... Naturalmente non
sono riuscita a mantenere l'impegno di pubblicare dopo due settimane.
-__- Ce l'ho messa tutta, ma non avevo messo in conto l'inizio della
scuola, la mole di studio, le interrogazioni... Insomma, ho provato a
pubblicare domenica ma il capitolo non era ancora completo,
perciò eccomi qui, due settimane e mezzo dopo l'ultimo
aggiornamento. Ciao a chi c'è ancora, ciao a chi
è appena arrivato! :) Con questo capitolo la storia giunge
al termine; o meglio, giunge al termine la trama: dopo un
lungo dibattito tra me, me stessa e io, ho deciso di conservare un
ultimo capitolo, un epilogo in cui dare sfogo a tutti i miei FrostIron feels.
Anche perché vi avevo promesso due capitoli in
più e non sono ancora pronta (lo ammetto) a separarmi da una
storia in cui ho investito un'estate, così tanta passione e
sentimento. Però voglio lasciare il momento strappalacrime
al prossimo capitolo XD
Per ora mi limito a ringraziare a tutti coloro che hanno sempre
recensito, riempiendomi il cuoricino di gioia (???).
Grazie del vostro supporto, come sempre!
_____________
#07:
Heroes shattering
Who’s gonna fight
for the weak?
Who’s gonna
make ‘em believe?
I’ve got a
hero, I’ve got a hero
Living in me
-Hero,
Skillet
Quando Thor vide il capitano Rogers rompere i ranghi e avvicinarsi
a Thanos, serrò le dita sul manico di Mjolnir e seppe che
era solo
questione di minuti, forse secondi, prima che la guerra avesse
inizio.
La fierezza guerriera ribolliva nel suo sangue asgardiano,
fierezza che si rifletteva anche nell’eleganza con cui
l’agente
Barton brandiva il suo arco, l’agente Romanoff le pistole e
Banner
il suo stesso corpo.
Quest’ultimo prese la parola con un sorriso che somigliava
più
a quello di Hulk che a quello mite dello scienziato: «Thor,
credo
che questo sia il momento giusto per scusarmi di quando
l’altro ha
preso a calci tuo fratello».
Sebbene Banner non si trovasse a più di due uomini di
distanza da
lui, Thor udì la sua voce con chiarezza solo grazie
all’auricolare
fornitogli da Fury, perché tra l’uno e
l’altro c’era uno
spazio di almeno quattro metri, di modo che ognuno potesse coprire
quanto più terreno possibile. Gli spazi vuoti erano riempiti
da chi
si trovava nelle file dietro e la schiera appariva dunque irregolare,
ma compatta.
Il petto robusto di Thor vibrò quando scoppiò a
ridere.
In realtà non era il momento giusto, ma non aveva
importanza.
Forse non avrebbe rivisto lo scienziato, quella sera, perciò
era
rimasto un solo momento, giusto o meno che fosse.
«Ritengo tu abbia già fatto
abbondantemente ammenda per il
tuo errore, dottor Banner».
Thor aveva preso parte a innumerevoli battaglie, innumerevoli
guerre, aveva visto come cominciavano, lui stesso aveva spesso dato
loro inizio, e altrettante volte aveva visto come si concludevano.
Mai, però, uno scontro era iniziato senza che nessuno dei
due
eserciti coinvolti attaccasse.
Quando il sibilare dei proiettili risuonò sul campo di
battaglia
e i generali dei due schieramenti si scambiarono occhiate incerte,
Thor sgranò gli occhi e non si mosse, incerto su come
reagire.
Fu il suo corpo a deciderlo nel momento in cui il suo sguardo
cadde sulla figura a terra e la identificò come uno jotun:
scattò
in avanti e si fece largo tra i chitauri mulinando il martello,
fracassando crani, spaccando ossa e seminando distruzione tra i
nemici, ancora confusi dal duplice attacco.
Alle sue spalle udì il ruggito di Hulk, poi i chitauri si
chiusero dietro di lui e si ritrovò solo in mezzo a
quell’oceano
di corpi e armi e ringhi sibilanti. Poteva solo andare avanti,
guidato da una furia cieca, una parola sulle labbra socchiuse.
“Loki”.
Chi altri avrebbe potuto convincere i giganti di ghiaccio a
scendere in battaglia? Chi altri avrebbe potuto ricorrere a un simile
stratagemma?
Abbatté con violenza Mjolnir sul capo di un chitauri che
ebbe
l’ardire di sbarrargli la strada ed esplose in una risata
liberatoria.
Finalmente.
Finalmente, dopo tanta rabbia e incomprensione e
dolore,
lui e suo fratello combattevano di nuovo fianco a fianco, come era
giusto che fosse.
Saperlo, però, non era sufficiente, per questo non era
rimasto
indietro ad affrontare i membri della Cabala, ma li aveva lasciati
agli altri Avengers: doveva vedere, vederlo.
Non avrebbe saputo calcolare quanto tempo avesse trascorso
massacrando tutti coloro che si ponevano sulla sua strada quando alla
fine lo scorse, a pochi metri di distanza.
La battaglia infuriava ovunque arrivasse il suo sguardo, non era
possibile distinguere altro che i nemici, il metallo delle loro armi,
l’azzurro elettrico dei loro proiettili, meno che mai avere
un’idea
dello spazio e del tempo. L’unica forma di misura di cui
avrebbe
potuto servirsi, se avesse potuto permettersi il lusso di fermarsi,
era il numero di ferite che gli decoravano braccia e gambe.
