Ravage

di guiltyontherun
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Si era messa il vestito più costoso che possedeva, e ora lui glielo stava togliendo con rabbia. Non aveva più senso. Uno strappo, e la stoffa dorata ricadde sul suo grembo, luccicano debolmente alla luce della lampada ad olio sul comodino. Sentì le sue labbra calde, la sua lingua viscida e i suoi denti sulla spalla, che la mordevano come una bestia con la sua preda. “sei mia, sei mia” sentì ansimare dietro di sé, e all’improvviso anche il corsetto ricadde in avanti, con le stringe tagliate di netto. Raggiunse la sottoveste, che venne strappata con forza, e finalmente le sue mani fredde sfiorarono la sua pelle calda. “non sono tua…” sussurrò lei, inclinando la testa all’indietro, e trovò la sua bocca selvaggia. Lo baciò con passione “prendimi se ci riesci”.  Si girò verso di lui e lo sopraffece. I suoi lunghi capelli rossi, legati da un nastro, si sciolsero. Le folte ciocche ramate ricoprirono lei, lui, tutto… e senza accorgersene, i due si ritrovarono completamente nudi. Sommersa dalla passione, provò a sentirlo, a capire se finalmente lo aveva trovato, ma qualcosa la fermò. Turbata, si alzò dal letto. “cosa c’è?” chiese lui, infastidito “torna qui!”. “no. Non… non voglio più” balbettò lei, allontanandosi. L’uomo la raggiunse e la afferrò; la spinse di nuovo sul letto e le andò addosso. “tu… puttana… non te ne andrai… finché non te lo dico io!” sbuffò lui, continuando a possederla con violenza. “no, no, no, no” gridò lei, cercando di spingerlo via “non sei tu, non sei tu!”. “stai zitta!” e la strinse di più a sé, sollevandola e smorzando le sue grida con un rude bacio.  Allora lei si mise a piangere, finché le lacrime bagnarono il viso dell’uomo. Lui la fece cadere sul letto e si alzò; con un verso di rabbia si rivestì velocemente e la lasciò piangere disperata sul letto, nuda e tremante. Urlò “sei solo una povera puttana, lo sai? Una povera sciocca puttana! Non meriti i miei soldi! Non mi vedrai mai più qui, addio” e se ne andò sbattendo la porta. Tra i singhiozzi, Angelica udì i suoi passi pesanti e veloci per le scale, il portone aprirsi e chiudersi con un colpo. E infine i suoi stivali ticchettare sui sassi della strada. Continuò a piangere, il viso contro il muro freddo e rabbrividì, cercando di coprirsi con le lenzuola. “perché continuo a sbagliare?” gemette, nascondendo la faccia nel cuscino “ne ero così sicura… perché?”. Pianse fino ad addormentarsi.




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