Second day: Roommate.
Take me back to the start.
«E mi raccomando,
se hai bisogno di qualsiasi cosa-»
«Non esiterò
a chiamarti. Ma sono appena arrivato, Rachel, e confido di poter
sopravvivere fino a questa sera.»
«Mi dispiace così
tanto, ma le lezioni-»
«Stai tranquilla.
Ho già parlato con il mio futuro compagno di stanza, un certo
Blake Chanderson, qualcosa del genere. Sembra un a posto.»
«Ottimo. Fammi
sapere.»
«Entro sta sera
saprai tutti i pettegolezzi su questo Blake e l'intero dormitorio
maschile della NYADA. Contenta?»
«Non vedo l'ora. A
dopo.»
Kurt chiuse la chiamata e
sollevò lo sguardo sull'edificio davanti a lui: il dormitorio
maschile della scuola dei suoi sogni.
«Ci
siamo, Kurt. Comincia una nuova vita piena di ragazzi mentalmente
aperti che come te amano la musica, Brodway e la cucina dietetica»
mormorò fra sé, sorridendo.
Non
vedeva l'ora di conoscere il ragazzo con cui avrebbe condiviso la
stanza. Al telefono era sembrata una persona misurata e a modo.
Trascinò
la propria valigia fino al quarto piano e bussò alla porta
dell'appartamento numero 21.
Accostò
l'orecchio alla porta e sentì una musica risuonare per
l'appartamento a volume piuttosto elevato.
Riconobbe
subito la canzone: Teenage Dream di Katy Perry. Se ascoltava
con attenzione poteva distinguere una voce maschile duettare con la
cantante.
Infastidito
bussò con più violenza alla porta e poco dopo questa si
aprì.
Davanti
a lui c'era un ragazzo non troppo alto e coi capelli completamente
all'aria e ancora bagnati dalla doccia che doveva aver fatto da poco.
Addosso aveva solo una t-shirt della NYADA e un paio di pantaloncini
troppo aderenti e troppo corti.
«Sì?»
«Ciao,
forse ho sbagliato stanza, sto cercando Blake Chanderson»
gridò, per sovrastare la musica.
«Come?
Blaine Anderson?»
«Potresti
abbassare la musica?» gridò.
Il
ragazzo alzò le spalle e si voltò per andare a spegnere
lo stereo. Solo allora Kurt poté notare la scritta sul retro
dei pantaloncini: “Try to touch this butt”.
Alzò
gli occhi al cielo sconsolato. In chi diavolo si era imbattuto?
«Hai
detto che cerchi Blaine Anderson?»
«Qualcosa
di simile, sì. Lo conosci?»
Il
ragazzo rise: «Beh, sì: sono io.»
Kurt
non riuscì a trattenere lo stupore.
«Tu
devi essere Kurt Hummel, giusto?»
Annuì
assente: «Eri tu al telefono qualche giorno fa?»
«Certo.
Non ti aspettavo così presto. Di solito le matricole si
perdono per New York il primo giorno.»
Kurt
accennò ad un sorriso stentato, mentre nella sua mente dovette
frenare l'impulso di prendere a schiaffi il ragazzo di fronte a lui.
Come
poteva quel caotico e rumoroso ragazzo essere lo stesso gentelman con
cui aveva parlato al telefono?
«Posso
entrare?» sospirò.
Il
ragazzo si fece da parte per farlo entrare.
Non
appena ebbe dato un'occhiata all'interno, Kurt ebbe modo di
constatare che la scarsa igiene personale del ragazzo rifletteva
perfettamente il disordine che regnava in quella stanza.
Blaine
raccolse velocemente un paio di mutande da terra e le gettò
nel cesto della biancheria sporca.
«Scusa,
c'è un po' di disordine, ma accomodati pure.»
Kurt
occhieggiò alla chitarra sopra il letto che doveva essere sua.
Chitarra che Blaine si apprestò a spostare.
«Okay,
ora puoi accomodarti.»
Kurt
posò la valigia sul letto e vi si lasciò cadere accanto
con un sospiro.
«Lungo
viaggio?»
«Non
troppo. Diciamo che l'Ohio è più vicino della
California.»
«Ohio?
Columbus?»
«Lima.»
Il
ragazzo lo fissò stupito: «Ma dai? Io sono di
Westerville. Avremmo potuto incontrarci anni fa!»
