Charles
Xavier e Erik Lensherr si conoscevano da oltre cinquant'anni.
C'era
una sottile linea che sfiorava alternativamente l'amore e l'odio e
che li univa da sempre, come pezzi di uno stesso puzzle, come due
parti di uno stesso magnete.
Odio
perchè erano profondamente diversi; Charles, cresciuto nel
suo
castello, forse trascurato dai genitori, ma che mai aveva conosciuto
l'orrore o la guerra ed Erik, che era stato prigioniero di un campo
di concentramento, che aveva visto morire sua madre dinanzi ai suoi
occhi, che portava ancora sulla pelle, indelebile, il segno di
Auschwitz.
Non
potevano essere più diversi di così, ma s'erano
trovati.
Non
c'era altro modo di definire il loro incontro, se non che s'erano
“trovati”.
Erik
ricordava ancora perfettamente il sapore dell'acqua salmastra che gli
riempiva i polmoni, mentre cercava di spostare il sottomarino di
Shaw.
Ed
ancor più chiaramente ricordava la presa ferra di Charles
attorno al
suo corpo, erano sconosciuti allora, e la sua voce nella testa che
l'implorava di lasciar perdere perché sarebbe morto.
Charles
non aveva esitato un attimo a gettarsi in acqua ed a salvargli la
vita, come spesso in quegli anni aveva tentato di fare, cercando di
fargli cambiare idea, di convincerlo che l'umanità non era
loro
nemica, convinto nella tolleranza, nell'amore...
E
nella speranza.
Charles
era stato in perenne ricerca della speranza,
soprattutto se
riguardava lui.
Avevano
avuto idee così diametralmente opposte che sarebbe stato
impossibile
trovare una conciliazione tra esse.
Ma
di certo c'era tra loro.
Il
forte legame d'affetto che li aveva uniti nel tempo non s'era mai
allentato, né mai spezzato, nonostante le loro battaglie,
combattute
per ideali opposti, nonostante le loro idee.
Erik
non avrebbe mai voluto veder morire Charles, né mai avrebbe
tentato
di fargli del male, come Charles non aveva mai osato ferire lui.
Ed
ora il pensiero che non avrebbe mai potuto incrociare gli occhi blu
di Charles lo distruggeva, come mai nessun'altra perdita subita aveva
fatto prima.
Perché
se ne rendeva conto in quei momenti, in cui la nostalgia l'assaliva
così forte da mozzargli il respiro, che erano sempre stati
due facce
della stessa medaglia e che l'una, ora, non valeva nulla senza
l'altra.
Aveva
sempre sentito la presenza di Charles, che lui tentasse di leggergli
la mente o meno.
Anche
a chilometri di distanza, anche lontani mille miglia fisicamente ed
ideologicamente, l'aveva sentito.
Ed
ora non avvertiva più nulla.
Fissò
la scacchiera dinanzi a sé.
Il
posto di fronte a lui era vuoto, gli altri tavolini già
tutti
occupati e probabilmente gli occhi stavano lacrimando e quel dannato
volatile, il mutante alato, non faceva altro che fare su e
giù per
il parco, attirando gli sguardi e le grida chiassose dei bambini.
Mosse
la mano verso la pedina di metallo e quella si mosse leggermente.
Un
leggero sorriso gli increspò le labbra.
Almeno
gli era rimasto quello.
“E'
libero o aspetti qualcuno?”
Una
voce sconosciuta gli fece sollevare lo sguardo.
Incrociò
gli occhi di un anziano signore, in camicia e giacca di tweed e dagli
occhi blu...esattamente come quelli di Charles.
Scosse
il capo, con un brontolio.
No,
che non aspettava nessuno.
Colui
che sarebbe stato disposto a giocare ancora una volta una partita a
scacchi con lui era morto.
