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Eccomi qua, sono tornata! Sono
veramente molto emozionata in questo momento. Postare una nuova ff non
è mai facile, ti vengono in mente ventimila complessi:
piacerà? Non piacerà? Mi diranno quello che ne
pensano? Sarò all’altezza di raccontare per bene
ogni cosa senza offendere nessuno? Mi manderanno a quel paese? Io spero vivamente che
non lo facciate, che mi terrete compagnia durante questo viaggio e che
soprattutto mi scriviate le vostre impressioni. Passo e chiudo. Vi
lascio alla lettura del primo capitolo. Ultima cosa prima di
andare: a un certo punto troverete una canzone, ASCOLTATELA! Mi ha
ispirato a scrivere l’intera storia tanto che le ho dato il
suo nome. Ci vediamo
giù!
“…Passa
il tempo e non parlare. Passa il tempo e non dire.
Tanto tu sai quello che voleva, quello che ci è successo,
Quello che sento ancora qua.
…E tu se vuoi tornare indietro,
basta che chiudi gli occhi e poi vedrai che mi troverai!”
Mercoledì,
12
Ottobre 2011
-Henry
ho detto di no. Non puoi chiedermi di discutere il prezzo di
quel vino, lo so che è un prezzo esorbitante ma.. ei? Stiamo
parlando del Sassicaia. Un vino che arriva direttamente dalle pianure
Toscane, è uno dei vini più pregiati del mondo.
Pensa a tutti i ricconi che spenderanno mille e duecento dollari solo
per acquistarne una bottiglia!- negli occhi di Henry vedo il simbolo
del dollaro lampeggiare ad intermittenza e dentro di me esulto
spudoratamente per averla spuntata ancora una volta. Non
è da tanto che faccio questo lavoro ma una cosa è
certa, sono diventata fottutamente brava a capire quello che vuole la
gente, e la gente di New York amerà questo vino. Gestire dei
ristoranti non è per nulla semplice, soprattutto se la crisi
che ha colpito l’intero globo si fa sentire pure da queste
parti anche se in forma ridotta. Ci troviamo pur sempre a Manhattan, il
via vai di gente, di turisti e di ricconi pronti a spendere cifre
esorbitanti solo per un pranzo non è mai diminuito. Questo
è il cuore pulsante di New York, i soldi da queste parti
sembrano cascate verdi nei portafogli della gente o cascate color
platino se parliamo di carte di credito. Henry mi guarda e vedo qualche
segno di cedimento sul suo viso, il vino che gli ho proposto di
comprare farebbe veramente una bella figura nella sua cantina e so che
la gente ne andrà matta. Io l’ho adorato,
nonostante sia stato il mio ex marito a farmelo assaggiare durante una delle sue stratorferiche cene. E' un cuoco bravissimo. Scuoto la
testa cercando di dirigere la mente altrove e mi metto a fissare il
ghiaccio che ho nel bicchiere. Dopo pochi secondi sento Henry sospirare.
-e va bene! Hai vinto, mi fido di te. Diamine Bella saresti in grado di
mettere fuori gioco chiunque- lo guardo sorridente- sei proprio
cresciuta bambina, i Cullen hanno fatto davvero bene ad assumerti
cinque anni fa- reprimo la fitta che sento all’altezza dello
stomaco e indifferente continuo a guardare il suo viso contornato dai
capelli bianchi e i suoi bellissimi occhi azzurri –dimentichi
che adesso le cose sono un po’ diverse Henry?- -come
faccio a dimenticarlo..- sussurra dispiaciuto facendo aumentare
la morsa che sento allo stomaco. Henry e io ci conosciamo davvero da
molti anni e il rapporto che c’è tra di noi non lo
considero per niente un rapporto professionale, noi due siamo amici
prima che gestore e responsabile dell’Agape, il
ristorante dove mi trovo adesso. Henry è il responsabile qui
dentro, si occupa della cucina, io invece mi occupo della gestione
anche se tutto questo, compresa la sedia dove sono seduta e il ghiaccio
che sto facendo titillare nel bicchiere ormai vuoto è
proprietà della famiglia Cullen –bambina stai
bene?- mi chiede apprensivo come sempre, ed io come sempre gli rispondo
con un sorriso- ma certo Henry non ti preoccupare- mi alzo dalla sedia
pronta ad andare via, la mia giornata di lavoro non è ancora
finita nonostante siano quasi le sei. -dove
vai? Fermati a mangiare un boccone- Scuoto
la testa lentamente – lo sai che non posso, devo
correre da Steve- a quelle parole sul suo viso compare subito un
espressione di sufficienza e inevitabilmente scoppio a ridergli in
faccia – ma certo, come sta il nostro caro e vecchio Steve?
