William Mitchell osservava la tomba della madre,
morta da due giorni a causa di una polmonite.
Assurdo.
I maghi sapevano
curare tante cose...ma non erano stati in grado di salvare sua
madre.
Avrebbe fatto ridere quella situazione ridicola se non avesse
osservato quella lapide di marmo attraverso il velo delle lacrime, su cui
erano scritte le date della sua mamma. E l'angoscia che gli attanagliava il
cuore.
L'aveva persa. Ma non l'avrebbe mai dimenticata.
Gli occhi
verdeacqua erano annebbiati, i capelli quasi biondi bagnati di pioggia.
Se
ne stava in piedi, sotto l'ombrello dell'attendente del suo patrigno che in
mezzo a una folla di persone accoglieva le condoglianze di amici, parenti e
colleghi con aria afflitta.
Per Henry Mitchell forse la morte della moglie
era solo un altro appuntamento mondano.
Ma per William...era la
fine.
La fine di un mondo, del dolce sorriso di sua madre.
Vide sua
nonna posare una rosa bianca sulla bara, poi delle vanghe fuori dalla sua
visuale cominciarono a riempire quell'orrida buca di terra bruna e
umida.
Fermatevi.
Avrebbe voluto gridare.
O seppellitemi
con lei.
Perché senza di lei nulla ha più importanza.
Qualcuno
passava, gli toccava la spalla, cercava di dirgli parole di conforto.
Ma
non ce n'erano, quel giorno, per lui.
Lui che a dodici anni si ritrovava al
Cimitero dei Maghi, in quella giornata di fine inverno.
Doveva far freddo,
pensò.
Tutti erano avvolti in pesanti mantelli, le signore nelle loro
pellicce.
Ma lui il freddo quasi non lo avvertiva.
Era sempre stato
così.
Fin da quando era nato.
Perché lui...non era un mago
normale.
Non era neanche un essere umano. Del tutto almeno.
La bara
ormai stava sparendo.
La terra l'aveva ricoperta interamente.
Addio
mamma.
Addio giorni felici.
Lara Crowford si era portata via
tutto.
Il sorriso, la pace, i giorni di sole, le risate, i giochi fatti la
sera.
Non c'era più niente che gli restasse.
Solo la cenere di quel
dolore, che svaniva fra le mani come i sogni del mattino.
- William
dobbiamo andare.-
Un ordine, un'imposizione.
Eccolo. Quello era Henry
Mitchell, l'uomo che sua madre aveva sposato.
L'uomo che ora l'avrebbe
incatenato al resto della sua vita patinata, fatta di apparenze.
Dirigente
della Gringott, insieme a tanti altri della sua pasta, Henry Mitchell non
conosceva nulla che non fosse il calcolo, il freddo ragionamento.
Se aveva
un'anima, William non era mai riuscito a scorgerla in quell'uomo.
E ora
gl'imponeva di andarsene.
Di separarsi per sempre da sua madre.
Uno
strattone e il ragazzino si sottrasse alla sua presa.
- Ancora un minuto.-
sussurrò.
- Non piangere!- sibilò il suo patrigno - Non sopporto i
piagnistei, lo sai!-
Piagnistei.
Era quella la parola giusta da usare a
un funerale?
Al funerale della propria madre?
Quell'uomo l'aveva sempre
odiato. Sempre.
Senza eccezioni, senza remore.
E ora che sua madre se
n'era andata, non avrebbe esitato a ricordargli sempre chi era.
E
cos'era.
Un figlio illegittimo, un essere...mezzosangue.
Un
essere che non era degno di essere figlio di un uomo come lui.
- Andiamo.-
ripeté l'uomo, afferrandolo duramente per la spalla - Adesso!- aggiunse con un
sibilo imperioso, mentre si avvicinavano altri parenti.
La lapide si
allontanava sempre di più.
Ormai non era che un puntino vago.
Addio
mamma.
La mattina dopo quando William riuscì faticosamente a
tirarsi fuori dal letto, anche se avrebbe voluto spirarvi senza nemmeno dire
addio al mondo, rimase immobile sullo scalone della casa dei Mitchell.
Elfi
domestici e cameriere sembravano in agitazione.
E a terra, davanti alla
porta, vide dei bauli.
I suoi bauli.
Cosa stava
succedendo?
Con le poche forze che gli restavano, bloccò un
elfo.
