1. B.A.P. Let's Go!
Credevo che quella sarebbe stata la giornata più brutta
della mia vita. Appena alzata , avevo litigato con mia madre per
l'ennsima volta e uscendo, prima di sbatterle la porta in faccia, le
avevo urlato che non sarei più tornata in quella cosa. E
così feci. E fu la decisione più giusta che presi
in sedici anni di vita.
Andai a scuola. Le ore passarono lente, sembravano interminabili:
l'unico momento felice fu la ricreazione, che però
finì quasi subito.
Io faccio un liceo artistico, ma non credete che sia così
spassoso come tutti credono. Ci si annoia anche lì.
Finalmente suonò la campanella di fine lezioni e uscimmo.
Avvertii i miei amici che avrei preso la corriera che passava
più tardi perchè dovevo fare una commissione per
mia madre. Così, mi incamminai verso la Yogurteria, dove
avrei pranzato e spensi il cellulare. Non volevo che qualcuno mi
chiamasse, soprattutto "quella donna". Per una volta doveva capire che
non scherzo quando dico le cose.
Presi una crepe salata al prosciutto cotto e fontina, la mia preferita.
Mangiai con estrema calma e assaporai ogni boccone. Pagai il tutto e mi
diressi verso la fermata dell'autobus, sorseggiando Coca-Cola e
ascoltando pop coreano.
Passai davanti al negozio di parrucchieri cinesi di Via Roma. Guardai
dentro e vidi Lee: era bellissimo. I capelli perfettamente in ordine,
di un nero intenso, sparati in su con il gel; un maglioncino nero
attillato, che faceva vedere il fisico asciutto, ma muscoloso; un paio
di jeans grigio metallico e intonate al maglioncino, un paio di Nike
nere.
Inconsciamente rallentai il passo e iniziai a fissarlo. Qualche secondo
dopo si girò e io tornai alla realtà: tutti i
ragazzi cinesi presente in quel negozio erano girati verso di me e
stavano ridendo, seguiti da Lee.
Mi girai di colpo e aumentai il passo. Mi strinsi nelle spalle in modo
che la sciarpa mi coprisse le guancie pomodoro, ormai dello stesso
colore dei miei capelli.
Pochi minuti dopo arrivai alla fermata e mi sedetti su una panchina
all'ombra. Tirava un venticello poco piacevole e troppo freddo per i
miei gusti: d'altra parte eravamo a inizio Novembre e l'inverno non
avrebbe aspettato Dicembre per iniziare.
La mia corriera passava alle tredici e venti. Avrei dovuto aspettare
una mezz'ora buona, ma non avevo altra scelta.
Alzai il volume delle cuffie e dopo essermi risistemata la sciarpa, mi
infilai le mani in tasca e iniziai ad aspettare.
Guardai il contenuto della mia borsa e notai che non avevo tolto la mia
macchina fotografica: era un segno del destino. Pensando a dove sarei
potuta andare arrivata a Sarzana, avevo pensato proprio al parchetto
che rimaneva fuori periferia e che era molto distante dalla mia
abitazione. Mia madre non mi sarebbe mai venuta a cercare
lì. Era perfetto: c'erano alberi, fiori, panchine... Mi
sarei esercitata nella fotografia.
Proprio mentre pensavo a cosa avrei potuto fare al mio nuovo "parco
segreto", qualcuno mi battè una mano sulla spalla. Mi girai
di scatto. Rimasi senza fiato e incapace di muovermi: Lee era davanti a
me e mi stava sorridendo.
Tornai color pomodoro e lui rise. Mi tolsi una cuffia e gli feci posto
a sedere. Guardavo in basso, non riuscivo a sostenere il suo sguardo.
-Senti, prima io e i miei amici non stavamo ridendo per cattiveria,
è solo che avevi un'espressione davvero buffa sul viso - si
scusò, spiegandosi.
-Si ... Tranquillo ... Anche se era per cattiveria, non m'importava
molto - dissi timida
-Davvero?- chiese incredulo lui
-Ho i capelli di colore metà rosso lampadina e
metà castano scuro. Credi che m'importi cosa pensa di me la
gente?- feci notare.
Lui divenne serio, e poi sofggiò un bellissimo sorriso
accompagnato da una risata compiaciuta.
-Ahahah! In effetti hai ragione, hai proprio un bel colore di capelli.
Ringraziamo il tuo parucchiere, allora. Ma passando a cose serie- fece
una pausa -Come ti chiami?-
Mi girai di scatto verso di lui, ancora più rossa in viso e
balbettando risposi:
-M-Marta ... -
-Gran bel nome!- mi disse. Poi rimase in silenzio, quasi aspettando che
io dicessi qualcosa. Lo guardai e dissi:
-Che c'è?-
-Non mi cheidi come mi chiamo?-
-Oh ... lo so già ... - ammisi timidamente.