Che vada al diavolo..- sussurra pensando che non l’abbia
sentito e questo mi fa ridere ancora di più. -Steve
sta bene grazie, gli porterò i tuoi saluti- dico
divertita allontanandomi verso la porta d’uscita.
Entro in macchina e molto velocemente mi immetto nel traffico di New
York che a quest’ora è diventato spaventoso.
Lascio il quartiere di TriBeCA e mi dirigo verso Midtown dove si trova
il Gourmet,
il ristorante di Steve, altro locale che dirigevo per conto della
famiglia Cullen e che adesso dirigo come socio al 50%. In
verità tutti e tre i locali che gestisco sono
proprietà della famiglia Cullen, ma se prima ero sotto le
loro dipendenze, adesso faccio tutto da sola. Mi spiego
meglio… a “causa” di una piccola
clausola di matrimonio (clausola voluta fortemente dal mio ex marito
che inizialmente avevo considerato superflua e per nulla necessaria) in
seguito al divorzio mi sono ritrovata in possesso del 50% dei
ristoranti della famiglia Cullen. In definitiva loro sono si i
proprietari dei locali che gestisco, ma alla fine i proventi vanno ad
entrambi. Io ho assunto la gestione, in pratica mando avanti la
baracca insieme ai miei collaboratori di sala e di cucina,
loro alla fine come proprietari ricavano un bel po’ di soldi,
ma quei soldi sono anche destinati alla paga dei dipendenti, io invece
proprio grazie alla clausola, non devo dividere niente con nessuno. Un
bel vantaggio no? Grazie a tutti i soldi che guadagno posso
permettermi la vita agiata che non mi sarei mai sognata di vivere e di
questo dovrei ringraziare esclusivamente una persona, ma visti i
precedenti sono più tentata di dire che devo ringraziare
solo me stessa per avercela messa tutta e per aver raggiunto i
risultati impensabili che ho raggiunto grazie a questo lavoro.
Raggiungo il Gourmet in mezz’ora pronta a sorbirmi tutte le
lamentele di Steve. Scendo dall’auto stringendo i lembi del
cappotto contro il collo, siamo ad ottobre inoltrato e la temperatura
ha già cominciato ad abbassarsi, e mi dirigo verso
l’entrata. L’aria all’interno del locale
è meno pungente rispetto ai 12 gradi esterni e mi lascio
sfuggire un gemito di piacere quando entro in contatto con
l’aria calda del riscaldamento. Angela, al bancone intenta a
servire cocktail, mi saluta con un gesto della mano e noto in quel
momento che il locale è quasi pieno. Steve
sarà
intrattabile questa sera penso
dirigendomi verso le
cucine. Già a metà strada sento un odorino
sublime darmi il benvenuto. Lui è un bravissimo cuoco,
è eccezionale nel suo lavoro, e sarebbe di certo un ottimo
responsabile se non fosse per il fatto che è sempre
insoddisfatto. Il contrario di Henry in pratica, ecco perché
non lo sopporta. Spingo
le porte della cucina e a passo spedito mi avvio verso i fuochi
dove trovo Steve immerso completamente nel proprio lavoro. -buona
sera a tutti ragazzi, Steve..- -oh
alla buonora, quel vecchiaccio aveva bisogno che gli attaccassi il
catetere?- come non detto! Lascio correre l’allusione non
troppo velata che ha fatto su Henry e alzando gli occhi al cielo mi
metto seduta al tavolino del break servendomi una tazza di
caffè. -oh
anche per me è un piacere vederti Steve. Siamo
più scontrosi del solito stasera, come mai? Il formaggio da
800 dollari che ti ho fatto arrivare dalla Francia non ti è
piaciuto? O forse sarà stato il caviale pregiato del mar
Caspio? Oh, aspetta ci sono! Lo zafferano DOP della Sardegna era
rinsecchito, dovrò chiamare Antonio e dirgliene quattro-
dico prendendomi beffe di lui. Si
gira a guardarmi, sul suo viso ha stampata una smorfia scocciata- se
