Tutto quel
che accade una volta potrebbe non accadere mai più.
Ma
tutto
quel che accade due volte, accadrà certamente una terza.
(L’Alchimista,
Coelho)
15 Giugno 2028
America.
Milo
Meinster.
Ogni
giorno, appena cadeva dal letto il
suo stupido cervello scandiva quel nome. Come se avesse bisogno di
ricordarsi
chi era!
Lo
so benissimo chi sono da più di dieci anni, grazie
tante…
Sbadigliò e
aprì le imposte
della finestra su una gloriosa giornata di sole; merce rara nel buco
piovoso
dove era finito ad abitare.
Non doveva esser
però pretenzioso:
Lubecca con il suo clima da congelarsi le palle era stato un soggiorno
di gran
lunga peggiore. Per non parlare di un certo
castello.
Aveva viaggiato per quella
che
si poteva definire una vita – almeno in termini di esperienze
– e se aveva
deciso di metter radici da quattro anni un motivo c’era.
Motivo che quella mattina
non
gli andava di ricordare, visto che il
motivatore l’aveva fatto dormire poco o niente.
Rompicoglioni.
Quelli della sua schiatta son tutti dei gran
rompicoglioni.
Scavalcò la
finestra con un
salto e finì sul balcone che faceva il giro di tutta
l’appartamento. Lì, con la
schiena e le gambe nude scaldate dal sole, si buttò su una
vecchia sedia di vimini
lasciata dai precedenti proprietari – Babbanofili o Babbani,
direttamente – e
lì dimenticata.
Nella sua visuale
entrò l’ansa
di uno dei due fiumi che bagnavano la città, il Charles.
Scorreva placido nel
riverbero solare e sembrava che nulla al mondo potesse disturbare il
suo corso.
Passò un dito sulle mille scaglie che vi si riflettevano e
lo invidiò.
Dormito
un cazzo.
Dalla finestra alle sue
spalle
afferrò a tentoni il porta tabacco, le cartine e
l’erba. Per certe cose l’erbologia
magica non riusciva ad eguagliare quella Babbana. O forse era lui che
di tutte
quelle piante strane di cui era pieno il Mondo Magico proprio non si
fidava.
Chiamatemi
scemo. Alcune son capaci di bruciarti il
cervello, altre di fartene crescere uno sotto le ascelle.
Sbriciolò,
scaldò, mischiò con
il tabacco e leccò. Poi accese e finalmente si concesse un
sorriso.
Ecco.
Buongiorno, adesso.
Non aveva sul serio dormito,
ma non aveva importanza: non aveva impegni durante la giornata e per
quanto
riguardava Il Principino,
quest’ultimo
sarebbe stato via fino a sera. Per cena si sarebbe riscaldato qualcosa.
Sempre
che non dia fuoco alla casa nel tentativo di
usare il microonde.
Quattro anni prima non
avrebbe
mai pensato di finire a fare quella vita, ma tutto sommato non poteva
lamentarsi. Aveva un tetto sopra la testa, la pancia sempre piena e
tutto il
tempo del mondo per curare i suoi affari e il Suo Amore – la
sua arte, ma era
così trito chiamarla a
quel modo.
Quello che gli veniva chiesto, rispetto ai lavori che aveva avuto in
precedenza,
era niente.
Per
non parlare del penultimo
lavoro … È un miracolo
se non mi ci son giocato le chiappe.
La vita era un continuo
mutamento, precisamente come l’acqua del Charles, che non
aveva forma e che
dunque non poteva essere irreggimentata.
Cioè,
sì, teoricamente può, ma alla prima
pioggia… Un
disastro. La vita è così. L’essere
umano, magico o no, è così. Costringilo in
un sentiero che non è il suo e prima o poi esonda.
Quel giorno si sentiva
piuttosto filosofico. O forse era l’erba. L’erba,
decise. Soffiò il fumo sulla
brace dello spinello e lo fece riaccendere con un guizzo. Ne
fumò metà però,
per non inficiare i suoi esercizi mattutini. Dopo pochi minuti di
raccoglimento
interiore per ritrovare un minimo di concentrazione, con lo stesso
movimento
all’indietro prese la custodia di cuoio lucida che faceva ben
mostra di sé sul
davanzale alle sue spalle. Ci passò un dito e poi fece
scattare la chiusura
svegliando il violino dal suo letto di cuoio e materiale isolante.
L’archetto
passò con piacere sulle corde e da esse ne trasse le prime
note della giornata.
Si alzò in piedi, perché suonare a sedere era una
bestemmia.
Buongiorno
America. Paganini, Capriccio numero 13, la
risata del diavolo.
Ridacchiò. Che
fosse sotto
l’effetto dell’erba o meno, gli piaceva annunciare
i suoi pezzi ad un pubblico
immaginario o, nel migliore dei casi, ignaro.
Al
violino Milo Meinster. Magonò, strafatto e nel tempo
libero, babysitter. Un’esecutore, Signore e Signori,
d’eccezione.
Godetevelo.
****
Inghilterra,
Londra, Center London. Charing Cross Road.
Paiolo
Magico.
Erano giorni che
l’ospite
della diciannove non usciva di camera; nessuno aveva il coraggio di
dirlo ad
alta voce, ma tutti pensavano fosse morto.
Deirdre Santini era una
delle
tante cameriere che si occupava del piano superiore della locanda. Ogni
giorno
entrava nelle stanze, le puliva, rifaceva i letti ed arieggiava. Anche
sua
madre aveva fatto quel lavoro, e la madre di sua madre, sebbene fosse
stata
Babbana e avesse dovuto usare le mani invece che la bacchetta.
Deirdre era stata assegnata
all’ala ovest – dava prestigio, secondo Tom,
chiamarla a quel modo – e quindi
le camere dalla dieci alla venti erano di sua competenza. Sua e di una
ragazzina Maganò che avrebbe dovuto esser un aiuto, ma nei
fatti era imbranata
come poche.
“Signora, io
lì dentro non ci
voglio entrare, signora…” Balbettò
questa con forte accento gallese. “Quel tipo
io l’ho visto e faceva paura si…”
“Ho capito Daisy, ci andrò io!”
Sbuffò esasperata, dandole il carrello fornito
di stracci e spazzolone. “Almeno prendi questo!”
Arrivata di fronte alla diciannove si sentì però
molto meno coraggiosa di
quanto avesse dato a vedere. Daisy aveva ragione; quel tipo, dal primo
giorno
che aveva alloggiato lì, aveva messo a tutti una gran
inquietudine addosso. Si
faceva portare i pasti in camera, ma i vassoi non tornavano mai
indietro.
Quando Tom aveva provato ad entrare per reclamarli era stato aggredito
da
rauche parole e una borsa piena di Galeoni sonanti. Dopo essersi
consultato con
la moglie aveva detto loro di non chieder più indietro un
bel niente.
Però adesso eran
giorni che i
vassoi restavano intoccati di fronte alla porta e Deirdre non era una
stupida.
Qualcosa era successo e anche se Tom assicurava loro che il non gradito
ospite se
ne sarebbe andato presto, non sembrava che quel presto
fosse destinato ad arrivare.
“Signore?”
Bussò alla porta.
“Signore, pulizie in camera! È lì
dentro? Mi risponda!” Bussò un altro paio di
volte e poi, scambiandosi un’occhiata con la sguattera, fece
un sospiro pescato
direttamente dal robusto petto scozzese. “Bene Daisy,
va’ a chiamare Tom. Io
entro.” Decise su due piedi. Per quanto sinistro le fosse
sembrato quel mago
poteva comunque essersi sentito male o essere in difficoltà.
