PROLOGO
Era
davvero una splendida notte, nella zona residenziale di Iruma,
alla periferia di Tokyo.
Una notte di primavera, stellata e fresca.
Una notte ideale per cacciare.
In quei remoti quartieri tutto case e poco altro,
ad una cert’ora della sera non si vedeva nessuno in giro neanche a pagarlo,
salvo qualche poliziotto intento a compiere la solita ronda e poco altro.
Ma c’era anche gente, sfortunata lei, che o la
notte doveva lavorare, o che comunque tornava molto tardi, quando tutte le luci
erano spente, e le porte e le tapparelle sprangate.
Una giovane donna che lavorava in città era da
poco scesa alla stazione, e a piedi si stava dirigendo verso casa.
In giro non c’era davvero anima viva, e
l’unico rumore era quello prodotto dai suoi tacchi leggeri.
Tutto quello che voleva era andarsene a letto
il prima possibile, ma era destino che quella notte per lei fosse destinata ad
essere molto diversa da tutte le altre.
Mentre precorreva una strada abbastanza larga
ma completamente deserta, illuminata dalla sola luce dei lampioni, e di qualche
lumicino appeso fuori dai cancelletti delle case, la ragazza ebbe di colpo la
sensazione, sgradevolissima, di non essere più sola, e che qualcuno la stesse
osservando nascosto nel buio.
Cercò di pensare che fosse solo la sua
immaginazione, un’allucinazione dovuta al troppo lavoro, ma più passava il
tempo più quella sensazione si faceva nitida, tangibile.
Sempre più angosciata e spaventata, provò ad
affrettare il passo, senza che però quella sensazione si affievolisse, e anzi
diventò ancora più forte, come se le presenze misteriose, da una, stessero
aumentando ad ogni suo passo.
Un semplice passo di corsa divenne in breve
una fuga disperata: da cosa, non sapeva. Ma sapeva che era lì, dietro di lei,
davanti a lei, tutto attorno a lei.
Chiunque fosse a braccarla, era sempre più
vicino, e forse avrebbe potuto saltarle addosso quando voleva, ma si riservava
il piacere di vederla correre nel disperato tentativo di salvarsi.
La giovane avrebbe voluto urlare, ma il fiato
non le usciva, perché troppo prezioso per mettere nuova vita nella corsa.
Purtroppo, tralasciando il fatto della fatica,
con quelle scarpette da ufficio era dura riuscire a tenere un’andatura veloce.
Di colpo, il tacco destro saltò via, e lei cadde in avanti, rotolando sul
selciato duro e reso scivoloso dalle recenti piogge invernali, inzuppandosi i
vestiti e tagliandosi le mani e le ginocchia.
Come il sangue sgorgò dalle ferite, fu come se
una scarica elettrica si fosse improvvisamente propagata tutto attorno,
generando una specie di frenesia irresistibile che spinse gli inseguitori, come
falene attirate dal fuoco, a rinunciare alla loro invisibilità, facendosi
sempre più tangibili e scorgibili nell’oscurità tutto intorno.
Sembravano fantasmi, o creature
soprannaturali, che apparivano e sparivano in continuazione spostandosi
attraverso il buio.
La giovane donna, piangente di paura, si
rialzò, si tolse le scarpe e fece per continuare a fuggire, ma come risollevò
lo sguardo si avvide, con terrore, che dinnanzi a lei erano comparse una, due,
forse cinque tetre figure, tra le quali spiccava quella di un giovane bellissimo, con capelli piuttosto lunghi e
scompigliati, ma i cui occhi brillavano di una luce innaturale.
Era avvolto in un cappotto, piuttosto pesante
data la stagione, ma ciò non faceva altro che accrescere la paura della sua
apparizione.
«Buonasera, signorina.» disse con voce
suadente, ma terribilmente spaventosa «Avrebbe piacere se la invitassimo a
cena?».
Quello fece qualche passo avanti, mentre lei
lo osservava come paralizzata, i suoi compagni invece rimasero fermi, nascosti
nel buio.
A prima vista sembrava davvero molto bello,
salvo uno strano pallore, ma nell’istante in cui piegò le labbra in uno strano
sorriso la giovane donna vide palesarsi due lunghissimi e spaventosi canini
appuntiti, che spuntavano dall’interno della bocca come i denti di uno squalo.
«Sa, stasera siamo tutti molto affamati.»
disse ghignando e mostrando senza timore le sue zanne spaventose.