non fosse che ti perdono tutto e che senza di te non riuscirei a fare
niente qui dentro, ti odierei per quella boccaccia che ti ritrovi- rido
sapendo di essere la sola ed unica persona a riuscire a spuntarla ogni
volta con lui e affondo la mia “boccaccia” nella
tazza colma di caffè. Lui ride di rimando mostrandomi una
sfilza di denti bianchissimi. Steve ha 35 anni o giù di li
ed è.. molto bello. E’ alto e nerboruto, ha i
capelli scuri e gli occhi verdi, sulla sua faccia un pizzetto squadrato
gli incornicia le labbra carnose. Devo ammettere che se non fosse la
persona più odiosa di questo mondo un pensierino ce lo
farei.. ma, come dico sempre, mai mischiare il lavoro con
l’amore, si rischia solo di creare un casino di proporzioni
megalitiche. Dopo
quasi due ore passate a sorbirmi ogni tipo di impropero da parte
di Steve lascio le cucine e corro di filata da Angela. Ho bisogno di
qualcosa di forte da bere. -ciao
Bella, cosa ti offro?- mi chiede lei cordiale come sempre. -un
Martini, subito!- -ti
ha fatto sudare eh?- dice divertita sapendo cosa mi aspetta ogni
volta che vengo qui. -non
più del Long Island della settimana del
Tartufo- dico divertita facendola ridere. Due
minuti dopo sorseggio il mio Martini guardandomi intorno annoiata
in attesa di imboccare di nuovo l’uscita e andare da mio
padre. Noto a pochi metri da me una signora mangiare quello che ha nel
piatto con un espressione beata dipinta sul viso, sembra che tocchi il
cielo con un dito ad ogni boccone. Sono fiera di me stessa quando vedo
le persone soddisfatte gustare quello che i miei collaboratori cucinano
per loro, vuol dire che ogni cosa è al proprio posto e che
sto facendo bene il mio lavoro. È questa la cosa
che conta di più per me, oltre mia figlia Sophie
naturalmente.
Sposto ancora lo sguardo e per poco non mi affogo con quello che sto
bevendo quando mi accorgo chi è seduto due tavoli
più in la. Non posso evitare di agitarmi ogni volta che lo
vedo, se poi lo scopro in compagnia di altre donne è anche
peggio. Con lui faccio sempre finta che non mi importi con chi si
frequenta e che può fare quello che vuole della propria
vita, ma non posso negare di sentire una fitta dilaniante alla base del
cuore quando ci comportiamo come due estranei. Ma ormai è
questo che siamo diventati, due estranei che si fanno
costantemente la guerra per non rischiare di far riaffiorare dei
sentimenti che ci farebbero solo soffrire. Lo so io, lo sa lui e lo
sanno le persone che ci stanno intorno, almeno quelle a cui teniamo di
più. Questo
pensiero mi fa balzare giù dallo sgabello e mi
ricorda che ho un appuntamento con mio padre. Saluto Angela e trafelata
esco dal locale cercando di fare in modo di non essere vista. Non
sopporterei di reggere lo sguardo di Edward questa sera. Anche se non
posso fare a meno di scontrarmi con in suoi smeraldi quando lo vedo
fissarmi attraverso la parete di vetro del locale un secondo prima di
infilarmi nella macchina. Sbuffo pensando a quanto sia stressante ogni
volta dover sopportare tutto questo: le gambe di gelatina, il cuore che
batte, le guance arrossate. Eppure non posso semplicemente godere di
queste sensazioni, no.. non posso, non dopo quello che mi ha fatto. Spingo
affondo l’acceleratore per arrivare nel Queens il
prima possibile, non vedo l’ora di raggiungere mio
padre, se sto troppo tempo da sola non posso fare a meno di pensare
alla situazione in cui ci troviamo: divorziati e con una bambina da
crescere. E pensare che il nostro era una amore così bello,
così forte e siamo stati in grado di rovinare tutto.