Ci
manca solo un morto nella locanda. Come fa colare a
picco gli affari un cadavere in una stanza…
Aveva due ragazzini che
andavano ad Hogwarts, una piccola che la aspettava a casa e un marito
sfaccendato. Non poteva permettersi di vedersi decurtato lo stipendio o
peggio.
Prese quindi una chiave dal grosso mazzo appeso al carrello delle
pulizie e
fece scattare la serratura; quando vide che la stanza era immersa
nell’oscurità
più completa, accese subito un Lumos
vivace.
Quella faccenda cominciava a
puzzare. Puzzare di pozioni bruciate, resti stantii di cibo e un odore
che le
sue narici, seppur allenate alla selva di odori presenti in una
locanda, non
riuscirono ad identificare.
“Signore…?”
Vide qualcosa muoversi nel
buio, simile ad un ratto, simile ad un serpente, simile a …
niente, niente che
avesse mai visto in vita sua.
Allora gridò.
****
Londra,
Farringdon, West Smithfield.
Mattina.
Tim Colvile era un tipo
metodico.
Ogni mattina si svegliava
alle
prime luci dell’alba, abbandonava l’umido
appartamento che condivideva con
almeno una mezza dozzina di coinquilini dalle parti di Camden Town e si
recava
di buona lena a prender la metro per raggiungere
l’università che aveva scelto
di frequentare non appena aveva avuto abbastanza senno in zucca da
capire che
il paesino da cui proveniva era troppo stretto per le sue ambizioni.
Ramanujan –
coinquilino numero
sei - gli aveva consigliato di allentare quella sua presa puntigliosa
su orari
e riti, così da potersi trovare finalmente una ragazza.
Lui dissentiva.
Perché non era
il solo al mondo ad apprezzare la metodicità. Non era
l’unico che ogni mattina che
Dio metteva in terra prendeva la colazione da asporto e la consumava
seduto su
una delle caratteristiche panchine di legno del West Smithfield
Garden¹, nome
pomposo che designava una piccola isola erbosa in mezzo al caos della
metropoli.
Non era solo
perché ogni
giorno alle otto in punto una ragazza si sedeva sulla panchina accanto
alla sua.
Era il genere che entrava subito nell’occhio anche se eri
preso dai tuoi
casini.
I capelli rossi, tanto per
iniziare. Erano di un rosso violento persino alla luce diretta del
sole, ma non
era una tinta – Tim lo sapeva bene, con una sorella minore
che aveva la testa
di un camaleonte.
La ragazza era sempre
allegra,
come se non avesse un problema al mondo. Era un piacere guardarla
mangiare con
appetito e sentirla ridere alle battute che ogni tanto si scambiava con
i suoi
improvvisati vicini di panca. Era piccoletta, ma sprizzava energia
concentrata
come una supernova.
Si era anche chiesto se non
fosse
da stalker fissarla tutti i giorni senza tentare un approccio, ma del
resto la
Ragazza della Colazione – l’aveva ribattezzata
così - non aveva mai dato segno di
aver fatto caso alle sue occhiate.
Sperava fosse single. Certo,
almeno
una volta a settimana faceva colazione con un ragazzo, ma questo non lo
preoccupava: prima di tutto, da come si vestiva e comportava, il tipo
sembrava dell’altra
sponda. Dopo un accurato origliare, aveva inoltro dedotto con minimo
margine di
incertezza che fosse il fratello maggiore. Sentendoli chiacchierare di
cene di
famiglia e amici comuni aveva scoperto parlassero con
l’accento del Devon, a
lui tanto familiare. Ecco, quello
avrebbe potuto essere un argomento di conversazione: la
difficoltà di vivere
nella Capitale venendo da un posto che aveva più campagna
che centri urbani.
Oggi
vado lì e mi presento. Sicuro. Ci vado.
Lo diceva tutte le mattine,
ma
mai una volta che avesse trovato abbastanza coraggio per farlo.
Quel giorno Tim, dopo
essersi
seduto e aver posato la colazione accanto a sé, si accorse
che la sua compagna
di spuntino non c’era. Deluso si guardò attorno,
scandagliando le panchine e
occhieggiando le gradinate che portavano alla fontana. Nessuna traccia.
Dovrebbe
già essere qui…
Ma non c’era. Che
avesse
deciso che quel parco non le piaceva più? O se si fosse
accorta delle sue
occhiate e ne fosse rimasta turbata? O forse aveva preferito
abbandonare Londra
per prepararsi alla sessione di esami estiva?
Le possibilità
erano
molteplici e una più deprimente dell’altra.
Hai
perso la tua occasione bello mio. Un anno che sei
qui ed un anno che non manca un giorno. Hai mai fatto qualcosa? Ben ti
sta,
coglione.
Sospirò
profondamente
abbandonando la colazione e preferendo accendersi una sigaretta.
“Ciao,
questo posto è occupato?”
Quasi gli cadde la sigaretta
dalle labbra quando si rese conto che la Ragazza della Colazione non
era seduta
da nessuna parte perché era dietro
di lui.
“Io …
oh, sì, certo!” Balbettò
quasi gettando a terra lo zaino per farle spazio.
“Prego!”
Tim aspirò il suo
buon profumo
floreale e pensò che avrebbe dovuto dire qualcosa per
rompere il ghiaccio, che
l’occasione era troppo buona per esser buttata al vento.
Ovviamente non
riuscì a
spiccicar parola.
La ragazza diede un morso
alla
ciambella – che era sempre la stessa, integrale e con i
frutti di bosco – e
bevve un sorso dal suo bicchiere di cartone. Poi parlò.
“Tu vieni qui tutti i
giorni, vero? Per colazione.”
Mi ha notato!
Si sentì ghignare come un idiota.
“Sì, tutti i giorni! Come …
cioè, come
te.”
L’altra annuì. Guardava la fontana che si ergeva
in mezzo allo spiazzo erboso
con aria meditabonda. “Sei del Devonshire?” Forse
l’aveva capito dalle poche
frasi che le aveva balbettato contro? “Ti ho sentito
rispondere al cellulare
una volta, l’accento di casa si riconosce sempre.”
Gli spiegò quasi gli avesse
letto nel pensiero.
“Già,
sì … Sono di
Ilfracombe.” Fece un sorrisetto.
“Devonshire², è tanto che non lo sentivo
chiamar così!” Si accorse di aver detto qualcosa
di sbagliato quando la vide
guardarlo stranita.
“Perché,
tu come lo chiami?”
“ …
Devon?” Suggerì. Doveva
aver detto qualcosa di decisamente idiota se l’altra lo
fissava così.
Per fortuna il suo imbarazzo
durò
poco perché l’altra gli sorrise con aria di scuse.
“Giusto. È che nella mia
famiglia abbiano questa fissa di chiamarlo col
nome…” Esitò.
“Arcaico?” Offrì volenteroso.
“Cioè, credo lo chiamassero così
nell’ottocento o
giù di lì.”
La ragazza annuì
facendo un
sorriso proprio carino, del genere che faceva venire il desiderio
impellente di
chiederle il numero. Si controllò piuttosto bene.
“Mi chiamo Timothy.” Disse
porgendole la mano dopo essersi premurato di pulirla doverosamente sui
jeans. “Ma
tutti mi chiamano Tim.”