Tremolante, quello bofonchiò qualcosa che non comprese così il
ragazzino fece l'unica cosa possibile.
Attraversò la palazzina in perfetto
ordine, sempre gelida come un mausoleo, adatta solo a dare grandi feste e
raggiunse lo studio del patrigno.
Si fermò sulla soglia, vedendo parlare
coi i suoi avvocati.
Bardati in giacca e cravatta, in giubbe rigorose e
grigie come quella giornata uggiosa, William attese fino a quando il patrigno
non si accorse di lui.
Imprecò leggermente.
- Era ora che ti
svegliassi.- sindacò - Avanti, siediti. Ho una cosa da dirti.-
- Henry...-
l'apostrofò uno degli avvocati, evidentemente in imbarazzo - Forse...-
-
No, niente forse!- gracchiò Mitchell, mentre William si sedeva in poltrona e
continuò a parlare, senza che il ragazzino ne afferrasse una sola
parola.
Sentiva solo la durezza della poltrona.
Rigida e lucida come
tutto, in quella casa.
I suoi bauli nell'ingresso però l'avevano lasciato
perplesso.
Stavano andando da qualche parte?
Forse il suo patrigno
l'avrebbe mandato dai nonni.
Se per un attimo ne fu rincuorato, subito il
sollievo sparì.
A che pro andarci? Tanto ormai...sua madre non sarebbe più
apparsa davanti a lui, sorridente, volteggiando con la sua bacchetta in
mano.
Già non sentiva più nell'aria il suo profumo di gelsomino.
Già non
vedeva più i suoi libri, sugli scaffali.
Bastava così poco a far sparire
una persona?
Bastava far sparire ogni cosa appartenuta ad essa?
- Bene
William.-
Sollevò il viso, quando il suo patrigno si sedette alla
scrivania, come in cattedra, incrociando le dita con aria seria.
- Ho una
faccenda da comunicarti e i nostri avvocati sono qua per rassicurarti.-
-
Rassicurarmi?- mormorò flebilmente.
- Esatto.- scandì l'uomo, toccandosi la
barba corta e curata - Tua madre se n'è andata William. Siamo tutti
addolorati...-
- Questo si vede.- gli sfuggì.
- William!- ringhiò
Mitchell - Non interrompermi! Ti stavo dicendo...- continuò con tono rauco
-...che tua madre è morta ormai. Io ho parlato con i nostri avvocati e siamo
giunti a una conclusione. La cosa migliore da fare per te in una situazione
del genere. Io e te non abbiamo legami di sangue e i tuoi nonni materni sono
troppo anziani per accollarsi la tua crescita.-
Accollarsi.
Come un
fardello...era solo quello?
Un fardello?
- ...e visto ciò che
sei...- perseverò il suo patrigno, aggiungendo una nota sarcastica nella voce
-...ho preso la mia decisione. Ti trasferisci da tuo
padre.-
Padre.
Per un attimo William
credette di aver capito male.
Aveva detto che si sarebbe trasferito da suo
padre?
Da...
- Ci siamo informati, ragazzo mio.- disse il più vecchio
degli avvocati, un mago obeso dai capelli bianchi - Tua madre aveva lasciato
degli scritti su di lui. Il nome del tuo vero padre è Jeager William Crenshaw.
Abita nel Devon, in una residenza di campagna. Conduce una vita molto
appartata.-
- Andrai da lui. È deciso.- squittì Mitchell.
Tutto cominciò
a girare.
Andare via.
Trasferirsi.
Sradicarlo.
Da quella casa...da
quei ricordi...da ogni cosa...
E mandarlo...da...da...un
demone...
Deglutì, sentendo il cuore battere velocemente.
- Vuoi
mandarmi via?- alitò, sentendo crescere dentro qualcosa che da tempo non
provava - Vuoi mandarmi...lontano dai nonni, dalla casa della mamma?- e alzò
la voce, sentendo quella forza diventare incontenibile - Vuoi togliermi tutto
quello che mi è rimasto di lei?!-
- Il tuo posto è con tuo padre.- sibilò
Mitchell arcigno e indifferente - Non lo conosco, ma ti ci porto stasera
stessa.-
- Che cosa?- urlò a quel punto William, balzando in piedi - Non
puoi! Non voglio!-
- Oh, invece ci andrai caro mio!- replicò il patrigno,
alzandosi e sovrastandolo - Non ho alcuna intenzione di accollarmi un figlio
che non è mio! Per il bene di tua madre ho sempre sopportato i tuoi
discutibili natali ma adesso basta!-
Discutibili natali.
