Nate grazie a yggdrasill_ita
e al bisogno di riempire di BlackHill una sezione che ne è
spaventosamente priva (D:).
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Break
the ice
Hurt/Comfort
Maria non si scomponeva mai. Faceva parte del suo lavoro: se fosse
stata troppo sentimentale, non sarebbe stata il braccio destro di
Nicholas Fury.
Una sola persona, all’interno dell’organizzazione
paragovernativa, poteva vantare l’esperienza di averla vista
manifestare delle emozioni.
Una sola donna.
Quando tornava dalle missioni con il sangue sulle mani e la morte
negli occhi, Natasha era l’unica cui Maria desse una prova
tangibile della propria umanità. Consolava il suo pianto
silente,
inavvertibile, con i baci e le carezze, ricordandole che, prima che
una guerriera, era una donna e che il rosso sul registro perdeva
d’importanza, purché lei tornasse.
Angst
Sulle labbra di Maria sembrava vero che il rosso sul registro
perdeva d’importanza.
Mentre percorreva con la bocca il suo corpo morbido e accogliente,
Natasha riusciva a crederci, a perdersi nel calore, nei gemiti e
nelle contrazioni della sua donna, così diversa dai
cadaveri,
freddi, silenziosi e immoti.
Mentre la possedeva e godeva nel sentirla sua, Natasha sapeva di
essere viva e che questo a qualcuno importava.
Durante la veglia, sperava; era durante il sonno che i fantasmi la
assalivano e le sussurravano all’orecchio i nomi delle
vittime di
Black Widow. E Maria che la chiamava Natasha non
bastava più.
First time
Maria le aveva sempre offerto un conforto, un rifugio dagli
spettri che la tormentavano.
Quella fu la prima volta in cui le negò quel privilegio;
all’apparenza impassibile, Natasha la guardò con
quegli
insondabili occhi blu di cui avrebbe voluto riuscire a penetrare la
corazza. «Non vuoi?»
«Devi smettere di cercare di morire»
ribatté Maria in tono
glaciale.
Questo parve fare breccia nel suo autocontrollo.
Non poteva più sforzarsi di mondare il registro con il
proprio
sacrificio, perché Maria aveva bisogno di vederla tornare e,
al
cospetto del suo corpo nudo, i nomi delle vittime di Black Widow non
facevano paura.
Fluff
«Va bene» le promise, risoluta.
Furono sufficienti quelle due parole per infrangere il ghiaccio:
contro le sue, le labbra di Maria erano umide e impazienti, la
baciavano con una ferocia tenera che tradiva il bisogno della donna
di amarla e farsi amare in cambio, e il suo corpo era bollente,
rispondeva a ogni suo gesto come in una sorta di languida simbiosi
–
le gambe si intrecciavano, la schiena si inarcava, le mani si
cercavano.
Poi giacquero insieme nel letto profumato dell’amplesso,
Natasha
le cinse la vita con le braccia e non sognò, quella notte.
Avrebbe smesso di cercare di morire.
Last time
«Non starò via a lungo»
sussurrò Natasha, osservando con
estrema attenzione come il proprio respiro andasse a infrangersi
contro il seno di Maria, come il capezzolo si contraesse
squisitamente in reazione a quella sevizia.
Non era vero e lo sapevano entrambe: le era stata assegnata una
missione impegnativa e Natasha non tornava mai prima di aver
raggiunto l’obiettivo richiesto.
Maria rovesciò la testa all’indietro,
fissò il soffitto buio.
«Ricordati… hai promesso di…
tornare» mugugnò, mordendosi un
labbro nel tentativo di fermare il tremito della voce.
Natasha si chinò su di lei e chiuse la bocca attorno al
capezzolo. «Va bene».
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