“Lilian.”
Non poteva che avere
un nome adorabile. “Ma tutti mi chiamano Lily.” Lo
imitò scherzosamente.
Sentendosi insolitamente
disinvolto
si arrischiò a rivolgerle qualche domanda.
“È il tuo primo anno qui a Londra?”
“No, il terzo. Studio solo da un anno
però.”
“…
cioè?”
“Mi sono presa un paio d’anni … come si
dice? Sabbatici?” Tim si stupì. Non
aveva affatto l’aria di una ventenne. Aveva pensato sul serio
andasse a scuola finché
un giorno non l’aveva vista tirar fuori dalla borsa libri di
testo che nulla
c’entravano con l’istruzione superiore. A dirla
tutta quei libri non avevano
l’aria di centrare con niente.
Vecchi
e persino rilegati in cuoio – nell’epoca dei tablet
esistevano ancora esemplari
simili in commercio?
Comunque sia la notizia che
fosse più grande di lui di ben due anni lo smontò
un po’. L’avrebbe considerato
uno sbarbatello adesso?
Lily, forse notando la sua
espressione, lo guardò divertita. “Pensavi andassi
ancora a scuola?”
“Beh…”
Borbottò preso in
contropiede. Era già la seconda volta che anticipava i suoi
pensieri. “No, è
solo che … Dove studi?” Preferì
glissare.
“Qui
vicino.” Un breve attimo
di incertezza poi indicò di fronte a sé. Tim
collegò quell’indicazione
approssimativa con il Barts³, l’ospedale del
quartiere, la cui università di
riferimento era anche la sua.
“Ah, ma allora
studi alla
Queen Mary, come me!”
“Sì,
Mag…” Si bloccò e fece un
altro sorriso iper-carino. “Studio Psicologia.”
“Forte.”
Forse era per questo
che i suoi vestiti avevano un taglio un po’ stravagante, dal
vintage evidente delle
cose che indossava alle svolazzanti stole colorate con cui si era
coperta per
tutto l’inverno. Dopotutto era risaputo che chi studiava i
matti era un po’
eccentrico. “Non ti ho mai visto in giro per il campus
però…” Di certo
l’avrebbe notata. L’altra non ribatté,
così decise di cambiar discorso prima
che sopravvenisse un silenzio disagiante. “Quale parte del
Devon?”
Lily inclinò la testa da un lato, in una buffa posa
interrogativa. “Ottery St.
Catchpole. Normale se non l’hai mai
sentito…” E infatti era così.
“… è un
villaggio, poche case, tante fattorie, una chiesa e un
fiume.” Snocciolò. “Dev’essere
bello vivere vicino al mare invece.”
“Non se comunque
vivi vicino a
poche case, tante fattorie ed una chiesa.” Non era troppo
bravo nel dire
spiritosaggini ma l’altra ridacchiò e quindi era
un punto andato a segno,
giusto?
Non credeva alla propria
fortuna comunque. La Ragazza della Colazione gli si era seduta accanto
e stava
parlando con lui, in una versione decisamente più
soddisfacente delle
simulazioni che aveva fatto nella sua testa. Doveva dunque tirare fuori
le
palle e farle la fatidica domanda. “Senti … stai
spesso da queste parti?
Intendo, hai un appartamento qui?”
“No, torno a casa
tutte le
sere.”
“…
Tutte le sere?” Forse non
aveva capito bene. “Ma da qui al Devon sono un milione
di ore in treno!”
La ragazza per un attimo sembrò non sapere che pesci
prendere. Poi sorrise di
nuovo e scosse la testa. “Abito vicino a Charing Cross,
questo intendevo.” E
diede un consistente sorso al suo caffè. “Più
o meno vicino.” Soggiunse.
Tim si trovò
nella scomoda
posizione di non sapere cos’altro dire. Dietro
l’aria amichevole l’altra non
sembrava disposta ad intavolare una reale conversazione, anzi. Forse
era il
genere di tipa che si aspettava che fosse il ragazzo a fare la prima
mossa.
Coraggio,
vecchio mio. Ora o mai più.
“Te lo chiedevo
perché … cioè,
io sto qui da un anno e abito a Camden che non è proprio a
due passi, no? Mi
piacerebbe conoscere qualche altro posto che non sia il quartiere in
cui vivo
e…” Non stava andando tanto male se Lily lo
guardava con interesse. In realtà lo
guardava come lui avrebbe studiato un esperimento al microscopio, ma
decise di
soprassedere. “… e mi chiedevo se ti andasse di
prendere un caffè.” Concluse
pregando di non essersi mangiato le parole. “Con
me.” Puntualizzò.
Lily batté le
palpebre e poi
fece un sorriso, quel genere di sorriso che il povero Tim conosceva
bene dato
che gli era stato propinato in più declinazioni da ragazze
che si credevano troppo per lui.
“Mi dispiace, ma
mi vedo già
con qualcuno.”
Per
l’appunto.
Curiosamente però
l’altra non
aveva ventilato l’ipotesi che potesse essere
un’uscita amichevole.
Tentò dunque quella carta perché imbranato
sì, ma non
sprovveduto. “Guarda che non parlavo di un
appuntamento.” Riuscì persino a
suonare ironico. “Solo…”
“Sì invece.” Lo congelò sul
posto. Poi gli strinse leggermente la mano. “Sei
carino Tim, ma credi a me, non potrebbe funzionare. Siamo troppo
diversi.”
“Ma se non mi
conosci neanche!”
Era questo che non andava, con le ragazze. Non potevano fare a meno di
rifilare
palle elaborate perché non avevano il coraggio di dire la
verità alla persona
che avevano di fronte. Non avrebbe potuto semplicemente dirgli che non
era il
suo tipo?
“Vero.” Convenne con l’aria di non
convenire affatto. “Allora facciamo così,
fidati sulla parola.” Si alzò in piedi e
recuperò la borsa di tela. Era
stracolma e doveva pesare tantissimo ma la portava con leggerezza,
quasi fosse
imbottita di nulla.
“Grazie per la
compagnia!”
Non gli diede il tempo di
aprire bocca che era già scomparsa oltre le siepi che
recintavano il parco.
Proprio così, scomparsa come se fino a cinque secondi prima
non fosse stata
seduta accanto a lui. Solo un po’ di briciole e la busta
appallottolata della
ciambella testimoniavano che la Ragazza della Colazione gli avesse
davvero rivolto
la parola.
****
Ministero
della Magia, Secondo Piano, Dipartimento
Applicazione della Legge sulla Magia.
Ufficio
Auror. Mattina.
Una palla di carta,
debitamente pressata per avere il peso specifico e la massa di un
proiettile,
sfrecciò tra le scrivanie dell’ufficio Auror
puntando verso la nuca dell’Auror
Malfoy, numero distintivo duemilaottocentoquarantacinque.
“Pre…”
Si sentì esclamare
dalle retrovie. La voce sfumò presto in delusione quando la
vittima si girò di
colpo e fece Evanescere la pallottola. “… so? Ah,
andiamo!”
“Potty,
dovrà ancora nascere
l’uomo capace di prendere alle spalle Scorpius
Malfoy!” Ghignò il ragazzo,
dondolandosi sulla sedia girevole. “Comunque ho vinto
io.” Si indicò. “Oggi la
scrivania è mia.”
“Non vale, è facile per te arrivar prima, a casa
hai il camino collegato
direttamente con il Ministero!” Si lagnò
l’Auror Potter, numero distintivo …
non riusciva mai a ricordarselo, aveva poi importanza?
