Note: Ciao a tutti :3 Questa è per
farvi vedere che sono ancora viva, e che nonostante il mio pc stia
andando a puttane io non demordo! Cooomunque ... Questa è
una songfic :3 C'è Mike, ma per vostro spiacere non
è una Bennoda tutto sesso, mi dispiace ma sto cercando di
... Boh, di censurarmi un po'. Peccato che sto lavorando ad una
long-fic rossa proprio su di loro
Enjoy :3
Roads Untraveled
Weep not for roads
untraveled.
Weep not for
paths left alone.
Cause beyond
every bend is a long blinding end,
it’s
the worst kind of pain I’ve known.
Give up your
heart left broken
and let that
mistake pass on,
Cause the love
that you lost wasn’t worth what it cost
And in time
you’ll be glad it’s gone.
Weep not for
roads untraveled
Weep not for
sights unseen
May your love
never end and if you need a friend,
there’s
a seat here alongside me.
SBAM!
è
l’unica cosa che sento provenire dalla porta di casa, il suo
sbattere così
violentemente e poi tremare, per l’ultima volta.
Lo so cosa
vuol dire, lo so cosa mi toccherà adesso.
Almeno penso
di sapere cosa mi tocca affrontare. Forse non lo so veramente.
Non mi
è mai
capitato.
È la
prima
volta che succede, per lo meno con una donna del genere, una che ho
amato
veramente fino a sposarla, fino ad avere un figlio fatto con coscienza,
non per
gioco come feci quando ero ancora un teenager.
E adesso lei
se n’è andata. Per sempre.
Ha chiuso
definitivamente con me, non ci sarà alcun suo ritorno,
alcuna scusa, alcun
perdono. È veramente finita.
Sono solo,
solo con la mia droga. Sono sul divano, con la polverina bianca sul
tavolino di
vetro di fronte a me, divisa in tre strisce candide ed invitanti.
La guardo e
sono indeciso, come ogni volta che mi ritrovo con un pezzo di carta
arrotolato
su sé stesso per formare un piccolo cilindro che la
inietterà direttamente al
mio cervello non appena tirerò su col naso.
Adesso dovrei
farmi un esame di coscienza, di capire se è giusto drogarmi
di nuovo o meno,
soprattutto in questo momento. Soprattutto adesso che sto soffrendo,
che ho
bisogno di qualcosa che mi faccia stare bene, che mi faccia passare la
maledetta voglia di piangere disperatamente.
Ho bisogno di
qualcosa che mi faccia passare il dolore, ma l’unica cosa che
conosco, adesso,
è questa.
È
questa che
mi dirà assuefazione, che mi farà dimenticare per
qualche minuto cosa è appena
successo.
Scorderò
quello che ho detto a Samantha, che tra di noi non poteva continuare
così,
litigio dopo litigio, ogni santo giorno, gridarci contro tutti gli
insulti
esistenti sulla faccia della terra, sgolandoci come dei matti fino ad
accorgerci, ovviamente troppo tardi, che nostro figlio di appena un
anno
piangeva spaventato da noi.
Non devo
piangere, non devo. Devo solo dimenticare, non devo ripensare alle mie
parole,
a quello che le ho detto, a quello che mi ha detto lei, quello che
è appena
successo.
No
…
«
Sam,
dobbiamo parlare. » mi parai davanti al suo muso, lei
accoccolata sul divano a
guardare la televisione, con ancora il viso rosso per le troppe urla
che
avevamo appena finito di fare per l’ennesima litigata.
Lei
alzò lo
sguardo neutro dal mio bacino, che era all’altezza del suo
viso, alla mia
faccia. Ho sempre odiato quello sguardo, quella sua faccia del cazzo
che mi
chiedono ‘Perché cazzo mi devi
infastidire?’.
«
Dimmi. »
rispose lei con la sua solita voce fredda, che usava sempre quando
parlava con
me, ogni volta, anche quando mi chiedeva di farlo ed io ovviamente
rifiutavo
sempre, non solo perché ormai mi faceva schifo avere
rapporti con lei, ma anche
perché era fastidioso il modo con cui me lo chiedeva.