Dio ce ne scampi,
pensò Kurt, ma poi si pentì. In fondo non conosceva
ancora quel Blaine e non avrebbe dovuto giudicarlo unicamente per il
suo scarso senso della moda, pessimo gusto musicale e totale mancanza
d'ordine.
Cominciò
a svuotare la valigia e, non appena aprì l'armadio, poté
constatare quanto la situazione fosse tragica. Lo stesso, ovviamente,
valeva per il bagno.
«La
convivenza sarà dura» mormorò.
Quella
sera Blaine fece irruzione in bagno mentre Kurt era intento a seguire
i suoi rituali di idratazione della pelle: «Ciao, oggi verranno
a trovarmi dei miei amici. Pensavamo di occupare il divano e giocare
alla playstation fino a romperci i pollici. Vuoi unirti?»
Fino a romperci i
pollici? Davvero, Blaine? «Mi
spiace, ma ho già un impegno. Devo vedermi con una mia amica.»
«Ah,
ho capito. Serata speciale con la tua ragazza.»
«Emh,
no. Rachel è davvero solo un'amica» disse, mordendosi le
labbra. Pensava fosse evidente
che Rachel non poteva essere più di un'amica. Alle superiori
non facevano che chiamarlo “faccia da checca”. Pensava di
non dover più precisare certe cose.
«Oh.»
Kurt
non era tipo da sbandierare ai quattro venti la propria vita. Non
amava presentarsi dicendo “Kurt Hummel, diciannove anni, nato e
cresciuto a Lima, Ohio, gay dichiarato”. Ma se c'era una cosa
che odiava ancora di più erano i silenzi imbarazzati nati
dalle cose non dette.
«Forse
è il caso di essere sinceri fin da subito. Io sono gay. Non ho
problemi con la mia sessualità ma purtroppo certe persone
sembrano averceli, quindi se la cosa ti crea problemi o li risolviamo
subito o temo dovremo trovare entrambi un nuovo compagno di stanza.»
«Non
mi crea nessun problema» disse, ma gli parve un po' freddo.
«Davvero, nessun problema. Sono solo... niente. Okay. Beh,
grazie per avermelo detto.»
Quando
Blaine lasciò il bagno, gli parve turbato.
Kurt
lo ignorò e finì di prepararsi.
«Allora,
come va la tua vita a New York?»
«Rachel,
sono arrivato da meno di ventiquattr'ore, lo sai, vero?»
La
ragazza si accoccolò sul divano e disse: «Sì, ma
scommetto che sono state le ventiquattr'ore più entusiasmanti
della tua vita.»
Kurt
alzò le spalle: «Insomma. Ho fatto conoscenza col mio
inquilino.»
«E
com'è?» chiese eccitata.
«Etero»
ripose, per troncare sul nascere ogni speranza dell'amica. «E
in più è disordinati e ha un pessimo gusto in fatto di
musica. Insomma, ascolta Katy Perry!» protestò.
«Peccato.
Sarebbe stato molto romantico.»
«Beh,
per lo meno non mi sembra un omofobo, anche se non credo sia
entusiasta all'idea che sia gay.»
Rachel
lo guardò sorpresa: «Gliel'hai detto?»
«Sì.
Sai, non volevo che si creassero in futuro situazioni imbarazzanti.
Ho preferito essere sincero. Lui ha detto che non è un
problema però quando se n'è andato mi sembrava...
turbato.»
«Mh...»
mormorò silenziosamente Rachel. «Turbato?»
«Insomma,
spero che non abbia paura che ci provi con lui. Può dormire
sonni tranquilli: non è davvero il mio tipo. Neppure se fosse
gay – cosa che non è.»
Rachel
non commentò e si limitò a sorseggiare il proprio vino,
rimuginando sulle parole di Kurt.
I
giorni che seguirono furono difficili per Kurt.
Le
lezioni erano difficili, la competizione letale e il fatto di avere
un compagno di stanza tremendamente caotico di certo non aiutava.
Vedeva
Blaine appena qualche minuti al giorno, visto che ogni momento libero
lo passava con i suoi “amici”. Mai una volta aveva
chiesto a Kurt se voleva uscire con loro.