Loki era diverso.
La sua abilità con la magia e il lancio dei coltelli non era
mutata: intorno a lui, il terreno era una tomba a cielo aperto,
l’erba vischiosa di intestini e sangue, la terra marrone
striata di
scarlatto e nero.
Era il suo portamento a essere cambiato, più risoluto e
calmo,
totalmente opposto alla furia disperata con cui aveva cercato di
conquistare la Terra. La torque che gli cingeva il collo, il tessuto
in filigrana drappeggiato con eleganza sui pettorali e i bracciali
sui polsi e sopra i gomiti – i gioielli d’oro che
caratterizzavano il re di Jotunheim – gli conferivano un
aspetto
principesco e minaccioso che non faceva che accentuare
l’impressione
che fosse maturato.
Loki aveva visto la verità, così come aveva fatto
lui durante il
suo esilio su Midgard con l’aiuto di Eric Selvig, Darcy Lewis
e
Jane Foster.
Thor si slanciò in avanti, coprì a lunghe falcate
gli ultimi
metri che lo separavano dal fratello e si ritrovò schiena
contro
schiena con lui al centro di uno stuolo di chitauri infuriati.
«Fratello!» lo salutò con entusiasmo.
In mezzo a tanta morte, si sentiva vivo come non gli capitava da
mesi.
«Thor». Loki ringhiava, ma se non altro la sua
ostilità non era
rivolta a lui, bensì ai nemici che li assalivano da ogni
lato,
nemici tra i quali Thor non figurava più, perché
il Dio
dell’Inganno non accennò a scostarsi da lui mentre
lanciava
incantesimi e brandiva l’estremità dello scettro
del re come una
lama – dovunque arrivasse lo scettro, calava la mano avida
della
morte. «Dov’è Stark?»
Sul volto di Thor, arrossato dal furore e dal sangue, non solo
suo, germogliò un’espressione sconcertata. Di
tutto ciò che
avrebbe potuto chiedergli, non si aspettava che suo fratello
menzionasse proprio Tony Stark.
«Uh» fu il suo primo, ben poco intelligente
commento.
Il fratello alzò gli occhi al cielo e con un’abile
torsione del
polso fece saettare lo scettro contro un chitauri, squarciandogli la
gola. «Perdonami se ti metto fretta, ma, nel caso ti fosse
sfuggito,
preferirei ricevere una risposta di senso compiuto prima
che
un chitauri mi decapiti».
«Non lo so». Thor afferrò la canna di un
fucile, lo strappò di
mano al legittimo proprietario e lo spezzò in due.
«Avrebbe dovuto
unirsi a noi, ma non l’ha fatto e non ci è giunta
notizia di…»
«Maledizione» lo interruppe Loki in tono irritato,
come se
avesse di colpo compreso tutto, quando invece a Thor stesso
sfuggivano diverse informazioni. «Gli esseri umani sono
così
sciocchi». Girò la testa di novanta gradi per
scoccargli
un’occhiata di sbieco e aggiunse: «Pensi che tu e
il tuo esercito
di midgardiani possiate resistere per qualche tempo in mia
assenza?»
«Oh, sì» assicurò
immediatamente Thor, punto sul vivo da
quella provocazione che metteva in dubbio il suo valore, ma non ebbe
il tempo di chiedere al fratello dove volesse andare, perché
lui si
era già smaterializzato in una nuvola verdastra.
Thor si affrettò a coprire il punto lasciato scoperto dalla
scomparsa del Dio dell’Inganno e quasi all’unisono
la voce di
Fury risuonò nell’auricolare: «Siamo
arrivati con le armi
anti-magia».
Il direttore le aveva già menzionate poc’anzi,
mentre lui
cercava di raggiungere Loki, e il Dio del Tuono provò una
stilettata
di sollievo al pensiero che i suoi piccoli alleati umani avrebbero
avuto delle difese contro gli incantesimi, da quel momento in poi.
Lui era immortale, ma loro no e, al di là dei primi attriti
che
avevano avuto, aveva davvero cominciato ad affezionarsi a quel popolo
così debole, eppure così testardo.
La cella era del tutto isolata dall’ampio complesso di
tecnologia che governava l’Elivelivolo, eccezion fatta per le
telecamere che monitoravano i suoi movimenti, che però erano
collegate a un computer il cui unico compito era quello di farle
funzionare.
In altre parole, sono chiuso in un buco di metallo senza uno
straccio di connessione Internet.
Ricordare a Fury che lui era Iron Man e che il direttore sarebbe
stato un fottuto idiota a privare il mondo di un supereroe in una
circostanza come quella non aveva sortito altro effetto che irritare
Nicholas a causa dell’epiteto poco gentile. Il direttore se
n’era
andato quasi subito, sdegnoso, ma se non altro Tony era riuscito a
convincerlo a concedere una possibilità alle armi.
“E in che modo ti saresti procurato i campioni di
magia
necessari a costruire una tecnologia del genere?”
Il tono di
Fury era scettico, perché i migliori inventori dello
S.H.I.E.L.D.
tentavano senza successo di costruire una tecnologia del genere dai
tempi dell’attacco di Loki.
Venire a sapere che Tony ci era riuscito in pochi giorni non
avrebbe favorito la sua causa, perciò aveva accuratamente
mancato di
menzionarlo.
