Death Mancino
Scrutavo con occhi felini
nelle tenebre di nebbia che mi avvolgevano credendo di trovare una via
di fuga e riflettendo con le iridi la scarsa ed immaginaria luce.
Buio.
Riempivo e
svuotavo avidamente i polmoni di aria fredda e rarefatta, che pesante
mi penetrava gli organi umidi e spugnosi.
Mi ero persa nei
miei stessi incubi.
Tremavo e sentivo
il sangue pulsare forte nelle mani e alla testa.
Nero.
‘Benvenuta,
questa è l’oscurità della Valle della
Disperazione e il mio nome è Death Mancino’. Una
voce sibilante mi frantumò il fiato per la paura, tetra e
vagabonda come la Morte.
‘Senti
questo suono viscido?’. Smisi di respirare per alcuni
istanti, sufficienti per permettermi di ascoltare la strana e debole
pulsazione che faceva vibrare l’aria.
‘Non
sai che cosa sia, vero?’. No, non capivo di cosa si
trattasse. Palpitava flebile e morente, ma non conoscevo il soggetto.
Una strana sagoma
di nera fuliggine apparve dalla nebbia del mio incubo mostrandomi il
suo sorriso raccapricciante e dai mille denti bianchi e acidi come lame
di spade. Portava un cilindro bianco sul quale poggiava delicatamente
un garofano vermiglio. Gli occhi iniettati del fluido metallico vitale
che mi fibrillava nel petto e la camicia immacolata e sporca di rosso
cremisi, come la cravatta curata elegantemente. Nel pugno stringeva un
cuore fumante e gemente sangue.
‘U-un
cuore …?’. Sospirai appena presa dal
terrore.
‘BUGIARDA!’.
La sua voce stridette sui miei timpani.
‘Questo
è il tuo cuore, quello che devi suturare
…’. Mi gettò ai piedi
l’organo che stringeva nella mano destra, facendolo rotolare
ed avvolgere in polvere e sporcizia che rivestiva il pavimento del mio
sogno. Lo raccolsi con disgusto: era avvolto da peli e capelli neri
aggrovigliati tra loro in un grumo di sangue marcio, la polvere lo
rivestiva con una sottile peluria simile alla pelliccia dei ratti di
fogna e alcune fastidiose mosche presero a ronzare attorno
all’organo morente.
‘Che
significa?’. Domandai sorpresa e disgustata a Death Mancino.
‘Sutura
il taglio!’. Ordinò con voce profonda.
‘Non
c’è nessun taglio!’. Ribattei
contrariata.
‘Ne sei
sicura?’. Alle sue parole mi assalirono mille ed
incomprensibili dubbi; sentivo il respiro pesante come un globo di
ferro puro. Strinsi il cuore tra le mani, insudiciandomi di sangue
raggrumato la parte delle unghie leggermente distaccata dalle carne, e
lo girai più volte finché non trovai uno squarcio
dal quale il sangue sgorgava copioso nel suo metallico e nauseante
odore.
-Un taglio!-
Pensai stupidamente.
Guardai la figura
che mi sorrideva affascinata dalla mia reazione.
Era sadico
dentro. Viveva dell’orgasmo dell’istante in cui la
mia paura prese a distruggermi i pensieri.
‘Con
cosa dovrei suturarlo?! Non ho né ago né
filo’. Suggerii al mostro.
Chinò
il capo e si sfilò dal cranio l’elegante cilindro,
ne strappò il fiore e me lo lanciò con fare
enigmatico.
‘Garofano:
passione pungente’. Le sue parole mi lasciarono dubbiosa.
Come potevo cucire con un garofano?!
‘Le
sofferenze amorose ti rendono più realista!’.
Sentenziò con voce tranquilla e gelida.
Mi punsi
l’indice della mano destra dopo aver raccolto il garofano dal
suo gambo di smeraldo.
-Come
può avere delle spine?!- No! Un garofano non aveva spine, ma
quando lo osservai aveva perso il suo splendido colore scarlatto e
lentamente cadevano gocce di sangue cremisi dalla piccolissima ferita
sul dito. Non lo portai alla bocca come facevo da bambina.
‘L’amore
ti può uccidere con un’estenuante
stillicidio’. La voce di quella figura sadica mi raggelava le
pupille, mentre una malsana paura mi scosse le membra.
Caddi sulle
ginocchia, come se le ossa fossero evaporate in un solo istante, e
lasciai cadere il disgustoso cuore che stringevo e il fiore
che mi stava uccidendo. Osservai incredula la ferita allargarsi e il
sangue sgorgare in spruzzi cocenti, simili ai distruttivi vulcani delle
falde sottomarine.
Death Mancino mi
si avvicinò godendo di libidine nel vedermi annaspare
l’aria.
‘Ascolta
dolcezza, quando arriverai nella Terra dei morti, salutami un caro
collega.’. Le sue parole erano la sentenza definitiva che
spettava alla mia vita.
‘Salutami
il Cupo Mietitore’. Scivolai a terra con il volto e gli occhi
vitrei.
Non ero stata
capace di suturare il mio stesso cuore.
A
tutti è dato amare, ma in pochi possono sopravvivere dalle
ferite che questo verbo procura. Io ero una di quelle persone.
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Achamo
& il suo inutile monologo…
”Storia
partecipante al contest di LleRory".
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