“Non capisco
questa smania di condividere
le scrivanie! Vabbeh, che non abbiamo spazio,
però…” Continuò, sedendosi
sull’angolo del tavolo e mettendo un broncio da decenne.
“… e poi, sei tu il
pivello!”
“Oh, oh. Ben tre anni di servizio effettivo contro i miei
miseri due!” Replicò
l’altro sgranchendosi voluttuosamente sulla sedia.
“Sono intimorito.”
“Va’ a farti divorare dagli Inferi,
Malfuretto.” Fu l’affettuosa risposta,
corredata da un tentativo di pugno sulla spalla che l’altro
eluse finendo di
stiracchiarsi all’indietro.
Scorpius sorrise. Ogni
mattina
che Merlino metteva in terra era sempre la stessa storia. Non se la
prendeva
mai perché sapeva che dietro le lagne del suo migliore amico
c’era sincero
piacere di averlo a fianco.
Era
persino più contento di me quando ha saputo che
sarei venuto ufficialmente a lavorare qui.
L’Accademia non
era stata una
passeggiata. Gli Auror erano una forza di polizia magica speciale, e
avevano criteri
di selezione trai più duri del mondo Magico. Per quanto
fosse passato al primo
colpo, aveva poi trascorso tre anni a sputare sangue e sudore sotto un
istruttore che ce l’aveva avuta a morte con lui per motivi
che non gli erano mai
stati chiari.
Anche
se scommetto venti Galeoni che mi ha odiato dal
momento che ha letto il mio cognome nella
lista degli ammessi.
Oppure
perché sono biondo e bellissimo.
Alla fine tutte le palate di
cacca patite erano state ripagate da un superbo
risultato al test finale, che doveva aver fatto mangiare il distintivo
a quel
trippone dell’Istruttore Auror Anderson.
E
visto che la commissione era composta da Auror veri, non
ha
potuto proprio farci niente.
Passato
con punteggio massimo. Attaccati al mio manico
di scopa.
L’unica nota
dolente di tutta
la faccenda era suo padre:
continuava
a mal digerire il fatto che avesse preferito una rude carriera fatta di
incantesimi e distintivo a quella ben più elegante e
soprattutto, politica
nell’Ufficio Cooperazione
Magica Internazionale.
Credo
che mi butterò dalla finestra se alla prossima
cena in famiglia mi parlerà ancora di quanto
si trovi bene Mike a lavorar
là…
“Ohi, Malfuretto,
ti sei
incantato?” Vide la mano dell’altro ondeggiargli
davanti e scosse la testa,
rientrando nella caotica realtà che lo circondava:
promemoria ministeriali che
svolazzavano ovunque, gente che parlava ad alta voce, odore di
caffè tostato e
sudore.
Ah
… Delizia.
“Stavo pensando.
So che il
verbo ti sfugge…” Schivò un nuovo
tentativo di pugno, ridendo.
Il fatto è che adorava essere un Auror. C’era
azione,
c’era pericolo, c’erano uniformi fighissime e
cameratismo. E quando veniva
pronunciato il suo cognome aveva sempre quel meraviglioso suffisso.
Auror.
Auror Malfoy.
Nessuno in ufficio lo diceva
con sospetto o disgusto, ma con simpatia e stima. Era la sensazione
più
meravigliosa del mondo.
Vorrei
solo che papà lo capisse … Ma temo che per certe
cose saremo sempre distanti continenti.
“Ohi,
concentrati!” Lo
riscosse di nuovo James. “Prima che arrivi il Sergente e ci
trascini verso
l’ignoto mi devi dire cos’hai intenzione di fare
per il tuo addio al celibato!”
“Eh?” Gli uscì piuttosto
intelligentemente. “Celi che…?”
“Secondo me ti ci diverti, a fare il Purosangue
scemo.” Sbuffò l’altro.
“Sbaglio
o qualcuno si sposa con mia cugina questo Agosto?”
“Io!”
Esclamò compiaciuto. “Io
con Rosie!”
“Sì, forse c’è ancora
qualcuno nell’emisfero australe che non lo
sa…” Motteggiò
James, ma con divertito affetto più che con sarcasmo.
“Dobbiamo fare una festa prima,
tra uomini, così dirai addio alla
tua condizione di uomo libero come si deve. Ci arrivi?”
“Sono fidanzato ufficialmente, non credo di potermi
considerare libero da
anni.” Gli fece notare,
scoccando un’occhiata ad una foto appiccicata con lo scotch
magico alle pareti
del box. Tra i miliardi di cianfrusaglie con cui l’aveva
intasato James, spiccava,
almeno a parer suo, l’enorme sorriso di Rose e il bacio da
film che si erano
dati alla cerimonia dei Diplomi cinque anni prima. L’altro
aveva tentato di
scoraggiare le effusioni dei due avatar, ma aveva ottenuto solo di
intensificarle di più.
Sono
ganzo anche in foto.
“Non fare il
guastafeste!” Lo
riprese, dandogli uno scappellotto. Chiunque li vedesse temeva sempre
che
quelle schermaglie finissero in rissa. Erano pochi quelli che li
conoscevano e
sapevano che non si sarebbe mai verificato.
A
meno che non
ci sia di mezzo una bottiglia di Ogden Gran Riserva e il
Campionato di
Quidditch.
“Dai, che ti va di
fare?
Prenoto qualche Incantatrice? Una bella danza dei sette
veli?” Lo incalzò. “Mio
cugino Freddie dice che quella roba dei sette veli è una
figata.”
“Rosie finirebbe
per pugnalarmi
sette volte se me ne facessi fare una, lo sai.”
James fece una smorfia.
“Beh, allora
fatti venire qualche idea che non preveda la tua morte. In quanto tuo
testimone…”
Ogni volta gonfiava il petto d’orgoglio, era uno spettacolo
esilarante. “… sarà
io ad occuparmi di ‘sta roba. Quindi vedi di dirmelo per
tempo!”
Scorpius sorrise.
“Promesso.”
Gli diede una pacca sulla gamba. “E tu, a quanto il lieto
evento con Lupin?”
L’altro fece una
smorfia
sbalordita. “Malfoy, gli uomini non si sposano tra di
loro!”
“Sai, per essere in parte gay sei proprio omofobo.”
Schivò il conseguente
lancio di un tagliacarte “Ti farei anche da
damigella!”
“Per essere quello etero sei una femminuccia!”
“Dirò a
Rosie di lanciarti il
bouquet, vedrai che poi mi ringrazierai. Ti vedo benissimo, in
bianco.”
“Fottiti!”
“Avrò
mai il piacere di non
vedervi litigare, Matter?”
Il sergente Liam Flannery guardò i suoi due sottoposti con
un misto di
esasperazione e divertimento. Aveva coniato per loro quel nomignolo
– fatto
dall’unione dei due cognomi – quando aveva
realizzato che sarebbero sempre
stati inseparabili come una chiappa con un pantalone. Si narrava che
persino il
Capo avesse apostrofato Malfoy – per una volta da solo - con
il nome di
battesimo del figlio, assolutamente certo che l’altro fosse
nei paraggi.
“Dubito!”
Esclamò Malfoy con
uno dei suoi sorrisi spigliati, alzandosi in piedi e facendo scattare
il taglio
della mano sulla fronte, nel classico saluto formale. Per certe cose
era terribilmente
legato alla forma. “Sergente, Bobby.”
