impazzire. L’idea
che avrebbe dovuto attendere ad un matrimonio dove tutti avrebbero
lanciato
frecciatine circa il suo, ormai prossimo, la faceva impazzire. Tutto la faceva impazzire.
Come
resisto due settimane? Come faccio a fingere che
sia tutto come prima?
Quando non lo era. Amava
Dominique e voleva stare con lei alla luce del sole. Voleva poter esser
libera
di tenerla per mano e baciarla esattamente come facevano tutti gli
innamorati.
Voleva poter andare di fronte alla Corvonero e dirle in faccia
‘Questa è la mia ragazza, la mia meravigliosa,
folle
Campionessa, non la tua e non lo sarà mai’.
Voleva poter dire a Scorpius
quanto la facesse sentir bene la loro
neonata amicizia senza che sua madre, nella sua testa, si congratulasse
per
quel nuovo escamotage.
E infine, voleva essere
felice.
Già,
peccato tu debba prima passare per il Veritaserum
dei Veritaserum.
Sua madre, che al momento la
stava chiamando a gran voce, nel tono stizzito dei grandi nervosismi.
Fece un
sorriso di scuse alle due streghe e si diresse nei camerini di prova.
“Violet, vieni
qui!” Quella
stupida ragazzina deve aver rotto la cerniera del vestito! Controlla,
se è
rotto non lo pagheremo di certo!”
“Sì, mamma.” Sospirò in
automatico, entrando nel camerino. “Forse si è
solo
impigliata nella stoffa…”
“Controlla!”
Le intimò dandole
le spalle. Sua madre stava passando un periodo di forte tensione, se ne
rendeva
conto. Doveva organizzare il matrimonio insieme alla suocera
– una tipa che a
detta sua rappresentava il prodromo della pezzente salita alla ribalta
grazie
al suo bel visino -
oliare il perfetto
quanto fragile meccanismo delle amicizie perché non
sparlassero troppo alle sue
spalle e al tempo stesso badare ai malesseri della gravidanza.
Sì,
ma io?
Violet liberò la
cerniera con
un sapiente colpetto dell’unghia. Aveva avuto una buona
scuola con gli
impossibili jeans che la Weasley indossava come una seconda pelle.
“Quella vacca di
Marie…” Si
riferiva a Madame Romilly
ovviamente.
“… hai visto come mi ha guardata?
All’ottavo mese sembro più sottile di lei, il
che è tutto dire.”
“Sì, mamma.” Le sorrise quando
l’altra si voltò nella sua direzione.
“È a
posto, ora puoi toglierlo.”
Sua madre le fece una carezza. “Come farei senza di te,
tesoro? Sei il mio
gioiello più prezioso e quello di cui sono più
fiera.” Soggiunse
affettuosa, un tono che era parca a
dispensare. La faceva sempre sentire in colpa, ben prima che
realizzasse perché.
“Mamma…” Sentiva un groppo serrarle la
gola e aveva sia voglia di piangere che
pregare. “… c’è una cosa che
devo dirti.”
Doveva. Aveva fatto una promessa alla Weasley e, oltre a quello, era
stufa di
dover mantenere quella triste baracca degli inganni. Non solo,
rimanendo il
silenzio rischiava di trascinare anche Scorpius in quella situazione.
Non
voglio che mia madre cominci a parlar male di lui,
o della sua famiglia, perché è delusa dal fatto
che non andrà mai in porto tra
di noi.
Né
lui né Lady Astoria se lo meritano.
“Non
può aspettare?” La donna
stava già armeggiando con il vestito, togliendoselo a
fatica. “Ho ancora un’infinità
di vestiti da provare e poi
sai che stasera c’è la cena a casa di
Julius.” Ovvero il fidanzato. “Ti sei
ricordata di dire a Sylvie di prepararti l’abito color
crema?”
“Sì, mi
sono ricordata, ma…”
Era il momento perfetto, realizzò. Sua madre non la guardava
ed erano sole,
strette in una situazione dove l’altra non poteva fingere di
aver qualcosa da
fare per poi sfuggirle.
Che
è quello che ha fatto per questi tre giorni…
Sua madre sospettava
qualcosa.
Non poteva non sospettare, non era stupida. Il suo temporeggiare sulla
questione matrimonio era stato goffo, maldestro e fin
troppo palese.
“Allora ne
parleremo nei
prossimi giorni.” La fermò di nuovo. “A
proposito, stasera ricordati di spedire
un Promemoria Gufico ai Malfoy. Ho mandato l’invito, ma devo
avere ancora la
conferma.” Fece uno sbuffo, liberandosi infine del povero
vestito. Allargato
con la magia, Violet dubitava che sarebbe mai tornato nella forma
originale.
“Draco è sempre stato maledettamente pigro in
queste cose e il matrimonio con
quella sciacquetta della Greengrass non deve averlo
migliorato.”
“Per cosa?” Le uscì poco
intelligentemente.
“L’invito
al matrimonio,
Violet. È l’occasione perfetta per averli tutti
riuniti, e sarebbe un faux-pas non
invitarli, dato che presto
saremo tutti una grande…”
“No!”
Quel grido le
scoppiò nello
stomaco e le risalì fino alle labbra, anche se attutito. Ma
lo disse, perché sua
madre si voltò sorpresa.
“Come,
cara?” Le stava dando
la possibilità di rimangiarselo, di tornare sui suoi passi e
fare la brava
bambina.
Ho
affrontato un Dissennatore e ne sono uscita viva. Ho
detto alla ragazza che amo che la amo.
Sono
tutto fuorché una bambina.
“Ho detto no.” Si stupì dal
tono calmo che le uscì. “Non inviteremo i
Malfoy.”
“Violet…” La sorpresa di sua madre era
talmente evidente da averla lasciata
senza parole. “Cosa…”
“Non li inviteremo perché non diventeremo una
grande famiglia.” L’espressione della
donna era di pietra. Presto si sarebbe scongelata dalla sorpresa e
avrebbe
attaccato. Doveva sbrigarsi dunque. “Non voglio sposare
Scorpius.”
Sua madre fece un sorriso
meccanico, secco e inespressivo come il deserto. Era una smorfia. Era
stata
Nicky a dirle che solo gli esseri umani, in natura, scoprivano i denti
non con
l’intento di attaccare?
Dovrebbe
conoscere meglio mia madre. Quando sorride,
lei attacca.
“Mi hai
mentito.” Proclamò con
la stesso tono con cui avrebbe ordinato un the alla loro Elfa.
“Non c’è nessun
rapporto tra te e Scorpius?”
“Siamo amici.” Ribatté. “Siamo
buoni amici, credo, ma è tutto.” Avrebbe voluto
mordersi le labbra, torcersi le mani ma quelli erano segni di debolezza
e lei
non era debole. Non poteva esserlo, non in quel momento.
Sua madre fece un lungo
sospiro,
poi di nuovo un piccolo sorriso. La bocca dipinta di un rosso violento
le si
contrasse come un pugno. “Pensavo che ti piacesse da come me
ne parlavi. Non fa
nulla, troveremo qualcuno che sia più adatto. Anche se
certo, dopo gli Allard e
i Malfoy dovremo un po’ ridimensionare i
nostri…”
“Ho detto che non voglio!” Sbottò. Non
doveva alzare la voce, lo sapeva, le
ragazze a modo non lo facevano, era quasi un tabù.
Dovresti
vedermi quando strillo addosso a Nicky, mamma…
Mi manda ai pazzi sai, ma alla fine mi sento scarica e …
Morgana, che voglia ho
di baciarla.
“Non fare scenate,
hai idea di
dove siamo?” Le sibilò afferrandola per un braccio
e scrollandola. Non
abbastanza da farle male, ma da piccola era capace di congelarla sul
posto.
Il problema, supponeva,
è che
non era più quella bambina. “Non faccio scenate,
ma tu devi ascoltarmi.”
Replicò. Non aveva idea da dove le venisse quel coraggio. O
follia. Forse era
la vicinanza con la Weasley. Alla fine c’era riuscita,
l’aveva contagiata.
Un lampo irato trafisse le
iridi di sua madre, gli stessi occhi che tutti dicevano avesse
ereditato. “Ti
sto ascoltando.” Sillabò lanciando uno sguardo
alle sue spalle.
Mamma
… come fai a vivere sempre con la guardia alzata?
È orribile per me, e non credo sia tanto diverso per te.
“Non voglio
sposarmi…”
Inspirò. “… non voglio sposarmi con
Malfoy o qualsiasi altro ragazzo al mondo
perché mi sono innamorata. Di Dominique.”
