Felipe Aguilon e il mistero del labirinto

di CowgirlSara
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IV° parte

IV° parte

 

Lo svegliarono i tuoni che era già quasi buio, cominciava a piovere. Felipe allungò le gambe e le braccia, si ricordò che doveva controllare una cosa a proposito della morte di Lucrezia, così si alzò. Aprì la finestra: gli piaceva l’odore della pioggia sulla terra estiva e asciutta; respirò forte. Poi guardò nello specchio e si trovò orribile, con la barba lunga e l’aspetto trasandato. Chiamò una serva e si fece preparare un bagno caldo; quando si fu lavato e sbarbato, ed ebbe indossato degli abiti puliti, uscì dalla camera con l’intenzione di recarsi nelle scuderie.

Fuori veniva, però, un acquazzone terribile e Aguilon fu costretto a fermarsi nella sala le cui vetrate davano sulla fontana davanti al palazzo.

Dopo poco lo raggiunse Costanza, che fu sorpresa di trovarlo lì; la donna si sedette su una poltrona, guardando, anche lei, fuori la pioggia che cadeva violenta.

“E’ stata una nottata terribile... almeno la seconda parte.” Disse Costanza con voce stanca.

“Non ne parliamo.” A Felipe non era ancora tornata la voglia di chiacchierare.

“Cosa vi siete detti, con mio fratello, se posso chiederlo?”

“Non credo di potervelo riferire.” Rispose freddo Aguilon. “A proposito devo io chiedervi qualcosa. Ieri pomeriggio vi ho vista parlare con il conte Paolo, in fondo alla scala, nel salone principale; volevo sapere: quando lo avete incontrato da che parte veniva?”

“Ma che razza di domande fate?”

“Vi prego Costanza, è molto importante, potrebbe quasi essere decisivo.” Felipe si era voltato e la guardava negli occhi.

“ ...vediamo...” La donna cercava di ricordare un particolare per lei irrilevante. “Sì, stava salendo le scale.”

“Siete sicura che stava salendo e non scendendo?”

“Ma sì, me lo disse lui, stava andando nelle sue stan... un momento Felipe, non sospetterete di Paolo?”

“Non parliamone qui, mia cara; le mura hanno orecchie, purtroppo.”

“Non ci posso credere, o meglio, sì che posso crederci. Non mi piaceva nemmeno da bambino...”

“Costanza, tacete!” Aguilon le si era avvicinato prendendola per le spalle. “Dannazione, quanto parlano le donne!” esclamò levando lo sguardo al cielo, e poi la baciò, ma solo per farla stare zitta.

Quella sera lo spagnolo non poté andare nelle scuderie, poiché non smise un minuto di piovere. La cena fu deprimente: luce fievole, pietanze meno saporite del solito e commensali con musi talmente lunghi da sfiorare la minestra. La notte Felipe ebbe un sonno piuttosto agitato e perfino degli incubi; pensò che fosse il rimorso per la morte di Lucrezia.

Al mattino il tempo era ancora grigio, ma aveva smesso di piovere, così Aguilon poté finalmente recarsi nelle scuderie. Attraversò il giardino bagnato facendo uno strano rumore sulla ghiaia. Arrivò alle scuderie, dove alcuni uomini stavano già lavorando, nonostante fosse mattina presto; chiese di poter entrare, non gli negarono il permesso. Dentro la costruzione, che era, dal di fuori, bella quasi come il palazzo granducale, era caldo e si sentiva forte odore di sterco di cavallo, ma Felipe vide anche ciò che gli interessava: il terreno era ricoperto, oltre che dal fieno, da una fine sabbia giallastra. La colluttazione tra la povera Lucrezia ed il suo assassino era cominciata in quel luogo. Si guardò ancora un po’ in torno, notando che uno dei cancelli di protezione dei cavalli aveva le tavole rotte.

“Scusate...” Si avvicinò ad uno degli uomini che stavano lavorando. “Da quanto tempo sono rotte quelle tavole?” chiese indicando il cancello.

“Le abbiamo trovate così ieri mattina di ritorno dalla ricerca.” Rispose quello.

“Vi ringrazio.” Dopo aver saputo ciò che gli interessava Felipe si allontanò, per ritornare al palazzo.

 

I due giorni successivi furono d’attesa: del ritorno di Tommaso da Roma o di quello di Paolo da Bologna, sempre che ci fosse andato. Non successero episodi rilevanti, ci fu il funerale di Lucrezia, molto triste specie per Felipe.

