IL SUONO DEI BINARI
Il suono dei binari
I
Alla fine dei conti non si smette mai di essere un soldato.
Qualcuno riesce ad avere una parvenza di vita normale. Qualcuno non
abbandona mai la vita militare. Qualcuno semplicemente non ce la fa. La
verità è che quando decidi di abbandonare tutto quello
che hai costruito - famiglia, amici, casa, futuro - per imbracciare un
fucile sai già che la tua esistenza sarà diversa da tutte le
altre.
Non importa il motivo per cui lo fai né il momento in cui per la
prima volta indossi una divisa. E' il tuo primo omicidio che cambia le
cose. Quando pianti una pallottola nel cranio di un altro essere umano
e senti la sua vita sfuggire via dalle tue dita. E i suoi occhi. Amico,
preparati: i suoi occhi non li dimenticherai mai più.
Castani, azzurri, verdi... saranno il tuo colore della morte e te li
troverai sempre davanti. La prima volta che ho messo piede in
Afghanistan avevo vent'anni.
Ero un ragazzino che si era arruolato scappando dai mille problemi, in
una famiglia un po' chiusa di pensiero e una sorella che era l'antitesi
della tranquillità.
Volevo fare del bene, a modo mio, cercando di scacciare il senso di
colpa di non essere riuscito a proteggere Harry da... beh, da tutto
quello che l'aveva travolta. Non
distogliere lo sguardo dalla morte. Guarda avanti. La gente che uccidi
guardala in faccia. E non scordartela, non devi: anche loro non si
scorderanno mai di te [1].
Col senno di poi, avrei detto che il comandante Burrows aveva ragione
[2], quando fece a noi reclute il nostro primo discorso da soldati.
Ventiquattro ore dopo erano solo feriti da ricucire e colpi di mortaio
nelle orecchie. Ho passato due anni sui campi di battaglia, cercando di
trovare il lato positivo nella morte, nell'uccidere per sopravvivere,
nel bere per dimenticare. Sono tornato a casa con una spalla distrutta
e l'anima a pezzi, trovando mia sorella alcolizzata, con un matrimonio
ormai naufragato e mio padre in un letto d'ospedale.
Prenditi cura di te, mi disse. [3]
E per mantenere fede alla promessa, semplicemente non potevo più restare.
Prima di trasferirmi, ero stato nel Sussex solo una volta e avevo dieci
anni. Nonno John abitava lì da quando era nato, e anche una
volta rimasto vedovo non ci fu verso di convincerlo a venire ad abitare
con noi a Londra. Diceva sempre che se ti abitui a vivere da animale
selvatico, non puoi chiuderti di tua spontanea volontà in una
gabbia. Quando gli chiedevo spiegazioni sorrideva, di quel sorriso
malinconico che l'avrebbe accompagnato fino alla fine dei suoi giorni.
Che cosa voleva dire, l'avrei scoperto una volta tornato dalla guerra,
ma a quel tempo ancora non lo sapevo.
Il Nonno aveva una piccola casa a Polegate, proprio al centro di Milton Street. Nessun vicino troppo vicino
da disturbare la sua solitudine, ed era esattamente quello che mi
serviva. In compenso, si estendevano chilometri e chilometri di manto
verde bagnato solo dalla luce del sole che faceva capolino oltre le
colline.
Disabitata da anni, quando arrivai la villetta era di un grigio lugubre
e triste. L'altalena che papà aveva costruito per Nonna Harriett
non si muoveva e del giardino rigoglioso e coperto di fiori arcobaleno
ormai non esisteva più niente. Tutto era spento e io avevo una
gran voglia di scappare via ancora una volta perché forse in
guerra avrei avuto più opportunità di cavarmela che in
una vita considerata normale. Ma nella mia, di vita, non c'era neanche
un briciolo di quella che poteva essere la normalità.