Non posso credere che Fury mi rinchiuderebbe qui per capriccio,
mentre fuori infuria una guerra, aveva pensato mentre dava
fondo
a tutte le sue abilità persuasive nella speranza di uscire
di lì e
fare il culo ai nemici. E invece sì.
“Non sappiamo se tu sia o meno sotto il controllo di
Loki,”
si era giustificato Fury, che – aveva osservato Tony
– avrebbe
avuto anche ragione, se solo i suoi occhi non fossero stati di un
fottutissimo marrone scuro anziché blu
elettrico. “Non
possiamo rischiare,” aveva aggiunto con una
scrollata di
spalle.
In realtà Tony poteva comprendere i suoi motivi e, fosse
stato al
suo posto, avrebbe preso la stessa decisione: dopotutto aveva aiutato
uno dei peggior criminali che la Terra avesse mai affrontato, aveva
ingannato lo S.H.I.E.L.D. e gli Avengers per farlo e l’aveva
persino liberato quando era stato messo in prigione.
Nicholas non poteva fidarsi delle sue parole e, finché Loki
non
fosse tornato a confermarle – se l’avesse fatto,
specificava una
parte di lui che preferiva mettere a tacere –, non sarebbero
state
altro che teorie.
Le teorie di un uomo che aveva già dimostrato più
di una volta
la propria inaffidabilità. Questa volta in particolare,
però, aveva
oltrepassato il limite.
Però è anche l’unica volta che
l’ho fatto per altruismo,
cazzo, sbottò tra sé, passandosi una
mano sul volto. Non
esiste che ci sarà una prossima. Se Tho- The- Than- come
si
chiama non conquista il mondo e sono ancora vivo quando esco
di
qui, mi dedico all’egoismo più totale. Fottetevi.
Per il colloquio con Loki aveva persino acconsentito a togliersi i
bracciali del Mark VII, onde evitare che il semidio cercasse di
usarli in qualche maniera.
Non aveva nulla, era solo, lontano da Jarvis e da Pepper, e Loki
era sperduto in chissà quale mondo a seguire di malavoglia
il suo
consiglio. Forse.
Tony era abituato ai propri piani sconclusionati, ma quello in
particolare l’avrebbe fatto impazzire.
Aveva bisogno della sua armatura, di volare in mezzo allo scontro
e unirsi ai suoi amici, che erano là fuori a farsi ammazzare
mentre
lui era bloccato su quella sedia.
Infilò le dita tra i capelli crespi e tirò alcune
ciocche per
distrarsi, ma era impossibile non domandarsi se la guerra fosse
già
cominciata, quanti uomini fossero già caduti, se Steve e gli
altri
stessero bene e se Loki sarebbe davvero venuto in loro soccorso o se
avesse approfittato di lui per fuggire dalla Terra e rifugiarsi
dall’altro lato dell’universo, il più
possibile lontano da
Thanos, in attesa che fossero loro a sconfiggerlo.
Se lo fa, ho rovinato tutti quanti.
Era questa la cosa peggiore: per una volta, la
responsabilità
sarebbe stata solo sua. Non ci sarebbe stata Pepper a coprirgli le
spalle o Rhodey a giustificarlo con le forze dell’ordine,
né
tantomeno gli Avengers a fiancheggiarlo.
Sarebbe stata soltanto colpa sua, se tante persone fossero morte.
Premette il palmo sul reattore arc e sospirò, consapevole
che non
sarebbe stato in grado di sopportarlo. Finché fosse stato
lui a
rischiare la vita perché commetteva un errore, sarebbe
andato bene;
non avrebbe però tollerato di essere la causa della morte
anche
soltanto di un altro essere umano innocente.
Strappandolo alle sue riflessioni, la porta della cella si
accartocciò su se stessa, esplose verso l’interno
e finì
scaraventata contro la parete, a un metro da dove si trovava lui.
Fossero state tutt’altre circostanze, si sarebbe preoccupato.
Forse.
Adesso, invece, scattò in piedi ed era già a
metà strada verso
l’uscio quando Loki si fece strada tra i resti bruciati della
soglia.
Qualsiasi cosa Tony fosse sul punto di dire, gli rimase incastrata
in gola alla vista del semidio, la pelle bluastra che riluceva di
potere magico, messa in risalto dall’oro dei gioielli e dello
scettro che stringeva, e gli occhi scarlatti che scintillavano di un
misto di irritazione e un’emozione che Tony non avrebbe
saputo
definire. Qualcosa che somigliava molto a quello che c’era
stato
nel suo sguardo quando si erano baciati, oscuro eppure estremamente
affascinante.
Loki era glorioso, e per la prima volta Tony si
rese conto
che era un dio.
«Ehi, sei tornato» fu il meglio che
riuscì a mettere insieme
quando si fu ripreso da quell’istante di contemplazione.
Il semidio aggrottò la fronte. «Non
l’avevo promesso?»
«Beh, ecco, sai
com’è…»
Loki sollevò una mano per bloccarlo e annuì
stancamente. «Per
mia sfortuna, sì, lo so bene. Come puoi vedere, ho mantenuto
la
parola». Con l’estremità dello scettro
ammiccò alla cella in un
gesto spazientito. «Thor mi ha detto che sei rimasto qui fin
dall’inizio della battaglia. Ciò significa che non
hanno le tue
armi?»