La giovane donna, passato il momento di
meraviglia, lanciò nell’aria un grido di terrore, ed alzatasi fuggì
nell’opposta direzione, sentendo quasi subito quell’orda di creatura mostruose
mettersi alle sue calcagna.
Questa volta gridò, gridò con tutta la voce
che aveva, implorando aiuto, ma nessuno la sentiva, o comunque osava
affacciarsi dalle finestre, vuoi per paura vuoi per semplice pigrizia.
Corse, corse con tutto il suo fiato, svoltando
ora da una parte ora dall’altra, nel tentativo disperato di seminare i suoi inseguitori,
i quali però non avevano alcun problema a starle dietro.
Era come una caccia.
Il bravo cacciatore era quello che, oltre alla
cattura, sapeva gustarsi anche il piacere di inseguire e stanare la propria
preda, riempiendola di paura e di quel senso di impotenza che preannunciava la
morte imminente.
La giovane donna continuò a correre; non le
importava di morire di fatica, visto che sapeva che se si fosse fermata per lei
sarebbe stata comunque la fine.
La sua fuga disperata la condusse, ad un certo
punto, nel parcheggio di un piccolo minimarket, lo stesso dove di tanto in
tanto andava a fare la spesa, e dove, nella speranza infondata che come altri
fosse aperto anche la notte, si augurava di trovare aiuto.
Era talmente spaventata che ormai correva ad
occhi chiusi, tale era il terrore di veder comparire da un momento all’altro
davanti a sé uno di quei mostri.
D’un tratto, proprio quando era ormai sul
punto di abbandonarsi sfinita nell’attesa che venissero a ghermirla, il suo
passo sempre più ansimante la condusse a sbattere contro qualcosa, qualcosa che
prima ancora di vederlo riconobbe come un corpo.
Per un attimo, ne fu terrorizzata, temendo che
potesse essere uno di loro, ma poi sentì qualcosa di strano; quel corpo, quel
torace possente, era caldo, e vi sentiva battere un cuore, un cuore forte e
vibrante di energia.
Qualcosa le disse che era una presenza amica,
e ne ebbe la conferma quando, vincendo la paura, trovò la forza di aprire gli
occhi, e guardare sopra di sé.
Davanti a lei, come un ennesimo fantasma della
notte, era comparso un giovane; doveva avere diciotto, forse diciannove anni,
occhi blu come il mare e capelli nerissimi che ondeggiavano al vento. La pelle
era leggermente scura, mediterranea, e non presentava minimamente i tratti
somatici tipici del popolo giapponese; ciò nonostante, assicurata alla cintura
dei pantaloni aveva una katana, una bellissima spada dall’impugnatura e dal
fodero rosso fuoco, impreziosita da legacci bianchi di seta e ideogrammi
dorati.
Il suo
sguardo era sprezzante e sicuro, il portamento fiero, quasi da soldato. Lei si
perse un momento nella profondità di quegl’occhi, per poi ricordarsi spaventata
cosa stesse succedendo, e dove si trovasse.
Varcò il giovane, rifugiandosi alle sue
spalle, e quasi nello stesso momento le figure che l’avevano inseguita per
tutto quel tempo si palesarono, rivelandosi ben più di cinque sei; come minimo,
dovevano essere una decina, tutti giovani piuttosto attraenti, tutti con gli
occhi che scintillavano di rosso, e tutti con zanne che sporgevano dalle
labbra.
Di fronte al giovane, però, tutta la loro
spavalderia e sicurezza sembrò scomparire come neve al sole, per essere anzi
sostituita da meraviglia e timore.
«È lui…» disse
qualcuno «È l’Hunter…».
Il giovane fece qualche passo avanti, e di
contro i mostri arretrarono, tranne uno che, al termine di interminabili
secondi di palpabile tensione, con un salto sovrumano tentò di piombargli
addosso. Il giovane restò impassibile, quasi rinunciando a difendersi, ma
all’ultimo istante la sua mano affondò all’interno della giacca, uscendone
armata di un lungo ed acuminato paletto d’argento contro il quale lo sfortunato
aggressore finì praticamente impalato.
Il paletto gli affondò nella bocca spalancata,
sbucando dietro il collo, e prima ancora di poter emettere un urlo o un gemito
di dolore il suo corpo sparì, mutandosi in pulviscolo, e lasciando dietro di sé
solo i propri vestiti.
La giovane donna emise un gemito di stupore e
svenne per la paura, mentre gli altri mostri arretrarono ancor più spaventati.