Fu ricompensata da una
smorfia
esasperata. “Merlino, non dirmi che è un Nato
Babbano … So che tra voi ragazze
c’è questa deplorevole moda di incapricciarvi dei
Sangue Sporco, ma davvero …”
“Mamma, Dominique non è un nome da
ragazzo.”
“Prego?”
“Sto parlando di
Dominique
Weasley.”
Il silenzio di sua madre era più assordante che se le avesse
urlato contro come
faceva a volte con i loro elfi quando era di umore particolarmente
nero.
“È una
specie di scherzo,
Violet?”
Le venne quasi da ridere, il
che era assurdo o forse semplicemente isterico. “No, mamma,
non lo è. Io e lei
stiamo assieme.”
L’espressione di
sua madre era
vuota, anodina. Stava riflettendo velocemente, tentando di deformare la
realtà
per adattarla alla sua, di modo ché fosse comprensibile e
scusabile.
L’ha
sempre fatto. Sempre.
“Da quanto questa
sciocchezza
va avanti?”
Appunto. Violet si impose di
rimanere ferma. Non era Dominique che doveva difendere in quel momento,
ma sé
stessa. “Quello che sto cercando di dirti è che
non voglio trascorrere la mia
vita accanto ad un uomo.” Ribatté rifiutandosi di
farle condurre quella
conversazione. “Sono attratta dalle donne e non voglio
nasconderlo, né avere un
marito di copertura per poi cercarmi un amante.”
Le labbra di sua madre
tremavano di furia. “Questo tuo ragionamento … Non
c’è fondamento in qualche
fantasia da romanzo. Ho sempre saputo che un collegio a maggioranza
femminile
ti avrebbe fatto sviluppare qualche pensiero del genere. Ma sono solo
pensieri,
Violet, nulla di più.”
Come poteva negare
l’evidenza
di ciò che le diceva? Forse con la stessa
facilità in cui si era scordata il
nome di suo padre e il fatto che l’avessero concepita
assieme?
Era arrabbiata, e stufa.
L’aveva già detto? Forse non l’aveva
ancora dimostrato.
“Mamma, ho
superato la fase
dei pensieri saffici. Io li pratico.
Vado a letto con le donne.”
Lo schiaffo
arrivò secco e
puntuale come si era aspettata. Lo incassò senza un lamento,
senza una parola
anche se le lacrime le bruciarono le palpebre come acido.
“Sei
impazzita?!” Le urlò in
faccia, il volto deformato dall’ira. “Fa’
silenzio! Silenzio, prima che…”
“Che cosa?” Se urlava, poteva ben gridare anche
lei. “Prima che qualcuno ci
senta? Che qualcuno sappia che mi piace andare a letto con le
donne!?” Sua
madre era impallidita di colpo e davvero, voleva abbassare il tono, ma
non ci
riusciva. “Io amo una ragazza, mamma! Non voglio diventare
una bella statuina
per qualche idiota con più galeoni che intelligenza, non
voglio essere la
moglie terrorizzata di un uomo che mi usa solo per sfogare i suoi
istinti come
Mathieu … Non voglio essere infelice! Non
voglio essere te!”
In un solo colpo, aveva distrutto tutto il teatrino. In una sola mossa
aveva
tranciato di netto qualsiasi labile traccia di condivisione che
c’era tra lei e
la donna che le stava di fronte.
Sentì sua madre
che la
afferrava per le spalle, e si aspettò che la scuotesse, che
le urlasse contro.
Invece le crollò addosso come se qualcuno si fosse divertito
a toglierle la
terra sotto i piedi.
Era svenuta.
“Mamma!”
Chi le aveva tolto la terra sotto i piedi era lei.
****
L’Hopital
Pour Le Maladies Magiques era il fiore
all’occhiello della sanità magica
francese. Situato in quartiere decentrato di Parigi era la meta eletta
per chi,
nel Mondo Magico, doveva affrontare qualsivoglia tipo di cura o
inconveniente.
Violet stava fissando il
poster ammiccante di una Guaritrice che pubblicizzava una nuova gamma
di pappe
per neonati, ma non lo vedeva veramente. Non percepiva neppure la
presenza
nervosa di Sophie a lato e le chiacchiere incessanti di Madame
Romilly che, a quanto aveva più o meno intuito, stava
tentando
di rassicurarla.
“Sono molto comuni
i malori ad
un certo stato della gravidanza, Violèt
… Non devi assolutamente preoccuparti! Sono certa che i
Guaritori si staranno
prendendo cura di tua madre.”
Era colpa sua. Era tutta
colpa
sua e della sua stupida boccaccia. Quante volte le era stato detto che
non si
doveva mai lasciar andare le parole, non prima di aver controllato che
la
situazione fosse opportuna e l’interlocutore adatto?
Sua madre era incinta di otto mesi e lei le aveva scaricato
addosso l’equivalente di uno Stupeficium emotivo.
“Violèt…”
Tentò Sophie
toccandole un braccio. Si ritrasse bruscamente dal tocco ed
ignorò lo sguardo
impietosito che si lanciarono madre e figlia.
Perché
non sei rimasta zitta? Perché non hai aspettato?
Se
le succedesse qualcosa? Se succedesse qualcosa al
bambino?
Non poteva neanche pensare a
quell’eventualità. Sarebbe stato figlio di un
altro padre, ma pur sempre parte
del suo sangue. Aveva avuto modo di ammirare il rapporto che
intercorreva tra Nicky
e i suoi fratelli. Se ne vergognava, ma aveva spesso fantasticato di
poterne
avere uno simile con quella piccola vita in arrivo. Se fosse stata una
bambina
le avrebbe comprato la bambola più bella di Parigi, se fosse
stato un
maschietto sarebbe persino stata disposta ad entrare in uno di quegli
orribili
negozi di articoli da Quidditch.
Suo fratello o sua sorella
l’avrebbero
guardata mai con la stessa adorazione con cui Louis guardava le sorelle
maggiori? L’avrebbero mai stuzzicata e cercata al tempo
stesso come Nicky
faceva con Victoire?
Serrò le labbra
per non farsi
sfuggire nulla, neppure un sospiro. Le Romilly la fissavano
aspettandosi una
sua mossa, un suo singulto per piombarle addosso con discorsi,
rassicurazione e
soddisfazione morbosa.
Avrebbe voluto cacciarle ma
la
realtà era che non voleva rimanere sola. Sua madre aveva
varcato il lucido
portone di legno davanti a cui erano sedute quasi un’ora
prima. Poi era
arrivato il suo fidanzato, biondo e azzimato come sempre. Le aveva a
malapena
lanciato un’occhiata prima di sparire oltre quella maledetta
porta. Violet
sapeva che avrebbe dovuto seguirlo, ma non era riuscita ad alzarsi.
Cosa avrebbe fatto Nicky in
quel caso? Non solo l’avrebbe seguito, ma avrebbe fatto di
tutto per sapere le
condizioni della madre. Probabilmente avrebbe tirato in testa qualcosa
a
qualcuno, in caso non le fosse stato risposto adeguatamente.
Ma lei non era la Weasley, e
non lo sarebbe mai stata. Dunque, si sentiva perduta.
Sentì la porta a
molla aprirsi
con un cigolio e scattò in piedi. Il Fidanzato –
non riusciva a chiamarlo per
nome come sua madre avrebbe voluto – le raggiunse e Violet
tentò di leggere la sua
espressione, ma vide solo baffetti ben dritti e guance cascanti
“Come
sta?” Chiese allora.
“Mia madre sta bene? E il bambino?”
L’uomo fece un
breve cenno con
la testa. “Ha solo avuto un lieve mancamento … il
bambino sta bene.” Esordì. La
guardava in modo strano, come se fosse indeciso su che tono adottare in
sua
presenza. L’espressione che gli vibrava sulle labbra
però poteva esser solo
tradotta in un modo. Irritazione.
Non
ha voglia di parlarmi … Non sembra averne mai
avuta, ma adesso ancor meno.
Gliel’aveva detto,
realizzò,
sua madre aveva detto tutto a Baffi Impomatati. Il fremito del mento
sfuggente
era inequivocabile.
Disgusto.
Ti disgusto?
“Possiamo
vederla?” Si
intromise Madame Romilly.
“È
cosciente?”
“Lo è,
ma non vuole avere
visitatori in questo momento, ha bisogno di riposo.” Era lei
che guardava e
Violet capì al volo. Lo stesso non valse per Sophie che non
poteva sapere e che
comunque non aveva mai brillato per perspicacia.
“Ma Violet certo
potrà
entrare!” Esclamò e le fu quasi grata per
quell’impeto di fiducia.
Se
non mettesse in luce l’esatto contrario di ciò che
ha detto.
