Capitolo I
So when you look
in the mirror
Reflecting back at you someone that you don't
know
Oh, that's just made your head spin around
(Same
Jeans, The View)
Inghilterra,
Londra, Ministero della Magia, Secondo Piano.
Dipartimento
Applicazione della Legge sulla Magia, Ufficio
Auror
Pomeriggio.
“Davvero dobbiamo
fare
rapporto a quei rompipalle di Cooperazione? Maddai!”
Scorpius alzò gli
occhi al
cielo suggendo la dose quotidiana, quanto necessaria, di Prince
of Wales. Dato che gli era precluso il caffè da
quando aveva
ricordo – ti rende troppo
eccitabile, non
pensarci neppure – la chiusura di una giornata
lavorativa almeno per lui si
concretizzava con lo scolarsi mezzo litro di the mentre Bobby e James
si
ingozzavano di malvagia caffeina.
Secondo
me dovrebbero proibirlo anche a Potty. Lo rende
nevrotico.
“È la
procedura, ragazzo.”
Replicò Flannery mentre riguardava il rapporto stilato da
quest’ultimo. Erano tre
anni che il buon irlandese affidava quel compito a James, nel tentativo
di insegnarglielo.
Fallendo miseramente ogni volta. Tirò l’ennesimo
frego su una frase sballata e
lasciò che l’inchiostro magico la cancellasse
prima di riscriverla da capo.
“Ogni morte riguardante un mago non-inglese va segnalata
all’Ufficio
Internazionale della Legge Magica.” Spiegò
paziente. “Spediamo loro un rapporto
e aspettiamo che dall’altra parte dell’Oceano
mandino un agente che ci starà
trai piedi per qualche giorno, si prenderà una copia di
tutto e alla fine si
porterà via la salma. Procedura, come vi ho
detto.” Ripeté.
“Sì,
però quel che è successo
non era la solita procedura.” Si inserì Bobby
fissando il fondo scuro della
propria tazza. “Quel tipo, Howe … insomma sembrava
… Non abbiamo ancora capito
cosa diavolo avesse, no?”
“Prima aspettiamo il referto dal San Mungo, poi vedremo come
muoverci.”
Consigliò saggiamente il sergente, firmando il rapporto e
passandolo a James
che lo chiuse in una cartellina su cui colò ceralacca e
impresse il sigillo del
Dipartimento.
“Fatto!”
Esclamò con aria
palesemente sollevata. Era rimasto in silenzio per tutto il tragitto
verso il
Ministero e Scorpius non aveva potuto biasimarlo. Rischiare la vita era
qualcosa che si doveva mettere in conto quando si prendeva
quell’uniforme, ma
constatarlo era sempre poco piacevole. “Comunque secondo me
al San Mungo lo
troveranno pieno di schifezze oscure fino ai capelli e buonanotte.
È morto,
certo non può più far danno a nessuno!”
Scorpius non disse nulla;
aveva pensato e ripensato all’episodio di quella mattina, a
pranzo come durante
un sopralluogo di rito a Notturn Alley.
Come
diavolo ha fatto a rimanere in piedi per tutto
quel tempo? Gli abbiamo scaricato addosso qualcosa come una cinquantina
di
schiantesimi! Senza contare gli occhi … e la faccia. E la
puzza di morto.
Che
diavolo aveva fatto per combinarsi in quel modo?
“Jordan, porta le
prove in
archivio.” L’irlandese si stiracchiò con
uno sbadiglio. “E controlla che le
cataloghino nel modo giusto. Alle volte fan fatica a trovarsi il sedere
con le
mani, là dentro.”
“Un orologio da tasca, un portamonete con soldi di taglio
misto e una ricevuta
per una passaporta da Phoenix, Arizona per Inghilterra, Londra.
Ricevuto,
sergente.” Snocciolò questo con un sorriso. Era
famosa la puntualità con cui
riusciva a elencare, prendere appunti e fare interrogatori. A detta di
James era
una cosa che aveva fin dai tempi di Hogwarts.
Quest’ultimo si
dondolò sulla
sedia che Scorpius aveva avuto la magnanimità di ridargli a
fine giornata. “Viene
con noi al Finnigan’s stasera?” Chiese
all’auror più anziano. “È il
compleanno
di due nostri amici, ci facciamo un paio di Whiskey
incendiari!”
Il mago
ridacchiò. “No,
ragazzi … bevetene uno anche per me, io torno a casa, sono a
pezzi.” Sospirò,
alzandosi in piedi. “Comincio a non avere più
l’età per l’azione.”
“Ma se ha solo quarant’anni!” Rise James.
“Non
vorrà finire a fare il timbracarte come mio
padre spero!”
Flannery gli rifilò uno scappellotto sulla nuca.
“Il capo ha avuto più cervello
di me e te messi assieme, Potter. Dietro una scrivania ci si
annoierà pure, ma
almeno si rimane interi.” Si voltò poi nella sua
direzione. “Mi raccomando
Malfoy, quel rapporto dev’essere giù alla
Cooperazione entro stasera, mi affido
a te.”
“Sissignore!” Proclamò allegramente,
strappandolo di mano all’amico. “Lo
difenderò con il mio corpo dalle zampe sgrammaticate di
Potter!”
****
Ministero
della magia, Quinto Piano
Dipartimento di Cooperazione Magica Internazionale, Ufficio
Internazionale
della Legge Magica
Ora
di cena.
Michel Zabini si massaggiò le tempie, notando come la mole
di carte ufficiali,
relazioni e promemoria non fosse calato che di pochi centimetri
dall’inizio
della giornata.
Certo,
perché per quanto smaltivo, inevitabilmente
arrivava altro.
Non era stata una buona
giornata.
Occhieggiò la
pendola di
fronte alla sua scrivania e constatò sconfortato come anche
quel giorno avesse
accumulato ore di lavoro in più. Non che avesse importanza
nel dedalo dipinto
di bianco che era diventato la sua seconda casa. Gli orari erano
flessibili,
quanto erano inflessibili coloro che li redigevano.
E
che importanza ha se Michel Zabini, funzionario di
terzo livello, rimane oltre l’orario d’ufficio?
Nessuna.
Avere quel posto di lavoro
era
stato facile, certo. Era bastato avere la raccomandazione giusta, nel
suo caso
incarnata nella persona di suo padre, Blaise Zabini, vice-direttore, a
pari
livello con Lord Draco.
Il problema era un altro:
salire
di grado. Per farlo si doveva sgomitare e calpestare e in generale,
combattere
con la sottigliezza delle parole.
Non
che questo per me abbia mai rappresentato un
problema. Non è questo il punto.
Alla sua entrata aveva
progettato di compiere quel cursum
honorum in cinque anni, ma quei cinque erano arrivati e
stavano passando
senza che nulla fosse cambiato.
Non
cambierà nulla finché mio padre si
rifiuterà di
perorare una mia promozione.
I motivi erano sempre i
soliti.
‘Non
sei ancora pronto, Michel. Abbi pazienza, fa’
esperienza. Sei giovane, hai tempo.’
Non
sarò giovane per sempre … e comunque
l’esperienza è
solo una scusa.
Come
se non l’avessi capito. Come se non sapessi perché
ritieni sia giusto abbia una posizione di rilievo ma non abbastanza in
alto da farmi notare.
È
lo stesso, identico motivo per cui ho sempre e solo
partecipato ai ricevimenti ufficiali al Ministero, gli unici in cui non
potevi
non portarmi.