William si fece
indietro, un ghigno gli salì alle labbra.
- Hai sempre aspettato solo
questo...eh?- sussurrò gelido - Hai aspettato che la mamma morisse...dì la
verità...sei contento vero? Non vedevi l'ora di sbarazzarti di me!-
- Come
osi infangare così la memoria di Lara? Era mia moglie!-
- Lara era mia
madre!- urlò di nuovo il ragazzino, mentre ogni cosa nello studio iniziava a
tremare - Non puoi mandarmi via! È morta da appena tre giorni e tu già pensi a
come divertirti con quello che ci ha lasciato! E' roba mia!-
- Piccolo
intrigante. T'interessano i soldi eh?-
- E' disgustoso il solo pensiero.-
disse William sprezzante - Gli oggetti della mamma sono miei!-
- Sbagliato.
Ora tutto ciò che hai è mio. Io sono il tuo tutore!-
- E mi spedisci nel
Devon, così puoi farti i comodi tuoi!-
- Tua madre non era previdente
purtroppo. Non ha aggiornato il testamento. Tu non figuri!-
- Questo non è
vero!-
- E invece si.- ringhiò il patrigno - Ma ora basta! Non intenzione
di stare a discutere con te William. La decisione è presa! Stanotte stessa di
porto da tuo padre e non intendo sentire un'altra parola sull'argomento. I
domestici ti hanno fatto le valigie, per assicurarsi che tu non mi sottraessi
nulla. E ora vattene, io e gli avvocati abbiamo altro di cui discutere che dei
tuoi infantili capricci!-
Venne letteralmente buttato fuori e fu inutile
colpire sulla porta, urlare, gridare.
Quanto avrebbe voluto sfondare quello
stipite, per far capire a quell'idiota quanto era veramente potente.
Ma
aveva promesso.
Aveva promesso a sua madre di non farlo mai.
Di non
usare mai...quel lato di sé.
E così...era inutile.
Né fuggire né
piangere né disperarsi.
Sarebbe andato via.
Cosa c'era ormai a legarlo a
quel posto?
Sua madre e tutte le sue cose erano sparite.
Niente.
Non
gli restava niente.
Tanto valeva...morire e andare da quel
demone.
Il Devon non era male.
Si ritrovò a pensare questo,
seduto in una carrozza lussuosa, all'alba delle dieci di sera.
William
guardava fuori, senza sapere se in realtà fissasse il paesaggio o ricordi del
passato.
La vegetazione era lussureggiante ed erano entrati da un cancello,
passando delle colonne con dei capitelli grotteschi.
C'erano diavoli e
creature fatate di pietra, accovacciate qua e là.
William ne aveva viste
alcune girarsi al loro passaggio.
Non ascoltava le chiacchiere di Henry e
del suo grasso avvocato.
Né le avrebbe più ascoltate.
Ma ora cominciava
a chiedersi se suo padre, quel demone...non fosse orrido come quelle
statue.
Aveva anche lui...quella faccia orripilante?
Aveva chiesto a sua
madre, in passato, che tipo di persona fosse il suo vero padre.
E lei
ridendo gli aveva detto che era bellissimo. Come lui.
Ora pensava
che avesse scherzato.
Si, doveva aver scherzato.
Ma cosa aveva potuto
trovare sua madre...in un demone?
- Ecco, ci siamo signor Mitchell.-
Il
lacchè era sceso dalla cassetta, aprendo lo sportello della
carrozza.
Quando scese, strattonato, William alzò lo sguardo su una grande
tenuta dai colori caldi, quasi scuri, con tanti camini e almeno quaranta
finestre nella facciata frontale. I tetti erano verde scuro e c'erano tante
luci a quelle ampie vetrate del secondo piano, tutte in vetro colorato.
Il
portone era d'ebano nero, immenso.
Ad abbracciarlo, due colonnine
sormontate da due diavoletti accovacciati.
- Pessimo gusto.- sibilò il suo
patrigno - Ma non c'era d'aspettarsi altro da certa feccia.-
A dire la
verità, William sentì una nota d'invidia.
Quella casa era grande,
enorme.
Trasudava ricchezza, un passato di gloria e potere.
Ma tutto
svanì, di nuovo.