“Violet sa bene il
motivo per
cui non può entrare. Non è gradita.” E
quel tono era maligno, grondava
soddisfazione. Baffi Impomatati la detestava cordialmente, forse
perché
rappresentava l’ultimo filo che legava la sua promessa sposa
ad un’altra
casata, forse meno ricca, ma certo più antica e nobile della
sua, fatta di
commercianti di saggina per scope.
I
Goyle saranno morti con mio padre, ma facevano parte
dell’antica nobiltà magica del Galles.
Dubito
che chi vende paglia per scope possa esservi
anche solo paragonato…
“È mia
madre. Voglio sapere
come sta e se ha bisogno di qualcosa.” Sussurrò
sentendo la voce diventare
sottile come un alito di vento. Non aveva le forze per combattere anche
contro quell’uomo.
E
poi che senso ha combattere contro i mulini a vento?
“Non ha bisogno di
una figlia
che le causa dolore e vergogna.” Vide le Romilly assorbire
quelle parole come un
goloso avrebbe fatto incetta dal carrello dei dolci e le scottarono di
umiliazione, e rabbia. “Mi ha detto di dirti che, a meno che
tu non riconsideri
le affermazioni che hai fatto in sua presenza, non ha intenzione di
parlarti.”
Violet serrò i
denti in una
morsa dolorosa. “Non ho intenzione di farlo.” La
voce le tremava ma non poteva
tirarsi indietro, non a quel punto. Tirarsi indietro avrebbe
significato
guadagnarsi forse il perdono, ma anche perdere Dominique e tutto quello
che
aveva conquistato in quei mesi. “Le cose che ho detto le
penso.”
“Allora non sarai
persona
gradita al matrimonio. O a casa nostra, per quel che mi riguarda
… Pansy ha
bisogno di riposo e tranquillità nelle sue condizioni. Non
ti permetterò di
turbarla ulteriormente.”
Violet non rispose a quella
che le sembrava un’aperta provocazione. Doveva essere un
trionfo inaspettato,
per quel bastardo, liberarsi di lei senza troppi impicci. Forse amava
sinceramente sua madre, ma non aveva poi molta importanza dato che era
capace
di disprezzare lei con la stessa intensità. La stava
sfidando a gridare,
protestare, magari piangere.
Non
io. Sono Violet Parkinson-Goyle e non sono prona a
scenate o crisi isteriche.
Prese la borsa e
raddrizzò le
spalle. Non avrebbe permesso a quel pallone gonfiato di cacciarla, se
ne
sarebbe andata lei e l’avrebbe fatto con tutta la
dignità di cui era capace. Una
come Nicky avrebbe preteso udienza e l’avrebbe ottenuta anche
a costo di menar
la bacchetta per i corridoi…
Ma,
come ho già detto, io sono solo Violet.
Voltò le spalle
al terzetto
silenzio e, un passo dopo l’altro si diresse fuori
dall’ospedale.
Appena sentì il
marciapiede
sotto i piedi e non il legno scuro di cui era rivestito il pavimento
dell’ospedale le conseguenze di ciò che era
accaduto le piombarono addosso come
un macigno.
Sua madre non
l’aveva
ripudiata, ma era solo questione di tempo, a giudicare da
ciò che le era stato
comunicato. Non presenziare al matrimonio avrebbe significato scatenare
le
malelingue, e scatenarle significava, per Pansy ex Vedova Goyle, dover
dar
seguito ad una serie di inevitabili decisioni.
Se
non sei parte della famiglia, ne sei fuori.
Avrebbe perso tutto. Le
proprietà dei Parkinson-Goyle erano tutte intestate a sua
madre, e la loro casa
in Normandia era stata chiusa mesi prima ed era ora vuota, sia di
mobili che di
Elfi Domestici. Per finire, il suo baule e gli effetti personali che si
era
portata ad Hogwarts erano nella grande casa di Montparnasse che era
stata
comprata per la nuova famiglia.
Baffi
Impomatati sarà felice di poter riarredare la mia
stanza come meglio gli aggrada … Magari con il tavolo da
biliardo che non entra
nello studio.
Non aveva più un
posto dove
andare e possedeva solo ciò che indossava. Poteva forse
includere nel conto
pochi spiccioli nel portamonete e la sua bacchetta, ma era …
È
tutto qui.
Il lato emotivo e pratico
della faccenda erano spaventosi ed era certa di non averli ancora
interiorizzati del tutto. Ne era certa perché non aveva
ancora perso la testa.
Non
azzardarti a farlo. Non farti prendere dal panico.
Rifletti. Ti hanno cacciata di casa, ma non possono ritirarti da
scuola. È
obbligatoria. Devi resistere fino a quando non tornerai ad Hogwarts.
Lì
ci sarà Nicky, Scorpius …
E
come ci torni, in Scozia?
Non aveva i soldi per una
Passaporta, né tantomeno per il treno. Non aveva neppure
soldi per permettersi
una stanza in un albergo in attesa di quel giorno.
Non
rimanere ferma. Cammina, muoviti. Entra in un bar,
siediti, rifletti. Pianifica. Trova una soluzione.
Obbedì a quella
sorta di voce
interiore come se ne andasse della sua vita, e forse,
rifletté, era così. Entrò
in un locale qualsiasi e ordinò un caffè.
Poteva chiedere
ospitalità a
Jenny o a Sophie: non gliel’avrebbero negata anche se
avrebbero preteso, di
rimando, spiegazioni.
…
Certo, e quando gliene darai? Pensi che loro, o i loro
genitori vorranno ancora aiutarti?
Non poteva chiedere alle sue
amiche, c’era troppo margine di incertezza. Scorpius
l’avrebbe accolta a
braccia aperte invece, considerando che l’aveva invitata a
passare le feste da
lui.
Se
solo avessi accettato … Ormai è troppo tardi. E
poi,
chissà cosa ne penserebbero i suoi. Sono amici di mia
madre…
C’era, ultima ma
non tale, Dominique,
ma con lei veniva anche quella clan multiculturale che si ritrovava per
famiglia. L’istinto le urlava di cercare di contattarla
immediatamente.
Però…
Voleva sul serio far sapere
alla famiglia della sua ragazza che era in dirittura di esser
ripudiata? Voleva
davvero rischiare di trascinare persone sconosciute in una faida con
sua madre?
E soprattutto se la sentiva di dover affrontare i pregiudizi che
avrebbero
avuto nei suoi confronti? Sapeva che gli Weasley non avevano tanto in
simpatia
quelle come lei. Bastava vedere come consideravano Scorpius per via del
suo
cognome, ultima generazione a parte.
E
comunque, come hai intenzione di contattarla? Il tuo
Gufo è rimasto a Montparnasse. Non puoi permettertene uno
dell’ufficio postale.
Anche una chiamata via camino … Prima dovresti trovarne uno.
Il caffè
arrivò e lei lasciò
che si raffreddasse. Lanciò invece uno sguardo oltre la
vetrata agghindata in
toni natalizi. Fuori, una calca di maghi e streghe si affrettava per
gli ultimi
acquisti, donne cariche di pacchetti e bambini esagitati invadevano la
via
schiamazzando e facendo scoppiare botti magici.
Era Natale, anche se sua
madre
non voleva più avere niente a che fare con lei. Era Natale
anche se era lontana
chilometri dalle uniche persone che avrebbero potuta aiutarla e lo era
persino
se si sentiva la persona più sola al mondo.
Era orribile.
Era talmente orribile che
stava
avendo le allucinazioni. Le sembrava infatti di vedere Lady Malfoy
guardare una
vetrina dal lato opposto della strada. Poi realizzò che era davvero Lady Astoria. Gettò i
pochi zellini
che aveva sul tavolo ed si precipitò fuori.
La strega si
voltò sorpresa
quando la vide riflessa nella vetrina. Con lei c’era anche
una donna anziana, vestita
in tunica e mantello, moda di quasi trent’anni prima. Doveva
essere Lady
Narcissa. “Violet,
che sorpresa! Speravo
di incrociarti per gli acquisti natalizi.” Le sorrise
gentile. “Narcissa, ti ho
parlato di…” Il sorriso sembrò
congelarlesi sul volto, così come i convenevoli
di rito sulle labbra. “Tesoro, cos’è
successo?”
Capì che stava
singhiozzando
nel momento in cui le braccia della strega la tirarono con dolcezza
verso di
sé. Non
sapeva che il sollievo potesse
essere tanto doloroso.
****
Violet non aveva idea di
come
fosse arrivata a sedersi in una piccola sala da the
dall’arredamento inglese,
ma era piuttosto certa di essere ancora a Parigi. Tuttavia non
ricordava di
averne varcato la soglia, forse più presa a riempire di
lacrime il mantello di
Lady Astoria.
Serrando le dita sulla fine
porcellana
Worcester della tazza lasciò che quest’ultima
facesse levitare con un colpo di
bacchetta la teiera, per poi versarle salvifico Prince
of Wales² – banale, ma il suo preferito.
