Une chanson de glace, acier et feu.

di Liberty Bell
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Note:

Ed eccomi qui con un’altra Jon/Arya. Il rating è arancione e, attenzione!, si parla sempre di INCEST.
A livello temporale questa storia si colloca in un ipotetico futuro prossimo in cui Jon e Arya si sono ritrovati – dalle parti della Barriera – e tutti bene o male sono al corrente della minaccia degli Estranei e li combattono. NON ci sono spoiler.
Il titolo in francese significa "Una canzone di ghiaccio, acciaio e fuoco". Ho scelto questa lingua per richiamare le varie chansons scritte nel medioevo, come "La chanson de Roland" e tutto il filone letterario de "La chanson de geste".
E, niente, questa fic era stata scritta quest’estate e l’ho ritrovata facendo pulizia nel pc. Spero che possa piacere.
Buona lettura!
Ceci.

 
 
 
 
 
 

Une chanson de glace, acier et feu.
 


 

"[...]Brancolava ancora nel buio; aveva scelto la sua strada ma continuava a guardarsi indietro, chiedendosi se aveva male interpretato i segnali, se non avrebbe dovuto prendere un'altra direzione."
[J. K. Rowling,
Harry Potter e i Doni della Morte, pagina 464 della prima versione italiana.]



“Time has come, let us be brave.”
[Sander Bohlke – The weight of us]




 
 
Era con una tranquillità mista a disperazione che certe notti  Jon sedeva davanti al fuoco che ardeva sempre nel camino, pensando, prendendo mentalmente nota di quante volte, negli ultimi anni avesse pensato a lei.

Ogni volta che vedeva una donna, ogni volta che parlava con una donna, ogni volta che dormiva con una donna, o semplicemente ogni volta che pensava a qualcosa di felice, era il viso di lei quello che vedeva nella sua mente, quello che ricordava.

E Jon sapeva, lo aveva sempre saputo, che prima o poi l’avrebbe rivista, l’avrebbe avuta davanti agli occhi in carne ed ossa, ed allora avrebbe dovuto scegliere che sentiero seguire, che strada intraprendere.

Aveva sempre saputo, esattamente come lo sapeva anche in quel momento, che avrebbe dovuto scegliere tra l’osservarla da lontano e pregare che gli dei fossero clementi con lei, o camminare con lei lungo la sua strada, rischiando di rovinare l’unica cosa che aveva mai veramente importato nella sua vita. L’unica cosa vera che gli era rimasta.

Sapeva che non c’era più spazio, che non c’era mai stato spazio, per le scelte facili e veloci. Sapeva che la sua vita era fatta gli ghiaccio e acciaio. E che lei era il fuoco, capace di sciogliere il ghiaccio e fondere l’acciaio.


*



Non c’era più spazio per i “sorellina” detti contro la sera, e i giorni andavano avanti mentre lui si perdeva a guardare il suo corpo, che non era più quello di una bambina, la sua figura sottile eppure morbida stagliarsi contro il bagliore del fuoco del camino, colorarsi di rosso e oro, come se il fuoco fosse lei stessa.

I giorni andavano avanti, e sempre più spesso Jon si perdeva a guardare il suo viso, pallido come la neve del nord, i suoi occhi dello stesso colore dell’acciaio.

Non era bella. O almeno gli uomini del sud o i cantori o gli uomini romantici che scrivevano chansons sull’amor cortese non l’avrebbero mai definita tale.

Ma c’era il suo modo di camminare, il suo modo di parlare, il suo modo di inarcare le sopracciglia quasi con arroganza. Il modo dolcissimo con cui la sua espressione sempre severa si scioglieva in un sorriso quando lo vedeva, che, agli occhi di Jon, la rendeva la donna più bella che avesse mai visto.


*



 Non c’era più spazio per niente che non fosse l’inverno, freddo e crudele, che bussava alle porte di tutte le case. Non c’era spazio per niente che non fosse il calore che condividevano.

*



La stanza dove si trovavano era di pietra grigia e spoglia, il pavimento di terra battuta sporca di sangue, il camino piccolo.

Eppure le fiamme danzavano sul suo volto, in netto contrasto con l’ululare del vento che batteva contro la porta.

Eppure in qualche modo le fiamme sembravano inserirsi con facilità in mezzo al gelo del ghiaccio, al vento che gli dava la caccia, al bagliore d’acciaio dei loro occhi.

Aveva agognato e temuto quel momento che sapeva sarebbe arrivato nel quale avrebbe dovuto scegliere che strada prendere. E ora la strada sembrava dipanarsi da sola davanti ai suoi occhi, ma lui era ancora incerto, continuava a voltarsi indietro.


*



Arya si sedette sul suo grembo, gettando la testa all’indietro, gemendo, quando lui si spinse ancora dentro di lei, muovendosi, chiedendo, cercando, prendendo.

Lei tremò, mordendogli la spalla per contenere i gemiti, la pelle lucida di sudore.

Arya lo condusse ancora più a fondo nel suo antro umido e caldo, caldissimo, bollente, il suo nome sulle labbra di lui, ancora e ancora.


*



La strada si dipanava davanti ai suoi occhi. Era chiara, era illuminata da mille torce ardenti.

La strada si dipanava davanti ai suoi occhi, e seguiva il sentiero tortuoso del corpo di Arya, si perdeva tra le colline, creava anse come farebbe un fiume.

La strada era chiara, glielo dicevano gli occhi di lei.

Era fatta di ghiaccio, acciaio e fuoco.




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