Chiuse gli occhi, sentendo
un
principio di emicrania mandargli fitte lungo le tempie e la fronte; non
vedeva
l’ora di salire in superficie e respirare un po’ di
aria fresca.
È
giovedì. Giovedì vuol dire Londra babbana, Soho,
discoteche. Ragazzi.
L’unica nota
stonata di quella
serata era il compleanno dei gemelli Finnigan, amici di Al, a cui
avrebbe
dovuto fare una comparsata. Per fortuna solo un paio d’ore,
quelle sufficienti
a prendere l’amico e portarlo verso una serata più
stimolante.
Devo
ricordarmi di avvertire Mael per dirgli che faremo
tardi … Anche se troverà il modo di lamentarsi
comunque.
Fece l’ennesimo
sospiro e
allungò la mano verso l’ennesima pratica.
“Ehilà!”
La sua collega di stanza
sfarfallò le ciglia chilometriche – dannato
mascara magico, faceva più danni
della grandine – quando Scorpius
‘Esaltato’ Malfoy entrò fornito di
uniforme e
sorriso abbagliante.
“Sy.” Lo
salutò neutro. “Anche
se hai un aspetto splendido devi comunque pulirti le scarpe dal fango
della
strada. Nessuna eccezione. Questo è un ufficio, non la
stalla in cui lavori.”
“Sempre delizioso!” Sghignazzò,
salutando poi con un cenno allegro e del tutto
disinteressato la strega. “Salve Hilary.” Come
riuscisse a ricordare il nome di
ogni singola creatura incrociasse sul suo cammino per Michel sarebbe
sempre rimasto
un mistero. “Come sta tuo marito? Clint?”
Anche
il marito. Notevole.
“Bene, caro, bene
… Una tazza
di the?”
Una
sveltina? Morgana, donna, abbi un po’ di decenza.
“No, sono solo di
passaggio,
ti ringrazio.” Si sedette di fronte alla sua scrivania
slacciandosi i primi
bottoni dell’uniforme, ignorando del tutto
l’occhiata lasciva che gli venne
lanciata.
E
non da me.
Era sconfortante notare come
l’altro non calcolasse minimamente l’universo
femminile da quando aveva avuto
la disgraziata idea di accoppiarsi con la Weasley.
Sul
serio? Eri un dongiovanni notevole, mio Sy, e ti
sei trasformato in un devoto cagnolino…
“Con le tue doti
da
investigatore sopraffino avrai sicuramente dedotto che ho da
fare.” Con la
piuma indicò la mole minacciosa di carta pergamenata tra di
loro. “Perché non
vai a disturbare tuo padre? È a solo due uffici da
qui.”
“Oh, lo sai com’è fatto, odia vedermi in
uniforme. Gli ricorda che lavoro
faccio.” Sorrise svagato afferrando la targa con il suo nome
e facendola
levitare con la bacchetta. “Che fai di bello? Andiamo a farci
una birra? In
questa bara bianca avete una caffetteria? E una mensa? Vendono
Burrobirre?”
Sparò in rapida successione.
“Scorpius.”
Interagire con l’amico di infanzia era sempre stato come
tentare di sedare un bambino strafatto di Piume di Zucchero. Ci voleva
polso.
Afferrò la targa e la rimise al suo posto. “Posso
sapere il motivo della tua
visita?”
L’altro fece una
smorfietta.
“Non sei mai contento quando ti vengo a trovare …
Scommetto che se fossi il
mini-Potter saresti molto
più
gentile.”
Michel provò il fortissimo impulso di conficcargli la punta
della piuma nel
bulbo oculare, ma si contenne egregiamente.
“Scorpius.” Ripeté con un sorriso
urbano lisciandosi il risvolto dei polsini. Odiava quando per
l’irritazione
finiva per sgualcirsi la giacca. “Ti posso assicurare che i
miei anni come
Capitano del Club dei Duellanti non sono finiti nel dimenticatoio
quindi, a
meno che tu non voglia uscire di qui privo di testicoli, ti consiglio
di venire
al sodo.”
L’altro gli lanciò un’occhiata attenta.
“Oggi siamo di cattivo umore…”
“Felice che tu te ne sia reso conto.”
“Bastava dirlo subito!” Roteò gli occhi
al cielo, tirando fuori dal mantello un
plico di carta bollata. “Per te!”
Un altro.
Fantastico.
Davvero fantastico.
“Dall’ufficio
Auror. Mago
americano, mago stecchito.” Snocciolò con
disinvoltura, ma con un lampo nello
sguardo che Michel registrò con curiosità. Era
preoccupazione? Non dispiacere,
Scorpius riusciva piuttosto bene a separare il lavoro dalle sue
emozioni.
Come
tutti i Malfoy del resto. Lui è solo più
rumoroso,
tutto qui.
Sfogliò il
rapporto
sommariamente. Era scritto da cani, sia per via della grafia che per le
tante
cancellature da piuma correttiva. Fece una smorfia doverosamente
disgustata
prima di posarlo in cima alla pila. “Fammi indovinare,
l’ha scritto Potter.”
“È già tanto che non ci si sia soffiato
il naso!” Esclamò tutto allegro.
“Vabbeh,
facci sapere quando arriva l’agente americano per ficcanasare
okay?”
“Procedure di cooperazione delicatissime riassunte in una
sola, rozza frase.
Complimenti Malfoy, sei diventato una testa di bacchetta a tutti gli
effetti.”
“Grazie!” Si alzò in piedi, battendo le
nocche sulla scrivania. “Mi raccomando
Mike, è prioritario.” Soggiunse mentre la
sfumatura del sorriso cambiava. Vi
lesse un’implicita raccomandazione e maledì la
facilità con cui quella ridicola
accozzaglia di bestioni in mantello rosso si muoveva tra le maglie
della
giustizia magica.
Il
loro occhialuto capo in primis.
Lord
Malfoy ha ragione ad odiarlo a morte.
Calpestano
le regole come una mandria di Centauri, e
noi della Cooperazione dobbiamo aggiustare i cocci. O, preventivamente,
cercare
di non farglieli rompere.
“So benissimo come
funziona.”
Replicò acido con l’emicrania che ormai pulsava a
ritmo della sua irritazione.
Era in giorni come quello
che Hogwarts
gli mancava terribilmente: la spensieratezza, le lezioni semplici, e la
lontananza da qualsivoglia decisione o responsabilità.
Incredibile
come in un posto che esigeva l’uniforme e
l’uniformità di pensiero mi sentissi
più libero che qui, come adulto.
“Ehi
Mike…” L’espressione di
Scorpius si era fatta seria. Era sempre strano vederlo senza uno
sciocco
sorriso stampato in faccia. “Va tutto bene? Hai una
faccia…”
“Sì,
certo.” Solo uno come Malfoy
poteva fare domande del genere sul posto di lavoro e pensare di
ottenere una
risposta sincera. “Andrebbe ancor meglio se mi lasciassi
tornare ai miei
compiti.”
L’altro fece una
smorfia.
“Okay, umore pessimo,
ricevuto.” Sorrise
di nuovo, perché era Sy e
non poteva
farne a meno. “Ti vediamo stasera al
Finnigan’s?”
“Certo.” Sorrise suo malgrado. Nonostante si stesse
trasformando in un
cavernicolo privo di cervello il ragazzo di fronte a lui rimaneva
comunque la
prima persona che gli era stata amica, per quanto imposta dal volere
genitoriale.