Sembrava più dovuto che
voluto.
Mi allungai
abbastanza
per spegnere il televisore dal suo interruttore, vedendo la lucina
verde
dissolversi ed essere sostituita con quella rossa intensa, come il
fuoco caldo,
come il sangue che le ribolliva nelle guance per la rabbia.
Quando mi
rigirai verso di lei, mi stava fissando incredula, quasi non credesse
che
avessi spento la tv, anche se era normale dato che avevamo bisogno di
parlare,
di confrontarci, quindi necessitava un certo clima.
«
… Perché
l’hai spenta? » bofonchiò lei irritata,
come al suo solito. Ogni cosa che
facevo la irritava, chissà come mai.
«
Perché
adesso dobbiamo parlare. Seriamente. » il suo sguardo si fece
cupo, sapeva cosa
dovevo dirle, dovevamo affrontare il problema e lei non voleva. Aveva
sempre
preferito girare attorno ai problemi, non affrontarli di petto e
superarli, li
evitava il più possibile, ma non riusciva a non crearne.
«
Adesso non
mi va. » fece per alzarsi dal divano con i suoi soliti
movimenti sconnessi dopo
essere stata anche per soli cinque minuti seduta, ma io ovviamente non
la
lasciai andare. Le diedi uno spintone alla spalla, facendola ricadere
sul sofà,
mentre lei mi fulminò con uno sguardo non solo pieno di
rabbia, ma anche di irritazione.
Come al suo solito.
«
Complimenti.
» ringhiò lei per aver usato troppa forza nel
farla ritornare seduta dov’era «
Già che ci sei, perché non mi tiri uno schiaffo?
» in quel momento ebbi
seriamente la tentazione di lasciargli il rossore a forma delle mie
cinque dita
sulla sua guancia un po’ arrossata per la rabbia e per i kili
di cipria con cui
s’impolverava il viso, rendendola ancora più
puttana di quanto non sembrasse
già con quelle sue labbra gonfie che sembravano rifatte.
Ma non solo le
labbra la rendevano troia: anche i suoi occhi che a volte assottigliava
credendosi attraente erano un fattore, che ogni giorno truccava con
mille
colori diversi tra matite, eye-liner, ombretti che grazie a ME poteva
permettersi; poi c’era il suo seno, che già da
prima che avessimo un figlio era
grande, ma dopo la nascita di Draven si era ingrossato ancora di
più; infine le
sue smanie di protagonismo, le quali la portavano a mettersi in mostra
spudoratamente perché non riusciva a sopportare che nessuno
la notasse.
Solo in quel
momento mi resi conto per davvero con che razza di donna mi ero sposato
anni
fa, quando vedevo in lei una stupenda ragazza che mi amava nonostante i
miei
difetti.
Adesso era una
donna che mi odiava nonostante i miei pregi.
« Che
cosa ci
sta succedendo, Sam? » chiesi disperato « Prima non
eravamo così in conflitto,
era tutto diverso una volta. » mi sedetti affianco a lei sul
divano cercando di
farle passare quel minimo di rabbia che le circolava nelle vene, come a
me del
resto. Ma almeno io cercavo di trattenermi dal saltarle addosso e
sgozzarla seduta
stante.
« Ti
ricordi,
quella volta in cui litigammo perché io dovevo partire per
il secondo tour e
non potevo portarti con me come feci col primo? » lei
sbuffò girando il capo
dall’altra parte, facendo finta di non prestarmi attenzione,
ma io lo so che
stava solo cercando di non far riaffiorare quel ricordo.
«
Urlammo come
dei pazzi, insultandoci finché non perdemmo quasi la voce.
Poi ci guardammo
negli occhi, offesi ed arrabbiati entrambi, ma scoppiammo a ridere per
come ci
eravamo ridotti per una questione così stupida. »
mi lasciai scappare un
leggero sorriso sulle labbra che scomparve non appena vedi lei non
ricambiare affatto.