“Mi …
mi dispiace…” Balbettò. Etichettare
il suo comportamento come inappropriato era riduttivo. “Non
era mia intenzione
importunarvi…”
Sentì le dita sottili della donna premerle sul braccio in
una stretta
consolante. Differentemente da come aveva fatto con Sophie, non si
scostò.
“Non sono
così sciocca da
pensare che una ragazza scoppi in lacrime di fronte ad estranei senza
una buona
ragione.” Replicò tranquilla come se non le avesse
singhiozzato addosso per
quelle che le sembravano ore.
Era stata quella gentilezza
a
darle il colpo di grazia, ma non lo disse per paura che
l’altra la credesse
un’ingrata. Per evitare una nuova crisi di pianto si
voltò quindi verso Lady
Narcissa e con sgomento – e imbarazzo – si accorse
che c’era un’altra donna
seduta al tavolo con loro. Doveva esser coetanea di Lady Narcissa e
sebbene
fosse ben più patrizia dell’esile anziana seduta
accanto a lei, ne condivideva
alcuni tratti somatici. Considerando l’età,
dovevano esser cugine o sorelle.
L’anziana strega,
forse intuendo
la sua sorpresa, parlò. “Ti presento mia sorella
Andromeda.” Questa si produsse
in un sorriso contenuto ma Violet vide negli occhi scuri un guizzo di
curiosità.
Certo,
hai appena avuto una crisi isterica coi fiocchi…
Comprensibile sia curiosa.
“Io …
salve.” Inspirò appena,
suggendo the per darsi un contengo.
Riprenditi
prima che ti scambino per un’ubriaca.
Lady Astoria le
lanciò una
lunga occhiata indagatrice, ma diversamente dalle Romilly, non sembrava
aver
fame di informazioni. La stava semplicemente studiando. “Ti
senti meglio?” Le
chiese, e Violet annuì.
Doveva dare delle
spiegazioni,
ma sapeva da dove iniziare.
“Io …
devo chiedervi scusa per
il mio increscioso comportamento. È
stato…” Iniziò piena di buone
intenzioni,
ma fu fermata da uno sbuffo insoddisfatto da parte di Lady Andromeda.
“Oh, piantala con
le scuse,
ragazzina!” Con sgomento si accorse che quella signora
agghindata parlava in
dialetto. Quello londinese³ per giunta.“Sei una
Purosangue, no? Quelle come te
non scoppiano a piangere in pubblico se non succede qualcosa di
completamente
disastroso. Cos’è, ha chiuso il tuo sarto
preferito?”
Violet boccheggiò
senza sapere
che Snaso pescare, mentre Lady Narcissa arrossiva – un lieve
rosa sulle gote
pallide, niente di più. “Dromeda!”
Sibilò, mentre Lady Astoria tratteneva un evidente scoppio
di risa. “Ti prego,
cerca di controllarti e di ricordarti che sei una…”
“Tonks.”
Replicò quella con un
sorrisetto che non sarebbe sfigurato su Dominique, o Scorpius o una
genia
particolare di ragazzi ribelli. “Andromeda Tonks, Cissy, e
non ho intenzione di
passare ore a girare attorno al problema … Non quando devo
ancora trovare un
regalo per il mio Ted. Che la ragazzina parli.”
Decretò con il tono di un
giudice del Wizengamot.
“Violet, vedo che
sei
provata…” Riprese le fila del discorso Lady
Astoria, più conciliante. “Ma so
per esperienza che tenersi dentro un problema raramente aiuta a
risolverlo.”
Violet sentiva la gola secca
e
trovò del tutto legittimo bere l’ennesimo sorso di
the. Era sicura che non appena
avrebbe esposto il suo problema – che no, non era la chiusura
della sua sarta
d’elezione – sarebbe stata disprezzata. Le labbra
non le erano mai sembrate
tanto sigillate.
Lady Andromeda
schioccò la
lingua – la lingua?
– poi sospirò.
“Non è una cosa da nulla, vero?”
Indovinò. “Prima sei quasi svenuta addosso a
Tori, e non mi sembri una ragazzetta fiacca, di quelle che andavano
tanto di
moda quando avevo la tua età…” E qui
lanciò un’occhiata alla sorella che
ricambiò con un’occhiataccia. Si rivolse di nuovo
a lei. “Ragazza, Tori non si
alzerà se non avrà la certezza che è
tutto a posto. Queste Corvonero hanno il
pallino di dover sapere tutto.”
La donna fece un mezzo sorriso distratto. “È vero,
è proprio così … Oltre a
questo, mio figlio non mi perdonerebbe mai se non mi prendessi cura
della dama
che porterà al Ballo del Ceppo.”
“Mia
madre…” Le parole le
scivolarono fuori dalle labbra prima che potesse fermarle.
“Mia madre non mi
vuole più.”
Vide la consapevolezza
illuminare le tre streghe di colpo. Ovvio, erano Purosangue. Fu Lady
Andromeda
a parlare per prima. “Ti ha ripudiata?”
“Lo
farà. Lo farà appena si
sarà sposata, immagino …”
Serrò le dita sulla tazza. “Non vorrà
dare scalpore
prima del suo matrimonio.”
“Perché?” Fu Lady Narcissa a parlare, e
il tono era così freddo che sentì le
forze venir meno.
Ecco,
è appena cominciata.
“Cissy, che
importanza vuoi
che abbia? Diamine, si parla di ripudiare!”
Ribatté violentemente la sorella. Violet non svenne solo
perché sentiva la
presa gentile della madre di Scorpius ancora salda tra le sue dita. Lo
sapeva
che l’avrebbero disprezzata. Era così che
funzionava.
“Voglio solo
sapere che persona
abbiamo davanti, non mi sembra di chieder molto.”
Replicò la donna con calma.
“Violet, guardami.” Violet alzò lo
sguardo per riflettersi nelle iridi di
ghiaccio dell’anziana. Da giovane doveva essere stata
un’autentica bellezza
algida, di quelle capaci di inchiodare un mago alle sue promesse.
“Cos’hai
fatto per meritartelo?”
Niente.
Niente, assolutamente niente … Perché non me lo
merito!
Violet ispirò.
Poteva essere
spaventata, sola al mondo e improvvisamente nullatenente. Ma non
avrebbe
chiesto scusa per chi era. Non più.
“Amo.” Disse e forse fu un po’ troppo
teatrale, ma era pur sempre la verità. “Mi sono
innamorata e mia madre non
approva la mia scelta. Mi ha chiesto di rimangiarmi tutto, ed io ho
detto che
non potevo.”
Vide passare un forte
fremito nell’espressione
beffarda di Lady Andromeda. “Chi è il
ragazzo?” Il tono di voce si fece meno
categorico, più gentile. Comprensivo?
Se doveva finir ripudiata
dalla società in cui era cresciuta, tanto valeva portarsi
avanti con il lavoro.
“Io … non ho una particolare inclinazione verso i
ragazzi.”
Vi fu un breve silenzio e
Violet attese rassegnata che Lady Astoria la sciogliesse dalla stretta
per
guardarla con orrore. Non avvenne, anzi la rafforzò e la
guardò con gli stessi
occhi pronti e intelligenti del figlio. Scorpius poteva avere i colori
dei
Malfoy, ma la mimica era tutta Greengrass.
Lady Andromeda esplose di
colpo in una risata. “Dev’essere una
moda!” Esclamò divertita, ma non maligna. Anzi,
aveva cominciato a guardarla con aperta simpatia.
Ma…
Violet rimase senza parole.
“Per … per me non è una moda. Sono fatta così.”
Si sentì in dovere di chiarire, casomai pensassero al
capriccio da ragazzina
ribelle.
Lady Narcissa assunse
un’aria
esasperata. “Mia sorella adora farsi
fraintendere, non darle retta. Intendeva dire che ha un nipote, Ted
Remus, che
parimenti predilig…”
“È gay, Cissy.” Pareva che parlare
addosso alla sorella fosse una vera gioia
per la strega. “Teddy è gay. Se
c’è una parola intera per qualificare un
concetto perché non usarla?”
“È
Babbana.”
“Merlino, chiamiamo l’ufficio per l’uso
improprio della Parole Babbane allora!”
Violet osservò il
terzetto di
streghe. Non sembravano particolarmente turbate dalla sua rivelazione,
il che
aveva dell’assurdo perché ripudiare qualcuno era
un anatema tremendo nel Mondo
Magico. Un ripudiato era destinato ad essere ignorato e disprezzato da
tutti i
Purosangue con cui entrava in contatto.
Perché
non sta succedendo?