Ma
nessuno mi ha imposto di essergli amico sul serio.
“Vedi di non
sparire subito
però!” Soggiunse. “Violet non ti vede da
mesi, mi ha detto, e stasera ci sarà. Abitare
tutti e due a Londra, com’è possibile che non
riusciate mai a beccarvi per un
drink?”
Perchè dovremo? Non credo gli
manchi
qualcuno con cui trascorrere del tempo.
Non
manca a lei, come non manca a te, ad Albus o
chiunque altro delle persone che conosco a parte Loki.
Non
che Loki sia un tipo da relazione stabile … e non
che lo sia io.
“Va bene, ora
va’ o rischi di
non vedermi davvero stasera.” Lo scacciò con un
cenno della mano. L’altro
ridacchiò, guardandolo con aperto affetto. Si sentiva
meschino quando lo
guardava così, perché era in momenti come quello
che lo detestava.
Ha
un lavoro che ama, è felice della posizione che
ricopre e sta per sposarsi. E vuole
sposarsi.
Come
ci riesce?
Era quel genere di domanda a
cui uno come lui non avrebbe mai avuto risposta.
****
Londra,
Diagon Alley
Appartamento
di Albus Severus Potter e Thomas Dursley
“Ah, sei
qui!”
Non pervenne risposta, ma Al sapeva benissimo che la testa nera che
spuntava
dal divano Chesterfield era quella di Thomas Dursley, al secolo Tom,
suo
ragazzo e divoratore estremo di libri vista la pila nutrita posizionata
pericolosamente sul bracciolo.
Varcò il piccolo ingresso che faceva ambiente unico con il
salotto, liberandosi
della tracolla e del mantello. Era stata una giornata relativamente
buona.
Pochi pazienti e Smeth si era limitato a cercare di metterlo in
difficoltà con una
raffica di domande su un caso anomalo di Nausea da Smaterializzazione.
Certo
potrebbe anche cominciare a realizzare che non
sono un raccomandato… Sono due anni che lavoro sotto di lui!
Diede una carezza distratta
a Zorba,
il gatto di casa, che oltre ad esibire un muso schiacciato –
secondo la strega
che glielo aveva venduto, una certa Figg, era un mezzo Kneazle
– aveva una
fedeltà devota al suo coinquilino che si manifestava nel
stargli sempre nelle immediate
vicinanze. Quasi a sposare quel suo pensiero il felino saltò
in grembo al suddetto
che si limitò ad una carezza distratta in cambio di fusa
appassionate.
L’altro
gatto di casa. Il capobranco.
“Hai staccato
prima?” Tentò di
nuovo, ottenendo stavolta una specie di brontolio. Vista che la
conversazione
non partiva Albus si spostò in cucina e mise il bollitore
per il the, togliendo
dalla dispensa pane e roast-beef per un pasto leggero in previsione
dell’abbuffata alcolica al Finnigan’s.
Tornò poi in salotto, controllando che
il lucernario che dava luminosità all’intero
ambiente fosse chiuso: sia lui che
Tom lo dimenticavano sempre aperto, con il rischio di allagare la casa
negli
infiniti giorni di pioggia che bagnavano la gloriosa terra
d’Albione.
E
ora vediamo di farsi dar udienza.
Gli si piazzò di
fronte e notò
che la sopracciglia dell’altro si aggrottarono di colpo.
“Che
leggi?”
“Studio.”
Fu l’irritata
precisazione. “Ciao.” Aggiunse vinto.
Al sorrise, calciando via le
scarpe e aggirando il divano. Si chinò sullo schienale e
baciò la testa
ordinata dell’altro, inspirando odore di cera per bacchette e
shampoo. “Guarda
che finirai per diventare cieco.”
Questo alzò la testa, rivolgendogli un’occhiata
spassionata. “Ti sono passati i
pidocchi?”
Al frenò l’impulso di tirargli uno schiaffo sulla
nuca. “Se sei steso sul
divano, teoricamente infestato dato che ci ho dormito per una settimana, deduco che non te ne
importi granché.”
“Ho letto qualcosa in merito.” Stese un sorrisetto
deliziosamente stronzo. “A
quanto pare è rarissimo che si attacchino ai maghi. La tua
solita sfortuna,
Potter?”
“Stronzo.”
Trovò giusto
notificare, anche se accettò di buon grado lo strattone che
diede alla sua
maglietta e il bacio lento e languido con cui finalmente
gli diede il benvenuto a casa. Sentiva il pizzetto
dell’altro – geometrico, non poteva esser
diversamente – pungergli il mento ma era
piuttosto piacevole – almeno sul viso.
Mmh.
Si però in questa posizione rischio di slogarmi
una vertebra…
Si tirò indietro,
ignorando
l’occhiata scontenta che gli venne rivolta. “Dai,
chiudi quel libro e vieni a
mangiare. Tra mezz’ora dobbiamo essere al
Finnigan’s!”
Tom si adombrò,
mettendo su
una smorfia che poteva essere solo classificata come broncio. Davvero
non
capiva come Rose e gli altri la considerassero inquietante.
“Ti ho già detto
che non ci vengo.”
“Ed io ti ho già detto che non hai scelta.
È il compleanno dei gemelli e ti
hanno invitato. E poi stasera suona il gruppo di Meike, non vuoi farla
rimaner
male, vero?”
“Meike e Louis hanno in programma di fare almeno altri dieci
concerti entro la
fine dell’estate. Non posso partecipare a tutti e lei lo
sa.” Fu la
preparatissima risposta. Avrebbe dovuto immaginare che si fosse
già messo
d’accordo con l’altra per mettersi al riparo da
eventuali recriminazioni.
Dopotutto la piccola tedesca, ormai quasi sedicenne, passava la maggior
parte
delle sue vacanze estive nella loro camera per gli ospiti, tranne
Luglio, mese
dedicato a Putgarten e a sua nonna Cordula.
Mi
hanno battuto sul tempo… Del resto, che dovevo
aspettarmi da due serpeverde?
“Abitiamo
a due case di distanza dal
locale.” Tentò di nuovo.
“E quindi?” Si sistemò meglio sul
divano, con calcolata indolenza. “Tu comunque
lascerai la festa a metà serata per andar dietro a
Zabini.”
“Non vado dietro…” Sospirò,
arrendendosi all’evidenza che la gelosia del suo
ragazzo sarebbe sempre stata parte integrante del loro rapporto. Doveva
ammettere che si conteneva, per quanto poteva.
Ma
sulle uscite serali con Mike proprio non riesce a
frenarsi…
“Guarda che vado
solo a fargli
compagnia e a ballare. E poi c’è anche
Mael.”
“Ovvero il suo amichetto.” Ritorse con un
sorrisetto sarcastico. “Uno dei
tanti, per giunta.”
“Tom…”
“Dovrei esser contento che ogni giovedì torni a
casa ad orari impossibili
perché vai in giro con lui e i suoi compagni di
letto?” Si tirò a sedere di
scatto cacciando così il gatto che si lamentò con
un miagolio ugualmente infastidito.
Andavano in risonanza, quei due.
Al guardò il
proprio ragazzo;
non riusciva a capire come potesse
esser
geloso – e quindi insicuro - e al tempo stesso estremamente
consapevole del proprio
fascino. Persino
con un maglione di un
colore smorto e in pantaloni scuri riusciva ad essere più
affascinante di un
modello di StregaOggi.