« Che
fine ha
fatto la Samantha di allora? Quella che ho sposato per la sua
bontà, per il suo
amore, per la sua comprensione? »
«
L’hai uccisa
tu. »
Mi si
gelò il
sangue quando il suo animo algido ed il suo freddo sguardo
piombò su di me
accompagnato da quella frase, che incolpava me di tutto ciò
che stava
succedendo. Com’era possibile che ad ogni cosa che succedeva,
lei trovava
sempre il coraggio per scagliare la colpa a me?
« Io?
» chiesi
incredulo « E come avrei fatto? »
« Con
il tuo
solito fare da superiore, da quello che si crede chissà chi
ogni volta che apre
bocca, che deve essere sempre posto in cima a tutti. Tutto solo
perché sei un
cantante. Ma ti sei visto? Sei solo una persona normale con un
determinato
talento, non sei Dio. » rispose stizzita.
Quelle parole
mi lasciarono spiazzato, perché dopotutto erano vere,
dicevano la realtà, ciò
che facevo. Ogni volta imponevo di essere visto come superiore degli
altri, del
mio gruppo o di chi altro.
«
Già, perché
tu non sei da meno. » mi lasciai scappare una risata ironica.
« Con
questo
cosa vuoi dire? » i suoi occhi mi fecero paura da come
mostravano la sua
freddezza.
« Lo
sai
benissimo cosa intendo dire. Parlo delle volte in cui cerchi di
attirare
attenzione in tutti i modi, perché vuoi sempre essere
notata. Chissà come mai
soprattutto dagli uomini! Mettendoti sempre quelle minigonne da
ragazzine
sedicenni e delle calze a rete che fanno vomitare addosso a te!
» mi alzai in
piedi per urlare meglio, dato che tanto la calma che volevo mantenere
era
scomparsa.
Sapevo che
avrei dovuto mordermi la lingua, era per questo che non riuscivo mai a
finire
una litigata prima di cominciarla, perché ogni cosa che
dicevo non passava due
volte per il mio cervello, usciva direttamente appena la realizzavo.
I suoi occhi
si sgranarono talmente tanto che sembrava una psicopatica che da
lì a poco
sarebbe corsa in cucina a prendere un coltello grande ed affilato con
il quale
avrebbe potuto ridurmi in mille pezzetti.
« SEI
UN LURIDO
PEZZO DI MERDA, CHESTER! » sbraitò alzandosi a sua
volta, mentre nostro figlio
riprese di nuovo a piangere dalla sua cameretta, spaventato per
l’ennesima
volta dalle nostre grida che a lui giungevano come disumane.
« E
TU SEI
SOLO UNA TROIA! » le urlai dietro mentre lei si
ritirò in camera nostra, non
andando nemmeno a calmare il bambino nella sua piccola culla che
gridava a
pieni polmoni di smettere con il suo pianto senza lacrime.
Come poteva
essere lui l’unione tra me e lei? Come poteva esistere
veramente un bambino
nato da noi due, dal nostro amore che stava piano piano sgretolandosi
nelle
nostre impotenti mani?
Era qualcosa
che avevo iniziato, un percorso, una vita che avevo deciso di farmi
propria, ma
che stavo lasciando marcire da sola, ma non per colpa mia. Io avrei
pure voluto
continuarla, ma a quanto pare la mia unica compagna che avrebbe dovuto
starmi
accanto non aveva il mio stesso pensiero.
Non avevamo
più scelta a quanto pare, lei non voleva ragionare, aveva
già preso una
decisione che sarebbe dovuta piacere anche a me, per forza. Ero in un
vicolo
cieco, non potevo svoltare da alcuna parte, non potevo nemmeno tornare
indietro
e rimediare ad alcun errore fatto in passato che ci aveva portati in
quel
momento.
E
ciò mi fece
stare peggio tra tutto.
Dovetti andare
io da Draven e cercare di calmare il suo pianto che continuò
per più di
mezz’ora, dondolandolo tra le mie braccia tatuate e
sussurrandogli parole dolci
nel tentativo di placare il suo spavento. Ma aveva riconosciuto la mia
voce e
adesso aveva paura di me.