Polegate distava poco meno di dieci chilometri da Eastbourne, una
tranquilla cittadina di mare in cui il Nonno soleva andare quasi ogni
giorno quando Nonna Harriett era ancora in salute. Gli piaceva pescare,
per quanto non fosse poi così bravo, e per quell'unica estate in
cui andai a trovarlo, m'insegnò qualche trucchetto da buon cacciatore.
Con la macchina, era un quarto d'ora fra un punto e l'altro, e potevo
permettermi di procedere con calma. Polegate era davvero stupenda, e
l'aria che si respirava faceva bene ai miei polmoni provati dalla
polvere e dal deserto dell'Afghanistan. Non ricordo assolutamente
niente di quello che ho visto e, oggi, questo un po' mi spaventa
perché ero lo spettro della persona che sono adesso. Un corpo
vuoto, senza voglia di vivere e senza motivi per farlo. Probabilmente
non riuscivo a vedere un futuro per me, oltre quello di assoluta
tristezza che avevo nel cuore. Avevo lasciato Londra, mia sorella e la
mamma solo perché eravamo in decadenza tutti e tre in maniera
differente. E io non potevo sopportare il peso di un dolore che non
fosse il mio.
- Attento alla strada, idiota!
Il mio primo incontro con la gente di Eastbourne fu proprio
così: io che inchiodavo davanti a un semaforo rosso, totalmente
perso nei miei pensieri, e con la testa quasi fuori dal parabrezza.
Il ragazzo nell'altra corsia – un giovane dai capelli scuri e gli
occhi chiari – mi squadrò, in sella al suo MBK Booster.
Era colpa mia, ovviamente, e non volevo risultare il solito coglione
che non sa riconoscere i propri sbagli ma la mia bocca si aprì
prima che io potessi fermarla.
- Siete tutti così simpatici o solo tu hai un senso dello humor particolarmente sviluppato?
- Potrei arrestarti seduta stante per almeno tre imputazioni diverse. Chi diavolo sei?
Perfetto. La prima persona che avevo incrociato e con cui litigavo era un poliziotto. Quanto potevo essere stupido?
- Mi chiamo John. John Watson.
Il ragazzo – doveva avere solo qualche anno più di me – mi guardò socchiudendo le palpebre.
- Sei parente del John Watson di Polegate? Milton Street?
- Era mio nonno.
Il ragazzo fissò il semaforo per qualche secondo, il tempo di
passare dal rosso-giallo [4] al verde. Mi fece un cenno della mano e
urlò un seguimi! che per un secondo fui quasi tentato di
ignorare. Ma non sapevo dove andare né avevo intenzione di
tornare in una casa senza vita che mi somigliava fin nelle fondamenta.
E, d'altra parte, che cos'avevo da perdere? Così, lo seguii:
lui, un perfetto sconosciuto che poteva essere un Serial Killer, uno
stupratore, un ladro o un fuggitivo alla Clint Eastwood [5]. E io lo
stavo seguendo. Ripensandoci adesso, fu la scelta che mi cambiò
la vita, ma all'ora mi sembrava solo un modo per mettere a tacere la
voce della mia psicologa che continuava a ripetere ha ancora problemi
di fiducia [6] e che non avevo più intenzione di ascoltare.
Il ragazzo proseguì dritto verso il centro per circa dieci
minuti. Non c'era molto traffico e, un po' per quel motivo e un po' per
paura che potessi perderlo di vista, non prese strade secondarie. Si
fermò in South Street, proprio davanti a un locale dall'aria
accogliente e curata, e io lo imitai.
- Se vuoi vivere qui la prima cosa da fare è conoscere Mrs
Hudson, la proprietaria del miglior bar della città [7] e
probabilmente dell'intera Nazione. Se vuoi rilassarti dopo una giornata
di lavoro, questo è il posto giusto.