Accadde, però, un fatto piuttosto rilevante: dopo mesi d'isolamento, e con grande indignazione del dottor Peñarosa, la granduchessa scese a pranzare con i suoi ospiti. Era ancora pallida e malferma, ma sorrideva, appoggiandosi al braccio del  marito, ed era sempre bellissima; dai suoi occhi era scomparsa la luce febbrile dei giorni in cui era sottoposta all’avvelenamento. Felipe era ammirato.

Il giovane spagnolo però non poteva rimanere con le mani in mano; così decise di scoprire la verità sulla morte di Maddalena di Giovanni dal Pino. Cercò i diari di cui gli aveva parlato la granduchessa, li lesse, confrontò alcuni particolari in essi contenuti con notizie reali, che raccolse dalle persone più anziane del palazzo, tra cui la fantesca. Infine, dopo un paio di giorni di lavoro, uscì dalla biblioteca e si recò a casa di mastro Filippo.

Bussò con il grosso batacchio di ferro; venne ad aprirgli Beatrice, ancora un po’ assonnata, ma sempre bella. Gli sorrise con calore.

“Vostro padre è in casa?” chiese Felipe.

“A quest’ora della mattina dove volete che sia.” Lo introdusse nell’abitazione, passando per il patio. Mastro Filippo stava facendo colazione.

“Oh, buongiorno messer Aguilon, qual buon vento!” lo salutò cordialmente, doveva essersi alzato bene. “Siete venuto a restituirmi i miei disegni.”

“Sì, ma devo parlare con voi di qualcosa, che non riguarda direttamente il caso di cui mi sto occupando.”

“Sedetevi, dunque.” Il tono di Felipe aveva fatto calmare anche Filippo. “Lasciaci soli, Beatrice.” Disse brusco alla figlia, che silenziosa si allontanò. “Di che si tratta.”

“Di Maddalena di Giovanni dal Pino; secondo me voi sapete molte cose su di lei.”

“Purtroppo sì. Ma voi come lo avete scoperto?”

“Leggendo alcuni diari di corte del periodo in cui è morta. Ho scoperto che la vicenda è avvenuta durante la costruzione del giardino, e che il corpo di Maddalena scomparve prima di essere sepolto. Sul suicidio pare non ci siano dubbi, ed ormai è troppo tardi per fare qualsiasi verifica, ma vorrei sapere come andarono realmente le cose.”

“Ve lo dirò.” Rispose mastro Filippo, deciso. Poi iniziò il suo racconto:

“Quando il granduca d’allora mi chiamò per progettare e costruire un magnifico giardino nel suo palazzo, colsi al volo l’occasione; infatti, si rivelò la mia fortuna, poiché dopo quel lavoro ne portai a compimento molti altri, ed il mio successo accrebbe notevolmente. Durante i lavori, però, conobbi Maddalena; eravamo entrambi molto giovani ed incoscienti. Suo padre, un nobile di corte, si oppose fermamente a che la figlia sposasse un giovane architetto senza arte né parte, e lei ne soffriva molto. Più di quanto io credessi. Un giorno suo padre ci scoprì insieme e la rinchiuse nella sua stanza, impedendole di vedermi ancora; il giorno dopo la trovarono impiccata al baldacchino del letto. Ricomposero il cadavere, ma siccome si era uccisa non potevano seppellirla nella cappella di famiglia, così decisero di sotterrarla nella tenuta di campagna del padre. Là, io non avrei potuto visitare la sua tomba, così, nella notte sottrassi le sue spoglie e, con le mie mani la seppellii al centro del labirinto. Il giorno dopo doveva essere posta la statua di Icaro, nessuno se ne sarebbe mai accorto. L’amavo molto ed in quel momento mi sembrò la scelta migliore; in seguito conobbi la madre di Beatrice e dimenticai il mio infelice amore per Maddalena, ma non ho mai dimenticato dove riposa il suo corpo.”

“E’ una storia molto triste.” Disse Felipe guardando l’uomo che aveva di fronte.

“Vi prego signor Aguilon, fate che questo mio segreto rimanga tra noi, voglio che l’anima della povera Maddalena riposi in pace, per quanto possibile.”

“Rassicuratevi, mastro Filippo, nessuno saprà mai ciò che è realmente accaduto al corpo della sfortunata fanciulla; la sua morte è ormai troppo lontana per interessare a qualcuno.”