Quella
mezz’ora bastò a Samantha per tirare fuori una
valigia, riempirla di tutti i
suoi stupidi e costosi vestiti che avevo pagato io e guadagnati
altrettanto io.
Tutti, chissà come mai, che la facevano sembrare una
prostituta pronta per
mettersi sotto al lampione.
Chissà
a
quanti uomini l’aveva data quando io ero nel tour di Meteora.
Dopo aver
messo i suoi averi nella MIA cara macchina viola che l’avevo
pagata quanto la
mia vita, mi strappò dalle braccia Draven che subito
ricominciò a piangere dopo
essere riuscito a calmarlo una volta per tutte, correndo fuori di casa,
mentre
io cercavo d’inseguirla, inutilmente, non riuscendo a capire
che intenzioni
avesse.
Ma lo capii
non appena uscì di casa, sbattendo con forza la porta, e
partendo in macchina
con una sgommata che lasciò un segno indelebile sul nostro
vialetto, come lei l’ha
lasciato dentro di me.
Un tiro
profondo e via, il naso mi prende a frizzare come il cervello al
contatto della
magica polverina bianca che ho sempre tenuto nascosto inutilmente nel
cassetto
del comodino situato dalla mia parte del letto matrimoniale, che fino a
sta
mattino ho condiviso con lei. Peccato che quest’ultima
l’abbia scoperto mesi
fa, litigando come per giorni e giorni, offendendosi addirittura sia
per
avergliela nascosto e sia per averla usata.
A lei non
fregava veramente ciò che doleva alla mia salute, ma
ciò che non le dicevo.
Pensava che se avesse fatto la parte di quella che ci tiene a sapere
tutto,
sarebbe riuscita a nascondere tutte le sue più grandi
bravate da me. Ancora
oggi mi chiedo se Draven sia veramente mio figlio, sangue del mio
sangue, o
magari di un altro uomo da cui si è fatta scopare in preda
ad una sua finta
sbronza, perché chiedere direttamente di farselo mettere
dentro era troppo indignitoso,
vero?
Troia. Ecco
cos’era.
I miei sensi
partono per non so quale destinazione, la vista oscurata dai miei occhi
chiusi
mi mostra soltanto colori psichedelici con forme ambigue che compaiono
e
svaniscono, variando ogni volta.
Un’altra.
Riprendo la
proprietà dei miei arti e dei miei movimenti, chinandomi per
la seconda volta in
una giornata ed ennesima nella settimana sul tavolino, seguendo col
tubetto di
carta nel mio naso la striscia candida della felicità.
Ansimo con un
sorriso da ebete sulle labbra che mostrano i miei denti un
po’ ingialliti per
le troppe sigarette, mentre il mio cervello fa scontrare i miei neuroni
l’uno
con l’altro, facendomi stare bene, in un certo senso. So che
questo mi fa stare
bene solo all’apparenza, ma all’interno mi sta
corrodendo piano piano.
«
Stronza. »
sussurro all’aria come se le stessi confessando un segreto,
ma che adesso
vorrei urlare al mondo intero.
Te ne sei
andata, sei felice adesso? Hai finito di patirmi fino alla fine dei
tuoi
giorni?
Adesso puoi
accogliere tutti gli uccelli che vorrai tra le tue gambe, come se non
l’avesti
mai fatto in tutti questi anni in cui sei stata con me.
Rido, non so
perché ma rido, e anche di gusto. La mia voce fintamente
felice echeggia nella
casa vuota.
«
Tornerai
strisciando! » grido ridendo ancora, come se adesso potesse
sentirmi.
Oh, ma un
giorno mi sentirà, eccome se mi sentirà. Mi
guarderà dal basso verso l’alto,
pregandomi di tornare indietro, di dimenticare, di tornare assieme e
ricominciare da capo.
Illusa.
