Adelante Ii
Adelante
{sempre adelante}
Sinceramente
non se l'aspettava.
È
saltato a sedere nel letto, svegliato dalla chiamata nel cuore della
notte - perché ovviamente loro non sanno nemmeno cosa significhi
rispettare il sonno altrui, figuriamoci.
Con
gli occhi ancora impastati di sonno ha allungato la mano fino a
prendere il suo cellulare, e quando lo ha portato all'orecchio è
stato letteralmente invaso da un fiume di parole.
Non
ha capito il senso di tutta la conversazione, ma non ha saputo dire
di no alla voce squillante e assordante di Panchito quando gli ha
letteralmente urlato, dall'altro capo del telefono, qualcosa in
messicano su un loro arrivo imminente e qualcos'altro che comprendeva
un appuntamento dei tre Caballeros al bar Cachaça
per la mattina dopo.
Donald,
anche dopo aver attaccato la chiamata, non riesce a smettere di
sorridere per quell'assurdo soprannome – ricorda viaggi che
sembrano lontani secoli a bordo della trecentotredici, lui al
volante, Panchito a sonnecchiare dietro e José a fumare, ricorda
notti passate a guardare le stelle insieme a José, ricorda enormi
preoccupazioni che grazie a José diventano solamente piccoli
sassolini da calciare via, ricorda José, José, José.
Inspiegabilmente
prova una sorta di gelosia nel pensare che Panchito e José siano
rimasti insieme tutto questo tempo, a viaggiare chissà dove senza di
lui – chissà quante cose hanno visto o fatto, chissà in quali
posti sono stati.
Cerca
di scacciare questo pensiero inopportuno – non si può essere
gelosi di qualcosa che non ti appartiene, no? - e torna sotto le
lenzuola.
~
La
mattina si sveglia con un forte mal di testa e la sensazione di
essere già stanco, ed è strano perché lui è il re delle ronfate,
ed è sempre riuscito a dormire bene – anche addosso ad uno stupido
ubriaco[1].
Chiude
questo ricordo in un piccolo angolo della mente, si infila una blusa
blu, prende il suo cappello ed esce per andare all'appuntamento.
Non
si aspettava questa accoglienza.
Panchito
gli è subito corso incontro, ha mimato qualche passo di danza e poi
si è lanciato in una delle sue rumorose esibizioni canore. José è
rimasto seduto al bar, e ha aspettato in silenzio che i due lo
raggiungessero.
Non
si aspettava questa gelida
accoglienza da parte sua.
È
confortante riuscire a parlare di qualsiasi cosa con loro. Donald si
sente davvero bene mentre fa scivolare fuori tutte le parole e
racconta degli ultimi due anni – il nuovo lavoro, la sua nuova
vita, gli episodi quotidiani, i vari scherzi dei nipotini.
È
come se non si fossero mai lasciati.
L'unica
nota stonata è che José parla pochissimo – ancora meno del
solito. È quasi sempre Panchito a rispondere entusiasta, a
chiedergli i dettagli di ogni piccola sciocchezza o a raccontargli di
Baltimora o Veracruz. Donald tra una chiacchiera e l'altra, lancia
delle occhiate a José, che si limita a fumare e a guardare un punto
qualsiasi alla sua destra, appollaiato sullo sgabello, come se non
gli interessasse di nulla.
È
una nota molto
stonata a pensarci bene.
Ad
un certo punto però Panchito assottiglia gli occhi, salta quasi in
piedi e gli chiede «Ehi Donald, ma quella, aspetta come si chiamava,
Dan― Dav— Daisy, l'hai più sentita?»
José
continua a guardare un punto lontano, ma tutto il suo corpo scatta in
tensione, stringe più forte il sigaro e la cenere cade
scompostamente sulla sua giacca gialla, e lui se la scrolla di dosso
con finta indifferenza - Donald deve riconoscere che è diventato un
buon attore.
«Daisy?
No, non l'ho più sentita»
Donald
vede José rilassarsi istintivamente, la presa allentarsi sul cubano
e le spalle abbassarsi.