Sorrise apertamente, e tutta la rabbia di poco prima sembrava non
essere mai esistita. Mi fece strada all'interno del locale, e un
leggero tepore avvolse il mio corpo non appena chiusi la porta alle mie
spalle. Il pub era silenzioso, diviso in scompartimenti isolati e con
una luce soffusa rilassante. Nessun tavolo al centro della stanza,
ognuno aveva la sua solitudine e non necessariamente avrebbe dovuto
preoccuparsi di quella degli altri. Sulla parete di destra, troneggiava
una libreria immensa che attirò la mia più totale
attenzione, poiché molti dei tomi presenti sembravano di fattura
quantomeno decennale. Senza rendermene conto, quando il mio nuovo amico
scomparve dietro una porta blu dall'altra parte della stanza, io ficcai
il naso in mezzo alle pagine.
Mounsier Lecoq, in una copertina rigida che portava almeno
trent'anni sulle spalle, attirò la mia attenzione e miei
ricordi. Ne sfogliai le pagine, ripensando a quando mio padre me ne
aveva regalato una copia per i miei tredici anni, e sorrisi un po' alla
stretta di nostalgia che iniziò a farsi largo nel mio cuore.
Quello che non mi aspettavo, era di trovare dei post-it in mezzo alle
pagine. Rimasi perplesso per un po', non soffermandomi a leggere che
cosa ci fosse scritto quanto l'esistenza stessa di quei consigli che mi
lasciarono, se non perplesso, certamente confuso.
Questo romanzo potrebbe servire come
libro di testo agli investigatori perché imparino ciò che
devono evitare. - SH [8]
SH. Non sapevo chi fosse né con quale diritto si permettesse di
lasciare foglietti di carta in mezzo ai libri di Mrs Hudson ma non
dissi né feci niente, decidendo semplicemente di ignorare la
cosa e riponendo Mounsier Lecoq
nello scaffale, non senza uno scatto nervoso. Tuttavia, più
proseguivo a sfogliare i volumi presenti nella libreria più
trovavo almeno una traccia del passaggio di questo misterioso SH che
tanto stava attirando la mia attenzione e urtando i miei nervi.
- Non sapevo che cosa preferissi, così ho optato per la
specialità della casa: thé nero con una spruzzata di
cacao [9].
Il ragazzo borbottò qualcos'altro, e io finalmente mi staccai
dai miei pensieri riguardanti l'uomo misterioso, seguendolo in una
saletta appartata. Se ci penso ora non ho la minima idea del
perché avessi già catalogato SH come maschio. Poteva
essere una ragazzina, un anziano o una donna adulta, per quanto ne
sapessi, eppure no: nella mia mente SH, chiunque fosse, era un maschio.
E se qualcuno mi avesse chiesto l'età, probabilmente avrei detto sui trenta.
- La torta è un omaggio per il nuovo arrivato.
Mrs Hudson si presentò al nostro tavolo con un sorriso
smagliante, segnato dalle rughe ma non per questo meno dolce e
comprensivo.
- Ti ha preso in simpatia, - commentò il mio nuovo amico,
sorseggiando la sua birra - quella donna è un angelo. Prende
sotto la sua ala molti sbandati delle nostre zone e li rimette in sesto
a sue spese, trovandogli appartamenti in cui stare e lavori da fare.
Per quanto mi riguarda, un maiale che non vola è solo un maiale.
[10] Se capisci cosa intendo.
Rimasi in silenzio per qualche secondo, osservando il cacao sciogliersi all'interno della tazza di thé.
- Credi che io sia uno di loro?
Il ragazzo fece spallucce, con un ghigno strafottente sulle labbra.
- L'hai detto tu, non io.
- Come conoscevi mio nonno?
- L'ho arrestato.
Il thé mi andò di traverso e lui rise un po'.
- Era un brav'uomo. Si prese la colpa di aver spaccato le vetrate
dell'Antiquariato del vecchio Aomori [11], al posto di un ragazzino
spaventato che stava solo cercando di scacciare via qualche scippatore
a suon di pietre. Quando gli ho chiesto il perché l'avesse fatto
ha risposto ho settant'anni, cosa vuoi che facciano a un povero vecchio come me?
Tipico di Nonno John.