E se pensa di
aver raggiunto il paradiso nell’andarsene, si sbaglia di
brutto. Io le farò
patire l’inferno. Sentirà il mio avvocato,
sentirà cosa vuol dire mantenere un
bambino. Peccato che non possa anche provare a mantenere pure una
prostituta
viziata e lamentosa, che appena può mette corna a destra e a
manca.
Il bambino
…
Mio figlio.
Merda, se l’è portato via.
Solo adesso
che spalanco gli occhi pieni di terrore capisco che me l’ha
strappato non solo
dalle mani ma anche dalla mia vita.
Oh no, io
questo non glielo permetto. Non lo lascerò da quella
stronza! Che non ci pensi
nemmeno un attimo, lui è mio figlio – forse
–, ma anche se fosse di un altro
uomo sono stato io a mantenerlo, a farlo crescere nel lusso!
Io gli ho dato
l’amore, l’affetto e l’attenzione che
ogni bimbo necessita! Io mi sono sempre
alzato dal letto alle quattro di notte per dargli il latte caldo! Io
gli ho
cambiato il pannolino, io l’ho curato quando aveva la
varicella, io lo facevo
giocare e divertire!
Quella lurida
bastarda non ha alcun diritto di portarmelo via!
Mi alzo di
scatto, provocandomi un forte giramento di testa assieme
all’offuscamento della
vista che mi fanno crede di morire per un attimo, ma che non mi fermano
abbastanza per correre su per le scale, nella piccola stanzetta blu di
mio
figlio, piena dei giocattoli e pupazzi con i quali passava intere
giornate.
Pareti blu
come gli abissi del mare, mobili bianchi in legno pieni dei suoi
piccoli
vestiti che ogni volta che doveva mettere piangeva perché
preferiva restare con
la sua solita tutina del pigiama azzurro che gli risaltava gli occhi
color
caffè.
C’è
il suo
largo box pieno di sonagli e pupazzi, dove lo mettevamo quando si
stancava di
stare nella culla. Quest’ultima vuota.
Non
c’è più,
se l’è portato via, quella stronza.
E stronza
com’è gli ha lasciato pure il suo orsacchiotto
preferito, qui nella culla. Dio
solo sa quanto la vorrei morta in questo momento, perché
sono sicuro che il mio
piccolo starà piangendo come un matto, legato forza nel
seggiolino sui sedili
posteriori, si starà dimenando come un matto, con gli occhi
lucidi e rossi, la
sua bocca che perde un po’ di bava dove mancano i denti.
Tutto
perché
ha lasciato qui il suo orsacchiotto. Ma non è uno qualunque,
è il suo
preferito, glielo avevamo regalato per il suo primo Natale e da
lì non l’ha più
mollato. Piangeva ogni sera e non voleva dormire finché non
lo stringeva fra le
braccia.
Il mio amore
che sta soffrendo come un cane per colpa nostra. Anzi per colpa di lei.
Afferro
delicatamente l’orsacchiotto, come se stessi prendendo in
braccio lui, per
l’ultima volta. Lo guardo, contemplando i suoi occhi di
bottone neri e lucidi,
brillanti come i suoi, il suo sorriso fatto da una riga che si divide
in due
curve, che mi ricorda il mio bambino sorridente quando gli facevo uno
spettacolino con le marionette che gli avevo regalato una volta tornato
da un
concerto in India.
Stringo il
pupazzo di pezza tra le mie braccia, ispirando il suo odore che sa di
mio
figlio, che ho paura di non rivedere più. Anche se
è stupido pensarlo, lei non
avrebbe alcun diritto di nascondermelo per sempre, non può,
così è la legge.
Non piangere
Chester, non farlo. Sarà pure la prima volta che succede, ma
devi essere forte,
come sempre. Stringi i denti, guarda avanti e combatti, ma non lasciare
a niente
e nessuno il permesso di ferirti in questo modo,
d’indebolirti e di cedere
definitivamente.
Non lasciarla
vincere, non questa volta.
Sento il
campanello rintoccare due volte con il suo suono docile ma un
po’ stridulo che
mi fa sobbalzare, facendomi riconnettere al mondo reale ed inducendomi
a
scendere a vedere chi è.