E
non si sforza nemmeno, lo stronzo. Di mattina già
è
fighissimo, mentre io sembro una specie di ameba con gli occhi gonfi e
i
capelli a covone di paglia…
Sua
attestazione questa.
“Prima di tutto,
Mael è anche
amico mio.” Si sedette sul ciglio del divano, passandogli una
mano sul fianco e
subendo paziente lo schiaffo con cui venne allontanata.
“… secondo, mi piace
ballare e tu lo detesti. Con chi altro potrei andare?”
“Con Lily, per esempio.”
“Con Lily non posso andare per locali gay.”
Inarcò le sopracciglia. “Cioè potrei,
ma sai quanto è ingestibile. Sarebbe
proprio un bel divertimento passare la serata starle dietro!”
“Almeno non
dovresti
preoccuparti di vederla sparire in bagno in compagnia di
qualcuno.” Replicò
evitando una cuscinata con un movimento allenato della testa.
“Va bene.” Concesse
infine. “Verrò alla festa. Ma torni a casa con
me.”
“Non posso … lo sai che mi sono già
impegnato con Mike.” Gli prese la mano,
intrecciandola forzosamente alla sua visto che veniva divincolata come
un’anguilla. “Ascolta, sta passando un periodaccio
al Ministero e il lavoro lo
stressa molto. Ha bisogno di qualcuno con cui parlare.”
“Compagni di
letto?” Suggerì ironico.
“Servono a questo, no?”
“Servono ad
altro.” Replicò
con un sorriso stanco. Per Mike i ragazzi con cui faceva sesso erano
poco più
di una valvola di sfogo di natura idraulica.
Era esasperante e allo stesso tempo tenero
l’incapacità di Tom di considerare
l’intimità con qualcuno inscindibile dalla
confidenza.
Non
è affatto così nella maggior parte dei casi. Noi
siamo fortunati.
L’altro fece una
smorfia. “Se
non gli piace la vita che fa, la cambi.”
Al sospirò: Tom
non poteva
capire visto che aveva scelto senza interferenze come entrare
nell’età adulta, diventando
l’Apprendista di Rupert Stevens, uno dei pochi Fabbricanti di
Bacchette ancora
operante in Gran Bretagna.
Ha scelto,
ecco il verbo. Mike ha sempre saputo che
avrebbe lavorato con suo padre, fin da quando era un bambino.
È quello che ha
sempre voluto, ma credo che la realtà attuale sia un
po’ diversa da come se
l’era immaginata.
Molto.
“Come sta
Rupert?” Cambiò
discorso e alla faccia scocciata dell’altro
scoppiò a ridere. “Dai, si chiama
così. Sei stato tu a non chiederglielo mai,
poverino!”
“È evidente
che preferisca esser
chiamato per cognome.” Replicò pieno di sussiego e
quindi imbarazzato. “Sta
bene, comunque. Abbiamo in pendenza un ordine da cinquanta bacchette
per
Brooke.” Comunicò con una punta di sadismo dato
che il povero negoziante era
perennemente alla loro porta in attesa di ordini che nel migliore dei
casi
arrivavano in ritardo di mesi.
Poveraccio,
avrà pensato che con un Apprendista la
bottega avrebbe migliorato la velocità del servizio
… Invece da quando c’è Tom
è addirittura peggiorata. È già tanto
se da là esce fuori una bacchetta al mese.
Gli accarezzò il
fianco sotto
il maglione. C’era pelle nuda dato che l’estate
stava cominciando finalmente a
scaldare Londra. Stavolta non si beccò neppure uno schiaffo
o un pizzicotto. “Siete
due irresponsabili.” Ridacchiò. “Un
giorno o l’altro Brooke deciderà di rivolgersi
a qualcun altro.”
“Già lo fa, ma le nostre bacchette sono le
migliori. Le vende a peso d’oro e ci
guadagna il doppio.” Fu la risposta. “Per legni
dozzinali sa che deve
rivolgersi a Kiddell¹.”
Albus non ribatté
perché sotto
sotto era felicissimo che il suo ragazzo avesse trovato un mentore
– checché ne
dicesse, questo Rupert Stevens era per lui. I gemelli Finnigan gli
avevano
raccontato di averli visti più volte passeggiare per Diagon
Alley immersi in
conversazioni di cui si evinceva a stento qualche parola.
Almeno
un mago adulto, oltre a papà e zia Hermione, che
ha la sua stima e fiducia… Non male.
Si chinò su di
lui. “Allora,
vieni? Per favore?” Gli chiese schioccandogli un lieve bacio
sull’angolo delle
labbra. Si era di nuovo abbuffato di marmellata di mirtilli, a
giudicare dal
sapore.
Ah,
ecco perché non ha fame… Lui e la sua dieta
sballata a base di marmellata, caffè, the e qualche
biscotto.
“Solo se posso
andarmene prima
del tempo.” Rispose passandogli un braccio attorno alla vita
e premendoselo
contro. “E solo se saltiamo la cena per fare qualcosa di
più interessante.” Ad
Al non ci volle molto per capire cosa intendesse, non stretto a quel
modo.
Sei un Guaritore … devi evitare che
l’idiota svenga per aver saltato i pasti principali.
Certo
che però se ha tanta
vitalità da certe parti,
tanto debole non dev’essere…
“Smettila di fare
l’educanda
coscienziosa.” Gli venne sussurrato all’orecchio,
in un tono basso e vibrante
che gli mandava scariche di eccitazione dalla colonna vertebrale fino
all’inguine.
Sempre,
da sempre e per sempre.
“Accidenti a
te… Non so
neanche cosa sia un’educanda, ma so che è un
insulto.” Mugugnò facendolo
ridacchiare. “È colpa delle tue fobie da igienista
se è una settimana che…”
“Posso rimediare?” Gli passò le dita
lungo il fondoschiena e lo fece scivolare
a cavalcioni. Al non si lamentò della posizione, come non
avrebbe fatto nessun
ragazzo gay sano di mente.
“Vedi di rimediare
come si
deve.” Ci pensò. “Se svieni dalla fame
però ti ammazzo.”
“Prendo nota.”
****
Londra,
Diagon Alley.
Pub dei gemelli. Sera.
Lily adorava il
Finnigan’s
Wake.
Era un pub irlandese e per
quanto magico,c’era molto delle radici babbane dei due
proprietari. Dalla tv a
schermo piatto che trasmetteva partite di calci e rugby –
sport amatissimi da
Fergus – alle selezioni di alcolici, che variavano da birre stout a Burrobirre aromatizzate.
Era un buon posto in cui
passare la sera. Un posto dove eri sempre certa di trovare un viso
amico e una
consumazione gratis, dove la musica non si fermava neppure con
l’avvicinarsi
dell’orario di chiusura.
In parole povere, era
diventato il ritrovo ufficiale della gioventù magica
londinese. Una gioventù
nata dopo la guerra, che aveva voglia di divertirsi ed era curiosa del
limitrofo mondo Babbano.
Oscillare tra moda babbana e
tradizioni magiche come faceva il Finnigan’s era diventato
quindi un must, e non era quindi
strano trovare
chi rispondeva al cellulare mentre scriveva un messaggio sul proprio
Specchio
Comunicante. Le tuniche erano sparite, in favore di jeans, tacchi e
scarpe da
ginnastica ed era ormai raro trovare qualcuno che non conoscesse gli
Stones o
le ultime tendenze in fatto di London look.
A Lily quel mondo fuori
dall’universo ristretto di Hogwarts piaceva; a volte le
mancava l’aria pulita
delle montagne scozzesi, ma certo non ne rimpiangeva
l’isolamento e la mancanza
di divertimenti.