Ma
il modo in cui si sedette lo sconosciuto, il modo in cui
posò i suoi
occhi su di lui...era terribilmente familiare, così com'era
familiare la sensazione che stava provando in quel momento.
Come
se qualcuno stesse cercando di le...
Arretrò,
appoggiando le spalle allo schienale della sedia ed osservando il
nuovo arrivato.
Quest'ultimo
teneva le dita intrecciate e posate dinanzi alla scacchiera.
Mosse
una pedina, mangiando l'alfiere di Erik.
“Commetti
sempre lo stesso errore di lasciare scoperto questo
pezzo.”aggiunse.
Erik
sentì il proprio cuore battere all'impazzata.
Lo
sconosciuto non lo guardava, ma attendeva una sua mossa sulla
scacchiera.
Bastò
un cenno del suo capo ed il cavallo si mosse, mangiando il pedone del
nuovo arrivato, che rise.
“Questa
non me l'aspettavo.”
“Giochi
a scacchi con me da cinquant'anni e non riesci a prevedere le mie
mosse?”
Stavolta
lo sconosciuto alzò lo sguardo e sorrise.
“Sapevo
che mi avresti riconosciuto. Anche in questo nuovo aspetto.”
Indicò
il suo corpo.
Era
quello di un normale anziano di 60 anni e più.
“Charles...”
Erik
rimase ad osservare il suo amico dall'altro capo del tavolino di
legno.
Com'era
possibile? L'aveva visto morire! Aveva visto Jean Grey ucciderlo,
disintegrarlo...aveva urlato il suo nome, ma...
“Come?”chiese
soltanto.
Charles
Xavier lo guardò, con i suoi penetranti occhi blu.
“Mutazione.”spiegò,
semplicemente, ma ottenne come risultato quello di sorprendere ancora
di più il suo vecchio amico.
“C'era
stato un caso di un mutante, di cui s'era occupata la dottoressa
Moira Taggert. Un mutante che non aveva in sé...”
“Nessun
tipo di coscienza. È questo il suo corpo. Ti sei risvegliato
dentro
di lui.”
Erik
lo guardava stupito.
Aveva
il cuore in tumulto.
Charles
era lì.
Non
il corpo che conosceva e che aveva imparato a conoscere a memoria
negli anni trascorsi l'uno accanto all'altro e poi come rivali;
conosceva ogni piccola cicatrice, ogni neo del suo corpo, ogni punto
debole del suo migliore amico.
Sapeva
che i fianchi erano il punto in cui soffriva di più il
solletico,
sapeva che aveva attraversato una fase depressiva dopo l'incidente
che l'aveva paralizzato, sapeva il gusto delle sue labbra e dei suoi
baci che spesso s'erano scambiati, anni addietro ed anche
più
recentemente, prima che la guerra tra le loro squadre li dividesse
definitivamente.
Ma
ora era lì.
Non
nel suo corpo, ma quello era Charles.
Avrebbe
riconosciuto tra milioni e milioni quella tonalità di blu
che
avevano i suoi occhi, e gli occhi erano rimasti gli stessi, di quello
stesso blu penetrante che l'aveva sempre colpito ed affascinato.
E
l'aveva riconosciuto dal modo di sedersi, di intrecciare le mani e
dalla familiare ed ora non più fastidiosa sensazione in cui
s'intrufolava nella mente altrui per carpire i suoi pensieri.
Ed
ora mentre Erik tendeva la mano per afferrare la sua ed abituarsi man
mano a quel suo nuovo corpo, in cui finalmente poteva camminare,
l'unico pensiero che c'era nella sua mente era:
“Bentornato
a casa, Charles.”
Spero
davvero che vi piaccia
questa mia fanfiction!
Non potevo lasciar morire
Charles ed inoltre circola anche un video di X-men che fa vedere
Charles risvegliato nel corpo del mutante. Non so se sia vero o meno,
ma mi ha dato lo spunto per la storia.
Fatemi sapere che ne pensate!
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