Forse ha davvero
qualche problema con i gay,
pensò Kurt, ma non si pentì di averglielo detto. Era
venuto a New York anche per andarsene da una cittadina dalla
mentalità chiusa come Lima e non aveva nessuna intenzione di
tornare a nascondersi come aveva fatto i primi anni di liceo.
Certo,
il comportamento di Blaine era davvero da immaturo. Evitarlo non era
una soluzione, ma almeno non lo spingeva contro gli armadietti, né
lo prendeva in giro.
Di
tanto in tanto ne parlava con Rachel – unica sua amica in
quella città sconosciuta – la quale continuava a
ripetere che il comportamento di Blaine a lei “puzzava”.
«Che
intendi dire?» chiedeva Kurt.
«Non
lo so. Ma uno che quando arrivi ascolta Katy Perry con dei
pantaloncini vergognosi e appena gli dici che sei gay diventa mister
Virilità... mi puzza, ecco tutto.»
Kurt
non dava peso alle parole dell'amica e continuava a passare le serate
leggendo o riguardando per la centesima volta i propri musical
preferiti.
La
vita a New York si stava rivelando molto meno elettrizzante di quelli
che si era aspettato.
Ma
per lo meno New York non era Lima, no?
Kurt
stava finendo di pulire la camera. Raccolse schifato un paio di
mutande di Blaine e le gettò nel cesto della biancheria sporca
e si sistemò la bandana sui capelli, passandola sulla fronte
per asciugarsi il sudore.
Diede
un'occhiata alla stanza e sì: finalmente poteva definirla
vivibile.
In
quel momento la porta della camera si spalancò e Blaine fece
irruzione con la sua solita grazia.
Kurt
fu stupito di incontrarlo. Di solito non si faceva vedere fino a
sera.
«Kurt,
devi andartene» disse, prendendo fiato. Doveva aver corso per
le scale fino alla porta della camera.
«Che
cosa?»
«Devi
andartene per... facciamo un'ora, okay? Forse due. Ti chiamo io
quando puoi tornare.»
«Blaine,
se devi vederti con la tua ragazza basta dirlo, ma almeno avvertimi
con un'ora di anticipo.»
«Non
c'è tempo... tu non capisci!»
«No
che non capisco. Se tu avessi la grazia di spiegarmi...»
«Non
devo vedermi con la mia ragazza. E'... è mio padre. Sta
venendo qui e non voglio... ecco, non voglio...»
«Non
vuoi che mi veda» concluse Kurt.
«Sì.
No.» Blaine grugnì, grattandosi la testa. «Va
bene, lo ammetto. Non voglio che ti veda.»
Kurt
non ebbe bisogno di chiedere perché.
«Ti
ricordi quando mi hai chiesto se avevo qualche problema con i gay?
Ecco, io non ne ho, ma mio padre sì. E non voglio...»
«Non
vuoi che scopra che il tuo compagno di stanza è gay.»
Blaine
esitò prima di dire: «Non voglio che lo scopra.»
Kurt
lo guardò deluso. Si sentì ferito
dalle parole di Blaine. Perché gli era capitato di sentirsi
definire un peccatore, uno sbaglio di natura, un invertito, ma mai
gli era capitato di conoscere qualcuno che gli dicesse “mi
vergogno di te”.
«Sai
che ti dico, Blaine Anderson? Sei un grandissimo stronzo. Ti lascio
al tuo amato caos, ai tuoi vestiti sporchi, ai tuoi capelli
disordinati e ai tuoi atteggiamenti da macho. Spero che tuo padre sia
fiero di avere un figlio che
non sa neppure tenere in ordine la propria camera da letto»
disse, facendo un cenno alla stanza. «Ma su una cosa non
transigo. È tutta la vita che mi sento gettare merda addosso e
quando succede penso che un giorno quelli che mi hanno maltrattato si
renderanno conto di che persone orribili sono state e resteranno col
senso di colpa tutta la vita e si vergogneranno di se stessi. Ora me
ne vado ma ricordati che non sono io quello che dovrebbe
vergognarsi.»
Si
tolse la bandana dalla fronte e la gettò sul letto. Prese il
cesto della biancheria e lo rovesciò sul pavimento:
«Ecco.
Non sia mai che tuo padre trovi la tua camera troppo gay»
disse, andandosene e sbattendo la porta dietro di sé.
Era
già per le scale quando sentì la porta riaprirsi.