«E così.» disse il ragazzo «Siete voi i
responsabili di tutte le aggressioni avvenute in questa zona nelle ultime
settimane.» quindi li guardò attentamente, quadrandoli da capo a piedi uno per
uno «Non siete dei Livello E. Quindi dovreste sapere cosa comporta andare
contro le regole.»
«Le regole!?» ripeté ironico il capo
sforzandosi di apparire sicuro di sé «Noi ce ne freghiamo delle regole! Se voi
nobili spocchiosi e arroganti volete fare i gentili e gli accomodanti fate
pure! Ma per noi, la caccia non ha prezzo.»
«Ti sbagli. Un prezzo lo avrà. E molto caro
anche».
Di fronte a tanta sicurezza il capo perse la
pazienza, e forte di tutti i suoi seguaci si preparò ad affrontare il
cacciatore.
«Fatti sotto, Flyer!» urlò scagliandosi
all’attacco.
Nuovamente, il giovane attese l’ultimo istante
per attaccare, ed un istante dopo che ebbe fatto luccicare nell’aria la lama
della sua spada, un altro vampiro era sparito, decapitato di netto.
Altri due lo seguirono dopo poco, e a quel
punto i superstiti mollarono tutto e si diedero alla fuga, abbandonando il loro
capo.
«Dove andate, conigli!» urlò vedendoli
scappare in ogni direzione, per poi tornare a concentrarsi, infuriato, sul
ragazzo «Bastardo! Vorrà dire che ti ammazzerò da solo!».
Dei cinque vampiri che avevano tentato la
fuga, quattro di essi volarono letteralmente sopra le case del quartiere fino
ad un campetto da baseball, dove però qualcosa li immobilizzò sul posto con gli
occhi sbarrati.
Sulla loro strada, immobile come una statua,
era comparsa una ragazzina; era quasi una bambina, tredici o quattordici anni
al massimo, lunghi capelli biondi e occhietti verde pino. Indossava un curioso
abito nero piacevolmente goth, pieno di pizzi e
ricami, che unito a quella pelle candida e all’espressione timida e composta le
dava un’irresistibile parvenza da bambolina.
Eppure, nessuno dei quatto si fece
abbindolare.
Avevano sentito parlare anche di lei.
Eric Flyer, il leggendario vampiro cacciatore,
aveva una succube, una fedele servitrice pronta a scattare in difesa del suo
padrone, e ad obbedire a qualsiasi ordine o comando le venisse impartito.
Nagisa. Nagisa scarlet rose Hidemasa.
I quattro vampiri dimostrarono di aver paura
di lei quanto del mostro che si erano appena lasciati alle spalle, ma forse per
via della sua statura minuta e di quella sua apparente parvenza indifesa ed
innocua, pensarono che forse, data la superiorità numerica, era ancora
possibile riuscire a batterla e a scappare.
Lei si limitò a guardarli, mentre quelli
parevano aspettare solo il momento buono per colpire, poi, lentamente, alzò la
mano destra puntando l’indice contro di loro, che la guardarono increduli;
stette immobile così per qualche altro secondo, quindi affondò l’unghia del
pollice sulla sommità dell’indice, facendo sgorgare una sola, piccola, goccia
di sangue.
La goccia scivolò lentamente nell’aria,
seguita con lo sguardo dai quattro vampiri, e all’improvviso, un attimo prima
di infrangersi a terra, con la velocità e la forza di un proiettile volò
nell’occhio di uno di loro, trafiggendolo da parte a parte ed incenerendolo
all’istante.
I suoi compagni, attoniti, arretrarono ancora
di più, gli sguardi pieni di paura.
Sapevano di essere condannati.
Che fosse Eric Flyer o qualche altro Hunter,
le regole erano chiare: chi trasgrediva moriva.
Ma in ogni caso, non sarebbero morti senza
lottare; visto che era giunta la loro ora, dovevano almeno andarsene con onore.
Per questo, attaccarono tutti insieme, ma
nella foga del momento non si erano accorti che quella goccia di sangue che
aveva ucciso il loro compagno non si era dissolta terminato il suo compito,
rimanendo invece sospesa in aria circondata da uno strano bagliore.
Come i tre superstiti fecero per avventarsi su
Nagisa, quella goccia prese a schizzare da tutte le parti come una scheggia
impazzita, descrivendo orbite e tracciati impossibili lasciandosi dietro quella
strana luce; eppure, ciò nonostante, trapassò tutti e tre gli aggressori con
estrema facilità, mutandoli in cenere prima ancora che avessero avuto il tempo
di accennare una vera resistenza.