“Perché
… perché mi state
ancora parlando?” Si sentì tre paia
d’occhi puntati addosso e desiderò
scomparire nel divanetto. Quel tratto patetico del suo carattere non
sarebbe
mai venuto meno.
Vide Lady Andromeda guardare
verso la sorella, e viceversa. Poi le sorrise.
“Perché, parlo a titolo
personale, quando vivi come ho vissuto io ti passa la voglia di
giudicare.”
“Il mondo cambia,
è un assioma
che qualunque persona intelligente deve comprendere e far
suo.” Si sbilanciò
meno Lady Narcissa. Ma non guardava verso di lei, quanto piuttosto
verso la
sorella. Curioso. “Siamo in una società dove
attualmente le preferenze sessuali
e le decisioni prese in merito sono personali. Ripudiare qualcuno per
questo è
…” Fissò lo sguardo sul servizio da
the. “… sorpassato.”
“Oltre che
idiota.” Concluse
Lady Andromeda portandosi il the alle labbra.
Lady Astoria
annuì alle due
precedenti affermazioni. “Violet, qui sei tra amiche. Mio
figlio tiene a te ed
è sempre stato un ottimo giudice delle persone di cui si
circonda. Esserti
amica è un mio dovere di madre … e un mio piacere
come persona. Sei stata molto
coraggiosa, tesoro.”
Violet sapeva che stava per
rischiare una seconda crisi di pianto. Si sforzò di non
lasciare uscire più di
qualche lacrima che si asciugò comunque in fretta.
“Grazie…” Non trovava altro
da dire per esprimere ciò che le scoppiava nel cuore. Poteva
sperare comprensione
dai suoi coetanei ma mai, mai avrebbe pensato di trovarne tra streghe
di simile
levatura e lignaggio.
Lady Astoria non la
rassicurò
circa il fatto, altamente improbabile, che sarebbe stata perdonata e
ripresa nel
nido familiare. Non le chiese neppure se voleva che le facesse da
intermediaria
e sciocchezze simili. Grazie a Merlino, c’era gente che capiva. “Manderemo qualcuno a
prendere i tuoi bagagli.” Disse
invece. “Immagino tu li abbia lasciati a casa del promesso
sposo di tua madre.”
Violet batté le
palpebre.
“Come…?”
Lady Andromeda
schioccò di
nuovo la lingua, un gesto così poco Purosangue da farle
sospettare che non
fosse l’unica in quella stanza ad aver avuto problemi con il
suo lignaggio.
“Non fare la finta tonta. Pensi che dopo questo bel
discorsetto ti lasciamo
qui?” La scrutò da sotto in su quasi a volerla
pesare. “No, non saresti neppure
capace di cercarti una stanza in una locanda.”
Decretò infine.
“Non siete tenute
a…” Non
c’era verso che le facessero finire una frase,
perché Astoria scosse la testa.
“Credo di avere
una lontana
parentela con tua madre. Forse cugina di secondo grado?” Gli
occhi ebbero un
lampo divertito e, non si ingannò, ribelle. A ben vedere,
Scorpius non poteva
essere com’era senza qualche influenza in famiglia.
“Forse?”
La assecondò.
“Dunque, non posso
lasciare
che una mia lontana cugina abbia da soffrire un Natale in
solitudine.”
Che fosse vero o meno,
Violet
ebbe l’impulso di abbracciare la strega di fronte a lei.
“Non so come potrò mai
sdebitarmi…”
“Tieni Scorpius lontano dai regali fino alla Vigilia e
credimi, a Tori basterà.”
Ridacchiò Lady Andromeda.
****
24
Dicembre 2023
Inghilterra, Devonshire, la Tana.
Fissare il fuoco le aveva
sempre calmato i nervi ma in quel caso la faccenda era seria e non
c’era fiamma
che tenesse. Era una sensazione nuova, segamentalizzare – che
sì chiamava così,
poche storie.
Ovviamente, il fulcro di
tutte
le sue convulsioni cerebrali era Piggie. Piggie che al momento era
ospite dei
Malfoy. Piggie che non era andata al matrimonio di sua madre, dato che
il
giorno dello stesso le aveva spedito una lettera dal Wiltshire.
Le aveva risposto
pretendendo
spiegazioni e la seconda lettera era stata solo una riga di inchiostro.
‘Ti
spiegherò
tutto quando ci vedremo. Ricordati di spedirmi il regalo,
tonta’.
Sto
cazzo.
Sapeva, a livello viscerale,
che c’era qualcosa che non andava, che l’altra
stava avendo dei problemi e sì
okay, non voleva parlarne via Gufo – dannate Purosangue e le
loro fisime da
fine ottocento! – ma almeno accennarle qualcosa…
Stava diventando scema.
Brontolò qualcosa
trai denti,
intellegibile persino a se stessa mentre sentiva il peso delle
testoline di
Lucy e Molly sulle ginocchia. L’unico motivo per cui non era
già su una scopa e
che nell’alzarsi avrebbe svegliato quei due piccoli tifoni
– quanto erano
diverse da quel noiosone del padre! – e al ritorno, per tale
pensata, la sua
testa sarebbe stata infilata su una picca da Nonna Molly in persona.
Sentì qualcuno
sedersi accanto
a lei ma lo ignorò. La serata era passata piuttosto
velocemente in realtà, tra
cibo, scherzi e una lotta a palle di neve all’ultimo sangue.
Ma adesso che
tutti erano andati a letto, o quasi, non c’era verso di non pensare.
“Vuoi che le porti
a letto?”
Era Lils, in tutta la sua aria da adorabile ragazzina innocente, falsa
come uno
Zellino falso. Beveva Eggnog bollente e sembrava persino più
pensierosa di lei.
“Se riesci a non
svegliarle.
Se si riattivano, vanno avanti per tutta la notte.”
Replicò facendola
ridacchiare.
“Sei
l’unica che riesce a
domarle.” Le offrì la tazza e Dominique ne bevve
un paio di sorsi rinfrancanti.
La ricetta di Nonna Molly era segreta e, si diceva, protetta da
incantesimi
secolari. “Il che è comprensibile, visto che di
solito hai a che fare con i
draghi.”
“I draghi son più tranquilli di loro,
garantito.” Ghignò di rimando. “Penso
che
zia Audrey mi pagherebbe fior di Galeoni, se vivessi qui.”
La conversazione si spense perché non era particolarmente
interessante.
“Stasera sei un po’ strana.” Disse Lily
dopo un breve silenzio in cui entrambe
fissavano le fiamme. “Cioè, più del
solito.”
“Ah-ah?”
“Ah-sì.”
Le fece il verso. “Di solito a quest’ora sei
crollata come
loro e dobbiamo farti levitare fino in camera.” Le
ricordò. “Invece sei
sveglia. Pensieri?” Indovinò puntellandosi il
mento con una mano e sporgendosi
verso di lei. “Puoi parlarmene, sono un asso nel dare
consigli.”
“Sei un’impicciona.”
“Anche, ma una cosa non esclude l’altra.”
Le picchiettò un braccio con
un’unghia. “Dai Domi, è cosa rarissima
vederti struggere!”
“Non mi strutto!”
Esclamò, prima di
dare un’occhiata ai due mostriciattoli gemelli. Dormivano
come se non vi fosse
domani. Le invidiò. “Non so manco che vuol
dire…” Soggiunse arruffandosi i
capelli depressa.
“Struggo.”
La corresse con
aria divertita. L’avrebbe presa a schiaffi.
“È che vederti di cattivo umore è
raro come un’eclissi di sole.”
“Ecco, e ti sei chiesta perché nessuno mi ci vede
mai? Forse perché mi stanno lontani.”
La minacciò. Non c’era Mael e
neppure Victoire, entrambi in Francia, il primo dalla madre e la
seconda con la
nuova fiamma. Non poteva sfogarsi ed era piuttosto irritante. Anche sua
cugina
lo era.
Devo
solo capire quale delle due cose mi stia più
sull’anima.
“Guarda che si
vede che
vorresti essere altrove … e dubito che sia per il Ballo di
domani, anche se so
che non ci vuoi andare.” Lily si raggomitolò sulla
poltrona come avrebbe fatto
un gatto sonnolento. “Anche quando giocavamo a palle di neve
ti sei bloccata a
guardare il nulla siderale. Però sempre nella stessa
direzione. È vero, no, che
hai un senso dell’orientamento pazzesco?”
“Adesso ti prendo
a schiaffi.”
Le comunicò perché era onesto notificare certi
impulsi. L’altra non si scompose
di una virgola e questo la rendeva sua cugina al cento per cento. Solo
quel
gruppo di ragazze con cui condivideva i geni sapeva che certe sue
esternazioni
raramente diventavano fisiche.