Blaine si sporse e stava per dirgli qualcosa, quando Kurt incrociò
un uomo sulle scale e alla vista di quella persona, Blaine ammutolì.
«Ciao,
papà» lo sentì dire.
L'uomo
gli rispose e Kurt capì.
Quella
sera, dopo aver cenato, Kurt aprì l'armadio alla ricerca del
giusto outfit per uscire con Rachel e Finn.
Blaine
irruppe in camera cantando California gurl
ma, non appena lo vide, smise di cantare e si affiancò
silenziosamente a lui davanti all'armadio.
«Volevo
chiederti scusa per oggi» disse.
«Scusa
per essere stato un grandissimo stronzo?» chiese.
Blaine
imprecò: «Va' al diavolo. Volevo chiederti se ti andava
di uscire con i miei amici per vedere un film o andare al Microfono a
cantare, ma immagino che tu non esca con gente come me.»
«Oh,
grazie per il cortese invito, ma ho già un impegno con una mia
amica e con mio fratello» sbottò.
Blaine
prese dei vestiti dall'armadio alla rinfusa e si spogliò senza
mai voltarsi verso di lui.
Kurt
distolse lo sguardo ma poi la curiosità superò il
pudore e diede un'occhiata veloce al ragazzo.
Quello
che vide lo lasciò a bocca aperta.
Nonostante
le sue abitudini alimentari evidentemente deprecabili, aveva degli
addominali notevoli e un fisico sportivo.
«Boxe.»
«Come?»
«Se
ti stai chiedendo come faccio a rimanere in forma nonostante la mia
dieta, la risposta è boxe. Che fra le altre cose mi aiuta a
sfogare la rabbia» disse, prendendo la propria chitarra e
lanciandogli un'occhiataccia. «Ci vediamo dopo, novellino.»
Kurt
avrebbe voluto imprecare contro se stesso e contro quell'individuo
esecrabile conosciuto come Blaine Anderson.
In
quel momento il suo cellulare si illuminò e, nel leggere il
messaggio appena ricevuto, grugnì:
“Scusa,
ma Finn mi ha invitato a cena in un ristorante e penso voglia
regalarmi una serata romantica dopo i mesi di lontananza. Va bene lo
stesso se ci vediamo domani mattina per colazione? Così ti
racconto tutto.”
«Fantastico,
Kurt» mormorò fra sé. «Una serata davvero
magnifica.»
Kurt
era immerso nella lettura di Mangia, prega, ama
quando sentì un tonfo contro la porta. Sollevò lo
sguardo dal libro e allungò il collo verso la porta.
«Blaine?
Sei tu??»
Nessuna
risposta.
Sentì
qualcuno armeggiare con la maniglia e allora abbandonò il
libro per alzarsi dal letto e afferrare la prima cosa che gli capitò
in mano – nella fattispecie, la sua pentola per fare le crepes.
Vide
la porta aprirsi e prima di riuscire a calare l'arma, riconobbe i
riccioli indomabili del proprio coinquilino.
«Blaine!»
esclamò, lasciando cadere la pentola. «Mi hai fatto
prendere un colpo.»
Blaine
si voltò a guardarlo ancora chiaramente intontito e mormorò:
«Oh, eccoti qua» prima di crollargli addosso.
Kurt
lo afferrò prima che cadesse. Per sua fortuna, Blaine era più
basso di lui e Kurt riuscì a trascinarlo fino al letto,
lasciandolo cadere sul materasso. Nell'eseguire l'operazione ebbe
modo di constatare quando
Blaine puzzasse d'alcol. Doveva aver bevuto non poco.
L'altro
ragazzo protestò rumorosamente e allungò alla cieca le
mani fino ad afferrare la maglietta di Kurt e a trascinarlo giù
sul materasso.
«Che
diavolo fai?»
«Dai,
siamo solo noi due.»
Che diavolo, è
così ubriaco che mi ha scambiato per una ragazza!
«Blaine,
sei ubriaco fradicio» disse, tentando di allontanarlo da sé,
ma l'altro continuava a cercare il suo collo con le labbra e faceva
scorrere il naso lungo il profilo del suo mento.
«Kurt»
biascicò.
Sentire
il proprio nome uscire da quelle labbra palesemente eccitate lo
paralizzò.
Blaine
non era così ubriaco da confonderlo per una ragazza. Non lo
stava confondendo proprio con nessuno: lui pensava – e voleva –
essere lì con Kurt.