-Davvero?- chiese contento. Gli feci cenno di si.
Continuò a parlarmi e a farmi altre domande su i miei
interessi e hobby. Quella mezz'ora che poco prima sembrava eterna, era
passata velocissima e quasi perdetti la corriera, perchè mi
accorsi che era la mia quando stava per ripartire.
Lo salutai con un sorriso e un gesto della mano. Lui mi sorrise e
un'altra freccia arrivò al mio cuore. Ne ero già
innamorata e neanche lo conoscevo davvero.
Il viaggio in corriera lo passai a rivivere quei brevi momenti insieme
a lui e le sue bellissime espressioni del suo bellissimo viso e del
tono tenebroso della sua voce. Nelle cuffie, avevo messo "Secret Love"
dei "B.A.P." e l'avevo ascoltata fino alla mia fermata.
Arrivai al mio parchetto segreto quasi un'ora dopo. In
realtà non era proprio un parco. Era un viale alberato che
rimaneva fuori dal centro, che alla fine si apriva in un piccolo
spiazzo, poco simile ad un parco. Però era un posto
suggestivo: l'ombra filtrata dagli alberi che ricadeva sulla strada
ricordava il maculato dei ghepardi.Le panchine ormai antiquate,
facevano sembrare il tutto una specie di sala d'attesa di un tempio
antico. Anche se le panchine non c'entrano molto con i templi antichi.
Anche lì c'era vento, ma era meno freddo e meno violento.
Slacciai il primo bottone del mio cappotto grigio e mi risistemai la
sciarpa rossa. Presi dalla borsa di pelle marrone la macchinetta
fotografica e m'incamminai in quel posto magico.
Il viale è molto lungo e quindi feci molte foto. Agli
alberi, alle panchine, mi sdraiai perfino in terra a fotografare quei
pochi fiori superstiti, resistiti al freddo.
Ormai ero vicino al piccolo spiazzo, dove lì avrei fatto un
sacco di foto. Ma la mia grande aspettativa si frantumò
quando sentii parlare in lontanza. Era un gruppo di ragazzi,
sicuramente più grandi di me. Mi girai ma non vidi nessuno.
"Saranno passati in auto e stavano urlando" pensai. Così
ripresi fiducia e arrivai allo spiazzo.
Continuavo a sentire quelle voci, ma non m'importava visto che non
erano dove io avrei dovuto "lavorare".
Mi misi al centro e proprio quando stavo per scattare una foto le voci
cessarono. Portai la macchinetta appena sotto il petto e mi girai di
scatto per vedere dove fossero, ma niente. Fantasmi? No.
Feci spallette e ripresi la posizione per scattare la foto. Era venuta
molto bene e avevo avuta anche fortuna: nel pezzetto azzurro del cielo
che si intravedeva dagli alberi, era rimasta immortalata una libellula,
stranamente fuori stagione. La mia prof di fotografia sarebbe stata
contenta di quell'immagine. Sorrisi come una stupida e girai la testa
prima a sinistra e poi a destra: stavo per rigirarmi a sinistra, quando
vidi che a pochi passi da me, seduti su una delle panchine antiche,
c'era un gruppo di ragazzi stranieri, che mi stava fissando.
Rimasi ferma immobile con la bocca semichiusa e le guancie mi tornarono
rosso pomodoro per l'imbarazzo. Si alzò una forte folata di
vento che mi fece sbattere la sciarpa in faccia.
Il gruppetto di si mise a ridere e io divenni ancora più
rossa. Stavo per andarmene quando quello che sembrava il più
grande, mi fermò per un braccio e mi chiese:
-Sei del posto?-
Aveva uno strano accento e il viso mi era fin troppo familiare. Mi
tolsi una cuffia e quando stavo per rispondere, sgranai gli occhi e
rimasi in silenzio.
Avevo capito chi era.
-Ehi, ci sei?- mi richiese il ragazzo.
-T-tu ... Sei Bang Yong Guk, vero?- dissi tutto d'un fiato.
Lui sgranò gli occhi a sua volta e poi sorrise. Era lo
stesso sorriso che avevo visto migliaia di volte nelle foto, ma questo
era vero: in confronto quello delle fotografie sembrava falso, quasi
fatto a posta per non sembrare scortese. Invece quello era reale, vero,
sentito. Era felice che una ragazza italiana fosse sua fan. O almeno,
questo è quello che ho pensato in quel momento.
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