Sedendosi su uno degli
sgabelli del bancone salutò con un sorriso Gail,
affaccendata a preparare un
cocktail. “Gail!” La salutò.
“Sono la prima ad arrivare?”
“Sono tutti
nell’altra sala …
Lou e il suo gruppo stanno montando gli strumenti.” Le
rispose sporgendosi per
baciarle la guancia. “Ti faccio il solito?”
“Stasera voglio stare leggera, una Burrobirra.”
Stornò facendo scattare la
borsetta e tirando fuori lo specchietto per darsi un’occhiata
sommaria. Gli
incantesimo di Trucco Ventiquattrore erano una manna dal Cielo.
“Comunque non
dovresti essere a festeggiare?”
L’amica si
raccolse i
voluminosi capelli ricci con un elastico che portava al polso in caso
d’emergenza. “Sì, certo, ora lascio
tutto a Stella.” Una delle cameriere. “È
che ci tengo a servire almeno…”
“Guarda che vengo là dietro!” La
minacciò facendola ridere. “Dico sul
serio!”
“Arrivo!” Le assicurò senza tuttavia
smettere di rimestare in zona preparazione
drink. “Tu va’ avanti … Tra parentesi
tuo fratello ha già chiesto due volte di
te.”
“Scommetto Al.” Alzò gli occhi al cielo.
“Ce l’ha nel sangue questa cosa di
fare la chioccia.”
“Vorrei avere io
due fratelli
come i tuoi.” Sbuffò occhieggiando verso la sala
con aria tra il rassegnato e
l’esasperato. “Invece mi ritrovo quello
scansafatiche di Gus. E devo pure
festeggiare con lui!”
“Meglio
scansafatiche che
stalker.” Scrollò le spalle. “Ci manca
solo che Jamie cominci a pedinarmi e poi
siamo a posto.”
“Ora che sei una donna impegnata non si sono un po’
rasserenati?” La prese in
giro.
Lily sorrise, scuotendo la
testa e prendendo la Burrobirra che l’altra le porgeva.
“Penso che rimarrò
sempre una cinquenne incapace ai loro occhi. Persino papà si
fa meno fisime!”
“Il dramma dei
fratelli
maggiori…” Scosse la testa. “Comunque
pensavo venissi con Scott.”
“Difficile quando lui vive nel Somerset ed io nel Devon.
È già arrivato?”
“Certo, sei l’ultima, come al solito.” Le
strizzò l’occhio divertita. “Stavolta
ti sei contenuta però, solo mezz’ora di
ritardo!”
“Ah, la Metropolvere!” Replicò con la
disinvoltura di anni di menzogne innocue.
“Comunque ricevuto, scappo di là, ma non senza di
te.”
“Finito!” Aprì il bancone e la prese
confidenzialmente a braccetto. Poteva,
perché era davvero una delle poche depositarie delle sue
confidenze. Un’amica
vera, per capirsi. Sentiva ancora Aimee e Jane, le due corvonero con
cui aveva
trascorso gli anni scolastici, ma i rapporti si erano molto raffreddati
dopo il
suo personalissimo e apocalittico Quinto Anno.
Si
sono legate al dito il fatto che non abbia voluto
raccontar loro per filo e per segno cosa mi era successo. Carino da
parte
loro.
Abigail al contrario non
aveva
mai preteso, né fatto una singola domanda. Si era solo
assicurata di starle
vicino quando ce n’era bisogno e dal suo punto di vista
questo l’aveva resa più
preziosa del milione di attestazioni di accorata amicizia che le eran
state
rivolte dalle due.
“Buon compleanno, Galway girl.” Le sorrise
stringendo
appena la presa. “Stasera Lou te la canterà come
se non ci fosse un domani!”
“È un ragazzino.” Sbuffò
l’altra arrossendo però sulle guance. Il fascino
Veela
dell’appena diciottenne era un dato di fatto che nessuna
strega poteva negare.
“E poi lo sai come se la prende Hugo.”
“Oh, lo so … il ramo geloso di zio Ron
è tutto suo. Ma a ben pensarci anche
Rosie… Voglio dire, ti ricordi la festa di Natale
dell’anno scorso? Quando è
venuta alle mani con quella ragazza di Manchester che pretendeva un
bacio sotto
il vischio da Malfoy?”
Gail convenne con una risatina. “Abbiamo dovuto separarle io
e Hugo. Poverino,
si è anche preso una fattura!”
“Oh, ma ha avuto
un’infermiera
sollecita…”
“Ma smettila!” Esclamò non riuscendo a
nascondere un sorriso complice. Dopo
cinque anni di tira e molla estenuanti alla fine quel tordo di suo
cugino aveva
imbroccato la strada giusta per il cuore dell’amica e Lily
doveva ammettere che
formavano una coppia carina, per quanto inusuale.
Lei
così concreta e lui sempre con la testa tra le
nuvole … Però funzionano.
Immerse nella conversazione,
lei e Gail entrarono così nella seconda e ultima sala del
locale; era più
grande e illuminata rispetto alla prima grazie
all’illuminazione elettrica –
l’impianto l’aveva montato Hugo. In fondo, davanti
ad una parete coperta di
vetrate colorate, c’era il palco, una semplice e spartana
pedana rialzata.
La sala era già
piena,
constatò Lily, intravedendo tra la selva di teste
multicolore la sagoma
familiare dei fratelli e quella alta e allampanata di Tom,
l’uomo capace di
vestirsi solo in colori cimiteriali. In fondo Louis, Meike e il loro
batterista
stavano facendo il sound-check. I
Banshees, ufficialmente fondati dall’anglo-francese erano
stati invece ufficiosamente
portati alla ribalta dalla tedesca che da brava serpeverde –
ricordava ancora
il trionfo dipinto sul volto di Tom alla notizia dello Smistamento,
anni prima
– era riuscita a toglierli dalla massa di gruppetti
amatoriali e fin troppo
legati al wrock per farli approdare fino alle frequenze di Radio Strega
Network.
È
venuto fuori che fare canzoni che parlano d’amore
invece che di pozioni e calderoni paga molto di più.
Del
resto chi meglio di una ragazza nata e cresciuta
con i Babbani può saperlo?
Senza
contare tutta l’influenza di quell’autistico
musicale di Tommy…
“Scott dovrebbe
essere qui in
giro.” La avvertì Gail prima di fare un sorriso
luminoso ad Hugo venuto ad
accoglierle come al solito spettinatissimo e dall’aria
imbronciata.
“Ohi, stavo per
venire a
prenderti, stanno per iniziare.” Borbottò facendo
un cenno anche a lei.
“Ci ho pensato io
a portartela
Gogo, contento?” Ghignò facendolo arrossire mentre
scoccava un bacio impacciato
alla propria ragazza. “Falla divertire stasera e soprattutto
tienila lontana
dal bancone, a meno che non sia per versarsi da bere!”
“Lils!” Rise questa dandole una spintarella.
“Va’ a cercare il tuo ragazzo
prima di combinare qualche guaio!”
“Oh, come se cambiasse la solfa!”
“Beh,
spero proprio che la cambi!”
Lily si voltò in direzione della voce maschile che
l’aveva richiamata
all’ordine. Sorrise al giovane uomo in maglione e camicia che
le sorrideva di
rimando.
“Chi è
questo esempio fulgido
di bravo ragazzo?” Replicò scherzosa.