Non
è lei,
sicuramente, non ho sentito alcun rombo della macchina. Oppure gli si
è bucata
la gomma e si è dovuta a fermare. Oppure è finita
la benzina. Oppure è venuta a
prendere l’orsacchiotto di Draven dopo che gli è
esplosa la testa con le sue
stridule grida di neonato. Oppure si è pentita.
Sì,
la mia
vendetta. Adesso che stai strisciando da me per chiedermi scusa ti
sbatterò la
porta in faccia, solo dopo aver ripreso mio figlio.
Ma quando apro
la porta non vedo lei. Ma un uomo.
E sinceramente
me lo sarei dovuto aspettare, sapevo che sarebbe arrivato. Lui
è sempre
puntuale, anche se non gli ho dato alcun appuntamento giorni fa o senza
che gli
dicessi di venire. È come se avessimo due antenne collegate
fra di loro, che
percepiscono quando è il momento di muoversi, di andare uno
dall’altro, perché
uno dei due sta male per qualsiasi motivo. Una specie di telepatia
nonostante
ci siamo conosciuti circa otto anni fa, anche se non sono affatto pochi.
E lui si
sarà
sentito frizzare le chiappe, avrà sentito qualche sensazione
strana, qualche
brivido lungo la schiena e il suo senso di pericolo si sarà
attivato
istintivamente. Oppure gli si è attivato il sensore Chester,
come io ho il sensore
Mike.
Lui non
sorride, mi guarda solamente preoccupato con il suo solito viso da
empatico che
mi fissa, capendo già da subito che qualcosa non va dal mio
mezzo sorriso
tirato ed amaro.
Gli occhi gli
ricadono sull’orsacchiotto sorridente che circondo col
braccio tenendolo
stretto al petto in maniera possessiva, e ritorna a guardarmi con occhi
sgranati pensando che sia successo qualcosa a mio figlio.
Beh, dopotutto
non ha tutti i torti, qualcosa a lui è successo:
è stato strappato da casa sua,
da suo padre e dal suo migliore amico inanimato.
Non servono i
soliti modi convenevoli che si usa con un semplice amico, gli faccio
solamente
spazio affianco alla porta e lui entra direttamente, senza che gli dica
qualcosa perché sa già che deve fare.
Si dirige verso
il salotto, mentre io chiudo di nuovo la porta amareggiato dal fatto
che dietro
ad essa ho trovato lui invece di lei. Anche se sinceramente non mi
dispiace,
preferisco qualcuno che mi consoli che qualcuno che mi faccia solo
arrabbiare.
Lo ritrovo
paralizzato di fronte al tavolino di vetro, mentre fissa sbiancato come
un
cencio le ultime strisce di cocaina che ho lasciato poco prima.
Lui non lo
sapeva. Sapeva che avevo smesso, ma non che avevo ricominciato.
Questa
giornata sarà piena di sorprese per lui come lo è
stata per me.
E al solo
pensiero di quello che è appena successo mi fa venire voglia
di prendere tutto
e spaccarlo in mille pezzi, tirare giù le tende color sabbia
e darle fuoco
perché mi ricordano troppo lei. Spaccare i vasi, ribaltare
il divano, far
esplodere la casa intera facendo saltar per aria la cucina.
Ma non posso,
devo mostrarmi più forte di lei, fronteggiarla in pieno
petto e batterla una
volta per tutte.
Si gira
guardandomi stupito, mentre io non posso fare altro che sedermi sul
divano che
graffierei come un gatto impazzito dalla rabbia, tenendo la testa china
e
vergognandomi come un pazzo omicida.
«
Perché? »
chiede lui con un filo di voce, ma non di accusatore, non userebbe mai
quel
tono con me, perché sa che sono solo una vittima.
« Per
colpa
sua. » e sa di chi parlo, gli ho sempre raccontato delle mie
memorabili
litigate con lei.
Allunga una
mano sul tavolino, tirando su delicatamente con due dita quella
polverina
bianca, per poi portarsele vicino agli occhi per contemplarla meglio
con il suo
solito sguardo da curioso mentre io lo fisso quasi divertito.
