Sangue di vampiro: La nobile casata dei Tannes

di Katrice Eymerich
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Prologo

 

Quando i suoi occhi trovarono la forza di aprirsi, quello che trovò davanti a sé lo confuse ma capì immediatamente dove si trovava. Il cielo era soffuso di un tremulo chiarore rosato che non aveva mai visto, nemmeno la più grossa delle lune piene che avevano rischiarato le sue notti era mai stata in grado di produrre una simile luce.
E' l'alba, si rese conto. Il panico lo morse alla bocca dello stomaco e provò ad alzarsi ma nessuno dei suoi arti rispose ai suoi comandi.
Nel frattempo un enorme palla di fuoco emerse al di là delle montagne rischiarando con i suoi raggi obliqui le valli che si stendevano attorno al castello e per la prima volta in seicento anni, le vide. Abbracciò con lo sguardo quanto riuscì e sebbene sapesse di essere a un passo dalla morte, lo spettacolo che gli si presentò riuscì lo stesso ad emozionarlo: lo scintillare delle cascate su cui il sole si rifletteva in mille riflessi d'oro e argento, lo smeraldo lucente della brughiera bagnata dalla rugiada e il viola intenso dei soffici cespugli d'erica. Il mondo al di fuori della notte era fatto di colori violenti, pensò.
Provò ancora una volta a muoversi ma le sue braccia e le sue gambe rimasero dov'erano, né la sua bocca fu in grado di emettere alcun suono.
Il primo raggio di sole lo raggiunse lentamente filtrando tra i merli in pietra della torre e pigre volute di fumo cominciarono ad innalzarsi dalle sue membra immobili.
Non aveva scampo. Guardò i suoi piedi e le sue gambe tramutarsi in polvere bianca e capì che tutto quello che sarebbe rimasto di lui in questo mondo sarebbe stata una fragile statua seduta finché il vento e il tempo non l'avessero dispersa.
Il sole continuò a correre sul suo corpo, implacabile e sempre più veloce. Ora tutte le sue gambe e parte del torso erano coperte di fumo e scintillavano come se fossero fatte di granelli di diamante.
Almeno il veleno che gli aveva dato per immobilizzarlo gli impediva di provare dolore e ringraziò il suo carnefice per quell'ultima gentilezza. Si stupì del fatto di non provare rancore ma forse quando si era così vicini all'oblio, meditò, niente aveva più importanza.
I pallidi occhi viola accarezzarono ancora una volta le valli in cui era nato, cresciuto e infine sarebbe morto, “addio” disse loro mentalmente prima che il sole lo colpisse in pieno viso accecandolo con un'ultima, bianca esplosione.
Così moriva il principe Alcor Tannes ultimo del suo nome.




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