Il
ragazzo ripensò alle parole di Rachel e alla questione della
“puzza”. A quanto pare la sua migliore amica aveva un
gayradar migliore del suo.
Ora
si spiegava la freddezza del ragazzo. Blaine non aveva mai avuto
paura che Kurt si sentisse attratto da lui: aveva paura di essere lui
stesso attratto da Kurt e di non poter così più
nascondere la propria sessualità.
L'impronta
della mano di Kurt comparì solo dopo pochi secondi sul volto
di Blaine.
Il
moro smise di insistere e fissò sbalordito il ragazzo di
fronte a lui. Poi, contro ogni previsione, scoppiò a piangere.
Kurt,
preso in contropiede, andò nel panico.
«Blaine,
cavolo, mi dispiace. Non volevo... ti ho fatto male?»
«Sono...
sono un idiota» singhiozzò.
«Non
posso contraddirti, ma ti assicuro che si può convivere con
l'idiozia. Mio fratello lo fa da anni e sembra gli riesca benissimo.»
«No,
sono davvero un idiota. Mi comporto come se non mi importasse di
niente e di nessuno, solo perché mi vergogno di ammettere
quanto sia debole. Il modo in cui mi vesto, il modo in cui mi
atteggio, le serate che passo ad ubriacarmi... sono tutte una
maschera.»
Kurt
accantonò l'odio che provava per quel ragazzo e si sedette
accanto a lui, accarezzandogli la schiena imbarazzato.
«Non
capisco perché tu ti comporti così. Dopo Westerville,
New York dovrà sembrarti la città della libertà.
Non dovresti aver paura di essere chi sei veramente.»
«Tu
non conosci i miei genitori.»
Kurt
colse il modo in cui la sua voce si era incrinata nel momento in cui
aveva nominato i suoi genitori: un misto di rabbia, tristezza e
delusione.
«Per
quanto possano essere severi sono certo che-»
«Che
mi ameranno sempre e incondizionatamente? Sai, forse se mi avessero
beccato a fumare erba mi avrebbero perdonato. Ma essere gay era oltre
il loro limite di sopportazione, a quanto pare.»
«Non
pensavo che...»
«Che
fossi gay? O che i miei fossero degli insopportabili omofobi? Quando
ho detto di voler fare la NYADA mi hanno detto che era una scuola da
“gay” e sono riuscito a convincerli a mandarmi a New York
solo perché così sarei stato lontano da casa e avrei
avuto meno occasioni possibili per rovinare loro la reputazione.»
Kurt
si sentì malissimo.
Odiava
Blaine Anderson, ma mai e poi mai avrebbe augurato a qualcuno una
cosa simile.
Suo
padre l'aveva sempre supportato e amato e quando si rendeva conto che
non per tutti era così, si sentiva impotente.
«Mi
dispiace» mormorò, cercando di dargli delle pacche sulla
spalla, senza sapere quale fosse la cosa giusta da fare.
«No,
dispiace a me. Sono stato... sono stato un idiota per queste
settimane e ti ho reso la vita difficile solo perché, quando
ti ho visto, ho pensato che fossi il ragazzo che cercavo da una vita
e che avrei finito inevitabilmente per innamorarmi di te.»
Kurt
ammutolì.
«Ma
tu eri così orgoglioso di te stesso mentre io sono... sono...»
La
sua frase venne interrotta dai singhiozzi.
Kurt
voleva dire qualcosa, ma poi Blaine lo fermò e prese dal
portafogli una fotografia e gliela porse.
Kurt
prese la foto ed impiegò qualche secondo a riconoscere il
ragazzino dai capelli gellati, il vistoso papillon e le bretelle
colorate che sorrideva speranzoso all'obbiettivo insieme ad altri
ragazzi della sua età.
«Questo
ero io, prima che mio padre mi dicesse di smetterla di vestirmi da
gay e di comportarmi da gay e che ero una vergogna.»
Kurt
tentò di immaginarsi quella testa d'ananas del suo coinquilino
qualche anno prima, nella sperduta cittadina di Westerville.
«Eri
carino» disse, cercando di farlo sorridere. «Sai, penso
che saremmo stati amici in Ohio.»
Chissà, magari
più di amici.
«Lo
pensi davvero?» chiese.