- Si fece tre giorni di galera. In cambio, tutta Eastbourne l'ha visto
come una specie di eroe. Al suo funerale c'era praticamente tutto il
paese.
Sorseggiai la bevanda in silenzio, ignorando il retrogusto amaro che
aveva assunto. Una fitta di senso di colpa mi colpì allo sterno
ma la ignorai. Quella, come anche il tremolio alla mano. Rifiutare di
andare al suo funerale fu una scelta difficile per me, e ancora oggi la
bestia che ho dentro graffia un po' le pareti ricordandomi che non l'ho
salutato un'ultima volta e che ci siamo separati come due perfetti
estranei, ognuno lottando con i propri fantasmi. Io con quello della
mia famiglia, lui con quello della nonna.
Con la differenza che io sono scappato in Afghanistan e lui è rimasto, e ha lottato un po' di più.
- Sì. Era un brav'uomo.
Non pioveva da un po', a Londra e dintorni. Quel giorno cadde una
pioggerellina leggera che investì Eastbourne, macchiandola di
una superficie grigiastra che la rese quasi magica. Il pub di Mrs
Hudson era caldo e accogliente, e nessuno di noi due sembrava avesse
fretta di andar via. Io non avevo un posto in cui tornare, e forse il
mio nuovo amico l'aveva percepito. D'altra parte, ero uno sbandato.
- Non mi hai nemmeno chiesto come mi chiamo.
Già. Non gli avevo chiesto assolutamente nulla che lo
riguardasse, né eravamo scivolati in un piano che fosse
più personale di una tazza di thé bevuta al tavolo di un
bar di periferia.
- Come ti chiami?
Lui rise e, forse d'istinto, anche io.
- Gregory. Mi chiamo Gregory Lestrade. Puoi chiamarmi Greg, John.
- Bene Greg. Posso farti un'altra domanda?
Lui annuì piano, inclinando un poco la testa.
- Chi diavolo è SH?
Gregory rimase fermo e zitto per un paio di secondi. Sbattè le
palpebre talmente veloce che pensai di essermelo immaginato. Poi
scoppiò a ridere, attirando l'attenzione dei pochi clienti
presenti nel locale e facendo invece affiorare a galla la mia
curiosità sopita.
- Sei qui da neanche un'ora e già lo conosci. Quel ragazzo non smetterà mai di stupirmi.
Avevo ragione. E' un uomo.
- Non so di preciso che cosa faccia, sai? L'ho incontrato qualche volta
alla centrale. Viene per rompere le scatole al vecchio Gregson e
passare le ore su qualche caso in archivio. Con la scusa che suo
fratello è il Mayor Of London [12] si sente in diritto di poter ficcare il naso dove gli pare.
Fece una smorfia, mugolando di disappunto nell'accorgersi che il boccale di birra era ormai finito.
- Si chiama Sherlock Holmes, e ha una dannata colonia di api che mi
infestano le fragole nel mese di agosto. Gran parte dei libri qui, sono
suoi.
Ecco spiegati i post-it.
- Sembra molto... particolare.
Greg ridacchiò.
- Particolare è la parola giusta, amico. Anderson dice che ha
provato ad avvicinarlo qualche volta, pensando che fosse una persona
interessante, dopodiché è scappato: era una persona
spaventosa. [13] Ma Anderson è anche un perfetto idiota che si
scopa la moglie di suo fratello credendo che nessuno lo sappia, per
cui...
Non sapevo chi fosse questo Anderson, e non mi ci soffermai poiché lui non me lo disse e io non glielo chiesi. Si sporse un poco, facendomi cenno di fare lo stesso poi mise una mano
davanti alla bocca, come se mi stesse rivelando un segreto di massima
importanza.
Curioso come non mai, e con una voglia matta di sapere qualcosa in
più su questo ragazzo dal nome bizzarro, mi sporsi anche io
verso di lui pronto ad ascoltare qualunque confidenza mi stesse per
fare.