Tony non rispose subito, indeciso se farlo o sorprendersi
perché
il semidio aveva rivolto la parola al fratello, poi, allarmato dalla
sua espressione cupa, decise di non mettere alla prova la sua
tolleranza. «Ho detto a Fury di prenderle. Spero che mi abbia
dato
ascolto. Tu sei tornato da molto?»
«Avevo già intrapreso la battaglia, quando ho
scoperto che tu
eri rinchiuso qui» ribatté Loki, senza nascondere
un certo
compiacimento. «Suppongo tu non abbia con te la tua
armatura». A
uno sbuffo infastidito da parte del suo interlocutore, roteò
gli
occhi verso il soffitto e gli tese un braccio. «Temo che non
abbiamo
il tempo di utilizzare i mezzi di trasporto midgardiani. Dammi la
mano».
Tony scoccò un’occhiata incerta alle sue dita, su
cui danzavano
scintille verdastre, ma era vero, la guerra infuriava e la gente
moriva, perciò prese la mano che gli veniva tesa.
La magia gli risalì il braccio, avvolse la testa e
scivolò giù
lungo l’altro, fino ad attorcigliarsi completamente attorno
al
busto e alle gambe. Tony si irrigidì, nuovo a quella
sensazione,
come di aghi che gli accarezzavano la pelle senza ferirlo davvero, e
sgranò gli occhi quando la prigione scomparve, inghiottita
dall’oscurità.
Non durò più di un secondo, eppure, nel
ritrovarsi nel soggiorno
del proprio attico, aveva l’impressione di essere appena
sceso
dalle montagne russe. La tensione della salita, il terrore della
discesa e la difficoltà nel tenersi le interiora in corpo
condensati
in un istante lo lasciarono malfermo sulle gambe, preso tra il
desiderio di chinarsi sul water e vomitare e quello di prendere Loki
a pugni per non averlo avvertito.
Il semidio gli lasciò la mano e si scostò da lui
con una
risatina malamente repressa. «Voi midgardiani siete
così delicati».
Prenderlo a pugni divenne all’improvviso un’opzione
estremamente accattivante.
«Jarvis?»
«Sì, signore?»
Era un sollievo sentire di nuovo quella familiare voce
disincarnata, essere di nuovo circondato dalla propria tecnologia,
avere di nuovo il controllo. «Nota a me stesso: quando
avrò salvato
il mondo per l’ennesima volta, Loki mi deve un
pugno».
«Sì, signore».
Mentre Tony andava in cerca del prototipo del Mark VII –
l’originale doveva trovarsi da qualche parte nelle viscere
dell’Elivelivolo, nell’immaginario del suo
proprietario al sicuro
nell’armadietto di Fury – il semidio
inarcò le sopracciglia, ma
non fece commenti.
La versione beta dell’armatura era custodita in una
cassaforte
incassata nella parete della camera da letto, che scattò una
volta
completati i numerosi protocolli di sicurezza, dallo scanner della
retina all’impronta digitale al controllo della grafia.
Il prototipo del Mark VII non era resistente quanto la versione
finale e mancava di alcune delle ultime armi, ma rimaneva il miglior
sostituto a quello confiscatogli da Fury ed era abbastanza aggiornato
per poter sfruttare l’implemento della tecnologia del
Progetto
Winx.
Infilati i bracciali, più sottili della versione finale,
innescò
il meccanismo che prevedeva l’attivarsi di due braccia
metalliche
provenienti da dietro due placche di metallo inserite nel muro che
aveva fatto montare in ogni stanza.
I due arti lo rivestirono dell’armatura con gesti rapidi ed
efficienti, poi, a un suo ordine, installarono sul retro
dell’elmo
il chip anti-magia che aveva preparato appositamente per il Mark VII.
«Ehi, Jarvis, che ne pensi?» domandò,
orgoglioso, prendendosi
qualche momento per rimirarsi allo specchio.
«I sistemi sono in funzione, signore. Il chip
è stato
installato correttamente. L’armatura è pronta».
L’uomo emise un sospiro abbattuto. «Non era a
questo che mi
riferivo, volevo sapere se mi trovi affasc-».
«Quando avrai appagato il tuo ego,»
commentò la voce fredda di
Loki dalla soglia della stanza «fammi sapere. Dopotutto sono
sicuro
che Thanos acconsentirà a non invadere subito Midgard per
dare ad
Anthony Stark il tempo di prepararsi».
«Noto un certo sarcasmo». Tony attivò i
propulsori degli
stivali e si librò a mezz’aria.
Il semidio sbuffò e appoggiò una mano sulla sua
spalla rivestita
di metallo, volteggiando a sua volta a diversi metri dal pavimento.
«Ma davvero?»
Tony faticò a udirlo, trascinato di nuovo dalla forza
centrifuga
della smaterializzazione, e si riservò di dargli una
risposta
pungente quando fossero arrivati. Una volta sul campo di battaglia,
però, dimenticò del tutto il proprio proposito.
La sua tecnologia stava funzionando: gli agenti dello S.H.I.E.L.D.
avevano inserito i chip nelle loro armi da fuoco e, quando un
proiettile colpiva un fucile dei chitauri, quello si spegneva di
colpo, svuotato del proprio potere magico. Ciononostante, i nemici
erano alieni molto più forti, veloci e robusti dei comuni
esseri
umani e, privati della magia, trascinavano gli avversari in
combattimenti corpo a corpo che, nel peggiore dei casi, si
risolvevano con un uomo fatto a pezzi dalla loro furia animalesca.