“Se vuoi ti aiuto…”
Scandì inarcando le
sopracciglia. “Metto a letto le gemelle e ti lascio andare
dove devi andare. Ti
copro anche con gli altri. Dico che stasera vieni a dormire da me al
Mulino.”
“Lo scopriranno, genio.”
Lily scosse la testa ed esibì uno di quei sogghigni che
potevano essere
definiti tra l’insinuante e il platealmente inquietante.
Inquietavano un po’
anche lei. “Mi sottovaluti, Dom. Molto.”
La proposta era troppo
allettante
perché potesse respingerla senza colpo ferire.
“Cosa vuoi in cambio?” Che c’era
evidentemente qualcosa in palio per la Rossa, o non si sarebbe
prodigata tanto.
“Dirmi da chi vai
mi sembra il
minimo, no?”
Dominique ci pensò su. Lily avrebbe finito per saperlo prima
o poi, dato che
non pianificava di tenerlo nascosto. Avevano deciso, quando avevano
ufficializzato, che chi avrebbe chiesto avrebbe avuto risposta onesta e
sincera. Ed in effetti, era quello che l’altra stava facendo.
Chiedere.
Oh,
beh.
“Dalla mia
ragazza.” Poi
aggiunse. “Si chiama Violet, Violet Parkinson-Goyle.
È quella che svolazza
sempre attorno a Malfoy e che sembra voglia impalmarselo. Non
vuole.”
Gli occhi di Lily si
accesero
di soddisfazione. “Lo sapevo!”
Esclamò battendo le mani, ma abbassando subito il tono di
voce. Le due progenie
di Satana avevano notoriamente il sonno leggero. “Sapevo che
doveva esserci
qualcosa di passionale tra voi due… Tutta quella tensione
quando ti
rimproverava per aver minacciato Poliakoff!” La
guardò brutalmente negli occhi.
“Quindi ti piacciono le ragazze?”
“Così
pare.”
“Fate sesso?”
Se lei era libera di essere rude con Lily, per tacito accordo
l’altra era
libera di essere la maniaca che di solito fingeva – male - di non essere. “No, a
letto giochiamo a MazzoBum. Certo che
lo facciamo.” Sbuffò. “Mi dai o no una
mano con ‘ste due?” Le chiese
riscuotendola dalla contemplazione del suo trionfo. “Vorrei
arrivarci prima di
domattina, nel Wiltshire.”
“Ah, allora
è dai Malfoy!” Si
alzò e si stiracchiò. Le scoccò una
sinistra occhiata di sottecchi. “Quindi
ti servirà sapere come trovare il
loro Manor. È ultra protetto da incantesimi e barriere.
Jamie mi ha spiegato come
farlo Apparire, ma è davvero
complicato.”
Dominique sospirò, mentre l’altra prendeva in
braccio Lucy, canticchiando
qualcosa a mezza bocca. Quella non emise un sospiro, continuando
pacifica a
dormire. La stava forse ipnotizzando?
Comunque…
“…
Cos’altro vuoi in
cambio?”
“Com’è
far sesso con una
ragazza?”
“Ma che problema
hai?”
“Sei tu quella che
non sa come
andare dalla sua ragazza.” Cinguettò.
“Quelle che ho io sono informazioni.”
Dominique roteò gli occhi al cielo.
****
Violet osservò
Scorpius
attizzare pigramente il fuoco con la bacchetta.
“Altro distillato?” Le chiese Loki, agitandole la
bottiglia davanti al naso.
Fece una smorfietta e l’allontanò con la punta
delle dita.
“Ubriacone.”
“Bacchettona.” Fu la replica serena, prima di
versarsene l’ennesimo bicchiere e
trangugiarlo con uno schiocco soddisfatto delle labbra.
“Non osare
finirlo… A me
spetta l’ultima goccia, come da accordi.”
Flautò Michel, togliendosi la
sigaretta babbana dalle labbra e agitando il cristallo vuoto tra le
dita. Erano
seduti in circolo davanti al fuoco del salottino privato di Scorpius,
sprofondati
in comode poltrone di cuoio scuro. A dirla tutta, il padrone di casa era al momento spalmato
sul costoso tappeto
arabo e canticchiava a mezza voce quella che aveva tutta
l’aria di essere una
canzonetta babbana. Violet aveva intuito dal comportamento degli altri
che era
cosa nota e normale il fatto che non reggesse qualcosa di
più forte della
Burrobirra.
“Malfoy?”
“Passo, ci voglio
arrivare coi
miei piedi in camera.” Sorrise distratto Scorpius.
“Non che adesso ne sia in
grado, beninteso. Il mondo fluttua.”
Violet aveva passato una Vigilia insolita. Insolita perché,
anche se si era
svolta nella classica declinazione Purosangue, cena inamidata e lo
scartare dei
regali allo scoccare della mezzanotte, l’aveva passata con
estranei, con
Scorpius, la sua famiglia e la singolare presenza di Nott e Zabini. Non
aveva
chiesto perché non festeggiassero a casa loro e di rimando i
ragazzi non
avevano fatto domande sulla sua presenza e la mancanza di regali da
parte di
sua madre.
Era un tacito accordo, per
quelli come loro, parlare il meno possibile di cose serie e quanto
più
possibile di sciocchezze. Violet non l’aveva mai apprezzato
tanto.
Forse
perché per Sophie e Jenny la discrezione è cosa
sconosciuta.
Scorpius stesso non aveva
curiosato. Quando si era materializzata dentro i cancelli della
proprietà,
accompagnata dalle tre Lady di casa, il ragazzo, venuto ad accoglierle,
le
aveva sorriso smagliante e senza fare una sola domanda si era
dichiarato
entusiasta di averla come ospite. Non sapeva se Lady Astoria
l’avesse
avvertito, ma rimaneva il punto.
Rose
Weasley è una ragazza fortunata.
Sorrise a
quest’ultimo, che
ricambiò gattonando fino a lei. Le posò poi la
testa in grembo con un sospiro.
“Si sta comodi…”
Lo dice anche Dominique.
“Sì, ma
non è posto che ti
competa.” Sbuffò spingendolo via. “Cosa
penserebbe la tua ragazza?”
“Nulla, sa che il
mio cuore e
altri organi sono votati interamente a lei.”
Piagnucolò rotolando via. “E poi,
non è la mia ragazza, al momento.”
“Ancora con quella storiella della riconquista del Malfoy
offeso?” Chiese
Zabini che tutto sapeva di tutti. “Sul serio, portatela a
letto e basta. A
cos’altro ti può servire una creatura
così irritante?”
Violet afferrò
Scorpius per il
bavero della giacca prima che si avventasse scoordinato verso Zabini.
“È la
stessa domanda che ci facciamo parlando con te, Michel.”
Celiò e l’altro
accettò la stoccata con un lieve cenno della mano.
“Lascialo in pace.”
“Mammina Violet!” Ghignò Loki i cui
occhi, alla luce del fuoco, apparivano
ancor più diversi. “Ve lo ricordate quando prese a
calci Mike perché aveva dato
un pugno sul naso al suo prezioso biondino?”
Michel fece una smorfietta
sofferente. “Merlino, fosti così rozza! E cosa ti
uscì dalle labbra!”
Violet arrossì.
“Sono certa che
te le fossi meritate.”
“Parkinson-Goyle,
madrina
delle ingiustizie!” Tornò alla carica il moretto,
più brillo di tutti loro
messi assieme ma comunque assai più contegnoso del
canticchiante Malfoy. “Mi
ricordo la strigliata che ti fece tua madre per esserti comportata come
un rude
maschiaccio.”
Violet serrò le
labbra,
sentendo una fitta allo stomaco. Naturalmente Nott non poteva sapere,
quindi
prendersela non aveva senso. Sentì un colpetto sulla gamba
ed incrociò lo
sguardo di Scorpius. Anche da brillo doveva aver percepito il suo
irrigidirsi.
“Ho bisogno di prendere una boccata
d’aria.” Esordì alzandosi in piedi.
“Queste
tue sigarette babbane sono nauseanti, Michel.”
“Fammi causa.” Replicò l’altro
tirando una voluttuosa boccata.
Violet uscì dal
salotto del
piccolo complesso di camere che apparteneva a Scorpius e scese le
scale. Il
parco del Manor le piaceva moltissimo: aveva un giardino italiano di
rara
bellezza che lo esaltava in forme perfette, adesso imbiancate di neve.
Fece
qualche passo per il viale principale, stringendosi le braccia al
petto. Era
freddo, e sciocca com’era si era dimenticata di portarsi
dietro il mantello.
Sua madre non si era fatta
sentire e così le sue amiche. Non che si sarebbe aspettata
lettere o offerte di
sostegno da Sophie e Jenny, e già poteva immaginare di esser
diventata
l’argomento scottante del loro circolo di conoscenze.
