I personaggi di Liszt ed Ewa non mi appartengono, sono proprietà esclusiva della
loro bravissima creatrice ovvero Miyon Sybert Douval (qui il suo flickr: www.flickr.com/photos/miyon_sybert_douval/).
La storia prende il titolo da questo scatto e vignetta: www.flickr.com/photos/miyon_sybert_douval/4644947319/in/photostream/
Se avete opinioni, commenti, considerazioni lasciate una
recensione.
Buona lettura
-------------------------------
Regnava il silenzio in quella grande casa buia, a guardarla
da fuori potrebbe sembrare disabitata anche se non ci sono assi di legno a
bloccare le finestre e al mattino si vede qualche servo entrare ed uscire
dall’edificio. Eppure anche di giorno in quella casa regnava la quiete più
assoluta poiché tutti camminavano lievi su quei pavimenti, così voleva il
giovane padrone; egli esigeva che nessun suono turbasse quell’innaturale quiete
un tempo alleggerita dalle melodie di un pianoforte.
Tutto per il giovane addormentato, l’unico e solo amore del
malinconico signore del maniero. Un amore tanto tormentato quanto triste per
due giovani il cui unico desiderio era rimanere insieme. Legati dal caso e
distrutti dal destino che crudelmente aveva ridotto quell’impetuoso ed esuberante
ragazzo dai capelli rossi a bambola inerte incapace di esprimere la propria
volontà, un tempo forte e indomabile tanto da scontrarsi con la rigida
tradizione di famiglia e sfidarla pur di essere libero.
Un amore che era stato gioia e condanna per il nobile
austriaco, l’unico colpevole della tragedia che ha distrutto due giovani vite.
Perlomeno è questo quello che egli continua a ripetersi nei giorni che si
trascinano lenti, vuoti e che lo tormenta nei sogni delle agitate notti che
egli passa in compagnia dei fantasmi del passato che lo giudicano, lo deridono
e stringono le fredde mani su quel cuore ormai spento.
In quella casa incantata schegge di sole facevano capolino
dalle porte, passi svelti e veloci turbavano lievemente l’aria immobile delle
grandi stanze. Tutto questo aveva un breve nome, piccolo come chi lo possedeva:
Ewa. La bionda bambina, di origine polacca, era stata
raccolta per pietà dalla governante; forse quel visino sporco dai grandi occhi
azzurri e la prevedibile sorte di chi è abbandonato a sé stesso in mezzo ad una
strada aveva smosso il cuore dell’anziana donna che in cambio di vitto e
alloggio le aveva affidato il ruolo di aiuto domestico.
Quando la governante aveva presentato la nuova servetta a Liszt egli ne era rimasto indifferente, a lui importava che
non creasse disordini. Ewa dal canto suo, all’inizio
un po’ spaventata dal silenzioso padrone, aveva assunto il suo ruolo con assoluta
cura e caparbia dedizione per dimostrare di meritarsi le calde coperte e lo
stomaco pieno.
Anche quella notte Liszt non
riusciva a dormire, si rigirava inquieto tra le coltri del suo letto che invece
di donargli un sano oblio momentaneo lo soffocavano, frustrato decise di
alzarsi.
Mentre si aggirava per i lunghi corridoi con la sua ombra
come unica compagnia qualcosa colpì la sua attenzione. L’eco di un suono
ripetitivo, famigliare, che avrebbe riconosciuto tra mille.
Do centrale
I ricordi lo
investirono con tutta la loro schiacciante potenza riportando alla mente ciò
che voleva dimenticare, ma ostinatamente continuava a serbare caro nel suo
cuore che ora batteva furioso come mai aveva fatto, come un tempo aveva fatto.
Mallarmé che goffamente batteva il
dito su quel tasto d’avorio.
Mallarmé che testardo non voleva
saperne di avere a che fare col lucido pianoforte.
Mallarmé che lo osservava con uno
sguardo intenso prima di accarezzargli delicatamente i capelli e congiungere le
loro labbra.
Liszt non si accorse di aver
accelerato il passo, per quanto la sua gamba zoppa potesse permettere, per
raggiungere quel suono che ora aveva smesso ed altri prendevano il suo posto.
Ewa chinava il capo colpevole di
aver assecondato la curiosità di avvicinarsi all’elegante e maestoso oggetto
che faceva bella mostra di sé in quella stanza, colpevole di aver voluto
toccare quei tasti bianchi e neri dai quali era stata affascinata, colpevole di
avere ostinatamente suonato quel Do centrale.
La domestica che l’aveva scoperta ora la stava sgridando:
come si era permessa di rompere il sacro silenzio? Come si era permessa una
servetta di toccare il prezioso strumento del padrone? Ora l’avrebbe punita per
insegnarle la lezione, una bella bacchettata su quelle mani insolenti e poiché
si era dimostrata indisciplinata
l’avrebbe rimandata lì dove l’aveva trovata.
«Non oserete, se vi permetterete anche solo di sfiorare
quelle mani sarete voi quella che verrà punita» l’ordine risuonò secco.
La domestica balbettava confusa, ma Liszt
la congedò rapidamente e quando fu solo osservò la bambina che aveva alzato lo
sguardo spaventato su di lui. Si avvicinò ed Ewa
strizzò gli occhi attendendo il colpo, ma fu gentile la pressione di quella
mano sulla sua testa.
«Perché suonavate il pianoforte?» chiese basso Liszt alla luce di un candelabro.
«Mi…mi dispiace p-padrone non
accadrà più…glielo giuro, vi prego, vi prego non
mandatemi via» implorò la piccola guardandolo con gli occhi pieni di lacrime.
«Vi ho chiesto perché suonavate il pianoforte» ripetè Liszt non spostando la
mano dalla testa di Ewa.
«I-io…ero curiosa di sapere cosa
fosse e…cosa facesse…non volevo…n-non» le lacrime iniziarono a scendere su quel
piccolo viso.
«Porgetemi le vostre mani»
disse Liszt tendendo le sue.
Ewa lo guardò e titubante mise le
sue piccole mani in quelle grandi del padrone, mani da pianista.
«Da oggi in poi dovrete averne cura, se vi feriste non
potreste più seguire le mie lezioni».
«Lezioni padrone? Cosa intendete dire?».
«Voi mi ricordate qualcuno che un tempo suonava nello stesso
identico modo» la voce di Liszt era morbida e calma,
ma si avvertiva una punta di nostalgia «Entrambi avete avuto la forza di rompere
la mia indifferenza e voi ora mi avete ricordato quanto amassi ciò che ora mi è
negato».
Liszt le lasciò le mani e si voltò
«Andate a dormire ora domani vi attende una lunga giornata» e detto questo si
avviò verso le sue stanze, la mente e il cuore colmi di sentimenti in tempesta.
Ewa lo guardò allontanarsi
sorpresa non solo di non essere cacciata, ma addirittura di ricevere dal
padrone nero e silenzioso attenzioni e cure che nessuno finora le aveva mai
dedicato. Sorrise e corse nel suo letto felice per la prima volta in cui le era
accaduto qualcosa di bello, felice di sapere che quell’opprimente e freddo
silenzio era stato in parte spezzato, felice perché forse su quel viso sarebbe
sbocciato un sorriso che, ne era certa, sarebbe stato bellissimo.