“Aspetta, mi è familiare…”
Questo inarcò le sopracciglia. “Ti do un indizio,
è il ragazzo che ti chiederà
di ballare stasera.” Replicò avvicinandolesi e
passandole le mani attorno alla
vita.
Scott
Ross. Il mio ragazzo.
Si alzò in punta
di piedi per
baciarlo languidamente. Le piaceva come ogni volta l’altro
facesse del suo
meglio per chinarsi data la differenza d’altezza.
Oh,
ci sono molte cose che mi piacciono di lui…
“Buonasera.”
Lo salutò
passandogli le mani lungo le spalle. “Mi hai aspettato
molto?”
“Il tempo di un
paio di birre
e un po’ di minacce da parte di tuo fratello. James
ovviamente.” Fu la replica
pacata. “Il solito direi.”
Lily alzò gli occhi al cielo: per quanto Scott incarnasse le
qualità più nobili
di un mago (era stato persino un tassorosso come Teddy!) suo fratello
maggiore
non perdeva l’occasione per investirlo di frecciatine.
Lo
frequento da sei mesi e son sei mesi che porta sfiga
perché ci molliamo.
“Ho preso un
tavolo e spero
non ti dispiacerà se è lontano da quello dei tuoi
fratelli.” La prese per mano
e la riparò da un’orda di amici di Gus in cerca di
sistemazione. “Senza offesa,
ma mi danno angoscia.”
“Nessuna intesa ed hai fatto benissimo. Andrò a
salutarli dopo.”
Scott era il suo ragazzo. Lo era sul
serio anche se era la prima a trovare quella situazione
sorprendente. Aveva
passato cinque anni senza un solo legame e nessuna delle sue storielle
era
sopravvissuta a qualche settimana. Poi era arrivato Scott. Scott che,
come
urlavano nome e cognome, era scozzese dalla punta delle scarpe fino a
quella
dei capelli castano-rossicci. Scott che aveva un accento adorabile e
che le
ricordava terribilmente la professoressa McGrannitt, di cui peraltro
era nipote
alla lontana.
“Burrobirra?”
Le chiese
strappandola ai suoi pensieri. “Zenzero, cannella?”
“Zenzero.” Decise distratta.
“È questo il punto in cui dovrei chiederti
com’è
andata al lavoro?”
L’altro
ridacchiò facendo
guizzare gli occhi chiari. Aveva sempre l’aria di un bambino
quando era
divertito. “Immagino che dovrei risponderti nulla di nuovo.
La vita di un
archivista del Ministero non è piena d’emozioni,
il massimo che può accadermi è
che mi cada in testa una scansia.”
“Molto sexy.” Gli assicurò con aria
serissima, facendolo ridere di nuovo.
“Zenzero comunque.”
“Arriva!” Replicò alzandosi in piedi e
inserendosi nella calca.
L’aveva conosciuto
proprio
grazie alla vecchia professoressa. Minerva – ehi, aveva il
suo consenso a
chiamarla per nome – aveva concluso l’anno
scolastico come promesso ma poi era
tornata a casa, nella sua sperduta Caithness.
Lei non l’aveva dimenticata. Non aveva potuto quando la donna
aveva passato il
suo anno di supplenza a vigilare su di lei nel pre e sopratutto nel post.
Ero
proprio incasinata in quel periodo…
Ritornare ad Hogwarts dopo
gli
eventi trascorsi era stato tremendo. Si era sentita smarrita, confusa e
soprattutto
arrabbiata perché tutti sembravano vivere una vita aliena
alla sua – Tom aveva
fatto del suo meglio per starle vicino come promesso, ma era Tom. Minerva l’aveva aiutata,
anche solo
chiamandola nel suo ufficio per offrirle una tazza di the e dei
biscotti di
tanto in tanto.
Però
sempre quando la notte prima l’avevo passata a fissare
il soffitto per paura di addormentarmi.
Quando se n’era
andata per far
posto ad una nuova, giovane insegnante di Trasfigurazione, Lily non
aveva fatto
trascorrere molto tempo prima di scriverle e ancor meno per andare a
trovarla.
Se le prime volte
l’anziana
strega si era lamentata delle sue improvvisate, alla fine si era
rassegnata ad
averla per casa nel fine settimana dedicato ad Hogsmeade.
E
sotto sotto son convinta che sia stata felice di ricevermi
… Checché brontolasse.
Era durante una delle visite
a
Minerva che aveva incontrato Scott, allora appena entrato al Ministero
dopo un
periodo trascorso da parenti in Australia.
Non era stato amore a prima
vista, né alla seconda. In effetti la loro storia aveva
avuto una progressione
piuttosto classica: partita con un caffè era proseguita con
un paio di cene e
la visione di una rassegna cinematografica sull’Asia
– il cinema era una
passione che condividevano entrambi.
Scott aveva tentato la prima
mossa solo dopo aver chiarito le sue intenzioni, con una decisione
così
serafica che Lily non aveva semplicemente potuto dire di no.
Se
gli avessi detto di no l’avrebbe accettato. Avrebbe
continuato tranquillamente ad essere mio amico.
Niente
complicazioni. Me l’ha solo chiesto per sapere
se era possibile.
Era stato questo a
conquistarla.
Scott era pulito.
Non aveva mai dovuto usare il suo essere LeNa con lui,
perché le bastava guardarlo per capire cosa gli passava per
la testa.
E
poi ha un gran bel sedere.
Per questo quella storia si
declinava in mesi e non in settimane.
Sentì il ragazzo
tornare e
baciarle la sommità della testa. “Ecco
qua.” Le porse la Burrobirra bollente.
“A te invece com’è andata?”
“Sono stata da
Frank e Alice,
per quanto Gilderoy mi permettesse di parlar con
loro…” Sbuffò divertita. Una
visita al reparto Thickley era parte integrante della sua routine
universitaria, studiando Psicomagia.
“Non ha tutti i
torti ad esser
geloso delle attenzioni di una bella ragazza.” Le
strizzò l’occhio. “Sei o non
sei la sua preferita, tra le studentesse?”
“È ovvio, sarà pure senza memoria, ma
ha buon gusto!” Risero insieme prima di
scambiarsi un doveroso e gustoso bacio.
Scott si staccò,
occhieggiando
il palco quando udì le prime note. Era un fan piuttosto
accanito della nuova
corrente musicale magica che andava sotto il nome di Brock
– banalmente, Rock Babbano – rappresentata dai
Banshees e
altri gruppi sui generis.
When we were younger we thought
everyone was on our side
Then we grew a little bit and romanticized the time I saw flowers in
your hair
Lily si perse con piacere
nelle melodie semplici ma accattivanti– nonostante il nome
minaccioso, facevano
musica essenzialmente romantica. Louis aveva una bella voce e quando
cantava
quel suo buffo accento francese spariva del tutto. Ricambiò
l’occhiolino di
Meike, che data la versione acustica del brano suonava il violoncello,
e poi si
guardò attorno. Riconobbe nella folla un paio di visi
conosciuti e rise
dell’aria palesemente frustrata di Tom, costretto a dividere
il tavolo con Al e
Zabini.
Era una buona, tranquilla
serata.
“Jamie, potresti
smetterla di
guardare male Scott? Lo metti a disagio!”
Il suo ragazzo fece una smorfia maledettamente incline al broncio,
incrociando
le braccia al petto. “Tanto mica mi vede … si
è nascosto tra la folla, quel
furbo!”