“A voi è interessata.”

“Sì, ma io sono uno di quegli orribili cani segugi che seguono la lepre fin dentro la tana, e a volte rimangono incastrati!” disse Felipe allargando le braccia e sorridendo.

Quando uscì dalla casa di mastro Filippo stava ricominciando a piovere. Felipe cercò di immaginare l’architetto che, giovane ed innamorato, sottraeva il corpo dell’amata e lo seppelliva nel labirinto. Non era facile: dopo cinquant’anni Filippo era molto invecchiato.

Quella sera, affacciandosi alla finestra della sua camera, Felipe, anche nel buio, riuscì ad individuare la testa della statua di Icaro, sotto la cui base riposavano le spoglie della povera Maddalena. Provò una gran pena per lei, che non aveva potuto godersi il bello della vita, ma pensò anche che, forse quella ragazza, pur non uccidendosi, sarebbe stata una vera squilibrata per tutta la vita. Adesso era giunto il momento che anche la sua anima riposasse in pace, e per fare questo doveva prendere l’assassino di Lucrezia. Si coricò convinto che i nodi stavano venendo al pettine.

Il giorno dopo tornò Tommaso da Roma, ma siccome il granduca fu impegnato tutto il giorno, poterono parlare solo a sera. Si ritrovarono nello studiolo del granduca, che era illuminato dagli eleganti candelabri d’argento; si sedettero intorno al tavolo, aspettando che Tommaso parlasse.

“Dunque...” Iniziò il segretario. “ ...dopo essere stato a consegnare i documenti del granduca, mi sono recato ai fori romani, dove vendono le parrucche.” Fece una pausa. “Lì mi hanno detto, dopo aver fatto le domande che mi avete suggerito, signor Aguilon, che, effettivamente, ricordavano un uomo giovane ed elegante, rassomigliante al conte Paolo, che aveva acquistato, circa otto mesi fa, due parrucche di capelli rossi. Lo ricordavano bene poiché quel colore è molto raro e venderne due in una volta era parso strano. Questo è tutto quello che dovevo riferirvi, spero di essere stato utile.”

“Vi ringrazio Tommaso, penso che ci siate stato molto utile.” Disse Felipe.

“Vi ringrazio anch’io.” Aggiunse il granduca. “Adesso, per favore, lasciateci. Ci vediamo domani mattina. Grazie di nuovo.” Tommaso si alzò e dopo aver augurato la buona notte si allontanò.

“Bene, dunque, ora siamo sicuri che il cospiratore è Paolo. Quando tornerà lo cattureremo.” Disse il granduca, quando furono rimasti soli.

“Sarebbe un pazzo a tornare, se è veramente colpevole non dovrebbe tornare...” Disse Felipe; era seduto con i gomiti sulle ginocchia ed il mento appoggiato sulle mani incrociate.

“Ma certo che tornerà, vuole il mio posto, non credo che si lascerà fermare dalle prime difficoltà.”

“Sarà, ma è tutto troppo facile.” Lo spagnolo era perplesso.

“Via, Aguilon! Non vi farete venire i dubbi proprio ora che stiamo per smascherarlo. Siete stato voi a convincermi che mio cugino era colpevole, ed ora. Si può sapere cos’è che vi sembra così facile?”

“Avete ragione, mio signore. Gli indizi convergono su di lui, ma è proprio questo il problema: tutti gli indizi contro Paolo. Ammettetelo non è possibile, sarebbe stato troppo stupido.”

“Voi avete affermato che era l’unico ad avere un serio motivo, per colpirmi; non me lo sono sognato.”

“Sì, è vero, ma ora... c’è come una vocina nella mia testa che dice di non lasciarmi condurre fuori strada dai particolari più evidenti.”

“Santo cielo, Felipe!” il granduca si mise le mani nei capelli. “Adesso sentite anche le voci.”

“Vi chiedo solo di aspettare ad arrestare vostro cugino, se tornerà. Vorrei parlargli ancora una volta.”

“Va bene, ve lo concedo, ma voglio essere presente. Niente repliche.” Disse il granduca vedendo lo sguardo dello spagnolo.

I due uomini si salutarono stringendosi la mano, e dopo essersi augurati a vicenda la buona notte, si lasciarono. Felipe tornò nella sua stanza e si coricò, ma sempre con quella vocina nella testa.