Spinta
da una forza incontrollata comando la mia mano a cercare nella
playlist della mia macchina LA canzone, la nostra canzone. Quella che
ci ha fatto incontrare. L’ascolto sempre quando ho nostalgia
della nostra vita insieme e contemporaneamente mi do della stupida
perché ogni volta scoppio a piangere come una bambina. È
stato il suo suono a condurmi da lui quando un giorno di
tanti anni fa mi sono trovata a lavorare a casa sua. Io non ho mai
vissuto nel lusso e per potermi mantenere sono stata costretta ad
abbandonare l’università e a cercarmi un
lavoro.
Ricordo che da Catering & Banqueting
cercavano personale per una mega festa che si sarebbe svolta nella
villa di un magnate dell’industria petrolchimica, e
così mi sono presentata per il posto di cameriera. Mai avrei
creduto che da quella sera tutta la mia vita sarebbe cambiata per due
occhi verdi e dei capelli color del rame. Mai avrei creduto che fosse
possibile innamorarsi perdutamente di una persona solo dopo poche ore,
eppure a me era successo. Ero solo una ragazzina che ha lasciato che
l’amore la travolgesse con la stessa forza di un uragano e
oggi, guardando indietro lascerei che ciò accadesse ancora..
e ancora.. e ancora. Ricordo di essermi appartata per riposarmi un
po’ a fine serata, ma ovviamente il mio scarsissimo senso
dell’orientamento mi condusse praticamente nella
zona opposta a dove erano andati tutti gli altri camerieri; dovevo
raggiungere Janet una ragazza che avevo conosciuto quella sera stessa e
che come me cercava di tirare avanti tra un lavoro e un altro. Ero
pronta per tornarmene da dove ero venuta ma una musica mi fece
bloccare. Come un cane da tartufo annusai quelle note dolci scivolare
in quei corridoi bellissimi, finché non raggiunsi la stanza
da dove proveniva quel suono in grado di toccarmi le corde del cuore;
per quanto ne sapevo io poteva essere anche il suono di un CD ma la mia
curiosità voleva essere accontentata. Mille brividi
percorsero la mia schiena quando scostai di poco la porta per sentire
meglio e in quel momento mi diedi della stupida perché
sapevo che la cosa più giusta da fare sarebbe stata
andarmene, raggiungere gli altri e concludere il mio lavoro. Ma no, non
lo feci e naturalmente non potei sfuggire al suo sguardo(ancora oggi mi
chiedo se non ci sia una qualche calamita che gli fa alzare gli occhi e
cercarmi ogni volta che siamo vicini). Quando Edward si girò
e i suoi occhi si posarono per la prima volta sul mio viso pensai di
poter prendere fuoco. Non si interruppe, come invece pensavo che
facesse visto che l’avevo disturbato, ma continuò
a suonare rimanendo fisso a guardarmi. Solo dopo mi disse che non aveva
smesso perché era incantato nel guardare tutto
ciò che quella musica riusciva a trasmettermi attraverso le
espressioni del viso.
Scuoto la testa per ritornare con la mente al presente e mi accorgo che
manca veramente poco per raggiungere la casa di mio padre. Come succede
sempre anche questa volta non riesco a reprimere un moto di tristezza e
di malinconia quando penso a lui. Mio padre fa il poliziotto, o
meglio.. lo faceva. Da quando una terribile e disgraziata notte di sei
anni fa ha commesso l’errore di togliere la vita ad un uomo
innocente che si trovava a passare di lì durante uno scontro
a fuoco con alcuni malviventi.
Da quella sera non è più lo stesso.
Strigo forte le mani attorno al volante per sopprimere la rabbia e mi
correggo mentalmente appurando che sono ormai dieci anni che non
è più lo stesso. Tutto è cominciato
quel giorno di settembre…quel giorno che ancora oggi tutti
ci portiamo nel cuore. Mio padre ha smesso di vivere da quel giorno.