Lì, piccolo e solo, davanti a quella porta, sentì la sua
vita finire davvero.
Non c'era più nessuno ormai a prenderlo per
mano.
C'era solo l'oblio.
Ad aprire loro la porta apparve un signore
anziano, con una fitta ragnatela di rughe a solcargli il viso.
Un
maggiordomo in frac.
Dopo averli scrutati con occhi impenetrabili, abbassò
il viso su William.
Quando rialzò la faccia, bofonchiò - Chi devo
annunciare?-
- Ah, si sposti!- disse scortesemente Mitchell, facendosi
largo col suo bastone da passeggio.
Una volta nell'ampio ingresso, il suo
patrigno gli fece cenno di fermarsi e si guardò attorno.
- Dov'è il tuo
padrone?- ringhiò al maggiordomo.
Il vecchio gli fece un cenno.
- Mi
segua.- disse, senza cambiare tono di voce.
- Tu aspetta qua William!- e
Henry se ne andò appresso al maggiordomo con l'avvocato, lasciandolo fermo
sulla soglia, avvolto nel cappotto, con due bauli alle spalle.
E lì
rimase.
Non sentiva di poter muovere neanche un passo.
A malapena guardò
i quadri, gli arazzi appesi alle pareti, il caminetto che scoppiettava nel
salone sotto il quadro di un uomo seduto in poltrona.
Era un uomo
incredibilmente bello che scrutò William con occhio critico.
Non gli fece
domande, limitandosi a studiarlo.
Nel frattempo, arrivarono altri
personaggi alquanto bizzarri.
William di punto in bianco si ritrovò
circondato e la porta sbatté alle sue spalle, chiudendosi di
colpo.
Sobbalzò, ma non davanti alla mezza dozzina di fantasmi che gli
penzolavano di fronte.
- Oh...tu guarda! Come assomigli al mio pronipote!-
tubò una donnina trasparente, tutta agghindata in abiti di foggia antica.
-
Già, è tale e quale a Jeager!- sindacò un uomo alto e longilineo, bardato in
un abito da caccia.
- Chi sei?- gli chiese una bambina con lunghi capelli -
Perché sei uguale allo zio Jeager?-
Non riusciva a rispondere.
Non
riusciva neanche a pensare.
Se ne stava solo in piedi, aspettando.
Poi
dei passi veloci lo costrinsero a prestare attenzione alla donnina che stava
scendendo lo scalone con un candelabro in mano. Aveva una cuffietta bianca in
testa, serici capelli bianchi annodati in una crocchia e un grembiule su un
vestito nero.
Allibita, lo fissò a lungo poi sbottò in un'esclamazione di
gioia.
E William rimase senza fiato, quando la signora corse ad
abbracciarlo.
- Oh! Santo cielo! Sapevo che prima o poi saresti venuto! Ho
pregato così tanto!-
- Signora...- alitò, mentre lo stritolava -
Signora...per favore...-
- Selma, per cortesia.-
I due si girarono,
vedendo arrivare il maggiordomo.
- Harold!- tubò l'anziana donna - Hai
visto? Lo sapevo, lo sapevo!-
- Si, certo.- disse il maggiordomo con tono
prettamente britannico - Spero però che tu non voglia strozzarlo ancora prima
che il padrone ci resti secco per la sorpresa.-
- Strozzarlo!- riecheggiò
la donna, senza mollarlo dalla sua stretta - Neanche respira!-
- Non è una
buona ragione per togliere a padron Jeager il suo futuro travaso di
bile.-
- Oh, va bene!- quella Selma finalmente lo lasciò, sorridendogli e
pettinandolo tutto - Ragazzo che piacere! Speravo tanto che un giorno saresti
venuto! Assomigli così tanto a tuo padre! Dimmi come ti chiami?-
-
William.- mormorò il ragazzino, deglutendo e rendendosi conto che era tanto
che qualcuno non l’abbracciava.
- William!- esalò la donna estasiata,
abbracciandolo di nuovo - Oh, finalmente caro, finalmente! Harold dimmi, cosa
ci fa qua? Chi l'ha portato?-
- Hn. Quell'idiota pomposo di Henry
Mitchell.- soffiò il maggiordomo - E se mi permette, signorino, quell'uomo
farà una brutta fine questa notte, se non modera i termini davanti al
padrone.-
Come se gliene fosse fregato qualcosa.