Almeno
qualcuno riesce a farmi sorridere in un momento come questo in cui
l’unica cosa
che voglio fare è piangere ed uccidere la mia, ormai, ex
moglie.
Si porta le
dita all’altezza del naso, sentendone appena
l’odore pungente e poi
sfregandosele con aria schifata, mentre la polverina cade come neve
dalle sue
dita e ricadendo sul pavimento.
Non ha idea
che spreco sta commettendo, ma in questo momento non riesco ad essere
arrabbiato con lui per questo, so che lui è qui per
salvarmi, per farmi stare
bene e consolarmi, cose che ha sempre fatto ed io ho ovviamente
ricambiato.
«
Dov’è? » mi
chiede con tono freddo non vedendola in giro, pronto per darle una
bella strigliata.
« Se
n’è
andata. Per sempre. » sussurro queste due ultime parole con
un nodo alla gola
che mi soffoca e smorza il mio respiro, le mie corde vocali, facendomi
bruciare
gli occhi più di quanto una canna potrebbe fare.
Lui si butta
sul divano, affianco a me, cingendomi le spalle con le sue grandi
braccia,
accogliendo la mia testa sul suo petto, mentre i singhiozzi si stanno
facendo
strada dentro di me, facendo largo alle lacrime incolmabili che premono
sulle
mie palpebre per uscire definitivamente.
Non devo
piangere.
«
Ehi, va
tutto bene. » mi dice lui carezzandomi i capelli che fino a
qualche giorno fa
erano ancora biondi, ma che adesso stanno di nuovo riprendendo il mio
colore
castano scuro naturale.
« Non
va bene
un cazzo, Mike! » singhiozzo sulla sua felpa « Se
n’è andata, capisci? È
finita, non tornerà più. Tutto è
andato a puttane, l’unica cosa in cui ho
sempre sperato si è disintegrata tra le mie mani! La mia
vita si è distrutta,
tutto! » non mi trattengo più, sfociando in un
gemito doloroso ed in un pianto
che mi ricorda quello di mio figlio, stringendo sempre di
più il suo
orsacchiotto attorno alle braccia.
« Si
è portata
via Draven! E questo mi fa star peggio! Ha detto che era solo colpa
mia, che io
avevo mandato all’aria il nostro matrimonio, che lo avevo
rovinato in non so
quale modo. E tutto questo dopo aver cercato di capire cosa non andasse
tra noi
due, quando stavo cercando di riparare ogni errore, mio o suo che
fosse! »
« Sh,
sh … »
mi fa zittire lui, cullandomi tra le sue braccia non tanto forti ma
tanto
accoglienti, stringendomi a sé come un vero amico saprebbe
fare.
Aspetta un
po’
di minuti, tempo in cui le mie riserve d’acqua salata cessa e
smette di colarmi
dagli occhi, e l’unica cosa che rimane non sono
più i miei singhiozzi ma il mio
respiro affannato, mentre lui continua a dondolarmi dolcemente,
facendomi
posare la mia testa sulla sua spalla.
« Sai
che
disperarsi non la farà tornare indietro? » rompe
il silenzio con la sua solita
voce serena e risolutiva « Piangere ti farà solo
smaltire un po’ di quella
rabbia che ti ha creato lei, facendo la vittima delle situazione anche
se non
lo è affatto, strappandoti dalle mani tuo figlio che
è tuo diritto poter
vedere. Ti ricordi quando hai scritto Don’t Stay? »
Oh
sì che me
lo ricordo.
«
L’hai fatto
perché già sapevi come sarebbe finita questa
storia, anche se tu speravi che
continuasse lo stesso, perché tu ci credevi davvero
nell’amore che provavi per
lei dopo tanti anni che avete passato insieme. Ma sai anche che
nonostante tutto
il tempo che avete passato ad amarvi, quando una storia finisce,
finisce e
basta. Non ci sono ma o perché, alcuni amori non sono per
sempre, e si sa. »
Dio mio se ha
ragione. Me lo ricordo benissimo a che stavo pensando quando
l’ho scritta. Pensavo
proprio a quello che sta dicendo adesso, che nonostante il tempo che
passi
assieme ad una persona, non puoi farci niente se l’amore che
provi per lui o
lei svanisce, sono cose che succedono.