Apostrofò il terzo e ultimo auror della
loro squadra che li guardava con la rassegnazione tipica di chi subiva
quei
diverbi dall’adolescenza. “Buongiorno!”
Al di là di tutto, erano una buona squadra. La calma del
giovane Jordan
controbilanciava gli eccessi di Potter e le polemiche di Malfoy. Era
una buona
cosa quando ci si stimava tra compagni e quei tre ne erano la prova.
“È che
Malfuretto è un
coglione.” Replicò serenamente Potter, tirandogli
un ceffone sulla spalla. “E
non sa rispettare la gerarchia.”
“Ma se siamo entrambi Auror Semplici!”
“Gerarchia d’età.”
Anni di onorato servizio
avevano insegnato a Liam Flannery che era meglio non assecondare le
teste
calde, quindi si limitò a scuotere la testa. Dopotutto non
facevano neanche
mezzo secolo in due ed erano stati grifondoro: non poteva pretende
maturità
dove doveva ancora arrivare.
Malfoy
non sarebbe così matto se non si alimentasse
dell’energia di Potter. Ma va bene così
… Sanno salvarsi la pelle a vicenda e
pensare con un mago solo. Non si può chiedere di meglio ad
un giovane Auror.
Batté le mani per
richiamarli
all’ordine. “Fatevi belli, oggi iniziamo col
botto.”
Vide una scintilla di
eccitazione percorrere lo sguardo di entrambi. Potter quasi
saltò dalla
scrivania. “Sì?” Chiese infatti.
“Abbiamo ricevuto una chiamata? Quindi niente
scartoffie stamattina!”
“Evvai!”
Gli fece eco il
biondo dandogli il cinque. “Giorno glorioso!”
“Dal Paiolo
Magico.” Convenne
fingendo di non aver notato il palese lassismo burocratico di entrambi.
“È
arrivato un Gufo Espresso dal vecchio Tom. Abbiamo una segnalazione per
Arti
Oscure.”
“Arti
Oscure?” Chiese Malfoy
tornando serio. Per quanto la loro fosse la divisione ministeriale
dedicata, era
raro dovessero affrontare maghi davvero Oscuri.
Più che altro si trattava di assicurare alla giustizia gente
che aveva provato
a passare al lato sbagliato della Magia, ma con più danni
per sé stessi che per
gli altri.
Grazie
a Merlino il mondo sta diventando un posto
migliore. Meno malvagi, più idioti.
Ad ogni buon conto per i tre
giovani Auror sarebbe stato il primo vero caso, quindi poteva capire
l’eccitazione che trapelava dalle loro espressioni.
“Segnalazione, non
certezza.”
Replicò per non farli surriscaldare nel caso si fosse
dimostrato un buco
nell’acqua. “Mettetevi i Mantelli, assicuratevi che
la fondina non sia
slacciata e andiamo.” Fece un sorriso. “Si
va’ a far un po’ di luce!”
****
Farringdon,
Magazzino Purge&Dowse, ovvero…
Ospedale
San Mungo per ferite e malattie magiche.
“Albus, ehi!
Aspetti tua
sorella?”
Il ragazzo ormai ventiduenne
che rispondeva a quel nome alzò lo sguardo dalla
contemplazione dei propri
zoccoli ortopedici. Comodi ma orrendi, questo riusciva a capirlo
persino lui.
Ho
dovuto spiegare dieci volte a Mike che dobbiamo
portarli tutti, senza nessuna eccezione …
Fece
un mezzo sorriso all’interlocutore,
allungando le gambe sotto il tavolo.
“Ciao
Seamus.” Sospirò appena.
“Caffè con zenzero?”
Occhieggiò la tazza fumante dell’altro Guaritore,
decano
ed eroe di guerra, nonché amico del padre. “Un
giorno ti esploderà lo stomaco.”
“Lo dici ad un irlandese? Deve ancora arrivare bevanda capace
di mettermi al
tappeto!” Esclamò l’uomo, passandosi una
mano tra la folta zazzera color sabbia
che si stava progressivamente imbiancando ai lati. “Guarda
che rischi di
arrivare in ritardo, Smethwyck ti farà a pezzi.”
Soggiunse canzonatorio.
Il ventenne
deglutì, e a
ragion veduta, pensò l’uomo. Il Guaritore in
carica nel reparto Lesioni da
Incantesimo era un tipo arcigno, incapace della minima empatia, come
capitava
spesso a chi esercitava quella professione da tanto tempo. Il figlio di
mezzo
di Harry era uno dei suoi tirocinanti e, a detta delle voci di
corridoio, una
delle sue vittime predilette.
“Ho ancora tre
minuti … e una
manciata di secondi, credo.” Si dondolò sulla
sedia per occhieggiare l’orologio
a pendolo accanto al tavolo delle bevande. “…
Okay, due minuti.” Si corresse.
“Non l’ho mai vista saltare una lezione.”
Gli fece notare con un sorriso. “Non
serve che controlli tutti i giorni, sai.”
Il ragazzo
aggrottò le
sopracciglia. “Non dirlo ad alta voce … se sapesse
che la aspetto per questo
motivo mi ucciderebbe. Anche se oggi ho una scusa da favola. Deve
portarmi i
biscotti di nonna.”
Seamus vuotò la
sua tazza e
diede una pacca sulla spalla dell’ex serpeverde. Gli pareva
incredibile che un
ragazzo tanto mite e disponibile come Al fosse stato appartenuto a
quella Casa.
“Tempo di andare.” Lo informò.
“Alza il sedere, Guaritore Tirocinante Potter.”
Imitò il tono di voce del Professor Smethwyck con gran
divertimento dell’altro.
“Ho promesso a tuo padre che ti avrei tenuto fuori dai guai
… ed incorrere
nelle ire di Smeth è finirci a testa bassa!”
Albus ridacchiò, ma scosse la testa. “Come se
avessi accettato.”
“Come vuoi, ma nel
caso avessi
bisogno di un posto in cui nasconderti…”
Ghignò. “Il mio ufficio è sempre
aperto.”
Al si congedò con
un cenno
della testa dal Guaritore più anziano, rilasciando un lungo
sospiro subito
dopo. Sua sorella era in ritardo e stava facendo far ritardo anche a
lui. Un
classico che si ripeteva ormai da un anno, ovvero da quando Lily Luna
aveva
deciso che il suo futuro lavorativo apparteneva alla Psicomagia.
Il primo a rimanere di
stucco
era stato proprio lui. L’altra non aveva mai mostrato durante
la scuola una
predilezione verso la magia curativa, per quanto avesse avuto un
discreto
talento in Pozioni e non fosse stata una completa incompetente nel
resto delle
materie necessarie per iscriversi al corso.
Oltre a questo aveva sempre
detto di non voler continuare a studiare, tanto che persino i loro
genitori si
erano rassegnati a vederla ammazzare il tempo tra lavoretti saltuari,
feste e
vacanze in giro per il mondo.
Lily aveva vissuto di fiore in fiore – espressione
eufemistica
utilizzata da nonna Molly – per i due anni successivi al
diploma. Poi l’estate
prima aveva sganciato la bomba, innescando una serie di reazioni che
erano
variate dalla sorpresa allo sbigottimento.
Vuoi
continuare a studiare? Psicomagia, sul serio? Ma
intendi lavorare al San Mungo poi? Non avevi detto che non avresti
più preso in
mano un libro in vita tua? Perché Psicomagia?