Tuttavia…
Tuttavia aveva sperato che
l’avrebbero
almeno cercata, anche solo per chiedere spiegazioni.
Ci
conosciamo da quando abbiamo undici anni… Le conosco
da quando conosco Nicky.
Le mancava Dominique. Aveva
voglia di averla lì, di abbracciarla e farsi consolare. Ma
al tempo stesso
sapeva che se si fosse appoggiata completamente all’altra le
avrebbe fatto un
torto.
È
la mia ragazza. Non mia madre, non la mia ancora di
salvezza…
Aveva bisogno di far
chiarezza
dentro di sé prima di poterle parlare dell’intera
faccenda.
Lady Astoria le aveva
assicurato che Lord Malfoy avrebbe cercato di mettersi in contatto con
la
Gringott per sapere se fosse rimasto qualcosa nella camera blindata dei
Goyle.
Violet non era particolarmente fiduciosa, tuttavia aveva acconsentito a
quella
ricerca.
Se
la camera alla Gringott non è stata data a qualcun
altro, forse non è completamente vuota… Forse.
Voleva essere in grado di
reggersi con le sue gambe per quando avrebbe rivisto Dominique.
Perché l’altra
era libera, fiera e indipendente. Voleva vincere il Tremaghi per
devolvere il
premio alla riserva dei draghi dove sarebbe andata a lavorare finita la
scuola
e le aveva parlato di come volesse trasferirsi in Romania, di come
avesse
intenzione di vivere solo contando sulle sue forze e i suoi talenti.
Quant’è
diverso da come sono stata cresciuta io … Il
mio obbiettivo avrebbe dovuto esser prender marito e non lavorare un
giorno
solo della mia vita, come si addiceva al mio status sociale e al mio
cognome.
Ora
le cose sono diverse.
Lady Astoria
l’aveva pregata
di non preoccuparsi, che i Malfoy l’avrebbero aiutata in
virtù dell’amicizia
che nutrivano per lei. Lo stesso avevano fatto Lady Narcissa e Lady
Andromeda.
Persino Lord Malfoy non aveva mosso obiezioni – nel senso che
durante la sua
permanenza l’aveva più o meno ignorata.
Era loro grata, ma sapeva
che
non avrebbe potuto aggrapparsi alla loro benevolenza per sempre.
Vorrà
dire che finita la scuola lavorerò. Anche se non
idea dove, visto che non so far nulla.
Sospirò
profondamente e sentì poi
che qualcosa le veniva adagiato sulle spalle. Sobbalzò e si
trovò di fronte
Scorpius che le porgeva il suo mantello. “Guarda che se ti
ammali sono nei
guai. Con chi ballo domani?”
“Ma non eri
ubriaco?”
“Infatti son
strisciato fin
qui.”
Violet ricambiò
il sorriso.
“Sono più resistente di quanto sembri, Piccolo
Principe.”
“Bene allora, ti
lascio alle
tue riflessioni.” Dalla tasca della mantello si tolse una
lettera, porgendogliela.
“Questa è arrivata adesso e
c’è il tuo nome sopra.”
Ghignò. “Piggie?”
“Quell’idiota!”
Esclamò di
getto mentre il cuore le accelerava bruscamente. Di colpo, non sentiva
più
tanto freddo. Strappò la lettera, chiusa con semplice scotch
magico: aveva un
bel dire che voleva presentarsi a Nicky forte e sicura di
sé. Il punto è che
voleva vederla. Punto.
Piggie,
Davanti
ai cancelli di questo posto gigantesco. Sto
qua.
PS: Non ti arrabbiare, ho il regalo.
“Come si esce di
qui senza
essere fulminati da qualche incantesimo?” Il povero ragazzo
barcollò
vistosamente alla sua aggressione e fu costretta ad afferrarlo per le
spalle
prima che cadesse sedere a terra. Sì, era decisamente
brillo. “Rispondimi!”
“Puoi uscire
tranquillamente,
il problema è entrare!” Esclamò
battendo le palpebre perplesso. “Ma c’è
Dom?”
Ridacchiò intuendo da solo la risposta.
“Tranquilla, basta che tu la prenda per
mano e passerete dalle barriere senza problemi. Le abbiamo incantate
per
includere anche la tua presenza.”
Violet gli ficcò
la lettera in
mano e non lo salutò neppure. Semplicemente, corse via.
****
Dominique aveva acceso un
fuoco con i pochi ramoscelli che era riuscita a racimolare in quella
blanda
distesa di neve e pietre che componeva i dintorni di Casa Malfoy
– o il Manor,
o comunque si chiamasse. Anche fornita di giubbotto, felpa e berretto
si
sentiva congelare svariate parti del corpo e aveva il terrore di
perderne
altre. Sperava solo che quella insopportabile snob di Piggie si
sbrigasse.
Son
dovuta venire a cercarla io, che diamine … Speriamo
che abbia letto il Gufo altrimenti mi troveranno congelata e
piangeranno la mia
precoce dipartita. Dominique Weasley, morta così figa e
così giovane…
Pensando non si accorse del
cambiamento avvenuto alle sue spalle, ovvero della materializzazione di
un
cancello che sembrava fatto di nebbia, né tantomeno della
persona che vi passò
attraverso.
“Nicky…”
Le bastò quel nomignolo per alzarsi in piedi e voltarsi di
scatto. Violet era
lì, in uno di quei mantelli che coprivano fino ai piedi e
foderati di morbida
pelliccia di qualche povero, innocente animaletto. Pareva uscita da un
party di
gran lusso a giudicare dall’acconciatura e il leggero trucco,
permesso a quelle
come lei solo in rarissime
occasioni
di festa.
In aperto contrasto con la
sua
aria snob – l’aveva detto che
gliel’avrebbe trovata spalmata addosso come burro
su un toast – c’era invece l’espressione
dei suoi occhi. Erano gli occhi di una
bambina che si era persa, precisi sputati. Le ricordavano quelli di
Louis
quando a cinque anni aveva avuto la brillante idea di smarrirsi sotto
la torre
Eiffel durante una gita di famiglia nel mondo Babbano.
Dominique non era tipa che
pretendeva spiegazioni. Si limitò ad allargare le braccia.
“Qui.” Disse. “Vieni
qui.” L’altra evidentemente non aspettava altro
perché le corse incontro e le
gettò le braccia al collo, stringendola come se una delle
due dovesse partire
per la guerra. “Che succede?” Chiese ispirando il
leggero profumo di shampoo
costoso. “Piggie, dimmi che succede,
dov’è che ti fa male?”
La sentì
ridacchiare contro la
sua spalla per poi alzare il viso. Non si ingannava, aveva gli occhi
lucidi e
grandi come Boccini. Aveva pianto. “Da nessuna parte, stupida
… Che razza di
domanda è?”
“Una
domanda.” Le passò le
dita sulle guance, trovandole bollenti. Nessun dubbio, aveva pianto. In
compenso l’altra vi si appoggiò grata, quasi vi
trovasse sollievo. “Perché non
sei in Francia?”
Violet si morse un labbro.
“Forse è vero che qualcosa mi fa
male…” Ammise piano. Non le diede il tempo di
chieder delucidazioni che aggiunse. “Non saresti dovuta
venire. Con questo
tempo … e poi cos’hai detto alla tua
famiglia?”
“Ho chi mi copre.
Sai, paga
avere due miliardi di cugine.” Si strinse nelle spalle. Poi
fece una smorfia,
che l’ultima frase proprio non le era piaciuta.
“Che vuol dire che non dovevo
venire? Mi mandi lettere che non spiegano un cazzo e
t’aspetti anche che me ne
stia buona ad aspettare?”
Violet esitò, poi
scosse la
testa. “No, non si può dire che la pazienza sia il
tuo forte.”
“Specie se si tratta di te, Piggie.”
Replicò beandosi della sua aria
deliziosamente confusa. Le prese la mano e gliela strinse.
“Ti conosco dal
primo anno, so che ti faresti tagliare un braccio prima di mostrare che
sei un
essere umano fallibile come tutti noi, ma …”
“Ma sei la mia ragazza.” La anticipò
stringendogliela di rimando. “Lo so, mi
dispiace essere stata misteriosa, è solo
che…”
“È una faccenda grossa? Spiegami!”
L’altra per tutta risposta si martoriò le labbra.
Dominique trovò quindi del
tutto legittimo chinarsi per baciargliele e mettere fine a quel
supplizio.
Violet rispose immediatamente, prendendole il viso tra le mani e
ricambiando
con un entusiasmo che fece quasi girare la testa ad entrambi.
La sua di sicuro.
“Morgana, quanto
mi sei mancata…”
Sussurrò leccandosele, ogni traccia della leggera tinta per
labbra che usava sparita.