Non c’erano cadaveri sul terreno; solo resti di corpi.
Di fronte a quello spettacolo, Tony ringraziò qualsiasi
divinità
fosse in ascolto di avergli impedito di riversare l’anima
nell’armatura; accanto a lui, Loki dedicò a
malapena un’occhiata
ai morti, affisse invece lo sguardo su un punto distante del pianoro.
«Stark,» gli indicò una serie di
Doombots giganti, simili a
quello che il semidio li aveva aiutati a sconfiggere, che stavano
seminando il panico tra le fila dello S.H.I.E.L.D., le cui armi non
erano abbastanza forti per respingere un simile concentrato di magia
«spero per te che la tua tecnologia funzioni contro quelli.
Non
posso salvarti la vita tutte le volte».
Tony seguì la direzione indicata dal suo dito e
imprecò tra i
denti, poi si collegò al canale riservato agli Avengers.
«Ehi,
qualcuno mi sente?»
«Tony Stark!» tuonò
la voce di Thor. «Ti unisci a
noi?»
In meno di un minuto Tony ricevette una lavata di capo da Steve,
un “era ora, stronzo” da parte
di Clint, un grugnito di
Hulk e un saluto stanco da Natasha. Beh, se non altro
significa
che non sono ancora morti.
«Okay, Tony, ora che sei qui vedi di renderti utile
e va’ a
distruggere quei Doombots» ordinò Steve,
pragmatico. «Cerca
di non farti ammazzare, perché qui noi siamo un
po’ impegnati».
«Già»
ringhiò Clint. «Mica possiamo salvarti il
culo tutte le volte».
Tony provò il brivido di un déjà
vu mentre si voltava
verso Loki, che era concentrato nel congiurare dell’energia
magica
sulla punta del suo scettro. «Sei pronto?»
Il semidio aprì gli occhi, che sfolgoravano di un verde
più
intenso del solito. «A te».
Bene, Tony si aprì in un sorriso furioso
e sfrecciò verso
i Doombots, apriamo le danze.
Non era certo di come il chip anti-magia avrebbe reagito al Mark
VII; quando puntò il palmo aperto verso uno degli automi e
sparò
una scarica di energia elettrica che lo mandò in
cortocircuito e lo
fece crollare inerte al suolo, tirò un sospiro di sollievo.
Funzionava.
«Il nemico è stato abbattuto con successo».
«Ne dubitavi, Jarvis?»
Dopo quel primo avversario caduto, gli altri divennero più
cauti
e astuti, lo attaccarono insieme e non gli risparmiarono un solo
colpo, bene attenti a non lasciargli spazio per ideare un piano di
contrattacco.
Presto Tony smise di fare distinzioni tra amici e nemici, di
riconoscere volti, di proteggere qualcuno che non fosse se stesso:
sparava a chi gli sparava, evitava chi invece sembrava sparare con
lui e non a lui. Se all’epoca del primo scontro con i
chitauri
aveva pensato di stare facendo esperienza della guerra, era nulla in
confronto a quello che stava succedendo adesso.
Armi, lampi magici, corpi che cadevano, corpi che lottavano,
sangue che scorreva come Tony aveva visto scorrere solo lo scotch.
Quella era la guerra, non il ridicolo combattimento dell’anno
precedente.
Quella era la guerra, quella in cui non sapeva se il secondo
successivo sarebbe stato ancora vivo, quella in cui non riusciva
neppure a localizzare i suoi alleati, i suoi compagni, i suoi amici.
Era per questo, realizzò Tony, che spesso, al loro ritorno a
casa, i soldati perdevano se stessi: perché questo
era
troppo, troppo assurdo rispetto alla realtà quotidiana
perché
potessero sperare di reinserirsi in tale realtà dopo aver
fatto
esperienza dell’altro.
Anche lui si stava smarrendo, anche lui stava cominciando a
dimenticare un tempo in cui non c’era una corsa per la vita e
non
c’erano uomini che morivano intorno a lui, quando la voce
ringhiante di Fury gli esplose nell’orecchio e lo
riportò alla
realtà. Mai, mai avrebbe creduto che un giorno avrebbe
ringraziato
Nicholas Fury.
«Che cazzo ci fai sul campo di battaglia, Stark?»
«È un piacere sentire anche te, Monocolo»
ironizzò
mentre combinava i colpi di entrambe le mani per stendere uno dei
robot. «Se ti riferisci al fatto che sono fuori
dall’Elivelivolo,
beh, non potevo restare là dentro mentre voi qui fuori
giocavate
agli eroi-».
«Non hai capito» lo interruppe
il direttore. «Quello
che voglio dire è: perché stai ancora perdendo
tempo con gli
automi? Sconfiggi Doom, e sconfiggi anche quei figli di puttana. Ti
credevo più intelligente di così, Stark».
«Steve aveva detto…»
«Rogers aveva bisogno che qualcuno salvasse i miei
agenti,
e io ti sto dicendo che, dopo che tu hai decimato
quegli
affari, se la possono cavare. Chiaro?»
«Chiaro, ma non abituarti troppo a darmi ordini,
Monocolo.
Rimango sempre più intelligente di te».
Tony arricciò il naso,
ma, quando il Doombot crollò a terra con un ultimo rantolo
metallico, fece un cenno alla manciata di agenti che lo stavano
aiutando a tenere a bada i robot e si allontanò, prendendo
quota per
individuare i membri della Cabala nel caos.