Ricordava l’aria
disinvolta
con cui l’altra aveva risposto all’ondata di
domande, come ricordava l’urlo di
trionfo che era conseguito alla consegna della lettera di ammissione
all’Accademia di Medimagia.
Ricordava soprattutto di
aver
pensato una cosa.
Sul
serio? Ma soprattutto, perché?
Forse era questo a farlo
rimanere in caffetteria tutti i giorni. Era certo che prima o poi Lily
si
sarebbe stufata della mole di lavoro, dell’odore perenne di
pozioni che impregnava
tutto, e delle ore di lezione tediose. Senza contare quelle in reparto.
Sua
sorella aveva molti pregi, ma tra questi non vi era la costanza,
né la
pazienza. Non vi era mai stata, e con l’età questo
suo difetto si era solo
ingigantito.
E
invece. Continua a frequentare. Ha quasi finito il
primo anno. Fa esami, viene a lezione.
Certo,
non fosse sempre in ritardo…
Sentì una pacca
sulla testa
che lo fece sobbalzare sulla sedia.
“Ciao
pelatino!”
Sua sorella aveva la
disagiante abilità di arrivare alle spalle senza far rumore,
neppure fosse
stata un Auror con la licenza di maledire. “Lils!”
Esclamò passandosi una mano trai capelli. Perché
non era vero, non era pelato.
“Sei in ritardo!”
“Tu sei in ritardo. Nessun
professore
mi aspetta per iniziare la lezione … è te che
aspettano per il giro di visite
mattutino.” Ritorse frugando nella borsa ed estraendo un
pacchetto legato in
più giri da spago. “Direttamente da nonna
Molly.” Ghignò occhieggiando la sua
povera testa. “Ti serviranno per consolarti del fatto che
sei…”
“Rasato.” La
anticipò afferrando
l’involto e lasciandolo scivolare nella propria tracolla.
“E ti sarei grato se
la piantassi, non è come se avessi avuto scelta.”
Borbottò ricordando l’orrore
provato quando gli era stata diagnosticata un’infestazione di
Chizpuffle⁴ … in
testa.
Era uno dei lati negativi di
lavorare in ospedale; bisognava mettere in conto lo scoppio di qualche
epidemia
che, anche se immediatamente contenuta, a volte finiva per colpire
anche il
personale curante.
Anche
se in questo caso sono l’unico ad essermi
ammalato … Gli altri hanno avuto problemi solo con le
bacchette perché gli altri
non
hanno i capelli pieni di magia che hanno i Potter.
O
semplicemente, non ne hanno la sfiga.
“Tom ti fa ancora
dormire sul
divano, eh?” Lily quel giorno sembrava propensa
all’ironia stronza,
quindi preferì non offrirle ulteriori spunti, scrollando
le spalle evasivo.
Certo
che mi fa ancora dormire sul divano, il bastardo.
Non riesce proprio a capirlo che non mi sono preso la versione magica
dei
pidocchi. E che comunque mi è passata.
La sorella dovette leggere
qualcosa nella sua espressione perché gli diede una
pacchetta consolatoria sul
braccio. “Ci vediamo a pranzo?” Offrì in
segno di pace.
“A
pranzo.” Confermò. “Ah,
ricordati che stasera è il compleanno di Fergus e
Abigail!” Soggiunse vedendola
in procinto di correre via, verso le aule di lezione.
“Sì, lo
so, alle nove al pub.
Vorrei ricordarti che Gail è mia amica da dodici anni, ma
non lo farò.”
“Perfetto,
così non dovrò
ricordarti che hai la memoria del Signor Allock.”
Rintuzzò sapendo che l’altra
avrebbe colto la presa in giro, dato che il paziente in questione lo
conoscevano
entrambi. Un signore distinto, di facile parlantina e, a causa di un
Incantesimo di Memoria finito male, incapace di ricordarsi dal giorno
alla
notte e per questo lungo degente nel reparto Thickley⁵.
L’altra
ridacchiò. “Povero
Gilderoy, non esser cattivo … e non esserlo con
me.” Gli mostrò la lingua.
“Lo sono troppo
poco.” Replicò
dandole un colpetto affettuoso sulla fronte. “Fa’
la brava.” Quella
raccomandazione ormai era un marchio di fabbrica del loro rapporto.
E
cos’altro potrebbe essere visto di chi stiamo
parlando?
Lily roteò gli
occhi al cielo.
“Aye aye sir!”
Esclamò abbozzando un
saluto militaresco.
Albus osservò la
figura della
sorella finché non uscì dalla caffetteria. Non
avrebbe mai smesso di controllare,
per quanto la razionalità
gli intimasse di smettere da anni.
Sono
passati cinque anni … Smettila di fare la
chioccia. Ormai ha smesso anche papà.
Con Lily era più
facile a
dirsi che a farsi.
****
Londra, Charing Cross Road.
Paiolo
Magico.
“Eccovi!”
Li accolse Tom, unico
e fiero proprietario della porta per eccellenza tra il Mondo Babbano e
quello
magico. “Signor Flannery, finalmente! Posso offrirvi
qualcosa?”
James e Scorpius si
scambiarono un’occhiata divertita; l’anima da
locandiere del mago era talmente
radicata che persino di fronte ad una situazione d’emergenza
non poteva fare a
meno di cercare di raggranellare qualche zellino; infatti chiunque
conoscesse
il corpulento sergente irlandese sapeva che al primo giro offerto dalla
casa ne
sarebbe seguito presto un altro, pagato.
“Siamo in servizio
amico.” Lo
apostrofò l’uomo dandogli una pacca sonora sulla
spalla. “Dov’è la camera?”
“Al piano di sopra
Signore.
Nell’ala ovest.” Si inserì una panciuta
strega con capelli rosso fiamma acconciati
nella crocchia tipica di chi non voleva sporcarli o perderli in giro.
Nascosta
dietro di lei c’era una ragazzina di massimo tredici anni,
con enormi occhi
sgranati e una cuffietta troppo grande. Una delle cameriere della
mattina e una
sguattera Maganò, stimò Scorpius. Sorrise
all’adolescente che diventò
rapidamente dello stesso colore dei capelli della strega.
“Ala?”
Stralunò l’irlandese. “Di
che diavolo stiamo parlando?”
“A sinistra
Sergente.”
Chiarificò Bobby. “La scala che porta alle camere
sulla sinistra.” Tradusse.
“Per tutte le Banshee Tom, da quand’è
che hai ‘ste pretese da grande albergo?”
“Ai clienti
piace…” Si
giustificò l’uomo stringendosi nelle spalle.
“Deirde, accompagnali su.”
“Io?” La donna perse rapidamente colore.
“Nossignore, non ci metto piede in
quel posto indiavolato!” Sbottò di cuore.
“Non ci andrei manco sotto Imperio!”
“Cos’è
successo?” Si informò
Flannery, adottando il tono professionale che richiedeva
l’occasione. Dietro
l’espressione cordiale di Tom e quella anodina della donna
traspariva evidente
nervosismo. Paura.
I due si lanciarono
un’occhiata,
poi fu il proprietario. “L’ospite della diciannove
…”
“Nome?” Bobby, chiamato anche il Registratore
Vivente, era già pronto con il
suo fedele taccuino. Si narrava lo tenesse anche sotto il cuscino e
sopra il
gabinetto. “Generalità?”
“Sam Howe
e… non so altro.
Davvero!” Esclamò vedendoli scettici.