- Ti dirò una cosa, John. Gli Holmes sono creature speciali e
vanno trattate come tali. Ma se mai lo incontrerai, una meravigliosa
fortuna verrà da te. [14] E su questo posso darti la mia parola
d'onore.
Si allontanò bruscamente da me, infilandosi il cappotto con un sorriso enigmatico e una velocità quasi sospetta.
Mi disse ora devo andare, il lavoro chiama
e mi lasciò il suo numero su un fazzoletto di carta neanche mi
stesse abbordando in una discoteca di quarta categoria. Io rimasi al
pub di Mrs Hudson anche dopo che Greg andò via, incapace di
alzarmi in piedi o di tornare alla casa del Nonno. Non avevo voglia di
fare nessuna delle due cose e forse la proprietaria era davvero un
angelo, perché mi offrì un altro pezzo di torta e questo
mi concesse del tempo in più per non sembrare tanto disperato
come invece apparivo a me stesso.
Anche la seconda fetta di dolce era buona.
Ma il retrogusto amaro che avevo sentito con l'ultima sorsata di
thé, non accennava ad andare via neanche dopo le parole di Greg
e la mia gola bruciava. Decisi di andare via, dopo una buona mezz'ora,
pensando che forse una passeggiata sotto la pioggia avrebbe dato
sollievo al mio corpo e alla mia testa, anche se non alla mia salute.
Pagai il conto, ringraziai la padrona che mi strappò la promessa
di un ritorno, e uscì dal locale inspirando l'aria satura di
pioggia e trovandola lenitiva per i miei nervi scossi.
Iniziai a camminare piano, con il naso per aria e le gocce d'acqua che
si schiantavano sul mio viso senza farmi male. Forse per la prima volta
da quando ero arrivato, sentivo che c'era qualcosa di positivo
nell'aver mollato tutto per trasferirmi lì, ma era una
sensazione passeggera e non sperai che potesse durare più di un
battito di ciglia.
Ciò che realmente mi premeva in quel momento, era dare una
risposta alle domande che affollavano la mia testa, rendendola un
guazzabuglio di cianfrusaglie disordinate.
Prima fra tutte: perché un cane mi stava seguendo?
Il bulldog non si nascose quando mi fermai in mezzo alla strada,
voltandomi a fissarlo inquieto. Continuò a guardarmi per un bel
pezzo, e io a lui, finché non sospirai rumorosamente e lui
abbaiò per richiamare la mia attenzione. Sbavava come un San
Bernardo e aveva il pelo corto e chiaro, da cui spuntava senza
difficoltà il collare di un improbabile e allucinante giallo
canarino. E scodinzolava. Non so, forse si aspettava che io facessi lo
stesso. Sbavare o scodinzolare, intendo, non sono sicuro.
Quando si accorse che effettivamente era riuscito a farsi guardare, mi
diede le spalle e inizio a ondeggiare per il marciapiede nella
direzione opposta alla mia. Fece così tre volte, due delle quali
fu costretto a fermarsi e ad abbaiarmi contro, prima di riprendere a
zampettare verso la sua meta.
Voleva che lo seguissi, era palese. Insomma, era un cane come tanti
altri, neanche particolarmente bello, se proprio devo dirlo.
Probabilmente ero completamente impazzito. Non avevo niente, né
da perdere né da trovare e quel cane mi interessava e
incuriosiva come non succedeva da un po'. In un lampo di
stupidità mi chiesi se non potesse essere lui Sherlock Holmes,
al posto del ragazzo alto e magro dagli occhi di ghiaccio che la mia
mente aveva iniziato a disegnare. Ma non sapevo né sospettavo
neanche lontanamente quanto potessi aver ragione in realtà, con
quella semplice frase.
Per cui, se volete un inizio come si deve, sappiate che non c'è.
Questa è la realtà di com'è cominciata: con un ex
soldato dell'esercito in congedo e un cucciolo di bulldog dal collare
improponibile.