 

Quando il granduca arrivò in sala da pranzo, Felipe, Costanza ed il dottore erano già seduti a tavola per la prima colazione. Peñarosa stava intrattenendo gli altri due con una disquisizione sul potere curativo del salasso; lo spagnolo aveva un sorriso divertito e Costanza, con il volto disgustato, aveva smesso di mangiare. Tutti salutarono il granduca, prima che si sedesse.

“Allora è arrivato?” chiese il padrone di casa ad Aguilon.

“Chi?” s’intromise il dottore.

“Non sono questioni che vi riguardano, dottore. Anzi, vi pregherei di non parlare di argomenti medici così truculenti durante i pasti; mia sorella si è infastidita.” Il dottore s'imbronciò e, improvvisamente tacendo, ricominciò a mangiare.

“Non è ancora arrivato.” Disse Felipe, rispondendo alla precedente domanda del granduca.

“Forse avevate ragione voi, non tornerà.”

“E’ presto per dirlo. Non avrà certo viaggiato di notte. Dobbiamo aspettare il pomeriggio per poterlo dire di sicuro; un ritardo può sempre accadere, in viaggi così lunghi.” Costanza li guardava perplessa, avrebbe desiderato chiedere di chi stavano parlando, ma era sicura che il fratello l’avrebbe messa a tacere.

Nel frattempo il dottore aveva terminato il suo pasto; si alzò da tavola e, dopo aver chiesto il permesso, si allontanò dalla sala da pranzo.

“Vorrei proprio sapere perché non se ne va.” Disse il granduca. “Ormai mia moglie sta bene, non c’è assolutamente bisogno di lui, come non ce n’è mai stato.”

“E meno male che non se ne va. Se il dottore torna in Spagna prima di me, rischio la vita quando torno!” affermò divertito Felipe. “Avevo giurato al principe José di far curare sua figlia.”

“Non preoccupatevi Aguilon, voi l’avete fatto; magari non con l’aiuto del dottore, ma Isabel è guarita, e perciò io vi sarò eternamente grato.”

“Grazie, solo voi potete permettervi di andare contro José. A me fa troppa paura.” Rabbrividì lo spagnolo.

“Scusate...” Azzardò Costanza. “Parlavate di Paolo, poco fa?”

“Sì.” Rispose asciutto il fratello.

“Felipe, siete proprio sicuro che il colpevole sia lui?” Aguilon non fece in tempo ad  aprire bocca, che il granduca rispose al suo posto:

“Il nostro Aguilon adesso comincia ad avere qualche dubbio. Dopo che mi ha persuaso, con le sue doti oratorie, viene ad annunciarmi che sente delle voci, le quali gli dicono di scavare più a fondo! Magari, dopo che ci avete pensato tutta la notte, ora non siete più sicuro nemmeno che fosse l’amante di Lucrezia, o no?”

“Forse siete voi a non esserne sicuro, poiché, a me, quest’idea viene solo ora che ne parlate. Ma potreste avere ragione.”

“Oh, Dio! L’ho fatta grossa! Vi ho messo in testa un altro dubbio, cosa posso fare per chiarirvi un po’ le idee?”

“Potreste parlarmi un po’ della vostra famiglia. Per esempio i genitori di Paolo, che fine hanno fatto?” chiese Felipe.

“La madre di mio cugino morì di vaiolo quando lui era bambino; il padre, invece, morì pochi anni dopo, prima di poter risposarsi ed avere altri figli, in un disgraziato incidente a cavallo.” Rispose il granduca.

“Siete sicuri che si sia trattato di un incidente?”

“Nessuno ebbe dubbi a quei tempi.” Affermò Costanza.

“Via, Aguilon. Non vorrete accusarlo anche della morte del padre, era soltanto un fanciullo allora.”

“No, no. Parlatemi di vostro padre.”

“Mio padre, il precedente granduca, morì circa sette anni fa. Dopo una lunga malattia, che lo costrinse a letto per mesi.”

“Una malattia simile a quella di vostra moglie?”

“Ma che cosa dite! Il mio povero padre aveva una malattia vera, che lo consumò fino alla morte.”

“E’ vero, non si riprese mai dalla morte di nostra madre, non stette più bene.” Disse Costanza con gli occhi lucidi.

“E vostra madre come morì?”

“Di parto. Dando alla luce nostra sorella Iolanda.” Rispose la donna.