Dal giorno in cui mia madre è morta negli attentati
dell’11 settembre. La sorte degli occupanti della Torre Nord
che si trovavano sopra i piani colpiti dall’aereo fu segnata
fin dal primo momento. L'impatto centrale del Boeing contro il nucleo
dell'edificio aveva precluso ogni possibile via di fuga, tagliando
tutte le scale di evacuazione e lasciando senza speranze i
sopravvissuti, tra questi c’era anche mia madre. Mai nessuno
sarà in grado di immaginare l'inferno che hanno vissuto nei
loro ultimi momenti, consapevoli della loro atroce fine. E lui era li,
come poliziotto ha cercato di fare al meglio il suo lavoro e ha visto
la torre cadere e sbriciolarsi davanti ai suoi occhi. Ha visto la fine
di mia madre e la morte di alcuni dei suoi compagni. Mi porto una mano
ad asciugare gli occhi e mi rendo conto che abbiamo commemorato tutte
le vittime di quel giorno soltanto un mese fa. Nonostante il dolore ha
continuato a lavorare lo stesso, si è rimesso in piedi anche
se con la morte nel cuore e ha lavorato sodo per riuscire a darmi il
meglio. Ma quella notte di sei anni fa è stata il colpo di
grazia per lui, da allora non si è più ripreso
sprofondando in una sempre più dilaniante sofferenza. Non
esce più, non ride più.. è diventato
lo spettro di quello che era il mio amorevole e dolce papà.
Solo mia figlia Sophie riesce a farlo sentire un po’ meglio.
Lei con la sua allegria e spensieratezza spazza via brevemente le nubi
dal suo cuore e dal suo animo, ma poi tutto torna come prima quando
è ora di tornarcene a casa.
Metto la freccia per svoltare a sinistra e parcheggio l’auto
nel vialetto di casa. Le luci sono soffuse e come sempre il volume del
televisore troppo alto; sento David Letterman ridere sguaiato sin da
qui. Prendo il sacchetto che ho fatto preparare da Steve dal sedile
accanto al mio e scendo dall’auto. Quando apro la porta di
casa la scena che mi trovo davanti è sempre la stessa:
Charlie seduto sulla poltrona intento a guardare la punta delle sue
scarpe e lo show televisivo che scorre senza degnarsi di dargli nemmeno
un occhiata. Subito afferro il telecomando e abbasso il volume,
stupendomi come mai Sue non l’abbia fatto prima. Sue
è la vicina di casa di papà, ogni tanto lo affido
a lei quando gli impegni mi impediscono di venire a fargli visita. -ciao
papà, come stai oggi?- gli dico mentre mi abbasso per
depositagli un bacio sulla fronte e corro in cucina sapendo che non
riceverò nessuna risposta. Prendo le posate e i piatti, li
porto in salotto e li appoggio sul tavolino proprio davanti a lui. Apro
il sacchetto con il cibo e deposito nel suo piatto un abbondante
porzione di riso ai funghi( per fortuna l’appetito non gli
manca) e il resto lo metto nel mio. Gli porgo la forchetta e riempio il
suo bicchiere con dell’acqua – avanti
papà, mangia su- lo incito mentre lo vedo rivolgermi la
prima occhiata da quando sono entrata. Si sforza di farmi un sorriso
tirato e comincia a mangiare. Passiamo il resto del tempo a sfamarci
senza dire niente, lui è di poche parole ed io sono troppo
stanca per intavolare una conversazione che alla fine
porterò avanti da sola. Dopo
aver finito tutto quello che ha nel piatto mi chiede di Sophie
– dov’è la mia dolce nipotina? Sta
bene?- dice con quel tono che mi ricorda tanto i tempi
passati. -oh
benissimo grazie. È a casa di sua zia, voleva passare un
po’ di tempo con lei. Vado a prenderla prima di tornare a
casa- -bene-
mi dice e soltanto in quel momento mi rendo conto che forse non
gli faccio passare abbastanza tempo con lei se arriva a chiedermi come
sta. Capisco che la conversazione è finita quando si gira a
guardare la tv, perciò mi alzo e vado in cucina per
riordinare. Quando finisco corro subito nella sua camera da letto e do
una sistemata anche li, poi mi dedico al bagno. Faccio tutto in fretta
in modo d’impedirmi di pensare a questa tremenda situazione.