Anche
questo è decisamente confortante.
~
Il
fatto che siano seduti a quel bar da più di quattro ore è assurdo e
bellissimo. La proprietaria inizialmente si è spazientita, ma poi
Panchito ha cantato una canzone sui suoi occhi azzurri come il mare,
e quella ha bonariamente sorriso, raddolcita: i due si sono messi a
parlare e poi lei gli ha chiesto di suonarle qualcosa dentro il
locale.
Sono
rimasti soli ora.
José
con un cenno rapido della mano ha ordinato qualcosa da bere, qualcosa
di troppo forte, qualcosa di cui Donald non vuole sapere davvero la
gradazione. Continuando a tenere un sigaro – forse il decimo – in
una mano gli ha versato un bicchiere, e l'alcool gli è sceso giù,
annebbiandogli un po' il cervello. Ed è solo grazie a questa bevanda
miracolosa che ha trovato il coraggio di parlargli.
«José...cosa
è successo?»
Tra
di noi, vorrebbe
aggiungere, ma sa che suonerebbe patetico: cosa è successo tra di
noi, tsk, neanche fossero una coppia. Loro due, una coppia, Donald e
José, che cosa impossibile! E che schifo, davvero, sono due uomini.
Pazzesco, ovviamente questi pensieri sono figli dell'alcool, sicuro è
pronto a scommetterci tutto.
«Pato»
inizia José, e la sua voce è profonda, quasi seria. «Sei mai stato
a Baía?»
«No»
risponde Donald, e lo odia per quel Pato - chissà che diavolo
significa poi, ancora non l'ha capito – e per il fatto che continui
a non guardarlo. «No, non ci sono stato in quella fottuta Baía»
«Ecco
cosa è successo tra di noi»
Ancora
una volta Donald è stupito dalla capacità di José di capire anche
le cose che non dice ad alta voce e che a stento pensa e confessa a
se stesso. Ha l'improvvisa voglia di fuggire via da lui, è così
bravo a farlo - l'ha già fatto due anni prima.
«Rilassati
Pato»
dice José, e gli versa un altro bicchiere «Dovresti provare a
ballare...»
Donald
butta giù in un sorso tutto il liquido – e brucia dentro la gola,
brucia come il sole che batte sulle spiagge di Copacabana – ed è
solo per l'alcool che inizia a muoversi, prima piano, poi sempre più
in fretta, preso dal furore magico della samba. E gli occhi di José
sono su di lui finalmente, e non si perdono neanche il suo più
piccolo movimento - a malapena batte le ciglia.
Panchito
sta cantando qualcosa di vagamente familiare all'interno del locale,
così forte che l'aria della musica arriva fin lì, e lui sta
ballando felice come non mai in questi ultimi due anni, e José è lì
che lo guarda e sorride, e in quei piccoli sorrisi lui ci vede tutti
i viaggi che Panchito gli ha raccontato poco prima, tutte le
avventure che si è perso e che non si vuole perdere più –
adelante,
sempre adelante,
come ha fatto a dimenticarsene?
«Ehi
pappagallaccio: andiamo a Baía?»
Note
autrice:
Ho
riscritto questa storia tre volte, non essendone mai soddisfatta –
neanche ora lo sono pienamente, ma non lo sono quasi mai.
Avevo
un assoluto bisogno di scrivere ancora su di loro perché sono troppo
(e sottolineo troppo) belli. Anche questa storia fa parte della serie
(?) Adelante, che trae ispirazione dalla fic Adelante {and they ride again} di Feel Good Inc, aka la mia splendida moglie. Si colloca in un
ipotetico futuro in cui Donald ha deciso di fermarsi. La storia si ispira vagamente ai minuti finali di questo spezzone – un video per cui sono letteralmente andata
in fissa e che sto riguardando miliardi di volte.
[1]
L'ubriaco è José Carioca – anche se in realtà Donald era messo
peggio - durante la notte del terzo giorno descritta nella fic già citata di
Feel Good Inc.
E
bon, direi che posso piantarla qui.
Adelante,
people!
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