La ragazza si guardò attorno: niente altro che
il nulla.
«Bersagli neutralizzati.» disse con un filo di
voce.
Il solo vampiro che avesse scelto di fuggire
in un’altra direzione credeva di avercela ormai fatta, ma da un istante
all’altro si ritrovò anche lui la strada sbarrata da un Hunter; nonostante la
leggera zoppia e l’apparire da straccione, il professor Kogoro Negi era troppo conosciuto per i suoi precedenti per non
far tremare di paura ogni vampiro che lo incontrasse.
«Vai da qualche parte?» disse mentre,
appoggiato ad un lampione, lasciava cadere la sigaretta a terra schiacciandola
poi con un piede.
Anche in questo caso, sapendo di dover
comunque morire, il vampiro fuorilegge non volle rinunciare al proposito di
provare almeno a farsi valere, e caricò a testa bassa il suo avversario.
Kogoro, nonostante l’età e gli acciacchi, si difese egregiamente, e dopo aver
schivato un paio di artigliate portò un diretto al volto del nemico degno dei
suoi anni migliori, facendo letteralmente esplodere la faccia a quel poveretto;
del resto, come poteva immaginare che le nocche dei suoi tirapugni fossero di
puro argento smaltato?
Intanto, in quel piccolo parcheggio, Eric
Flyer stava giocando praticamente al gatto con il topo con quel vampiro di
basso livello, troppo debole per poter rappresentare per lui una vera sfida.
Alla fine, sia stufo di quello spettacolo
penoso, sia nel timore che potesse andarci di mezzo quella ragazza svenuta,
volle chiudere la questione, e all’ennesimo assalto nemico, con un solo
fendente, gli portò via di netto entrambi gli avambracci, lasciandolo indifeso.
Il capo, sconvolto dalla vista di entrambe le
sue braccia mozzate, e del sangue che come un torrente sgorgava dai due
monconi, barcollò all’indietro fino a cadere, mentre quella specie di demonio
gli camminava incontro con la spada in mano.
«Perché? Perché lo fai? Eppure sei un vampiro
anche tu!».
Quell’affermazione parve accendere qualcosa
negli occhi dell’Hunter, che giunto a sovrastare il nemico lo guardò con occhi
iniettati di freddezza e determinazione.
«E non sai quanto vorrei non esserlo.» disse
alzando la spada
«No. Aspetta… ti
prego, non farlo… No!».
Quando
Nagisa, camminando lentamente e composta, arrivò al cospetto del suo padrone,
questi stava finendo di rimuovere dalla mente della giovane donna aggredita il
ricordo di quella orribile nottata.
Il mattino dopo, si sarebbe risvegliata nel
suo letto senza memoria alcuna di quanto le era capitato.
«Tutto sistemato?»
«Ho eliminato i fuggitivi, mio signore.»
«Per favore, basta col mio signore. Ti ho
detto mille volte che è sufficiente chiamarmi semplicemente Eric».
Qualche attimo dopo arrivò anche Kogoro, che
si guardò attorno un momento constatando che tutta le prove e le tracce erano
già state cancellare.
«Immagino non ci sarà bisogno di chiamare
quelli della ripulitura.» osservò avvicinandosi ai due ragazzi «Bel lavoro,
comunque.»
«Se non avessero commesso l’imprudenza di
mostrarsi in questo modo, sarebbe stato molto più difficile riuscire a
stanarli.»
«Gli imbecilli ci sono anche tra i vampiri».
Tutto quello che restava era il cappotto del
capo, ma Nagisa lo bruciò fino alla cenere gettandoci sopra della benzina e
dandogli fuoco. Quanto al sangue che insozzava l’asfalto, si sarebbe sgretolato
come calce secca al sorgere del sole, e tuttalpiù la
gente avrebbe pensato a della strana sabbia rossa.
«Questa è la terza banda di vampiri cacciatori
in meno di due mesi.» osservò la ragazza
«Che ci vuoi fare.» osservò Kogoro «Per questi
idioti emomaniaci le grandi città sono come Tokyo
come delle immense riserve di caccia.» quindi guardò Eric, che sostava ai piedi
di un lampione «Sarà un peccato non poter contare più sul tuo aiuto.»
«Guarda che vado dalle parti di Hakuba, mica sull’Himalaya.»
«Mi domando per quale motivo tua madre ti
abbia costretto a frequentare l’accademia di Cross».
Eric non rispose e guardò in basso; era certo
di conoscere la risposta, ma non gli andava di condividerla, anche perché chi
lo conosceva, come quel finto tonto di un professore, non faticava certo ad
immaginarla a sua volta.