Li trovò più o meno al centro della mischia,
insieme agli altri
Avengers: Clint e Natasha affrontavano Goblin e Amora, Hulk si
occupava di Doom e Steve e Thor si scontravano con Thanos.
Loki non era in vista, ma i suoi giganti di ghiaccio stavano
sterminando l’orda dei chitauri.
Scendendo in picchiata verso quelli che se la passavano peggio
–
Steve e Thor – Tony rilasciò una gragnola di
proiettili e una
scarica laser in direzione di Thanos: i proiettili rimbalzarono sulla
sua pelle rossastra, ma il laser gli colpì la mano su cui
fluttuava
una sfera di energia violacea e la fece dissolvere con un guizzo.
Il titano sgranò gli occhi, stupito, ma gli fu sufficiente
un
movimento delle dita per riportare in vita il globo magico.
Figlio di puttana.
Mentre saliva di nuovo in volo, qualcosa crepitò contro il
suo
piede destro e minacciò di mandarne in cortocircuito il
sistema.
Abbassando lo sguardo, Tony scoprì che si trattava di una
serpe di
energia verde scagliatagli contro da Amora.
In cielo era un bersaglio facile, ma era anche la posizione
più
semplice per aiutare i compagni.
Stava per rispondere all’Incantatrice, quando la voce di
Natasha
proruppe nell’auricolare per fermarlo. «Di
lei mi occupo io,
Stark. Tu, Rogers e Thor dovete sconfiggere Thanos: è lui
che
controlla i chitauri. Tagliate la testa al toro».
Tony annuì tra sé e diresse il colpo preparato
per Amora verso
il titano, che questa volta era preparato e si gettò di lato
per
schivarlo.
Thor ne approfittò per mulinare Mjolnir contro il suo fianco
scoperto e Thanos ululò di dolore, un suono orribile che
echeggiò
nell’altoparlante di Tony con la forza delle anime disperate
di chi
quel giorno era caduto per difendere la Terra.
Malgrado la sua potenza, la martellata non bastò a metterlo
fuori
combattimento. Per quello sarebbe stato necessario bloccare la sua
magia, almeno in maniera temporanea, ma una scarica laser non era
sufficiente per riuscire nell’intento.
Avrebbe avuto bisogno di più potenza, e lui aveva qualcosa
che
potesse produrne il quantitativo necessario – a livello
teorico, se
non altro.
«Jarvis, credi che il prototipo possa reggere un concentrato
di
energia del reattore arc?»
Ebbe la strana impressione che l’AI stesse esitando
– oppure
aveva solo bisogno che qualcuno si preoccupasse per lui. «È
possibile, signore, ma c’è anche la
possibilità che un simile
dispendio di energia, se veicolato in maniera imperfetta come
potrebbe accadere con una versione beta, la uccida. Per la
verità,
la statistica è a sfavore di questa strategia. Inoltre, non
posso
stabilire con sicurezza se servirà a impedire al nemico di
accedere
alla propria riserva di magia. Se posso suggerire un’altra
linea
d’azione, signore…»
«Quante altre vite costerebbe la cautela, Jarvis?»
Tony scosse
il capo. «Mi basta che si possa fare».
Passò al canale condiviso.
«Thor, ragazzone, ho bisogno del tuo supporto. Tra
poco
scaricherò su Thanos tutta la potenza del mio nuovo chip
anti-magia:
questo dovrebbe bloccare il suo potere abbastanza a lungo
perché tu
possa attaccarlo. Ci sei?»
Doveva averlo spiegato in chiave abbastanza semplicistica,
perché
la risposta giunse quasi subito: «Chiaro, Uomo di
Metallo. Tu
spari, io lo assalgo».
«Perfetto. Steve, tu coprilo».
«Aspetta, cosa significa che scaricherai
“tutta la
potenza”-?»
Ma Tony non aveva tempo di soffermarsi a chiarire, altrimenti
avrebbe perso il coraggio che lo animava e avrebbe finito col
deludere tutti di nuovo. Non era mai stato un eroe, non aveva lo
stesso spirito di sacrificio di Steve e non era il caso di
ricordarselo proprio in quella particolare circostanza.
Chiuse la finestra olografica aperta sul canale condiviso e diede
l’ordine: «Jarvis, convoglia l’energia
nel reattore».
«Energia convogliata: cinque percento…»
Mentre aspettava che l’AI portasse a termine il proprio
compito,
Tony usò qualche altro stralcio di potenza per lanciare
alcuni raggi
di poco conto che distraessero Thanos e non gli consentissero di
sospettare quanto stesse tramando.
Era costretto a schizzare ovunque per evitare i colpi che
occasionalmente lo prendevano di mira, perché, se uno
l’avesse
centrato e ostacolato in qualche modo il processo, quella piccola
speranza di porre fine allo scontro sarebbe andata perduta e, senza
armatura, non avrebbe avuto nessuna opportunità di
sopravvivenza.
«Energia convogliata: sessantasette
percento…»
Non che questo sia meno mortale,
considerò a denti
stretti, scoccando una breve occhiata alla barra che si stava
caricando sullo schermo, ma se non altro la Terra
rimarrà
intatta. Credo. Spero.
Dovunque fosse Loki, si augurò che lui e il suo esercito di
jotun
riuscissero se lui avesse fallito.