“L’ho visto solo il primo giorno, quando
si è presentato. Ha sempre voluto i pasti in camera e non
è mai sceso. Ha
pagato in anticipo però e quindi non ho potuto chiedergli,
insomma… Non abbiamo
pensato che fosse corretto dirgli di andarsene solo perché
non metteva mai
fuori il naso dalla porta.”
“Avremo dovuto farlo invece!” Replicò la
cameriera in un tono e modo
che sia a James che a Scorpius ricordò
Molly Weasley. “Quel tipo puzzava di guai lontano un
miglio!”
“Ora che la
bacchetta è rotta
è inutile aggiustarla.” Replicò il
locandiere spiccio, anche se era chiaro che
la pensasse come la dipendente. Si rivolse di nuovo a loro.
“Il fatto, agenti,
è che da qualche giorno il Signor Howe lascia i piatti a
freddare fuori dalla
porta. Così ci siamo preoccupati, e…”
“Ed io sono andata
a
controllare, e per poco non son morta!” Si inserì
la cameriera.
“Deirdre! Chiudi quella ciabatta, pensa se ti sentissero i
nostri ospiti!” La
redarguì l’uomo, ma la strega tirò
avanti come se nulla fosse.
“Morgana mi
protegga,
quell’uomo…” Il poco colore che le era
tornato per ribattere sparì di nuovo, e
un nuovo sospiro uscì dal petto robusto.
“… quell’uomo non è
più una creatura
di questo mondo!”
“Sarebbe a dire?” Il Sergente Flannery era un tipo
concreto, per quanto potesse
esserlo un mago. Scorpius non poteva che sposare la sua confusione: un
uomo rimaneva
uomo, a meno che, certo, non si verificassero circostanze particolari.
La licantropia? È l’unica
che mi viene in
mente, ma … che c’entra? Il plenilunio
è lontano.
“Se è
un caso di Licantropia
se ne occupa la Divisione Bestie.” Suggerì
comunque.
“Non è
un licantropo!” Ribatté
la cameriera, quasi ritenesse quell’ipotesi un affronto
personale. “Nossignore,
niente occhi gialli e zanne, e comunque quelli si trasformano una volta
al
mese, no?” Affermò sicura “Manco li aveva
gli occhi, quello. La pupilla era tutta bianca e… insomma,
sì. Brillava.” Si
torse uno straccio – come da copione – tra le mani.
“Mi ha urlato qualcosa in
una lingua che non conoscevo … e a me son sembrate tanto
… ecco, tanto formule
di Magia Oscura.”
“Una possessione spiritica?” Suggerì
Bobby con aria meditabonda. “Parlare in
altre lingue, un mago incosciente… Potrebbe essere,
no?”
“E da quando chi
viene
posseduto ha gli occhi bianchi?”
Replicò pescando dai ricordi dell’Accademia e
quelli ancora più remoti di
Hogwarts. Non era facile; di solito era piuttosto svelto nei
collegamenti
quanto nei rimandi bibliografici – anche se in questi il
primato sarebbe sempre
stato della sua Rosie. Ne andava fiero, ma stavolta gli indizi forniti
erano … assurdi.
Non gli restò che
sospirare,
vinto. “Delle possessioni comunque se ne occupano quelli la
Sezione Spiriti.”
Si limitò a dire. “Mi pare di ricordare che
tengano un Catalogo delle
Apparizioni …”
Jordan fece una smorfia perplessa. “Se ci fosse qualche
Entità Extracorporea
aggressiva a Diagon Alley lo saprebbero prima di noi, anzi, sarebbero
già qui.”
“Sì,
svegli come sono!” Lo
apostrofò James sbuffando. “Secondo me se
c’è qualche fantasma incazzato in
giro per Londra sono gli ultimi a
saperlo!”
“Ragazzi, non date il via alla scopa prima di esserci
saliti.” Li riportò
all’ordine Flannery. “Credo che una possessione sia
improbabile, la locanda non
è infestata. La cosa migliore è verificare di
persona senza abbassare la
guardia.” Sorrise all’aria imbarazzata dei tre.
“Forza, stanza diciannove?
Conosciamo la strada.” Fece cenno a Tom e alle due donne di
servizio di
rimanere dov’erano e salì le scale, presto imitato
dai tre giovani Auror.
“Se non
è una possessione cosa
può essere?” Scorpius fu così
apostrofato da Bobby, tra di loro il più propenso
a mettersi in discussione. Non gliene sarebbe mai stato grato
abbastanza.
Tra
me e Potty facciamo a gara per chi è più
Primadonna
… Lui, per inciso.
“Sempre che sia
vero quel che
ci ha detto quella là.” Sbuffò James
tamburellando con le dita sul fodero,
l’impazienza fatta Auror. “Lo sai come son fatte le
donne. Suggestionabili.”
“Se ti sentissero quelle valchirie delle tue cugine ti
toglierebbero la pelle
dal sedere a furia di maledizioni, Jimmy. Per non parlare di tua
sorella.”
Ghignò il ragazzo di colore, dandogli una spallata.
“Non ci diventare misogino,
eh!”
“Miso … che?”
“È
strano…” Meditò Scorpius
osservando la schiena enorme e silenziosa del Sergente. Nonostante
avesse
mostrato calma e sicurezza di fronte agli spaventati locandieri, alla
fine
della storia gli era sembrato persino più confuso di loro.
“… ma se è Magia
Oscura è roba brutta. Ve lo ricordate no, a lezione, quando
dicevano che se un
Mago perde le caratteristiche umane vuol dire che ormai è
andato oltre il punto
di non ritorno?”
“Sei tu il
secchione, mica
io.” Replicò James scrocchiandosi il collo, ma si
rabbuiò leggermente. “Però
questa lezione me la ricordo. Roba da brividi.”
“Io direi che stasera una bevuta al Finnigan’s non
ce la toglie nessuno.”
Borbottò Jordan controllando per l’ennesima volta
che la fondina fosse al posto
giusto e debitamente pronta ad estrarre la bacchetta.
“Cazzo, mi son
scordato il
regalo per i gemelli!” James abbassò la voce, dato
che erano ormai vicini alla stanza incriminata. “Vabbeh, mi aggrego a Albie o Lils.”
“Al non te lo lascerà fare e Lily potrebbe regalar
loro qualcosa di osceno. Ti
conviene sul serio?” Ridacchiò Bobby.
“Dai, nessun problema Jimmy, lo fai con
me e Janet.”
“Sei un
amico!”
“Ragazzi,
silenzio.” Li
richiamò Flannery. A volte sembrava che il
buon’uomo li considerasse come una
cucciolata di labrador festosa ed agitata. Perlomeno, era quello il
modo in cui
li trattava.
Non
posso dargli tutti i torti…
“Bacchette alla
mano.” Li
istruì e poi fece cenno a James, il più rapido in
attacco, di nascondersi
dietro uno dei due stipiti della porta, mentre lui faceva lo stesso.
“Malfoy,
Jordan, copriteci le spalle.” Si schiarì la voce e
poi esplose nel tono
stentoreo per cui era famoso in tutto l’ufficio.
“Sam Howe!” Esclamò. “Sono
l’Auror Liam Flannery, apra questa porta!” Non vi
fu risposta. “Howe, in nome
del Ministero della Magia Inglese sono autorizzato ad aprirla anche
senza il
suo consenso. Se non è intenzionato si faccia indietro e
getti a terra la
bacchetta!”