“Avete un’altra sorella? Non ne ero a conoscenza.”

“Non ci sembrava rilevante; vive in un convento, è novizia. Non si muove quasi mai dal suo ritiro sull’Appennino.” Spiegò il granduca. “Nelle famiglie nobili c’è sempre un figlio che sceglie la carriera ecclesiastica.” Concluse.

“Fermo restando il dolore provato per la prematura morte di vostra madre...” Continuò Felipe. “...vostro padre si sarà pur preso qualche distrazione, di tipo... femminile.”

“Ma come vi permettete, Felipe!” intervenne Costanza adirata.

“Ti prego, sorella. E’ vero Aguilon, l’avrà fatto sicuramente; l’ho fatto anch’io, prima di sposarmi. Spero di non aver lasciato figli illegittimi.” Rispose divertito il granduca.

“Spero davvero che queste informazioni possano essermi utili.” Felipe sembrava scoraggiato.

“Non siate così abbattuto. Esigo che catturiate l’assassino, chiunque sia.” Il granduca, al contrario, era sempre più deciso.

I due uomini si guardarono negli occhi, poi continuarono a mangiare in silenzio. Quando ebbero terminato lasciarono insieme la sala da pranzo, poi si divisero; il granduca aveva, infatti, molte faccende da sbrigare. Rimasero d’accordo che, se Paolo fosse tornato, il primo di loro che lo incontrava avrebbe fatto chiamare l’altro e non avrebbe cominciato a parlargli se non in presenza di entrambi.

Più tardi, durante la giornata, Felipe, si accorse di un gran trambusto nelle stanze di Costanza; così entrò a chiederle cosa stava succedendo.

“Preparo i bagagli. Ora che Isabel sta bene io devo tornare ad occuparmi della mia famiglia. Mio marito e mio figlio mi aspettano.” Rispose la donna.

“Spero che non partiate già oggi.”

“No, pensavo di partire domani in giornata.”

“Bene, allora avremo tempo per salutarci.” Concluse Felipe prima di andarsene.

Era ormai sera quando un paggio bussò alla porta dello spagnolo. Aguilon stava scrivendo una lettera alla madre, ma, dopo aver sentito quello che l’uomo aveva da dirgli, sospese subito il lavoro per raggiungere il granduca, che lo attendeva nella galleria dei dipinti.

Il suo ospite era appoggiato al muro, vicino ad una finestra; il cugino gli sedeva di fronte e lo guardava con aria smarrita. Il granduca aveva uno sguardo minaccioso. Il povero conte aveva veramente l’aria di un naufrago che, attaccato ad un pezzo di legno, vede venirsi in contro la tempesta.

“Sarà meglio se ci sediamo tutti.” Disse arrivando Felipe. Il granduca lo assecondò malvolentieri.

“Innanzi tutto vi do il bentornato, conte.” Affermò lo spagnolo, inchinandosi. Poi continuò:

“Vi domanderete certamente il perché vi abbiamo costretto a questo incontro un po’ forzato.”

“Assolutamente. Sono stato trascinato qui da due soldati, che mi hanno quasi alzato da terra. Ho chiesto spiegazioni a mio cugino, ma egli si rifiuta di darmele. Spero che almeno voi possiate essere meno lacunoso, signor Aguilon."

"State tranquillo, volevo soltanto farvi delle ulteriori domande, a proposito del nostro piccolo problema."

"Tanto piccolo non direi. Ho saputo che hanno ucciso la povera Lucrezia. Come la mettiamo ora?"

"Come la mettiamo?!" gridò il granduca, prendendo il cugino per la manica e sbatacchiandolo. "La mettiamo che adesso ci dirai tutto quanto!"

"Ma cosa volete sapere. Io non ne so nulla di questa storia!" Paolo parve sincero agli occhi di Felipe. Lo spagnolo si alzò per fermare il suo ospite.

"Via, eccellenza. Lasciate fare a me." Così dicendo gl'indicò di sedersi al suo posto. Lui invece si spostò di fronte al conte.

"Non capisco. Mi si sta accusando di qualcosa?" chiese preoccupato Paolo. Lo sguardo del cugino era già una condanna, ma Aguilon doveva seguire le sue intuizioni. 

"Voi conoscevate bene la poverina che è morta, non è vero, conte?"

"Ma, insomma. Era una lontana parente. Figlia di un cugino dei nostri padri, mi pare. Non la frequentavo molto, parlava troppo, ed allo stesso tempo non diceva nulla." Paolo ne parlava con disattenzione, come si parla di un persona appena conosciuta.