Sono le 21.30 quando torno giù nel salotto e lo trovo nella
stessa posizione in cui l’ho lasciato. A questo punto non
riesco più a trattenermi e una fitta allo stomaco mi procura
una crisi di pianto. Per non farmi vedere mi chiudo in cucina e aspetto
che finisca, che lo sconquasso che sento dentro si affievolisca e che
torni a respirare normalmente. Succede ogni volta che penso a mia madre
e mi rendo conto di quanto mi manca, di quanto mi è mancata
nelle tappe più importanti della mia vita e quanto mi
mancherà in futuro. Penso a come si è ridotto
papà e a come le sue condizioni mi hanno costretto ad
abbandonare gli studi per cercare un lavoro. Vorrei essere arrabbiata
con lui per non avermi dato la possibilità di studiare come
tutti gli altri, ma poi le immagini di me e di Edward durante il nostro
primo incontro mi passano davanti agli occhi e dimentico tutto. Passa
almeno un'altra mezzora prima che mi riprenda completamente e mi rendo
conto che devo rimettermi in piedi e dimostrarmi forte. Lo devo a mio
padre, ma soprattutto lo devo all’angelo che mi aspetta per
tornare a casa dai suoi giochi e dal suo lettino. -papà
è tardi, sono le dieci passate. Vai a
letto- gli dico inginocchiandomi per terra davanti a lui. Si volta a
guardami e mi stupisce alzando una mano ad accarezzarmi la guancia
sinistra. -
sei così bella..- dice in un sussurro procurandomi un
po’ di batticuore. Sono rare le occasioni in cui si lascia
andare a dimostrazioni d’affetto nei miei confronti e ogni
volta che succede penso di riuscire a toccare il cielo con un dito. -grazie
papà, ma ora vai a letto è tardi. Devo
andare a prendere Sophie- annuisce alla mia richiesta e quasi a
rallentatore si alza dalla poltrona per incamminarsi verso le scale che
portano al piano superiore. Per fortuna è autosufficiente,
non penso che sarei riuscita a sopportare l’idea di lui che
ha bisogno di qualcuno per andare in bagno o anche solo spogliarsi.
Prima che me ne dimentichi lascio sulla mensola del camino la solita
somma di denaro che gli lascio quasi tutte le sere e dopo aver spento
la tv esco di casa e salgo in macchina.
Il tragitto dal Queens all’ Upper East Side non è
tanto lungo e contro ogni mia previsione non ci metto troppo tempo ad
arrivare sotto casa di mia cognata, emmh scusate, volevo dire ex
cognata. Lascio la macchina proprio davanti al portone del suo palazzo
ed entro dentro correndo. Saluto Fred (il custode) e salgo su. Quando
suono alla porta dell’appartamento che in verità
ha tanto l’aria di una reggia, sono ormai le dieci e trenta
passate. Dopo una serie di urletti e rumori concitati un tornado dai
capelli ramati mi salta addosso cogliendomi impreparata e per poco non
cadiamo a terra. -mamma
sei arrivata!- mi urla nell’orecchio stordendomi un
po’. -scusa
ho fatto tardi. Pensavo che stessi già dormendo- dico
guardando di sbieco mia cognata, oh pardon ex cognata. -non
arrabbiarti Bella stavamo guardando la Sirenetta e non ci siamo
accorte del tempo che passava- mi dice Alice dall’alto del
suo metro e sessanta. La ignoro e mi volto subito verso Sophie-
davvero? Ancora?- avrà guardato quel cartone almeno 200
volte da quando gliel’ho fatto vedere per la prima volta. -si
mamma. Non arrabbiarti con la zia- per
carità
penso tra me e me
e chi
la ferma poi. -ok,
va bene. Ma adesso corri a prendere le tue cose, andiamo a casa-
la metto giù ed insieme entriamo dentro per recuperare la
sua borsa. -ha
fatto la brava?- chiedo ad Alice quando ci troviamo nel salotto da
sole. -si,
lo sai che è un angioletto. Sta proprio venendo su
bene. Ah prima che me ne dimentichi, la sua maestra mi ha dato questo
per te- dice passandomi un foglio gli orari disponibili ad incontrarla-
Vuole che passi a trovarla il prima possibile, anche domani se non hai
impegni. E..- -e..?- -ha
detto di far venire anche Edward- sento una morsa allo stomaco solo
a sentirlo nominare e tra noi si crea subito dell’imbarazzo.