William stava
per abbozzare qualche frase di spiegazione quando l'avvocato obeso del suo
patrigno scappò fuori dal corridoio, da una stanza adiacente al salone
dell'ingresso.
Era cianotico, il riporto ribaltato e coi vestiti
malmessi.
Forse...quel demone gli aveva fatto qualcosa, pensò William
preoccupato.
E se...gli avesse fatto del male?
I demoni mangiavano i
bambini?
Terrorizzato da quell'eventualità a cui non aveva pensato
prima, si fece istintivamente un po' indietro e così notò una cosa strana:
Harold...aveva una coda! Era nera, forcuta e pendeva al frac! Oddio!
Stava
seriamente per mettersi a piangere dallo sconforto quando dal corridoio
riecheggiò la voce di Henry.
- E' così e basta!- sbraitava, correndo verso
di loro come un coniglio - Lei è il suo legittimo padre, se ne occuperà lei!
Non ho alcuna intenzione di sorbirmi il suo figlio mezzosangue ora che mia
moglie è morta!-
- Sua moglie...- allibì Selma, fissando poi William -
Lara...oh, la povera Lara è...-
Il ragazzino abbassò il viso.
- Sua
madre è morta, signorino?- gli chiese il maggiordomo - Sono addolorato.-
-
Mi dispiace molto, caro.- sussurrò Selma, carezzandogli il capo - Anche il
padrone ne sarà distrutto.-
- Ora basta!-
Mitchell si stava
ricomponendo, inferocito.
- William questa è la tua nuova casa! D'ora in
avanti vivrai qua e non voglio sentire storie su di te una volta tornato a
Londra. Alla maggiore età potrai fare ciò che vuoi ma fino ad allora resti mio
figlio. Dirò a tutti che ti ho mandato a studiare al Durmstrang, ne
riparleremo quando avrai ventun'anni!-
- Come si permette di venire in
questa casa e scatenare questo scompiglio?- sibilò Selma irritata.
- Mi
permetto eccome! Ho mantenuto io il figlio del suo padrone in questi
anni!-
- Mi ha mantenuto la mamma!- gli disse William rabbioso, con gli
occhi lucidi - E voglio le sue foto, i suoi libri, tutte le sue cose! Non me
ne importa niente della casa ma tu delle sue cose non sapresti che fartene! Le
rivoglio!-
- Non fare storie!- gli disse il patrigno, sulla porta aperta -
Ora stattene con i mostri come te! Non ne voglio più sapere!- alzò il viso
oltre il ragazzino, illuminandosi. Dopo di che afferrò William per le spalle -
Ecco, ora si occuperà tuo padre di te! Arrivederci!- e lo spintonò duramente
indietro.
William quasi inciampò ma andò a finire contro qualcuno che
riuscì a sostenerlo.
Avvertì una mano sulla spalla e vide che era pallida,
un anello d'argento con una grossa pietra blu quadrata al dito medio. Una
fedina più piccola al mignolo.
Alzò il viso, lentamente e...lo
vide.
Si vide in uno specchio.
Sopra di lui c'era Jeager
Crenshaw.
Alto, sul metro e ottantasei, con una giubba scura con
alamari argentei, aperta sul torace.
Pantaloni neri, una grossa cintura e
una spada alla cinta.
Capelli castano chiaro quasi biondi, lunghi sulla
nuca, occhi verdeacqua. Come i suoi.
William si sentì arrossire.
Non era
...come se l'era immaginato. Non aveva le corna e la coda!
Suo padre, il
suo vero padre, lo scrutò appena un secondo.
Poi lo lasciò, per alzare il
bel volto dai lineamenti perfetti sul suo patrigno.
- Ha fatto ciò che
doveva.- sibilò con una voce flautata che fece vibrare William.
- Infatti.
Mi sono finalmente liberato dell'errore di Lara!-
- L'unico errore di
Lara...- Jeager assottigliò gli occhi in un'espressione sarcastica -...è stato
quello di prendere in considerazione l'esistenza di uomini come lei.-
-
Potrei dirle la stessa cosa!- ringhiò Mitchell, evidentemente terrorizzato ma
col coraggio dei folli - Dodici anni fa Lara era giovane e ha commesso un
grave errore, che ora non ho intenzione di scontare io! Eccolo, quello è
William, suo figlio. Ci siamo già accordati legalmente. Ora se lo sciroppi
lei. Per quanto mi riguarda ne ho le tasche piene!-
- Quante chiacchiere.-
disse il maggiordomo, imperturbabile.