Dominique ne sentiva il sapore.
“È un
po’ il punto di tutta la
faccenda.” Sospirò facendola ridacchiare.
“Senti, se dobbiamo parlare facciamo
al caldo. Sempre che non venga fritta da qualche protezione che i
Malfoy hanno
messo a casa loro … In tal caso preferisco congelarmi il
culo.”
Violet ridacchiò
di nuovo,
prendendole la mano. “Sei con me Weasley, sono il tuo
lasciapassare per il
mondo Purosangue.”
Dominique ghignò. “Da sempre, pare.”
Violet sorrise. “Da sempre.”
****
Violet non aveva idea di
come
interpretare l’espressione di Dominique. Le aveva raccontato
tutto, senza
risparmiarsi nei dettagli.
Fa
male, Nicky. Hai ragione tu, fa davvero male.
Al momento erano stese sul
letto della sua stanza, una delle innumerevoli deputate agli ospiti del
Manor.
I suoi piedi nudi sfioravano i jeans ancora freddi
dell’altra. Le diede un
colpetto sul ginocchio. “Nicky?”
“Vorrei
affatturare tua madre.
Ma gravemente.” Borbottò prima di arruffarsi i
capelli, gesto che equivaleva ad
una serie di imprecazioni. “È una stronza. Per
eufemizzare.”
“Non ha agito diversamente da qualsiasi madre Purosangue di
mia conoscenza…”
Più o meno…
“Non importa! Non
posso
credere che ti abbia … Insomma!” Sbottò
scattando a sedere. Le diede
addirittura le spalle, quasi cercasse di distrarsi per non fare gesti
inconsulti.
“Per favore Nicky, non parliamone più.”
La blandì carezzandole la schiena. “È
una decisione che può prendere e l’ha presa.
È tutto.”
“Non puoi
ripudiarla tu?”
Violet scoppiò a
ridere e,
anche se non c’era nulla di divertente in
quell’affermazione, le passò la
voglia di piangere. Abbracciò la schiena
dell’altra e posò il viso sulla ruvida
stoffa di quella felpa raccapricciante – una taglia da uomo,
addirittura. “Me
la caverò.” Quelle roboanti affermazioni erano il
modo dell’altra di mostrarle
preoccupazione e doveva quindi rassicurarla. “Come vedi, non
sono sola. I
Malfoy mi hanno ospitato e si sono offerti di continuare a farlo
finché non sarò
in grado di provvedere a me stessa.” Sospirò.
“Non che voglia vivere della loro
carità vita natura durante … Penso che non appena
mi sarò diplomata mi cercherò
un lavoro.”
Dominique non disse niente e
Violet si chiese, non senza apprensione, cosa frullasse in quella testa
matta. “È
lei che ci ha perso, Piggie.” Disse infine
guardandola da sopra la spalla, seria. “Se non riesce a
vedere la persona che
sei diventata ci ha perso enormemente
e quando se ne accorgerà ballerò sulla sua
tomba.”
“Come farà ad accorgersene se è
morta?” Le chiese divertita, dandole un lieve
bacio sulla nuca. “Ma grazie.” Magari era patetico,
ma sapere che Dominique la
riteneva degna di stima la faceva sentire meglio sul serio. Fece un
sorrisetto.
“E comunque, che persona sono diventata?”
“Una strafiga, si capisce.” Ghignò
voltandosi verso di lei. “Sei sempre stata
tosta, ma adesso sei figa.”
“È una cosa di cui essere fiere?”
“Totalmente,
Piggie.
Totalmente.” Confermò con un cenno solenne della
testa. “Oh, a proposito.
Regali? Mi sa che è passata la Mezzanotte!”
“Il tuo te l’ho spedito, quindi parliamo del mio,
suppongo.” Inarcò le
sopracciglia. “Giusto?”
“Giusto,
giusto…” Ridacchiò l’altra
alzandosi in piedi e andando a frugare nelle tasche del suo giubbotto
di pelle
– le aveva detto si chiamasse chiodo.
Le lanciò un pacchettino che riuscì a prendere al
volo solo perché se lo
aspettava. “Auguri!”
“Essere un
po’ più formale non
ti ucciderebbe, sai.” Sbuffò scuotendo la testa e
scartandolo ansiosamente. Era
il primo regalo che si facevano e aveva il sapore di qualcosa di importante.
Speriamo
non mi abbia regalato qualcosa di
raccapricciante o animale…
Il pacchettino, incartato
malamente con troppo scotch e poca carta, rivelò contenere
un orecchino.
Solitario. Era una pietra rossa con riflessi bruniti piuttosto
particolari.
Bello, ma senza il suo compagno.
“Nicky,
dov’è l’altro?” Chiese
perplessa.
L’altra si sedette
di nuovo di
fronte a lei, incrociando le gambe. “Non
c’è visto che questa pietra non va mai
a coppia e non può essere tagliata a meno che tu non abbia
una lama forgiata
dai Folletti. Non credo tu ne abbia una, anche se forse i
Malfoy…” Stava
blaterando e Violet aveva idea che lo stesse facendo per mascherare
l’imbarazzo.
“Cos’era
prima di diventare un
orecchino?” La interruppe.
L’altra fece una
smorfia. “È
una pietra … cioè, era
una Pietra di
Drago. Allo stato inerte com’è adesso si chiama
Pietra Focaia. Si trova dentro
la trachea di un esemplare adulto ed è il catalizzatore che
gli fa sputare
fuoco.” Si grattò la fronte, arricciando il naso.
“L’ho trovata quand’ero
piccola durante un appostamento con mio zio Charlie. È raro
trovarle perché di
solito i draghi vanno a morire lontano da qualsiasi sentiero battuto
e… se ne
trovi una sei proprio un tipo fortunato. Così mi
dissero.”
“È il
tuo portafortuna?”
Indovinò. Non era più grande di
un’unghia, eppure era capace di far sputare
fiamme ad un drago per decine di metri. Era impressionante, decisamente
il talismano
perfetto per una come la Weasley.
“È il
tuo adesso.” Scrollò le
spalle e fece un sorrisetto obliquo. “A me non serve
più.” Prima che potesse
obbiettare che era una Campionessa e che di fortuna ne aveva bisogno in
continuazione, l’altra le chiuse la mano su cui aveva posato
l’orecchino.
Violet sentì pungere leggermente la chiusura contro la
pelle, ma non si
lamentò.
“Nicky, sei
sicura? Dopotutto,
è…”
“Ho te.”
Fece spallucce. “Ho
te e il tuo orecchino.” Che per inciso non le aveva ridato.
Non che glielo
avesse mai chiesto indietro. “Scambio equo.”
“Non so se
definirti romantica
o l’esatto contrario.” Ora sì che le
veniva da piangere, ma glissò preferendo
concentrarsi sull’indossare quello strambo pegno
d’amore di quell’altrettanto
stramba ragazza.
Non era il suo solito
Natale.
Non c’era sua madre, i regali sotto l’albero della
sua infanzia, né le feste
cerimoniose a cui era invitata fino a Capodanno. C’era invece
un maniero un po’
scuro ma pieno di persone sorprendenti e gli occhi azzurri e sinceri
della
Weasley. Andava bene. Non era perfetto, forse, ma era proprio quello il
punto.
Le baciò la punta
del naso
lentigginoso. “Buon Natale sciroccata.”
“Buon Natale anche a te, Piggie.”
****
Note:
E il Ballo del Ceppo?
Flashback! Giuro! Ad ogni buon conto, devo finire con il prossimo
capitolo, e
quindi perdonatemi la mancanza della scena, che recupererò
comunque. In qualche
modo. Credo.
Qui
la canzone del capitolo.
1. Marais:
quartiere di Parigi, che mantiene l’architettura
pre-rivoluzionaria. È uno dei quartieri più alla
moda della città e ospita
decine di boutique e atelier di giovani artisti emergenti. Quale
quartiere
migliore in cui inserire una via magica chic?
Qui
per maggiori
info.
2. Prince
of Wales: the nero proveniente dalla Cina, servito
solitamente in tarda mattinata o primo pomeriggio accompagnato dai
tipici scones britannici. Il
principe Eduardo
fu il primo a concedere alla Twinings il diritto di produrlo, dato che
era ‘his own personal
brand’.
3. Dialetto:
Violet si riferisce al cockney, il dialetto parlato a
Londra, nato e sviluppatosi nell’East End. Ovviamente
Andromeda non è una east enders,
ma agli orecchi di una
ragazza che ha visto Londra solo un paio di volte, una donna che ha un
forte
accento londinese e un linguaggio colorito può sembrare
tale. Questo
un assaggio più o meno corretto di come suona.
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