Se anche Iron Man fosse morto, lo sforzo condiviso degli Avengers
e del Dio dell’Inganno avrebbe dovuto sconfiggere la Cabala.
Il reattore arc al centro del suo petto si stava scaldando
così
tanto che scottava nei punti in cui era in contatto con la sua pelle.
«Energia convogliata: novantadue percento…»
Era piuttosto deprimente udire e vedere il conto alla rovescia
della propria morte, pensò Tony. Faceva tanto film pulp di
terza
categoria.
Deve funzionare. I cattivi non vincono mai. E poi non possiamo
farci battere da un mostro verde in calzamaglia viola o dalla brutta
coppia di un dinosauro. O da una strafiga con un corpo da
paura…
«Convoglio energia completato. Inizializzazione».
Tony atterrò di fronte a Thanos, chiuse gli occhi e
imprecò
mentre un raggio blu, denso di potenza, scaturiva dal suo petto e
schizzava verso il titano. Sperò che fosse abbastanza,
perché ormai
su Iron Man calava il sipario.
Quando il ponte di luce blu che collegava Thanos e Tony come un
filo mortale venne meno, Thor non perse tempo a meravigliarsi per
quello che l’umano era riuscito a fare. Afferrato il martello
con
entrambe le mani, si gettò sul titano, che barcollava e si
sforzava
di rimanere in piedi affidandosi a una magia che non trovava, e fece
per sollevare Mjolnir sopra la testa, ma Thanos fu più
svelto e lo
caricò con una spallata per fargli perdere la presa
sull’arma.
Steve ebbe la prontezza di riflessi di frapporsi tra loro e
bloccare la mole del titano con lo scudo, che vibrò
violentemente
sotto quel peso, ma non si spezzò.
«Mortali!» sibilò Thanos,
strappandoglielo di mano e
scagliandolo lontano in un gesto dettato dalla collera. «Voi
non
potete vincere né la Morte né il suo umile
vassallo! Siete
destinati a cadere fra le sue braccia eterne, non ha importanza cosa
facciate per evitarlo!»
Steve non si diede la pena di rispondergli, ma si concentrò
sulla
traiettoria dello scudo, che a breve sarebbe tornato indietro. Doveva
fare in modo che Thanos si trovasse ancora lì. «Natasha,
Clint,
Hulk… chiunque, non lasciate Tony da solo!»
In mezzo al ventaglio creato dai membri della Cabala, Tony giaceva
privo di sensi.
Il reattore arc conservava una luce debole che andava spegnendosi.
Loki calcolò che non si muoveva da almeno due minuti, mentre
Thanos stava già recuperando le forze. In fretta, molto in
fretta.
Il tentativo del midgardiano era stato audace, ma, se il Dio del
Tuono e il supersoldato non fossero stati all’altezza del
compito
che Stark aveva lasciato loro, anche inutile.
Doveva agire prima che il titano si riprendesse a sufficienza, ma
doveva anche essere cauto, altrimenti il nemico si sarebbe accorto di
lui.
Stupido umano. Avresti dovuto aspettare il mio arrivo.
Perché i terrestri fossero sempre così ansiosi di
fare gli eroi,
non riusciva a spiegarselo. Anziché attaccare
d’impulso, avrebbe
potuto attendere, pianificare. D’altra parte, poteva
immaginare
cosa Stark dovesse avere pensato, come il suo cuore avesse tremato
dinanzi alla carneficina che si stava consumando, come il suo animo
avesse gridato, disperato, che qualcuno fermasse lo scempio.
E quel qualcuno doveva essere proprio lui, perché Anthony
Stark
aveva un ego da lusingare.
Se soltanto fosse stato un po’ più accorto e un
po’ meno
impaziente di immolarsi per la causa, forse ora non sarebbe stato
steso a terra, agonizzante, e Loki avrebbe avuto il tempo di
organizzare l’attacco a sorpresa, di modo da attuarlo nel
momento
esatto in cui Stark avesse liberato il potere del reattore.
Invece il midgardiano lo aveva colto alla sprovvista e ora poteva
solo affidarsi alla fortuna.
Scivolando nel mondo delle ombre e
dell’incorporeità, il
semidio avanzò verso Thanos. Nessuno poteva mettersi sulla
sua
strada: se anche accadeva, in quella realtà metafisica si
limitava a
passargli attraverso senza neppure sfiorarlo.
In quel modo fu semplice attraversare le decine di metri che lo
separavano dal titano, quando al contrario nel mondo tangibile
avrebbe dovuto farsi largo in una massa di corpi e armi.
Nell’istante in cui mise piede nel cerchio disegnato intorno
alla Cabala e agli Avengers, la cui circonferenza era un confine
oltre il quale nessuno – chitauri o agenti dello S.H.I.E.L.D.
che
fossero – osava andare, lo scudo di Rogers colpì
Thanos sulla nuca
e lo spinse a barcollare in avanti, offrendo al supersoldato
l’occasione per affondare il gomito sotto il suo mento, una
mossa
che avrebbe sfondato la gola di un uomo comune, una mossa che, nel
pieno delle forze, Thanos avrebbe deviato con facilità.
Sei mio.
Finalmente, dopo mesi vissuti nel terrore di essere scovato e
ucciso, avrebbe potuto prendersi la vendetta che gli spettava di
diritto.