- Già, quanta supponenza per un
essere umano.- sorrise anche Selma, con aria diabolica.
- Mi state forse
minacciando?- urlò Mitchell isterico.
- Non sopporto questo baccano.-
sibilò Jeager, levando un palmo - Sparisca.-
E sotto gli occhi allucinati
di William, una folata di vento potentissima spedì il suo patrigno e
l'avvocato obeso a gambe all'aria, fuori dalla porta che si richiuse sui loro
nasi un attimo dopo.
E finalmente tornò un po' di silenzio.
- Oh. Grazie
al cielo! Bravo ragazzo mio.-
Selma aveva risvegliato William, dando delle
affettuose pacche sulla spalla a Jeager.
- Saggia mossa padrone.- sentenziò
anche Harold - Vuole che dica ai gargoyles a buttarli fuori dalla
tenuta?-
- No, non voglio altre grane col Ministero.- sentenziò il padrone
di casa che finalmente osservò William.
Di nuovo, il ragazzino si sentì
arrossire.
In fondo...era sempre suo padre no? Ma...era un
demone.
Possibile che lo avesse accettato così, senza battere
ciglio?
Non si conoscevano, non l'aveva mai cercato prima.
- Jeager,
cosa vogliamo fare?- tubò Selma eccitata - Faccio subito aerare la stanza per
William!-
- Come ti pare.- bofonchiò il padrone di casa, scrutando il
figlio di sottecchi - Occupatene tu Selma. Harold, dovresti richiamare tutti i
fantasmi, avvisali della presenza del ragazzino e che si comportino di
conseguenza. Non voglio casino né in casa né fuori.-
- Certo signore.-
soffiò il maggiordomo - Desidera altro?-
- Si, due dita di cianuro.- sibilò
Jeager cupamente - E domani quando arriva Arsenius digli di tenersi alla larga
dalle sue stanze. Se lo pesco a girargli attorno ha finito di vivere.-
-
William, caro, tu mangi vero?-
Sconvolto da ciò che succedeva, William
quasi non capì la domanda di Selma.
- Cosa?-
- Tu mangi, vero, ragazzo
mio?-
- Ehm...si...-
- Oh, perfetto! Finalmente potrò usare di nuovo la
cucina!- disse la governante tutta eccitata, scoccando un'occhiata truce a
Jeager - L'inappetenza è una cosa che non sopporto.-
- Sai cosa non
sopporto io?- le rinfacciò Crenshaw - I seccatori a quest'ora di sera.-
-
Allora dovresti bruciare tutti i Mangiamorte che entrano qui in casa,
figliolo.-
- E' inutile che continui.- annuì Jeager, dando loro le spalle -
Domani avviso i Lestrange che ho chiuso. Data la situazione, è impensabile
continuare.-
- Sapevo che avresti preso la decisione giusta!- tubò la
donna, stringendosi William al petto e rischiando di nuovo di rompergli
qualche ossa - Sono fiera di te figliolo! Allora faccio prendere aria alle
stanze! Credo che sia troppo tardi però per far vedere la casa al bambino,
vero?-
- Sarà stanco.- insinuò Jeager, voltandosi appena sopra la spalla -
E non mi sembra proprio un bambino.-
Oh, se n'era accorto!, pensò
William orgoglioso.
Aveva dodici anni! Mica cinque!
-
Ehm...grazie.- borbottò, imbarazzato e umiliato - Mi dispiace per quello che
ha detto Henry.-
- Caro ma tu sei un Crenshaw! Appartieni a questa casa!
Sei il benvenuto!- celiò Selma.
- Ben arrivato signorino.- gli disse anche
Harold, ossequioso.
- E' che...mi ha scaricato qua...senza preavviso...-
mormorò ancora tristemente.
- Te l'ho già detto caro. Qua sei a casa! Ne
siamo tutti felici! Vero Jeager?- chiese Selma con espressione
assassina.
Crenshaw però non fece una piega.
