I tre sedili deserti

di LiaLightmare
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Noi tre seduti sui sedili posteriori. La luce del sole accecante che entra dai finestrini. A destra Christian piange. Fa troppo caldo lì dentro. A sinistra Yuri guarda le macchine sfrecciare veloci affianco a noi. Io al centro guardo la faccia dell’uomo al volante così determinato. Mamma seduta sul sedile del passeggiero che singhiozza e si asciuga continuamente le lacrime che scendono copiosamente sulle sue guance. Niente musica, solo i nostri respiri. E il respiro irregolare di nostra madre.
Questi sono gli unici ricordi che ho di loro, i miei genitori biologici. Risalgo a queste immagini solo grazie agli incubi che mi perseguitano ogni notte da più di un mese. Inoltre, come se quest’ultimi non bastassero, le mie figlie mi ricoprono di domande sulla qualità di vita nell’orfanotrofio dove ho vissuto la mia infanzia. Greta ha quattro anni e mi chiede cose tipo “Avevate un gattino a testa da coccolare?” o “Quanti giochi ti regalavano al compleanno? E a Natale?”. Gioia, invece, ha quindici anni e diciamo che si spinge oltre la fantasia di Gré.
Le ho dovuto raccontare tutto ciò che rammentavo sul mio passato. Le piaceva molto quando le descrivevo le giornate che trascorrevo giocando sul grande giardino che circondava l’edificio scuro e imponente. Io e la mia amica Tiffany giocavamo a ‘madre e figlia’ fingendo che gli alberi fossero le varie stanze della gigantesca casa principesca mentre Maddalena complottava con la cuoca per farci avere un cioccolatino in più. Le foglie erano piatti e tazzine. I gusci delle ghiande erano dei fantastici cucchiaini d’oro intagliato.
Alle sei di sera, però, Signora Isabella si posizionava sullo scalino più alto dell’ingresso e, tirando un filo che suonava una piccola campana nera, ci chiamava all’ordine.
Salivamo tutti in fila le due rampe di scale che ci conducevano ai bagni. A turno ci lavavamo le mani con l’acqua fredda e poco sapone per poi ripercorrere le scale in senso inverso ed entrare nella gigantesca sala da pranzo. Aspettavamo in silenzio l’arrivo dei piatti. Io sedevo sempre tra Christian e Yuri, i miei fratelli gemelli. Di fronte sedevano le mie due amiche e Antonio, un amico dei miei fratelli.
Le pietanze arrivavano fumanti, bollenti e a volte troppo salate. Generalmente la sera si mangiava una ciotola di zuppa e una patata lessa con la buccia.
Soffiavo, soffiavo e soffiavo sul piatto. Tutti mangiavano. Io soffiavo ancora. Avevo paura di scottarmi. Ma questo non interessava a Signora Marla. Si avvicinava e mi prendeva per i miei lunghi capelli castano scuro. Con gesto deciso faceva in modo che il mio naso sfiorasse la zuppa. Esclamava “Senti?! Senti che ormai si è freddata?! Allora non hai fame! Dillo! Chi ti ha dato del cibo prima di cena?! Chi?!”. Chris, il più attento e agile, tenendomi per mano la guardava negli occhi e le diceva “Signorina, non la tocchi per piacere. Dio l’ha fatta così bella.. Ci sarà un motivo no?”. Lei, senza alcun sentimento nei nostri confronti rispondeva “Dio vi ha fatti belli? Beh, vi ha fatto anche soli!”. Detto ciò mi mandava a letto senza cena. E quante cene ho saltato.
Ma cavolo se scottava quella minestra.




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