E
così è
successo con lei.
«
È stato il
mio più grande errore. » ammetto afflitto.
« No,
affatto.
» mi contraddice facendomi rialzare dalla sua spalla,
ponendomi di fronte a lui
« Questo non è stato un errore Chester.
È stata una lezione di vita, perché
sebbene tu abbia già quasi trent’anni non si
smette mai d’imparare.
Hai perso
questo tuo grande amore, ed è difficile da capacitarsene, ma
dopotutto non hai
sbagliato affatto. Hai fatto bene ad amarla, perché tu
provavi qualcosa per
lei. E con il vostro imminente divorzio forse capirai che alla fin fine
hai
fatto bene a farlo finire. Hai capito finalmente che con lei non poteva
continuare, non in quel modo, ma uno alternativo non c’era
quindi era il
momento di dire basta.
Lei non
meritava veramente quello che le offrivi, tu meriti di più
che una donna del
genere. Chester, io te lo dico da amico, e non voglio assolutamente
offenderti:
ma veramente, con tempo vedrai che sarai felice che tutto questo sia
finito. »
le sue parole entrano nelle mie orecchie inondandomi il cervello con la
stessa
forza di un fiume in piena.
Un
po’ mi
stordiscono, ma la maggior parte delle sue frasi sensate mi fanno
capire quanta
ragione abbia.
È
incredibile
come questo giovane uomo riesca a farmi ricredere in pochi minuti, con
un
semplice discorso, ma chiaro e coinciso. Mi ha fatto ritrovare la
voglia di
ripartire, anche se ancora sono un po’ distrutto per quello
che è successo.
Ma infondo ha
ragione: devo ricominciare da zero, ma è meglio
così, cercando di creare una
nuova vita con una donna che probabilmente mi amerà per
sempre e non mi mentirà
quando me lo dirà, cosa che a quanto pare ha fatto lei.
Lo abbraccio a
me, tenendo sempre il pupazzo di mio figlio stretto nella mia presa
della mano,
stringendomi questo ragazzone che non riesce a farmi star male, non
sarebbe
capace, ci scommetto.
«
Grazie Mike.
Io ti auguro tutto il bene del mondo, spero che tu ed Anna viviate una
storia
d’amore più bella e felice della mia, duratura,
perché quando vi siete sposati
ho visto come vi amate veramente. » lo sento sorridere
compiaciuto sulla mia
spalla « E sappi, che qualunque cosa potrà
accadere, io ci sarò, come sempre.
Se avrai bisogno di me, sarò al tuo fianco, sarò
sempre un amico per te. E ti
posso assicurare che terrò sempre un posto nel mio cuore per
te, che potrai
usare come e quando vuoi. »
Ci sleghiamo
dal questo abbraccio, sorridendoci l’un l’altro
anche se lui ha un espressione
un po’ stordita per colpa della mia ultima frase che mi fa
apparire un po’
dell’altra sponda, ma lui sa che preferisco una donna che un
uomo.
« Sei
pronto
per ricominciare la tua vita da capo? » mi chiede dandomi
delle pacche
affettuose sulla schiena.
«
Circa. »
ammetto « Dove ancora farmi passare questa storia. Dopotutto
io non capisco
ancora cosa ho sbagliato in lei … »
« Tu
non hai
sbagliato. È lei che ha commesso un errore abnorme. A quanto
pare non sapeva
cosa volesse dire ‘amare’. » sempre a
pararmi il culo, eh?
Domani forse
non sarò pronto, nemmeno tra una settimana o tra un mese.
Credo che mi ci vorrà
davvero un po’ di tempo prima di ripartire. Ma devo pensare
che quando
ricomincerò sarò meglio di prima, me lo prometto.
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