- Oh, come no.- disse fra i
denti - Una sorpresa bella da morire.-
- Oh, non fare storie ragazzo!-
berciò la donnina, dandogli una pacca sulla schiena che sembrava più una
badilata - Lara era una brava persona. Avessi avuto più sale in zucca ora tuo
figlio non sarebbe traumatizzato da questo sbalzo terribile! E poi
quell'uomo...- aggiunse, sbuffando - Dovremmo darlo in pasto ai croen fuori
sulle colline.-
- Non è il caso di diventare violenti, Selma.- le disse
Harold, facendo sollevare i bauli di William con la telecinesi - Vedrai che
non si azzarderà più a tornare. Il padrone è stato chiaro in fondo.-
-
Tranquillo caro!- cinguettò la governante, strozzando di nuovo William
passandogli un braccio al collo - Quell'orribile umano d'ora in avanti non ti
darà più fastidio!-
- Scordi che ci viveva fra gli umani.- sibilò Jeager,
zittendo il gruppetto - E' uno di loro.-
- Mezzo.- replicò Selma.
-
Facciamo demone per un quarto.- concluse Jeager - E' più umano che
demone.-
- Perché, tu cosa credi di essere?-
- Solo esausto e seccato da
questa faccenda.- rispose allora il padrone di Crenshaw Hill, scoccando
l'ultima occhiata al ragazzino - Fate gli onori di casa. Io avviso i Lestrange
di non presentarsi più qua. Né loro, né nessun altro.-
- Bravo Jeager, sono
fiera di te!- approvò la governante, trascinandosi via William per le scale -
Domani mattina ti voglio sveglio per colazione, chiaro?-
- Che rottura!-
sbraitò allora facendo fuoco e fiamme - Mangiate voi e già che ci siete
strozzatevici con la colazione!- e svanì in una nuvola di fumo, prima che la
donnetta potesse anche solo lanciargli dietro un candelabro.
Sempre più
scombussolato, quando William entrò nella sua stanza rimase senza
parole.
Era enorme!
Cinque volte più grossa della sua vecchia
stanza.
Però era troppo esausto per apprezzarla fino in fondo, così si
lasciò andare seduto sul letto a baldacchino.
Istintivamente posò lo
sguardo sul comodino, dove un tempo teneva le foto di sua madre.
Ora invece
non le aveva più.
Nemmeno una.
Con gli occhi vitrei, si scosse con forza
ma poi la mano si Selma calò dolcemente sulla sua testa.
- Forza, ragazzo
mio.- gli sussurrò con voce calda - Tutto passa. Anche il dolore. E poi a Lara
non piacevano le persone tristi.-
- Si, è vero.- mormorò William, a capo
chino - Mi dispiace solo...che Henry mi abbia mollato qua senza neanche
avvisare. Per lui non dev'essere stato piacevole...-
- Per Jeager
intendi?-
- Si. Immagino che non approvi.-
- Tesoro.- sorrise Selma con
aria dolce e maliziosa al contempo - Tuo padre non approva un sacco di cose.
Si irrita per un nonnulla ma il solo fatto che abbia accettato di tenerti,
significa che non gli sei indifferente neanche per sbaglio.-
- Che vuol
dire?- balbettò William.
- Vuol dire che a Jeager non piacciono gli umani.
Eppure ha sempre avuto molto rispetto di tua madre.-
- Si ma io non sono la
mamma.-
- E' vero. Ma in te c'è un po' di Lara e anche un po' di Jeager.-
rispose la donna, saggiamente - Lui è cresciuto coi demoni ed è un demone, a
tutti gli effetti, nonostante lo sia solo per metà. Ma questo non importa. Se
ha accettato di averti qui, ha le sue ragioni. E lui non fa mai niente senza
pensarci su molto bene. Non aspettarti mai dei salti di gioia da lui, baci o
abbracci. Non è il tipo ma...fidati di me.- e si abbassò al livello del
visetto del ragazzino - Qui con tuo padre sei il sicuro. Si prenderà lui cura
di te e credimi...sarà per sempre.-
Otto mesi di
convivenza infuocata dopo quella notte e poi la casa dei Crenshaw venne rasa
al suolo dagli Illuminati.
Durante questo periodo ci fu una cosa che
William Crenshaw imparò quasi subito.
Che l'accettazione totale, per quanto
possa sembrare assurdo, regnava nel cuore di suo padre indipendentemente dal
suo sangue di demone.
Così come nei suoi occhi ora William aveva ritrovato
quel qualcosa che era andato perso con la morte di Lara.
E se ci fu una
cosa che non gli fu mai più negata, fu l'inconsueto amore di un padre
mascherato da blanda sopportazione.
E non c'era niente di meglio al mondo,
per lui.