“Non si è nascosto, sta cercando di evitare il
conflitto.” Sospirò con uno dei
suoi sospiri più pazienti. “Più che
furbo lo definirei ragionevole.”
“Voi di Tassorosso fate sempre comunella!”
Il quasi-ormai-trentenne Ted Lupin fece un lieve sorriso, ormai vinto
all’evidenza che la persona con cui divideva casa e vita era
irragionevole come
un mulo, e come tale andava dunque trattato.
Carota,
più che bastone…
Gli accarezzò una
gamba, conciliante.
“Non è questione di essere stato un
tassorosso.” Anche se certo, era
un’incidenza curiosa. “Il punto è che fa
bene a Lily e non puoi negarlo. Da
quando si frequenta con lui si è molto
tranquillizzata.”
James sbuffò, limitandosi a bere un sorso consistente della
sua Tennent’s, birra
babbana recentemente eletta nell’Olimpo delle preferite.
Non
può negarlo perché l’evidenza
è sotto gli occhi,
sollevati, di tutti.
Lily aveva trascorso quattro
anni e mezzo piuttosto turbolenti. Per eufemizzare.
I
ragazzi, le feste, il letto perennemente vuoto
durante le vacanze estive … Quel viaggio folle in Brasile
per i suoi
diciassette anni … quanto si sono preoccupati Harry e Ginny!
La più piccola
dei Potter era
sempre stata affascinata dall’infrangere la routine, ma dopo quel Quinto anno la sua vena ribelle era
deflagrata, e solo grazie alle pressioni congiunte degli amici e
genitori era
riuscita a prendere i MAGO.
Meno
male, perché altrimenti avrebbe seguito quel tipo
italiano conosciuto ad Hogsmeade. Un pittore di dieci anni
più grande di lei
del tutto intenzionato a portarla a Roma e farne la sua Musa.
Zio
Harry stava per avere un infarto.
Poi nella sua vita era
entrato
Scott, poco più grande, dalla nutrita cultura e equilibrato.
Un Perfetto Bravo
Ragazzo che sembrava non avere un solo scheletro nell’armadio.
Nessuno
avrebbe scommesso uno zellino su di lui. Troppo
tranquillo per i gusti di Lily, e invece…
Non solo si erano messi
assieme, ma la ragazza l’aveva addirittura portato in
famiglia. Lentamente, ma
con costanza, la compagnia del giovane scozzese la stava facendo
tornare ad
essere la persona spensierata che era stata prima del suo rapimento.
Noi
bravi ragazzi siamo terapeutici.
“Cos’hai
da sorridere?” Lo
scrollò James che a quanto pareva non stava ascoltando la
musica come sembrava.
“Tutto soddisfatto poi!”
“Niente, niente… Pensieri
tranquillizzanti.” Bevve la sua tazza di the con
totale dignità nonostante attorno a lui scorressero fiumi di
alcool.
Sono
troppo grande per continuare a sentirmi
inadeguato. Decisamente.
“Giornata buona ad
Hogwarts,
eh?” Replicò l’altro, fraintendendo. Non
se la sentì di smentirlo e si limitò quindi
ad annuire. “Beato te, io oggi ho avuto una giornata di
merda!”
“Ho saputo da Scorpius di quel mago
oscuro…” Convenne ricordando il motivo per
cui aveva supplicato il Professor Finch-Fletchley di sostituirlo quella
sera. “Ero
preoccupato. Perché non mi hai mandato un Gufo?”
James fece una smorfia insofferente. “Per dirti cosa?
Piuttosto Malfuretto
dovrebbe imparare a tener chiuso quel calderone che ha al posto della
bocca…”
Borbottò lanciando un’occhiata di fuoco al
suddetto seduto al tavolo a fianco. Era
preso a cantare a gola spiegata sotto lo sguardo divertito della
propria
fidanzata e di Dominique e di Violet, ma quando James si
voltò squadernò
fulmineo una linguaccia e Ted dovette frenarsi dal sorridere.
“Sì,
però…” Tentò recuperando
contegno.
“Dai, Teddy,
è la roba per cui
mi danno la paga a fine mese! Si è trattato di un mago che
ha pisciato fuori
dal vaso e che per questo è morto. Tutto qua. Non si
è fatto male nessuno!”
Ted si mordicchiò appena il labbro ma lasciò
perdere. James non aveva tutti i
torti, tuttavia la facilità con cui parlava di morte lo
metteva a disagio.
Io
non sono diventato Auror proprio per questo … Non
sarei riuscito a veder morto nessuno, neppure per salvarmi la vita.
“Capisco.”
Si limitò a dire.
“Verrà aperta un’indagine? Il mago era
americano, no?”
James si strinse nelle
spalle.
“Già, ed è un casino perché
ci troveremo sia quei rompipalle di Cooperazione
sia gli americani trai piedi.” Vuotò la propria
birra e si dedicò a strapparne
l’etichetta lanciandogli un’occhiata imbarazzata.
“Però sai che non te ne
dovrei parlare … Sono indagini ufficiali.”
“Lo so, è solo che…”
Mi
preoccupo. Da morire. Specie perché so di cosa
preoccuparmi.
Ed
ho anche l’impressione che Scorpius non mi abbia
raccontato tutto.
L’altro si sporse
nella sua
direzione, sia per sentirlo meglio – sapeva di aver
borbottato – sia per
cingergli le spalle con un braccio. “Qual è il
problema mio Teddy?” Gli
sorrise. “Hai fatto anche tu questo lavoro … beh,
quasi. Sai come funziona.”
“Certo, lo so.” Convenne. “Sta’
attento, okay?” Si risolse a raccomandargli un
po’ inutilmente.
“Quello sempre!” James si sporse a baciarlo e Ted
sentì la lingua allapparsi al
gusto del malto della bocca dell’altro. Prolungò
il bacio finché non si sentì
risarcito dello spavento che si era preso.
James si staccò
ridacchiando.
“Ripensandoci, Malfuretto può raccontarti tutto
quel che vuole, se il risultato
è questo!”
My minds not perfect but it's
sincere
You'd be amazed at what you can achieve in some years
And I know you try so hard but your hearts on a switch
****
America,
Massachusetts, Boston.
Sera.
Jay Massari era sempre stato
il genere di mago non in regola. Non in regola con la famiglia, con la
scuola,
con gli affari. Soprattutto con gli affari.
Per questo quando si era
ritrovato un cadavere in casa per colpa di quello psicopatico del suo
socio
aveva pensato bene di darsela a gambe con la sacrosanta intenzione di
non far
più ritorno.
Sfortunatamente non aveva
messo in conto che i vicini avevano occhi e orecchie e lui non era
esattamente
quello che poteva essere definito un tipo sottile.
Quindi correre, correre
verso
il più vicino punto di materializzazione e lì
urlare il nome di una qualsiasi
città oltre il confine messicano. Il
piano era questo. Rozzo, ma efficace.
Il punto di
materializzazione
a West End² – qualsiasi bostoniano lo conosceva, era
dietro il Garden, lo
stadio dei Celtics – era
ormai vicino
e Jay già pregustava il sole e il sapore acidulo della cerveza che avrebbe trovato in Messico
quando impattò a muso duro
sull’asfalto. Le gambe avevano smesso di funzionargli, prese
in un dannato
incantesimo di Pastoia.
Solo
le teste di latta lo usano! Merda!
Facendosi forza dei suoi
riflessi diede un colpo di reni, si voltò e
scaricò la maledizione peggiore che
riuscì a pensare contro la figura scura che era apparsa
sulla strada.