Kurt
gli sorrise, chiedendosi quanto di tutto questo si sarebbe ricordato
il giorno dopo. Probabilmente nulla. Meglio così.
«Sai
cosa devi fare adesso? Devi metterti a letto e dormire e superare
questa sbronza colossale» disse, spingendolo a stendersi e
sfilandogli le scarpe.
«Mi
spieghi perché sei così gentile con me?» chiese,
ancora sbronzo.
«Perché
siamo coinquilini, no?» rispose, ma Blaine russava già
sonoramente.
Gli
rimboccò le coperte e fece per infilarsi nel proprio letto, ma
poi gli venne un'idea.
Aprì
l'armadio e frugò fra i vestiti del suo coinquilino. Ne prese
alcuni e li sistemò ordinatamente sulla sedia, poi strappò
un foglietto dalla propria agenda e dopo averci scritto sopra, lo
ripose insieme al resto. Poi spense la luce ed andò a dormire.
Il
giorno dopo Kurt si alzò di buon'ora. Blaine stava ancora
dormendo e così si vestì ed uscì a fare la
spesa. Perse la mattinata per negozi e chiacchierando con Rachel e
Finn nel campus dell'università. Verso l'ora di pranzo si
affrettò a rientrare. Voleva preparare lui stesso il pasto e
cercare di scambiare due parole con Blaine, come minimo per chiarire
quanto era successo la sera prima. E aiutarlo.
Quando
giunse davanti alla porta della propria stanza, infilò le
chiavi nella toppa e fece scattare la serratura. Non appena entrò,
alle sue orecchie giunse una musica.
Gli
era stranamente familiare, ma in qualche modo diversa.
Attraversò
la stanza e si fermò quando davanti a sé ebbe la
schiena di Blaine, intento a suonare al pianoforte quella che –
ora la riconosceva – era una versione acustica di Teenage
Dream.
«Questa
versione mi piace molto di più» disse Kurt.
L'altro
si fermò e si voltò verso di lui.
Kurt
ebbe modo di constatare che il ragazzo indossava i vestiti che gli
aveva preparato lui stesso la sera prima. Blaine dovette
accorgersene, perché arrossì leggermente e abbassò
lo sguardo sulla propria camicia e disse: «Era da molto che non
li mettevo.»
Con
la camicia a quadri, il papillon con fantasia scozzese, i pantaloni
colorati e i mocassini senza calzini, aveva un aspetto completamente
diverso. Più ordinato, più pulito... più sereno.
Per non parlare dei capelli, finalmente puliti!
«Ti
stanno bene. Sono molto più... te.»
A
quel punto Blaine deglutì. «Senti, non ricordo bene cosa
sia successo ieri sera, né cosa io abbia detto o fatto. Però
voglio ringraziarti per non avermi buttato fuori dalla camera o aver
avvisato il prefetto. E poi volevo chiederti scusa, perché in
queste settimane ti ho trattato di merda e tutto per colpa delle mie
paure.»
«Non
è niente, davvero. Alle superiori-»
«No,
non mi interessa se ci sono state persone che ti hanno trattato
peggio. Non te lo meritavi e io mi sono comportato da stronzo.»
Kurt
tacque e rimase ad ascoltarlo.
«Voglio
cambiare e voglio farlo da oggi. Perciò ti chiedo di
ricominciare, come se questo fosse il primo giorno che ci siamo
incontrati, tu fossi il ragazzo appena arrivato a New York e io il
coinquilino pronto a farti da Cicerone nella città dei tuoi
sogni.»
«Okay?»
mormorò ancora insicuro Kurt, schiarendosi la voce. Pensò
a cosa avrebbe detto se lo avesse incontrato in modo diverso, senza
la musica a palla e il disordine cronico e se ne uscì con:
«Ciao, sono nuovo qui.»
L'altro
allungò la mano verso di lui: «Piacere, Blaine.»
Fissò
qualche secondo la mano, poi sorrise e rispose alla stretta:
«Kurt.»
A/N
E
due!
La
terza è già pronta – solo da correggere –
mentre la quarta è ancora in lavorazione, ma il giovedì
avrò il pomeriggio libero e potrò scrivere :D
Quindi...
a domani!
yu_gin
my
tumblr
klaine
week
le
altre oneshot
Magic
Coop; Gli eroi non dormono mai;
|