«Certo che quella mezzasega
di Cross è buono solo a creare problemi.»
«Perché dici questo?» domandò Nagisa
«Per mettere in piedi quel suo progetto di
scambio culturale nella sua scuola, l’Associazione e il Consiglio hanno
approvato una momentanea franchigia sui limiti della libera circolazione dei
vampiri in tutto il Mondo. In altre parole, da qui ai successivi dodici mesi
ogni maledetto succhiasangue potrà andarsene a spasso
per il globo come meglio vorrà.
Altrimenti perché saremmo tanto indaffarati,
secondo voi?».
Di nuovo, Kogoro guardò Eric.
«Ad ogni modo, credo che non sarò il solo a
sentire la tua mancanza. Già mi immagino la faccia e i pianti delle ragazze
della Toyama quando sapranno che il prossimo anno non
sarai più a scuola. Al contrario i ragazzi faranno i salti di gioia, visto che
negli ultimi dodici mesi gli avevi praticamente rubato la scena.
Che ci troveranno poi in te di così
affascinante, proprio non riesco a capirlo».
Il ragazzo alzò un momento lo sguardo al
cielo, come soprapensiero, poi, senza dire una parola, si alzò e se ne andò,
seguito un attimo dopo dalla sua fedele succube.
La prospettiva di doversi trasferire
all’Accademia Cross lo rendeva impaziente ed inquieto allo stesso tempo.
Impaziente perché avrebbe avuto finalmente,
dopo due anni, la possibilità di rivedere l’unico vampiro che avesse sempre
considerato come il solo e più importante avversario della sua vita, inquieto
perché, contro le sue stesse previsioni, a frequentare quella scuola non ci
sarebbe andato da solo.
Ed era questo a preoccuparlo maggiormente.
Accidenti a quella ragazza e alla sua
testardaggine, gli venne quasi da pensare.
Kogoro lo guardò mentre si allontanava, e sorridendo,
mentre aspettava la squadra d’ispezione, si portò l’ennesima sigaretta alla
bocca.
«Buona fortuna, pivello.» disse tra sé «Ne
avrai bisogno».
Nota dell’Autore
Salve a tutti!^_^
Eccomi di ritorno, con
il nuovo capitolo delle avventure di Eric Flyer!
Come probabilmente
quasi tutti sanno, questa fanficion, così come lo
stesso personaggio di Eric, sono “figli” indiretti della Round Robin Threats Of Fate. Per questo
motivo, ed in accordo sia con l’autrice Lien (nome
provvisorio) sia con i proprietari degli altri vari personaggi che vi
compaiono, ho deciso di ambientare questo sequel parallelamente agli eventi
raccontati in Threats of
Fate.
Per ragioni di
praticità, alcuni degli eventi già raccontati saranno rivisti sotto un’ottica
differente, ma senza nulla voler togliere alla storia originale.
I personaggi che
appariranno anche in Eric Flyer Threats (titolo
chiaramente in omaggio alla FF originale) sono:
Emma Kreutzer di Flea
Cristine Leroy di Kula
Mary Smith di SweetDaisy
Elodie Durand e Pierre Rohan di
The Lover
Carmy Evans di Thrush
Elisabeth Lizzy
McLane di DidiDirectioner
Nives Nightwish di Kramizi
Gabriele Lopez e Derek
Reinari di Thefinalwar
Alexandra Ek di Silvanuccia
Josh Takahashi e Lacey Valentine di Lien
Per gli altri personaggi,
sto ancora aspettando l’autorizzazione dei rispettivi proprietari, anche se a
conti fatti questi dovrebbero essere più che sufficienti, tenendo conto che ci
sono anche i membri della Night Class.
Inoltre, poiché tendo
a vedere ToF come una sorta di “realtà alternativa”
rispetto alla storia originale, aspettatevi di veder comparire questo o quel
personaggio per altri motivi o in altre circostanze.
Come ho specificato
nella richiesta a cui avete risposto in così tanti, c’era bisogno di un
traditore. Ora, quel traditore è stato scelto, e il suo “proprietario” già ne
conosce l’identità; ma è solo uno. Ce n’è anche un altro, anche quello già
deciso, ma su chi sia… lo scoprirete solo al momento
giusto! (ndTutti: Tu, brutto…..)
E per rispondere alla
sicura curiosità di molti, no: Yuuki non ci sarà.
A presto con il primo,
vero capitolo!^_^