Lo
stronzo mi si è Materializzato dietro!
Il
lampo viola andò ad infrangersi in
una miriade di schegge senza che sfiorasse neppure il suo aggressore.
“Arrenditi.”
Per un attimo Jay
rimase instupidito, notando come non ci fosse un solo punto di colore
nei
vestiti dell’altro. Ecco perché non
l’aveva visto. Aveva lo stesso colore delle
ombre del vicolo da cui era spuntato.
Oppure,
semplicemente, è vestito di nero ed ha i
capelli neri.
“Ehi
stronzo!” Cercò di
mantenere contegno, tentando di sciogliere l’incantesimo.
Inutile, sembrava che
le sue gambe fossero state prese nella morsa più stretta del
mondo. “Se non sei
della polizia molla il colpo!”
L’altro aggrottò le sopracciglia. “Sono
della polizia.” Attestò, scoprendo un lato del
trench per mostrargli il
distintivo. Jay impallidì. Un’aquila che reggeva
una bacchetta su uno sfondo
pieno di frecce.
La
SAGITTA? Questi tizi si occupano di maghi Oscuri.
Oscuri sul serio! In che cazzo di casino mi ha infilato quel figlio di
puttana?
“Ehi, ehi! Io non
ne so niente
di quel cada…”
“Ogni parola potrà essere usata contro di lei in
sede di giudizio.” Lo
interruppe il tizio, facendo scaturire dalla propria bacchetta una lama
di luce
che gli serrò i polsi. Manette magiche, quanto le odiava!
“Le consiglio quindi
di aspettare l’arrivo di un…” Si
fermò, guardandolo con espressione vuota.
“Legale?”
Gli suggerì,
pensando fosse un completo idiota. Idiota sì, ma
sufficientemente forte da
tirarlo in piedi come se non pesasse nulla – e non era
così. Gli sciolse la
Pastoia alla gambe e lo afferrò sotto il gomito, nella
classica presa da
pulotto.
“Legale,
sì.” Convenne. “La
prego di seguirmi.”
Sono stato fottuto da questo fesso?
Era umiliante.
Però, se fosse
stato abbastanza svelto di testa – che era evidente
l’altro non lo fosse -
forse sarebbe riuscito a seminarlo, manette o meno. A quelle avrebbe
pensato
dopo.
Fece qualche passo per
convincerlo delle sue buone intenzioni e poi si voltò,
tirandogli un calcio
nello stomaco con tutte le proprie forze. L’agente, non
aspettandoselo, si
piegò in due con un lamento.
Grande
Jay!
Scattò in
direzione
dell’agognata Passaporta, ma non fece che pochi centimetri
prima di sentire una
fortissima scarica di dolore alla schiena. Con orrore si accorse che
adesso non
solo aveva le gambe immobilizzate, ma anche il resto del corpo.
“Non mi piace
ripetere le
cose.” Lo informò la voce dell’agente,
di colpo gelida come un bagno nel Charles
a Capodanno. Jay sentì il sudore congelarglisi sulla schiena
e pregò di non
averlo fatto incazzare troppo, perché gli aveva arpionato il
collo con una mano
scaricandogli magia direttamente lungo la spina dorsale.
Magia
senza bacchetta. Pulotti di merda, da quando la
sanno usare?
Comunque.
Qui finisce che passo il resto della mia vita
a sbavarmi addosso!
“Mi …
arrendo?” Biascicò.
“Okay? Mi arrendo amico, sono tutto a tua
disposizione!”
“Bene.” Gli lasciò il collo e si
voltò in direzione di un repentino stridio di
freni. Dalla sua posizione da statua greca Jay intuì
soltanto che si era
accostata un’auto. A giudicare dalle fusa del motore
modificato sia magicamente
che meccanicamente nel vicolo era appena entrata una Ford Crown
Victoria. Usata
sia dalla polizia Babbana che da quella magica – sebbene
quest’ultima la usasse
senza lampeggianti o colori riconoscibili – era il segnale
universale che eri
fottuto, ti avevano beccato.
E
addio Messico.
Jay vide entrare nella sua
visuale un giovane ispanico dall’aria agitata. Questo lo
guardò e poi schioccò
le labbra soddisfatto. “L’hai beccato, grande!
Scusami guey³, ti avevo
proprio perso per questi cazzo di vicoli!”
L’agente dalla presa mortale scosse la testa.
“Agente Estevez.” Lo salutò
formale. “Mi sono materializzato. Supponevo che il sospetto
sarebbe venuto qui,
era il punto di Materializzazione più vicino.”
Ma
come minchia parla? Sembra un libro stampato!
“Già,
ma ad arrivarci in macchina con
il traffico che c’è a quest’ora
… stasera giocano i Celtics, questa zona è un
macello.” L’ispanico si rivolse poi a lui,
lanciandogli un’occhiata sardonica. “Andiamo
bello, si va a fare una chiacchierata in centrale. Gli hai letto i suoi
diritti?” Non aspettò la risposta.
“Certo che l’hai fatto … muoviamoci che
non
voglio perdermi la fine!”
Presa Mortale
aggrottò le
sopracciglia verso lo stadio. “I Celtics sono quelli che
giocano con quel
pallone arancione?”
Cosa?!
L’altro agente
alzò gli occhi
al cielo, quasi fosse abituato a sentirsi rivolgere domande simili.
“Prince, basket.
Si chiama basket. Per tutte le
streghe di Salem,
voi europei!”
****
Note:
Dai, ci ho messo praticamente tutti!
(Credo)
Quindi, insomma, si entra ufficialmente nel primo capitolo di spero non
moltissimi (meno di AUL, dai)
La canzone all’inizio del capitolo e alla fine della scena al
Finnigan’s è
questa, che
volevo utilizzare da tipo un anno.
Incarna
l’Inghilterra magica e cazzara che mi immagino, ecco.
La canzone cantata dai Banshees ovviamente è una canzone vera e non inventata da me, ma di uno
splendido piccolo gruppo
chiamato The Lumineers. Eccola
(tra l’altro rispecchia la formazione dei Banshees. Tra
l’altro.)
Per chi vuole vedere il
distintivo del SAGITTA (tutto sarà spiegato, promesso)
è
questo qua.
1.Kiddell:
Altro fabbricante di bacchette, quest’ultimo, si suppone meno
capace rispetto a
Olivander in quanto nel libro nessuno dei personaggi ha una sua
bacchetta. Tom
la pensa allo stesso modo, pare.
2.West End:
è un quartiere di Boston, delimitata
da Cambridge Street a sud e dal fiume Charles a
nord. La zona è
molto conosciuta per
lo stadio Boston Madison Square Garden (detto anche Garden) dove
giocano le
partite le squadre di hockey e basket locale.
2. Guey:
letteralmente la versione di ‘dude’
(amico, fratello, tipo) in spagnolo/sudamericano.
Riguardo al cast dei volti,
mi
son fatta furba ed ho creato una cartella ad
hoc su facebook.
Questo link dovrebbe funzionare dopo
avermi chiesto l’amicizia
(specificate tramite messaggio privato chi siete!)
Altra curiosità:
ho fatto una
piccola mappa dei “luoghi magici”, un po’
curiosando sul Lexicon un po’
inventandomeli di sana pianta (nel caso dei miei, di sicuro). Volta per
volta
aggiungerò posti e strade che uso nella mia storia.
Sì, sono idiota. Enjoy!
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