Ps. I'm a Serial Addicted
Eh già. Non sto stare lontana da voi - anche se, nell'ordine: la
raccolta da finire e il Crossover di CM da continuare. Picchiatemi. -
neanche per una settimana. Che brava, eh? *Viene fustigata* Anyway,
questo è il primo capitolo di un nuovo ed ennesimo Crossover.
Questa volta, ci troviamo davanti a un'accozzaglia di citazioni ma
specialmente, questa storia sarà basata su un particolare lavoro
del maestro Miyazaki, I sospiri del mio cuore che
io ho visto e amato come poche cose al mondo. Il titolo è una
cosa personale, riguarda uno scritto che ho buttato giù un po'
di tempo fa... lo spiegherò verso la fine, credo. Btw, passiamo
alle spiegazioni (Maria, 14 note... e che è @_@):
[1] Citazione di Kimblee, di Fullmetal Alchemist. Bastardo
[2] Burrows è stato davvero il comandante dell'esercito
britannico quando il John del canone teoricamente era in servizio.
[3] Citazione e omaggio a "Pochi", Storia breve di Miho Obana che ho amato alla follia.
[4] Non sono io rincoglionita, in Inghilterra c'è il rosso-giallo prima del verde XD
[5] Mi riferisco al film "Fuga da Alcatraz".
[6] Citazione della 1x01 (o anche del pilot, veramente). Ella, Ella, mai sottovalutare un soldato u_u
[7] L'Hudsons, sì, esiste sul serio, a Eastbourne. Sì, è una figata.
[8] Citazione di Uno Studio in Rosso, pescata direttamente dal libro X°D
[9] Non c'entra una tegola, ma la spruzzata di cacao è
personale: la mia barista prediletta me lo mette sempre sul cappuccino
fin da quando sono andata al suo locale la prima volta e mi sono
fissata u.u no, non proverò com'è bere un thé nero
con una spruzzata di cacao, sappiatelo.
[10] Citazione di il "Porco Rosso" altra opera di Miyazaki.
[11] Doppia citazione di un volume di Shaman King in quanto, nell'albo
in cui Yoh e Anna s'incontrano la prima volta ad Aomori (prima
citazione), i poteri di Itako di quest'ultima si scatenano richiamando
un Oni, Oni che viene distrutto da Anna stessa ma non prima che Yoh
combatta contro di lui distruggendo i vetri di un negozio di souvenir
(seconda citazione).
[12] Il Mayor of London governa l'area più estesa della Grande
Londra, da non confondere con il Lord Mayor of the city of London, che
è il Sindaco di Londra proprio città. Hanno delle cariche
differenti, per approfondire potete leggere di più qui
che io mi spiego un po' alla cacchio. Comunque sì, volevo dare a
Myc una carica importante, in cui potesse intrallazzare un po' come
voleva ghgh come in effetti fa. O farà.
[13] Citazione di un altro lavoro di Miyazaki, "Il castello errante di
Howl". Se non l'avete visto vedetelo, è stupendo. E leggete
anche il libro.
[14] Citazione della filastrocca di "Il mio vicino Totoro", altro lavoro del Maestro.
Okay, finite le note. Spero. Una volta letta la trama (o se avete visto
il film a cui mi sto ispirando) troverete tantissimi riferimenti (tipo
John che fantastica su Sherlock leggendo il nome di quest'ultimo nei
libri, o il fatto che segua un animale strano come fa la protagonista
X°D) e questo è solo l'inizio. Volevo dire che questo lavoro
in cui mi sto impegnando tantissimo - e che spero uscirà
quantomeno una cosa carina - la dedico totalmente a Glass Heart,
persona e amica meravigliosa e scrittrice di talento che sono fiera e
felice di aver conosciuto. Grazie per la pazienza e spero che ti
piaccia almeno un po' <3 see you later, darlings!
ps. Sì, è ambientato nel Sussex. Riferimento al Canone. Sì, ho messo anche un riferimento alle api (sempre per il Canone) che sicuramente non assaltano le fragole ma mi faceva troppo morire la scena XDDD
Jess
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