Odio questa situazione, prima del divorzio io ed Alice eravamo
diventate quasi sorelle. -non
preoccuparti. Lo chiamo appena arrivo a casa- fantastico
adesso mi tocca
fargli anche da segretaria penso.
Per
fortuna Sophie è veloce e mi toglie
dall’impaccio. La
prendo in braccio e prima di uscire di casa ringrazio Alice e le
chiedo di salutare Jasper da parte mia. Sul suo viso vedo la solita
tristezza e me ne rammarico, ma è meglio così.
Edward è suo fratello e se voglio riuscire ad andare avanti,
freddare i rapporti con tutta la mia vecchia famiglia è
l’unica soluzione per non rimanere ancorata al passato.
Arriviamo a casa in un battibaleno, visto che abitiamo quasi vicine,
nel frattempo mia figlia non ha smesso un attimo di parlare. Come
faccia ad essere così sveglia e attiva anche alle undici di
sera è un mistero per me, forse i cromosomi di Edward erano
in gran forma la sera che l’abbiamo concepita e hanno vinto
la battaglia contro i miei facendola assomigliare sempre di
più a quello scricciolo di mia cognata, emmh volevo dire ex
cognata. La
porto di filata nella sua stanzetta e le metto subito il pigiama
ringraziando mentalmente Alice per averle già fatto il
bagnetto. Non passano più di cinque minuti da quando ho
cominciato a raccontarle la favola della buona notte, che la sento
sospirare pesantemente e mi accorgo che è già
crollata nel modo dei sogni. Mi giro ad osservarla e ogni volta mi
perdo a contemplare la sua bellezza. Il visino tondo, i capelli pieni
di boccoli ramati, la sua pelle chiara e liscia come la seta, il suo
profumo inconfondibile rimasto immutato dal giorno della sua nascita;
sospiro pensando che sono già passati quasi quattro anni, il
più bel regalo di Natale che abbia mai ricevuto.
Si perché è arrivata infiocchettata a festa dopo
nove ore di travaglio il 25 Dicembre 2007. Ricordo ancora la
felicità di quel giorno e l’amore incondizionato
sul viso di Edward.
Le lascio un bacio delicato sulla fronte ed esco dalla sua stanzetta.
Corro in bagno a farmi un doccia veloce e appena finisco indosso subito
il pigiama. Asciugo un po’ i capelli e poi mi avvio in
cucina. Facendomi coraggio prendo il cellulare e compongo il numero di
Edward. Non mi faccio problemi che sia quasi un orario indicibile per
fare telefonate o che possa interrompere qualcosa proprio sul
più bello… solo a pensarci un fiotto di bile mi
sale nella bocca raschiandomi la gola. Risponde
al terzo squillo segno che non stava affatto dormendo. -Bella?
È successo qualcosa a Sophie?- mi chiede subito
allarmato. -no,
non è successo nulla sta tranquillo- lo sento sospirare
dall’altra parte della cornetta – ti ho chiamato
per dirti una cosa riguardo
tua figlia-
dico calcando l’accento sulla
parola tua,
odia quando lo tratto con così tanta indifferenza e infatti
non mi stupisco di sentire uno sbuffo dall’altra parte,
inconsapevolmente mi spunta un sorriso sulla faccia. -Bella
non fare così- -così
come?- -come
se non me ne importasse niente- Non
ti è
importato niente tre anni fa, perché dovrebbe interessarti
proprio adesso vorrei
rispondergli e invece mi limito a
dirgli -beh è quello che penso Edward perciò non
puoi farci nulla- -lo
sai che non è vero- -certo,
certo- rispondo con sufficienza e anche questo so che gli da
fastidio da morire. -Sophie
è la persona più importante della mia
vita e questo lo sai- -peccato
che quando avresti potuto fare qualcosa non l’hai
fatto, hai preferito tradirmi e perdere la tua famiglia- dico risoluta
soltanto per il gusto di ferirlo e fargli provare un minimo del dolore
che ha fatto provare a me. Esco dalla cucina e mi rifugio nella nostra
ormai ex camera da letto. -non
è stata tutta colpa mia, e lo sai- si lo so, ma non
sono stata di certo io a correre tra le braccia di un’altra.