"Mi hanno raccontato la triste storia della vostra famiglia, di come avete perso, in poco tempo, entrambi i genitori. Dev'essere stato molto doloroso."

"L'ho superato grazie all'aiuto di mio zio. Che era un sant'uomo. Non come qualcuno che mi sta accusando di essere un assassino." Disse rivolto al cugino. "Senza prove." Puntualizzò.

"Nessuno vi accusa di niente." Il granduca lanciò a Felipe uno sguardo di fuoco, quando lo sentì pronunciare quelle parole. "Dovete capire che stiamo cercando di scoprire la verità; poi c'è stata una vittima. Sospettare di chiunque è soprattutto un dovere, in certi casi."

"Sono a vostra completa disposizione, signor Aguilon. Almeno voi non perdete la calma, né le buone maniere" indugiava nel guardare il cugino, che pareva un fiume cui sta montando la piena. "Comunque, io, con la morte di Lucrezia non c'entro niente. Non ero nemmeno qui; dimenticate ch'ero a Bologna?" continuò Paolo.

"Non c'è alcuna prova che tu ci sia realmente andato." Affermò il granduca.

"Non ce ne sono neanche che non l'abbia fatto." Lo sfidò il cugino. L'atmosfera stava diventando pesante.

"Signori, vi prego!" intervenne Felipe. "Voi, eccellenza, lasciate che a fare le domande sia io. E voi, Paolo, per favore rivolgetevi a me quando avete qualche cosa da dire." Il granduca si alzò e si avvicinò alla finestra cercando di sbollire la rabbia.

"Ditemi, conte." Continuò Aguilon. "Quando avete visitato il nuovo mondo, qualche anno fa, immagino, quali regioni sono state tappa del vostro viaggio."

"Viaggio? Ma quale viaggio! Appena arrivato mi sono beccato una terribile febbre che m'ha tenuto a letto fino alla partenza della nave per il ritorno. Un'esperienza drammatica, non ci tornerò mai più." Il volto di Paolo esprimeva benissimo il ricordo della malattia avuta. "Quando finalmente arrivai in Italia, avevo ancora addosso i segni del disagio." Aggiunse. 

"Voglio la verità, Paolo. Voi avete mire sul trono del granduca?" la domanda di Felipe fece voltare il suo ospite, e colpì il conte come un pugno.

"Sarei uno stupido se non le avessi, ma sono troppo pigro per fare qualsiasi cosa contro di lui. Nonostante non l'abbia mai amato, e questo lo sa." La risposta ebbe un tono talmente sincero che neanche il granduca trovò la forza per rispondere.

"Un'ultima cosa. Potreste mostrarmi le braccia, conte." A quella richiesta Paolo rimase a bocca aperta. "Vi prego." Aggiunse lo spagnolo.

"Non capisco a cosa possa servirvi, ma prego." Così dicendo, il conte, sganciò le maniche della sua palandrana di broccato e poi quelle della camicia, mostrando le braccia magre e pallide. E soprattutto senza un graffio. Aguilon volle poi controllare anche il collo del cugino del granduca: anche in quella zona niente segni. Felipe fu soddisfatto.

"Vi ringrazio, conte. Mi siete stato molto utile." Disse. "Per ora vi congedo, ma vi prego non allontanatevi dal palazzo; potrei avere ancora bisogno di voi."

"Figuratevi; rimarrò con piacere a vostra disposizione, signor Aguilon." Rispose Paolo alzandosi. Prima di uscire dalla sala guardò il cugino, ma egli non si voltò, continuando a guardare fuori dalla finestra. Così il conte se ne andò, lasciandoli soli.

"Dunque, Aguilon. Cosa mi dite adesso?" il granduca aveva un tono distratto.

"Non è lui eccellenza. Non è il conte Paolo, vostro cugino, l'assassino. Ora ne sono sicuro."

"Io, invece, non sono ancora convinto. Mi avete veramente persuaso. Comunque, Felipe, errare è umano, perciò ancora una volta, dall'inizio di questa storia, mi affido a voi. Ma vi concedo soltanto un'altra possibilità." Il suo ospite ora lo guardava dritto negli occhi. Solo ora lo spagnolo si accorgeva di quanto fossero simili a quelli di Costanza.

 

CONTINUA...

 





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