Stavolta qualcosa
cambiò: vi
fu un forte tramestio, come se l’occupante della stanza
tentasse di nascondersi
… o fuggire.
“Potter,
ora!” Sbottò il
sergente, forse pensando la stessa cosa. James non se lo fece ripete:
lanciò un
Confringo – ormai
quell’incantesimo
era diventato il suo marchio di fabbrica – che fece esplodere
la porta con
precisione netta, tanto che cadde dai cardini senza seminare una sola
scheggia.
“Dentro!”
Scorpius si lanciò dietro i mantelli svolazzanti dei due e
tossì all’odore acre
che lo investì. “Ma cos’è
morto…” Non fece in tempo a formulare la domanda
che
vide cosa, o meglio chi emetteva
quell’odore nauseabondo di decomposizione.
Era Sam Howe. Alla luce
lasciata entrare dalla porta era ben visibile, riparato dietro il
letto.
“Porca
Morgana…” Sussurrò
Bobby, che non era incline ad imprecare. Di solito.
La pelle chiazzata da un
reticolo di vene gonfie, gli occhi bianchi – non erano
rovesciati all’indietro
come aveva supposto la cameriera, la pupilla proprio non
c’era! - e l’odore di
cadavere.
È
un Infero?
Scorpius si trovò
nella
scomoda posizione di volersela dare a gambe, e non credeva di essere
l’unico a
giudicare da come tutti gli altri si erano congelati nelle loro
posizioni,
fissando la creatura che fissava
loro
di rimando.
Cosa
… che diavolo è?
La stasi fu rotta proprio da
quest’ultimo. Con un sibilo si lanciò oltre il
letto, verso James. Questo
rinculò immediatamente, lanciando uno Schiantesimo dei suoi,
potenti e precisi
come un colpo di pistola.
Non servì a nulla.
O meglio, il colpo lo prese
in
pieno ma una sorta di scudo si materializzò direttamente
dalla pelle dell’uomo,
come un bolla
gassosa priva di una forma
definita.
Merda!
Scorpius
lo pensava solo quando la
situazione lo richiedeva, che ricordava bene l’educazione
ricevuta.
Lo pensò moltissimo.
Howe, o quel che rimaneva di
lui, aveva ormai puntato James con una tenacia che aveva del
sovrannaturale e
Scorpius si trovò a colpirlo più volte insieme
agli altri, sebbene questo non
si difendesse, non tentava neppure di levare la bacchetta, sempre che
ne avesse
una. Avanzava soltanto, e e verso James con quella che sembrava proprio
bava
alla bocca.
Potty
manicaretto?
Li fece arrivare alla porta
prima che il Sergente spintonasse il moro a lato e tentasse
l’ennesimo
Stupeficium. Stavolta funzionò perché finalmente
la Cosa – chiamarlo mago era
assurdo – fermò la sua corsa. Si bloccò
e poi, sotto i loro sguardi si sgretolò.
Si sgretolò come
avrebbe fatto
una statua di gesso, dapprima crepandosi, poi crollando in una cascata
di
cenere.
Rimasero in silenzio un paio
di attimi buoni, prima che James parlasse. “Cosa diavolo era?!”
Sussurrò pallido come la morte. “Cazzo, sembrava
avercela solo con me!” Fece una pausa.
“Perché sempre a
me?”
Scorpius capì che
era giunto
il momento di sdrammatizzare. Con il lavoro che facevano
c’era sempre bisogno
di una sana dose di coglionaggine
–
almeno così la chiamava Rosie – per non avere gli
incubi ogni notte. Gli si
avvicinò tirandogli un consolatorio ma virile schiaffo sulla
nuca. “Piantala di
fare l’egocentrico!” Esordì.
“Sarà stato per via della tua Magia incasinata.
Com’è che ti chiama Dursley?” Lo vide
riprendere colore e indignazione alla
menzione dell’insopportabile cugino acquisito.
“Luminaria pacchiana del Mondo
Magico? Sei la vittima perfetta per i mostri assurdi!”
Perché
diavolo, sembrava proprio volerti mangiare…
“Ma
vaffanculo.” Masticò
malmostoso, mentre Jordan tentava una risatina, sebbene non
distogliesse lo
sguardo dal mucchio di cenere, quasi dovesse rianimarsi per attaccarli
di nuovo.
Il Sergente Flannery si
avvicinò alla cenere che era stata Sam Howe. Dalla poltiglia
grigiastra di
vestiti e residui organici tirò fuori un orologio da tasca e
un portafoglio.
Effetti personali veri, appartenuti ad una persona che si supponeva
fosse stata
normale. Da quest’ultimo
oggetto estrasse
un foglietto, che lesse. Poi sospirò.
“Non so cosa
diavolo fosse, ma
sappiamo da dove veniva.” Aggrottò le
sopracciglia. “America.”
****
Note:
Più che un prologo, è un capitolo!
Ci siamo quindi. Siamo
ufficialmente nella terza (e ultima, giuro!) parte.
La canzone del capitolo
è
questa
perché se arriva il nuovo album dei Mumford&Sons,
non si può non
utilizzarlo. Punto.
La cover del capitolo e del profilo autore è stata fatta
dalla bravissima Daphne Kerouac.
E ora, le note.
1. West
Smithfield Garden: una rotonda al centro delle direttrici
viarie principali di Smithfield, nella parte nord-ovest di Londra, zona
famosa
per ospitare l’ultimo mercato della carne ancora presente in
città. Si trova nel
distretto (o quartiere?) di Farringdon. Il giardino, una volta sito di
esecuzioni pubbliche (dov’è la statua adesso
c’era il patibolo) è pubblico, con
panchine, alberi. Qui una foto.
2. Devonshire:
una delle tante incongruenze temporali del Mondo
Magico. Devonshire è il modo in cui veniva chiamato il Devon
secoli fa (ovvero
‘Contea di Devon’).
3. Barts:
contrazione dell’ospedale di San Bartolomeo, famoso per aver
avuto trai suoi alunni un certo John Amish Watson, almeno, secondo
Sherlock
Holmes di Doyle. ;)
4. Chizpuffle:
parassiti minuscoli dall’aspetto di un granchio. Si
nutrono di magia, ed è quindi frequente trovarli nelle
bacchette o nella
pelliccia di creature magiche come i Crup. Solitamente sono eliminabili
tramite
pozioni, ma quando si nutrono troppo diventano pervicaci. Motivo onde
per cui
Albus ha dovuto rasarsi. Con i capelli che si ritrova –
ereditati dal padre,
capace di farseli ricrescere in una notte – gli animaletti
sono andati in overdose.
5. Reparto
Thickley: si riferisce al reparto Janus Thickley per i
lungodegenti di Lesioni da Incantesimo. Annovera trai pazienti, oltre
ad
Allock, anche Frank e Alice Paciock.
Infine, alcune precisazioni
doverose.
Precisazioni: Molte delle immagini
usate, linkate e manipolate
non appartengono a me, ma le ho trovate sul web. Chiunque le
rivendicasse, è
pregato di inviarmi un pm, sia se voglia che le ritiri, sia che voglia
essere
creditato. Thanks!
Le canzoni, frasi e
varie
citazioni non appartengono a me, ma a chi le ha ideate.
E per finire, l'impianto dell'intera storia, luoghi, personaggi etc
appartengono a J.K. Rowling, Dio l'abbia in Gloria.
Considero questa
storia una sorta di ‘tributo’
alla sua opera, niente più che il lavoro di una fan.
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