Avrebbe potuto fare la differenza e invece… -
non ero io quella a spingere il tuo attrezzo in mezzo alle
gambe di quella stronza Barbie siliconata! Perciò
per favore risparmiami i sensi di colpa, tanto non ti credo- lo sento
sbuffare dall’altro lato –senti basta, ogni volta
è sempre la stessa storia. Tu che mi rinfacci i miei errori
ed io che faccio altrettanto con te. La differenza tra me e te
però è che io stavo lottando per cercare di non
perdere me stessa mentre tu non ti sei fermato un attimo a pensare a
quello che stavi facendo, alle conseguenze delle tue azioni- stanca
morta mi sdraio sul letto e cerco di regolarizzare il respiro. -lo
so, maledizione! Lo so!- dice esasperato. Passano diversi minuti
prima che uno dei due torni a parlare. -cosa
volevi dirmi?- mi chiede questa volta più pacato. -la
maestra dell’asilo di Sophie vuole vederci- -come
mai?- -non
lo so, ha parlato con Alice oggi pomeriggio. Mi ha lasciato la
lista degli orari per un incontro. Ti va bene domani mattina? Voglio
sapere subito cosa ha da dirmi...dirci- mi correggo subito. Ogni volta
litigare con lui è sfiancante ma mi rendo conto che per il
bene di Sophie devo cercare di comportarmi giustamente. -si
ok, non c’è problema. A che ora ci vediamo?- -la
porto all’asilo verso le otto e trenta. Ce la fai a
raggiungermi per quell’ora?- -si,
certo. Ci vediamo lì- -bene- -bene-
finisce lui e visto che non aggiunge altro faccio il gesto poco
signorile di chiudergli il telefono in faccia.
Non sono rare le volte che mi concedo di pensare a quello che
è successo tra di noi tre anni fa, anzi se devo essere
sincera è un pensiero così fisso che sta
diventando una specie di tortura, come la “goccia
Cinese” è sempre lì che a ritmo
cadenzato mi fa ripiombare nel passato. La mia mente vorrebbe diventare
insensibile ma il mio cuore torna sempre a quel dolore, forse
perché fondamentalmente non l’ha mai abbandonato. “È
ancora
troppo presto” mi dico
delle volte, “non
te lo leverai mai
dalla testa” mi ripeto
delle altre. So solo che
devo fare il meglio per Sophie e il meglio per la mia bambina
è che i propri genitori non si facciano la guerra a vicenda
e che soprattutto non le facciano mancare mai la loro presenza e il
loro amore.
Sospiro posizionandomi per bene sotto le coperte e lascio che la
stanchezza della giornata mi conduca tra le braccia di Morfeo, non
prima di rendermi conto che domani dovrò rivedere
l’amore della mia vita che allo stesso tempo è
diventato il mio incubo peggiore. E come si dice… se il
buongiorno si vede dal mattino allora domani sarà
sicuramente un'altra sfiancate e stressante giornata di
merda.
Emmh emmh… ok,
che ve ne pare?
Avete letto di una Bella forte, lavoratrice, figlia, moglie e madre
soprattutto. La sua storia non è delle più felici
ma in qualche modo si sta riscattando. Questo del divorzio è
un argomento molto particolare, non ho mai vissuto in prima persona
quello che si prova e ne tanto meno aspiro a viverlo. Spero di essere
all’altezza di saperne raccontare per bene ogni aspetto. Non
sarà facile, però vi giuro che ce la
metterò tutta.
Chi è curiosa di sapere cos’ è successo
al rapporto con Edward? Come mai si sono lasciati? Non vi
resta altro che restare sintonizzati e lo scoprirete! Ringrazio
già da adesso chiunque deciderà di lasciarmi un
commento, anche solo per dirmi “fa schifo”, almeno
saprò comportarmi di conseguenza. E grazie immensamente a te
ciùciù che mi supporti sempre. Per chi se lo
stesse chiedendo sto parlando della magnifica AnImoR_7 (se non avete
letto le sue storie correte subito nella sua pagina!) mi ha fatto una
capoccia per convincermi a postare almeno il primo capitolo di questa
storia.
Alla prossima, spero! Su facebook mi trovate qui Ste 87 Efp