Arrivato alle sue spalle, strinse lo scettro con entrambe le mani,
ma, prima che potesse tentare un gesto qualsiasi, il titano fece
appello all’ira che lo animava e assalì il primo
avversario su cui
riuscì ad allungare le dita artigliate.
Thor, che non si aspettava un approccio tanto diretto.
Loki lo vide sgranare gli occhi e socchiudere la bocca in
un’espressione incredula, e capì che lo stupore lo
aveva
immobilizzato. Non si sarebbe scostato. Alle sue spalle, ancora
immobile e rigido, intravvide Stark.
E la realizzazione di quello che stava succedendo lo colpì
con la
forza di un pugno che gli tolse il fiato.
Prima il midgardiano, poi Thor.
Thanos gli stava strappando tutto ciò che gli spettava di
diritto, tutto ciò che soltanto lui doveva avere il potere
di
distruggere.
La rabbia lo investì insieme al morso rassicurante della
magia,
che gli attraversò le braccia e lo scettro e si
condensò
nell’estremità affilata, pronta a uccidere, a
sventrare, qualsiasi
cosa lui avesse desiderato.
Non dovette neppure richiamare alla mente le parole
dell’incantesimo; si affacciarono nel suo cervello, come se
aspettassero quel momento da tempo, e si stamparono a fuoco nei suoi
occhi mentre varcava la soglia della realtà fisica e la sua
voce si
elevava al di sopra di ogni altro rumore della battaglia: «Thanos,
io ti esilio!»
Spingere l’Amante della Morte nell’abbraccio della
sua Signora
a insaputa di quest’ultima sarebbe stato un atto arrogante,
impensabile; di conseguenza, c’era un’unica
soluzione:
costringere il titano il più lontano possibile da quella
dimensione,
dove non avrebbe potuto nuocergli più.
Mostrandogli universi e nuove forme di magia, Thanos aveva firmato
la propria condanna, perché ora Loki possedeva un potere in
grado di
eclissare il suo, anche se non di annientarlo.
Mentre il portale divorava il corpo del titano, l’attenzione
generale si trasferì dal rispettivo nemico a Loki e a Thanos.
Tutti li stavano guardando, senza parlare, senza muoversi.
Il titano spalancò gli occhi e la sua bocca disgustosa si
arricciò in un ringhio che non aveva nulla della dolcezza
umana o
della bellezza trascendentale propria degli Æsir. Il ringhio
di un
mostro.
Conscio degli sguardi del suo pubblico puntati addosso, il semidio
stese le labbra in un sorriso di teatrale compiacimento. Ringhia
quanto ti aggrada, sibilava quel ghigno con il veleno di
mille
serpenti. Il tuo non è che un capriccio
inappagabile.
Quando infine Thanos scomparve, Loki non riuscì a rendersi
pienamente conto di quanto era avvenuto finché i chitauri
non
crollarono a terra, privati dell’energia vitale
dall’eccessiva
distanza da colui che l’aveva loro fornita. Quel clangore
metallico
lo riportò alla realtà con una spietatezza
crudele, rovesciandogli
addosso tutta la stanchezza della battaglia e in particolare
dell’incantesimo, uno dei più difficili che
conoscesse, reso
ancora più arduo a causa del suo obiettivo.
Era così spossato che si ritrovò ad aggrapparsi
allo scettro per
sostenersi.
Intorno a lui, gli altri impiegarono di più a recuperare le
capacità motorie.
Thor fu il primo a farlo, gli si avvicinò con lentezza,
quasi con
timore, ma Loki non gli diede il tempo di fare nulla: lo
degnò a
malapena di un’occhiata, concentrato nel mettere un piede
davanti
all’altro per raggiungere la sagoma immota di Stark.
Si lasciò cadere in ginocchio al suo fianco e premette le
mani
aperte ai lati del reattore arc, la cui luce era ridotta a una debole
fiammella. Raccolse le poche energie che ancora gli rimanevano, ma la
sua mente pareva incapace di evocare le parole nell’antica
lingua
che avrebbero dato vita al sortilegio.
Tentò più volte, ma invano.
Quando un mago sta finendo le proprie riserve di magia e
sfruttarle ancora potrebbe condurlo alla morte, essa gli viene
preclusa dall’istinto di sopravvivenza.
Se Loki vi avesse attinto con la forza, sarebbe morto.
Riemerso dalla dimensione astratta della propria
interiorità,
laddove si trovava il fulcro del suo potere, il semidio
fissò il
volto cereo di Stark e socchiuse la bocca, ma non ne uscì
alcun
suono.
Aveva scacciato Thanos, l’aveva bandito dai Nove Regni,
eppure
il titano aveva vinto comunque.
“E vedi di tornare, prima che quelli ci facciano il
culo”.
Alla fine era stato Stark a non tornare.
Una collera senza principio e senza fine si impossessò di
lui,
diede colore al suo volto pallido e restituì le fiamme ai
suoi occhi
spenti, ma non c’era forza sufficiente nel suo corpo per
sostenere
quel sentimento così prorompente, che anziché
spingerlo all’azione
lo confondeva, lo spossava ancora di più.
Quando la mano grande di Thor gli afferrò una spalla per
impedirgli di accasciarsi a terra come una bambola di pezza, Loki
sfruttò le ultime stille di energia per voltarsi di scatto
in
direzione della macchia indistinta che somigliava al viso del
fratello.
«Salvalo» ansimò, la voce raschiante e
arida come se non
bevesse da secoli. «Salvalo».
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